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Economia globale instabile & riordino dei sistemi bancari in Europa: Scilla e Cariddi?
di Massimo Lo Cicero
Introduzione e sommario

Ci sono due problemi rilevanti nel mercato globale: dopo aver raggiunto un parziale successo con la nascita dell’euro, l’Unione Europea deve trovare una soluzione condivisa per le nuove regole sul funzionamento dei sistemi bancari che agiscono nel suo spazio economico dopo aver prospettato, nel 2013, una prima ragionevole ripresa, stentata ma reale, della crescita nel mercato globale, i maggiori analisti del mondo hanno dovuto ricredersi, nel trapasso tra il 2013 ed il 2014, perché maturano una serie di squilibri che, a loro volta, generano una nuvola di incertezza che si traduce in una sospensione dagli investimenti, fino a quando non si diradi la nuvola e si possa ricominciare a valutare i rischi dei progetti che dovrebbero alimentare la crescita. Ci sono insomma, due questioni molto interessanti, e per certi versi pericolose, nelle agende dei Governi e nelle strategie di banche ed imprese: una dimensione istituzionale – nel senso anglosassone che la parola “istituzioni” assegna al significato di “organizzazioni” nella lingua italiana – ed una dimensione macroeconomica che deve essere riordinata attraverso politiche monetarie e politiche fiscali, se si vuole uscire dal dominio dell’incertezza ed entrare in quello del rischio. Dimensione nella quale le scelte si confrontano con la probabilità dell’esito che possono ottenere; mentre la dimensione dell’incertezza, non essendo, in questo caso per deficit di conoscenze seppure incompiute, computabile il rischio, diventa un oggettiva pressione alla dilazione della scelta, al rimando di agire quando, diradata la nebbia dell’incertezza ed acquisita una maggiore, seppure incompleta,informazione sulle opzioni possibili, si possa finalmente scegliere quali rischi affrontare.
Nel primo e nel secondo paragrafo affrontiamo le cronache del trapasso tra il dicembre 2013 ed il febbraio del 2014, nel terzo paragrafo prendiamo in esame i problemi che si collegano al sistema bancario italiano ed alle modalità con cui si possa arrivare nei prossimi anni ad un sistema bancario europeo; nel quarto paragrafo, infine, proponiamo al lettore una interessante diagnosi di Rogoff e Stiglitz sulle ragioni, e le cause, che hanno riportato, nuovamente, nella dimensione dell’incertezza la situazione del mercato globale.




Draghi e Lagarde

Il 10 dicembre, a Brussels ed a Roma, Christine Lagarde e Mario Draghi hanno discusso dei caratteri che assumerà l’economia mondiale dopo la fine crisi.
Il direttore del Fondo Monetario ha parlato in Europa, davanti al comitato europeo economico e sociale che esprime la rappresentanza della società europea e dei suoi stakeholder: un insieme di coloro che rappresentano imprese, lavoratori, disoccupati e banchieri.
Christine Lagarde, insomma, non aveva come interlocutori solo le tecnostrutture che si dedicano all’architettura burocratica ed organizzativa dell’Unione Europea1.
Mario Draghi ha parlato a Roma, nella sede della Banca d’Italia, in occasione di una conferenza in memoria di Curzio Giannini: un dirigente della banca, che ha studiato a lungo la storia e la teoria della moneta e della banca centrale, considerandole entrambe da una prospettiva neoistituzionale, e ne ha tratto un libro molto interessante. Il libro di Giannini venne pubblicato da il Mulino nel 2004 ed il titolo è eloquente: “L’età delle banche centrali. Forme e governo della moneta fiduciaria in una prospettiva istituzionalista”.
In questo volume, emergono in maniera molto chiara i problemi con i quali ci confrontiamo oggi, dopo la crisi del 2008, e dunque si tratta di problemi che esistevano a prescindere dagli effetti della crisi; ma, sulla base della consapevolezza e delle conoscenze che la crisi e la sua gestione ci hanno trasferito – in altri termini dopo la lunga convivenza e la scommessa di una sfida adeguata alla creazione di una moneta unica e di una Banca Centrale Europea – ed il confronto tra gli argomenti di Giannini, e le nuove conoscenze che abbiamo acquisito, la scena ci appare molto più chiara 2.
Non credo che le due circostanze – l’intervento di Lagarde e quello diDraghi – fossero state coordinate ma, certamente, questi due temi ci aiutano a definire meglio il nuovo clima che matura sulla scena macroeconomica globale e finiscono con l’avere un contesto di senso molto interessante.
Lagarde debutta in modo diretto: sembra che l’Europa stia svoltando l’angolo che separa la crescita dalla recessione. E propone quattro priorità: bisogna fare in modo che si riprenda la fisiologia del circuito creditizio; bisogna mettere in moto una espansione della domanda effettiva; bisogna affrontare e governare i costi del debito; bisogna allargare i mercati del lavoro e dei prodotti. E smorza, tuttavia, l’eccesso di entusiasmo (Ma la crisi è davvero superata quando il 12% della forza lavoro non ha un impiego? O quando non esiste alcuna traccia che sostenere e ripagare i debiti stia diventando più semplice per la popolazione?), perché, avverte, il gap, tra la dimensione potenziale della produzione e quella effettiva, rischia di rimanere molto largo e per molto tempo ancora. Ed anche perché ci sono scarti eccessivi, tra la forza delle singole economie nazionali in Europa, e perché, infine ma è molto importante, ci sono asimmetrie radicali: tra chi riesce ad esportare, ed accumula surplus valutari, e chi non ha capacità di spesa e, di conseguenza, si avvita in una spirale regressiva tra caduta dei prezzi, mancata produzione, disoccupazione e perdita progressiva delle capacità e delle potenzialità del proprio lavoro. Un lungo periodo di mancata produzione genera la obsolescenza sia delle macchine che delle risorse umane.
C’è un robusto impianto keynesiano nelle parole della Lagarde: che si esprime indicando politiche fiscali espansive e politiche monetarie che, mantenendo bassi i tassi base, alimentino la ripresa del finanziamento bancario alle imprese e la riduzione della tenaglia che si è stretta, durante la crisi, tra banche e debito sovrano. Una tenaglia che, se si chiude troppo genera anche una caduta della reputazione e del valore dei sistemi bancari, travolti dalla crescita del debito che si alimenta anche grazie alla recessione ed alla caduta dei prezzi interni.
La riforma del mercato del lavoro, la capacità di rendere resistenti e flessibili sia le risorse umane che le organizzazioni, pubbliche e private, che operano sul fronte delle imprese come su quello del welfare dei servizi di mercato, sono il tassello finale di questa agenda della politica economica, che lascia un sapore keynesiano ed un qualche sentimento di solidarietà e supporto da parte del Fondo Monetario. Una conferma del fatto che il Washington Consensus è oggi molto lontano dalla diffidenza e più incline alla cooperazione ed allo scambio di politiche e di obiettivi tra USA ed Unione Europea. Unitamente alla riorganizzazione dei mercati, dei prodotti e del lavoro, che si affianca ad una nuova stagione di accordi di scambio a livello internazionale. Ma bisogna essere capaci di aggredire il problema e di reggere la conoscenza degli effetti a valle del problema. Sapere, insomma, che dopo qualsiasi difficoltà se ne presentano altre anche più impegnative. Qui Lagarde, in effetti, cita Mandela (Madiba): «dopo aver scalato una ripida collina, ognuno scopre solo che ci sono molte altre colline da scalare». Riproducendo anche una sequenza efficace quanto utile come bussola per gli anni che verranno:
To be clear, reforms are needed across all of Europe. For example, in countries with large external surpluses, reforms should be targeted to boost investment to ensure that resources are invested where they will maximize returns. In countries with external deficits, prices must be adjusted through improvements in productivity of workers and firms; this would make the tradable sector more competitive and generate more demand. Can this really work? Yes, reforms do pay off. There is growing evidence that significant reforms in product and services sectors can lead to sizeable productivity gains, which eventually creates room for higher wages and more job opportunities.

Il piglio da economia reale, domanda effettiva da cercare sul mercato domestico – alimentando la spinta delle risorse umane e delle imprese – e domanda effettiva, da trovare su mercati lontani grazie alla propria capacità di competere, ci dice che gli squilibri interni dell’Europa sono il vero problema da governare. Ma è altrettanto evidente che questa capacità di governo, che non riesce ad esprimersi da tempo in Europa, è proprio la forza d’inerzia che ha gettato nella recessione il vecchio continente. Dunque non basta una più adeguata politica fiscale e della competizione internazionale, per quanto riguarda il mercato domestico e quello internazionale, ma bisogna aggredire l’economia europea anche da un’altra sponda. Quella della politica monetaria, della moneta e della natura della moneta e dell’istituzione, la Banca Centrale, che la governa.
Questo secondo profilo si legge, ed in maniera complementare, proprio nel discorso tenuto da Draghi alla Banca d’Italia.
I punti di Draghi possono sembrare troppo accademici o, comunque, definiti in una chiave che non si spinge così direttamente alle politiche economiche enunciate dalla Lagarde. Questo sfasamento tra linguaggi potrebbe anche generare confusione nella comunicazione economica che dovrebbe riportare e restituire il contenuto dei due discorsi. Ma una lettura attenta chiarisce che le ipotesi avanzate da Draghi sono i pilastri sui quali dovrebbe, e potrebbe, essere eretta la costruzione delle politiche keynesiane descritte dalla Lagarde3.
Le banche centrali, è il primo punto di Draghi, manterranno bassi i tassi di interesse perché dispongono di una interpretazione dell’analisi economica che vede un profilo molto basso sia per il livello dei prezzi che per un loro possibile aumento nel tempo. Le banche centrali (la BCE, in particolare) creano un triangolo di stabilità finanziaria, che si esprime attraverso la relazione tra prezzi e tassi ma che si chiude alimentando un terzo polo: la fiducia della popolazione, consumatori ed imprenditori, nella stabilità della moneta.
Il secondo punto riguarda un insieme di istituzioni: moneta, banche e banche centrali ma anche mercati finanziari e shadow banking; le “banche non banche”, quelle che non raccolgono fondi attraverso i depositi ma alimentano, comunque e sui mercati finanziari, il trasferimento del risparmio agli investimenti.
In questa sfera, delle istituzioni della finanza nel loro complesso, servono ormai due dimensioni: una vigilanza macroprudenziale, che si proponga al fianco ed oltre la vigilanza sulle singole banche od intermediari; la creazione di una migliore resilienza, per sostenere sia l’impatto che il rinculo, necessario per riportare il sistema finanziario in avanti, supportando la crescita, dopo il trauma della crisi, che ha generato la recessione ed il profilo stagnante dell’economia europea. Con tutti i danni e gli squilibri denunciati dalla Lagarde.
Draghi cita anche, in questo doppio effetto, dal trauma al rinculo, una eccellente metafora di Don Kohn: «Potremmo non essere in grado di rendere migliore il comportamento dei piloti ma possiamo costruire automobili e strade migliori e tali da ridurre i danni in casi di incidenti». Gran parte di questa intuizione, che agisce sul contesto ed il contorno, e non solo sul sistema finanziario in se stesso, si lega alla creazione della Unione Bancaria in Europa ed alla stabilizzazione che l’operazione potrà generare, per ridurre i danni in caso di incidenti. Questo nuovo, diverso ed innovativo sistema finanziario europeo sarà, potrebbe essere se fosse messo in esecuzione, il veicolo capace di realizzare la politica del credito e della crescita, descritta dalla Lagarde.
Infine, ma è la cosa più rilevante, Draghi ricorda come Curzio Giannini sottolineasse un punto cruciale: come le banche centrali possono e debbono creare la fiducia nel sistema. Curzio (Giannini), aggiunge Draghi, non considerava solo la banca centrale come una istituzione, ma la stessa moneta come una istituzione, sostenuta dalla pubblica fiducia. E lo cita esplicitamente:
L’errore che le teorie neo-classiche fanno è considerare il denaro una merce. Invece è, davvero, una istituzione che si alimenta e cresce con la fiducia: fiducia nel suo potere di acquisto in futuro e fiducia nella convenzione, sempre confermata, che il pagamento, la regolazione del rapporto monetario, si completa quando il denaro passa di mano (anche se questo può sembrare solo una metafora).

E conclude affermando che la fiducia sia importante non solo come fine in se stessa, ma anche perché, se esiste e si diffonde, essa contribuisce all’efficienza della economia, e, di conseguenza, alla possibilità di crescere e trasformare gli effetti, della ricchezza che alimenta la crescita, nello sviluppo economico: cioè in una redistribuzione della ricchezza ed un successo per la equità sociale. Ecco le ragioni che, pur nella diversità dei linguaggi, legano le opinioni di Draghi alle ipotesi di lavoro della Lagarde.




Abyssus abyssum invocat?

Il quadro macroeconomico, tra gli ultimi mesi del 2013 ed i primi del 2014, appare rassicurante e, per certi versi, moderatamente ottimistico.
Gli Stati Uniti ed il Regno Unito hanno ripreso un ragionevole tasso di crescita, che oscilla tra il 4 ed il 3%. Il commercio mondiale si sviluppa al 4%. Secondo l’OCSE la crescita mondiale, che nel 2013 era scesa al 2,7% potrebbe, nel 2014, aumentare di un punto percentuale. I paesi emergenti presentano una omogeneità minore di quelli di cultura anglosassone: la Russia ristagna, il Brasile cresce al 2%, l’India poco sotto il 5%, la Cina raggiunge quasi l’8%, ed hanno avviato processi di contenimento della politica monetaria.
Le economie avanzate mantengono un clima più espansivo ed un livello basso dei tassi di interesse. La Federal Reserve avvia una riduzione degli stimoli monetari (tapering) ma ha anche ribadito che la propria politica monetaria rimane espansiva. Le differenze si leggono nelle relazioni tra domanda ed offerta nelle economie di cui abbiamo appena detto: gli Stati Uniti e l’Inghilterra crescono grazie al mercato domestico ai consumi delle famiglie ed investimenti delle imprese. In Giappone tirano consumi ed esportazioni ma, entrambi, nell’ultimo quadrimestre dell’anno, sono diminuiti.
Anche la Cina dispone di un grande mercato domestico, grazie alle dimensioni della sua popolazione, e lo utilizza a pieno. Sembra, insomma, che crescano le economie che hanno una larga domanda interna cui ricorrere per collocare nuovi prodotti e servizi.
L’Europa ha molte ragioni per giustificare la mancata ripresa della crescita dopo la crisi del 2008. Ma forse dovrebbe interrogarsi anche sulla natura degli strumenti che ha messo in campo per rimuovere le ragioni che hanno reso più flaccido e vischioso il processo di sviluppo nel vecchio continente, anche prima del 20084.
Gianni Toniolo descrive perfettamente la più rilevante delle ragioni ostative che paralizzano l’Europa:
L’esperienza europea mostra quanto sia difficile per Paesi con elevato debito pubblico adottare politiche fiscali adatte a mitigare una crisi caratterizzata da una forte caduta della domanda. Le regole comunitarie in merito all’indebitamento non hanno costituito l’effettivo vincolo all’uso di una politica fiscale espansiva. Il vincolo è derivato dal rischio crescente percepito, a torto o a ragione poco importa, dai sottoscrittori dei titoli dei Paesi molto indebitati: l’espansione fiscale ha prodotto aumenti dei tassi d’interesse che ne hanno vanificato in tutto o in parte l’efficacia. È questo il circolo vizioso al quale ci si condanna quando si deve gestire una crisi partendo da un livello eccessivo di indebitamento pubblico. La lezione per il futuro è evidente: avranno successo le società che riusciranno a ristabilire la sostenibilità fiscale mantenendo al tempo stesso una sufficiente coesione sociale. Non furono molti i Paesi che vi riuscirono negli anni Trenta. Che cosa diranno in proposito gli storici che studieranno il secondo decennio del ventunesimo secolo 5?.

Il debito pubblico europeo, con variegata intensità secondo lo stile di vita ed i comportamenti delle molte nazioni del vecchio continente, dipende dalla efficacia con cui sono stati progettati e gestiti i modelli di Welfare. La redistribuzione del reddito e la fornitura di servizi diffusi che accompagnano la qualità della vita, produce effetti molto diversi e certamente non univoci. Una gestione inefficace della macchina pubblica, che eroga servizi e consumi collettivi (sanità, previdenza, educazione, trasporti), produce debito pubblico che diventa inesorabilmente una tassa differita. Perché non restituisce adeguatamente in valori reali i benefici che dovrebbero aumentare e qualificare il tenore di vita dei cittadini. Ed alimenta sacche di corporatismo6 (processo che conduce gruppi sociali ristretti, e molto coesi nella difesa dei propri interessi, a rinchiudersi in gruppi impermeabili) sia nelle organizzazioni pubbliche che nei sistemi di relazione che legano quelle organizzazioni alle imprese che producono infrastrutture, finanziate da fondi pubblici.
Il costo della politica, di cui si discute giustamente, è solo una frazione dei costi dell’inefficacia e della inefficienza della spesa pubblica in molte nazioni europee e certamente in Italia.
Oltre i problemi del debito pubblico, tuttavia, esistono due ulteriori ostacoli che impediscono la ripresa della crescita: i problemi del sistema bancario ed il comportamento del sistema delle imprese.
Le banche dominano i processi di intermediazione dal risparmio all’investimento in Europa attraverso il credito.
Negli Stati Uniti e in Inghilterra le banche gestiscono mercati finanziari nei quali i titoli trasferiscono risparmio alle imprese ed esse realizzano investimenti. Il frazionamento dei mercati creditizi in nicchie nazionali, dovuto alla relazione negativa tra stabilità delle banche e rischiosità del debito pubblico per le singole nazioni europee, ha generato una paralisi, asimmetrica rispetto all’area euro come un tutto, tra banche ed imprese che impedisce la ripresa degli investimenti e ritarda, di conseguenza, la diminuzione della disoccupazione e la possibile futura crescita dei consumi sui mercati domestici europei. L’Europa crescerebbe, se ci riuscisse, grazie alle esportazioni: ma questo è possibile solo se le sue strutture imprenditoriali utilizzassero tecnologie e modelli organizzativi adeguati alla natura del mercato globale.
La Fiat lo ha fatto ma non si vedono troppi imitatori di questo genere di sviluppo imprenditoriale, che si fonda sulla scala della produzione, la qualità dell’organizzazione, la natura delle tecnologie utilizzate.
Se esportazione vuol dire competizione allora sono poche le economie europee che se lo possono permettere. Una brutta figura per la vanagloriosa ipotesi che l’Europa sarebbe diventata l’economia più competitiva del mondo fondata sulla conoscenza! Come recitavano i trattati europei nel secolo scorso.
L’economia italiana, in questo contesto europeo, presenta una posizione davvero critica.
L’incertezza che il sistema politico ha generato nella così detta seconda repubblica (dopo il 1992), è inarrestabile e pericolosissima.
L’instabilità dei governi della prima repubblica produceva tassi di crescita e sviluppo economico notevoli e continuati fino al trauma, esogeno, delle crisi energetiche negli anni Settanta.
La caduta di fiducia e la diffidenza, che si allargano nei paesi con i quali l’Italia condivide il proprio futuro europeo, sono una minaccia. La politica fiscale orientata all’austerità, con la quale abbiamo cercato di riscattarci e che ci è stata imposta proprio per la caduta di fiducia e la crescita della diffidenza, genera la sincope del mercato domestico ed avvia la spirale recessiva di una deflazione che sarebbe davvero un esito tragico per la nostra economia.
L’Italia è la prima degli ultimi tra i paesi dell’area euro ed è anche l’ultima dei primi. Siamo sul confine e come tali non possiamo sottrarci al nostro compito di cerniera tra l’Europa e le economie che si affacciano sul Mediterraneo. Ma, soprattutto, dobbiamo agire per ribaltare le politiche economiche dominate dallo spettro dell’austerità fiscale e proporre la ripresa di un nuovo patto atlantico, tra Europa e Stati Uniti, che possa generare la diffusione degli effetti espansivi della crescita anche in Europa. Ma che possa anche dare stabilità e continuità alle trasformazioni necessarie di una Europa che, nella illusione di avere welfare e banche adeguate, e classi dirigenti capaci di guidarla, ha prodotto un debito pubblico insostenibile per mancanza di crescita. Ogni debito si sostiene se il tasso di crescita di chi lo ha prodotto è maggiore del tasso di interesse che deve pagare per sostenerlo! Senza questa inversione ad U del comportamento europeo, e senza il contributo italiano a questa nuova coesione europea ed atlantica, si potrebbe allargare una spirale viziosa. Ci serve davvero una classe dirigente che metta un freno all’inconsistenza del sistema politico attuale. Altrimenti, Abyssus abyssum invocat: in Italia, ed anche in Europa, se le cose andassero per il verso peggiore.
I dieci anni alle nostre spalle ci indicano oggi anche come comportarci nei prossimi dieci anni, se avessimo il coraggio di fare autocritiche puntuali sui comportamenti che sia il nostro paese, che l’intera Unione Europea, hanno sviluppato producendo effetti opposti ai risultati che avremmo voluto ottenere. «Monta la marea?».
Comincia con questo singolare interrogativo il word economic outlook rilasciato il 21 gennaio dal Fondo Monetario Internazionale 7. L’economia mondiale, forse questa può essere la risposta a questa singolare domanda, si muove certamente. Ma si muove in maniera disordinata ed incoerente. In particolare non si muove, come vorremmo che fosse, per ottenere una rimonta della crescita dopo la prolungata pausa recessiva che ha fatto seguito alla crisi del 2008 8.
Due economisti, che di macroeconomia sono maestri, cercano di rappresentare lo stato delle cose in questo modo. Michel Spence ritiene che
L’esperienza vissuta dalle economie avanzate dalla crisi finanziaria del 2008 ha scatenato una notevole discussione su crescita, occupazione e disuguaglianza tra redditi. Non dovrebbe sorprendere: per coloro che si aspettavano una ripresa post-crisi relativamente rapida, più le cose restano invariate, più cambiano. Subito dopo il quasi collasso del sistema finanziario, la visione di consenso a favore di una ripresa ciclica ragionevolmente normale è svanita nel momento in cui è diventata evidente la portata dei danni a livello di bilancio – e l’effetto del deleveraging (ossia la riduzione del livello di indebitamento) sulla domanda domestica. Ma anche ora che il deleveraging è ben avviato, l’effetto positivo su crescita e occupazione resta deludente. Negli Stati Uniti, la crescita del Pil rimane ben al di sotto di ciò che, fino a poco tempo fa, veniva considerato come il tasso potenziale, mentre la crescita in Europa è irrilevante9.

Barry Eichengreen è ancora più diretto:
Sono passati esattamente dieci anni da quando il mondo ha cominciato a mettersi in allarme per gli squilibri globali, e più nello specifico per i cronici squilibri commerciali e delle partite correnti tra Stati Uniti e Cina. Ora possiamo felicemente proclamare che l’era degli squilibri globali è finita. Ed è arrivato il momento di trarre i giusti insegnamenti da quel periodo10.

Insomma, non si tratta di rimettere in carreggiata un autotreno che ha deragliato: sono in discussione sia la possibilità di creare spostamenti adeguati con un autotreno che far camminare su una autostrada gli autotreni. Metafora paradossale – che rimanda all’impossibilità, eraclitea, di entrare due volte nello stesso fiume – e rappresenta adeguatamente il punto di vista di Spence ed Eichengreen.
Dice Spence, sul rapporto tra passato e futuro, a coloro che quel futuro lo devono costruire qui ed ora nel nostro presente, cioè le classi dirigenti del mondo intero:
La tecnologia a bassa incidenza di manodopera e lo spostamento dei modelli occupazionali nel settore tradable dell’economia globale sono importanti motori di disuguaglianza. I lavori di routine dei colletti bianchi e blu stanno scomparendo, mentre l’occupazione a minore valore aggiunto nel settore tradable si sta spostando verso una serie crescente di economie in via di sviluppo. Queste due potenti forze hanno alterato l’equilibrio a lungo termine nei mercati del lavoro delle economie avanzate, con troppa istruzione e troppe competenze investite in un modello di crescita datato. Tutto ciò sta causando difficoltà, costernazione e confusione. Ma la stagnazione dei Paesi avanzati non è inevitabile – anche se evitarla richiede effettivamente il superamento di una serie di sfide ardue.

Aggiunge Eichengreen:
Nazioni con disavanzi ed eccedenze preoccupanti ci sono ancora, prime fra tutte Germania e Turchia: ma l’eccedenza tedesca (6% del Pil) è un problema soprattutto per l’Europa, mentre il disavanzo turco (7,4%) è un problema soprattutto per la Turchia; in altre parole, non sono problemi di portata globale.

Gli squilibri nelle bilance dei pagamenti, e nella fragilità dei debiti e dei disavanzi pubblici, sono stati la radice della crisi perché si sono generati cross border: non si sono alimentati come accadeva negli anni tra il 1950 ed il 1980 grazie agli scambi commerciali, importazioni ed esportazioni. Dal 1980 al 2000, ed anche dopo la nascita dell’euro, il problema di questi squilibri riguarda i movimenti di capitale, la qualità dei prodotti finanziari che vengono scambiati con la moneta, la dimensione della moneta creata dal sistema bancario rispetto a quella creata dalle banche centrali.
Ancora una volta facciamo parlare Eichengreen:
Nel lontano 2004 c’erano due scuole di pensiero sugli squilibri globali. La scuola del dottor Pangloss diceva che non era questo granché, un semplice riflesso della domanda di riserve in dollari da parte delle economie emergenti, che solo gli Stati Uniti potevano soddisfare, e dell’insaziabile appetito dei consumatori americani per le merci di importazione a buon mercato. Scambiare attività sicure con merci da quattro soldi era il migliore dei mondi possibili, un equilibrio felice che poteva anche durare all’infinito. I seguaci della scuola della Sorte Avversa invece predicavano che gli squilibri globali erano un disastro in agguato. A un certo punto, la domanda di attività Usa da parte dei mercati emergenti avrebbe raggiunto la saturazione. Peggio ancora: i mercati emergenti sarebbero giunti alla conclusione che le attività Usa non erano più sicure. Il flusso di fondi, che finanziava il disavanzo delle partite correnti di Washington, si sarebbe prosciugato; il dollaro sarebbe precipitato e le istituzioni finanziarie sarebbero state prese in contropiede: e la conseguenza di tutto questo sarebbe stata lo scoppio di una crisi.Ora sappiamo che sbagliavano tutti e due, sia Pangloss che la Sorte Avversa. Gli squilibri globali non sono continuati all’infinito: una volta saziato il desiderio di attività sicure, la Cina ha puntato su investimenti esteri più rischiosi e ha cominciato a riportare in equilibrio la sua economia, spostando l’accento dai risparmi ai consumi e dalle esportazioni alla domanda interna. Gli Stati Uniti, nel frattempo, si sono resi conto dei pericoli di un eccesso di debito e leva finanziaria ed hanno iniziato a prendere misure per ridurre l’indebitamento e incoraggiare il risparmio. Per agevolare questo cambiamento dei modelli di spesa, il dollaro si è indebolito, consentendo agli Stati Uniti maggiori volumi di esportazione. Lo yuan, per effetto della maggiore propensione al consumo dei cittadini cinesi si è rafforzato. Una crisi c’è stata, certo, ma non per colpa degli squilibri globali. Gli Stati Uniti avevano problemi finanziari di ogni sorta, ma non quello di finanziare il proprio disavanzo con l’estero. Al contrario: il dollaro è stato tra i pochi veri beneficiari della crisi, perché gli investitori esteri, disperatamente a caccia di liquidità, si sono riversati in massa sui buoni del Tesoro americani.

Queste sono le diagnosi dei due economisti americani ma ci vengono anche proposte alcune ipotesi di strategia, per garantirci che la marea della crescita possa davvero rimontare.
Secondo Spence ci sono alcuni punti da utilizzare come riferimenti strategici: bisogna trovare un equilibrio, in termini di costi e benefici, tra coloro che sopportano i costi, i giovani ed i disoccupati, e coloro che dovrebbero coprire quei costi perché dispongono di capacità di reddito e di risorse adeguate; gli Stati devono riprendere la politica di investimento e non limitarsi solo ad una politica fiscale restrittiva ma questi investimenti dovrebbero essere davvero una leva reale per la crescita e non solo una redistribuzione di soldi pubblici ai soliti noti; i paesi avanzati, che presentano flessibilità e versatilità tecnologica, potranno in futuro alimentare la domanda effettiva con le esportazioni ma le economie rigide su stesse, come quelle europee, saranno in difficoltà perché
la flessibilità rivestirà un ruolo sempre più importante nel modificare i modelli di crescita difettosi, perché incide sulla velocità di ripresa …. Nel Sud Europa, ad esempio, il processo richiederà tempi più lunghi, perché qui mancano diverse componenti di ripresa. Ma il ritardo nell’identificare le sfide, meno nel rispondere ad esse, sembra alquanto pronunciato quasi ovunque.

Spence crede in un diverso impianto della economia reale, modificando il rapporto tra leadership sociali (la dimensione soggettiva della governance) e struttura delle tecnologie (la dimensione oggettiva della tecnica), per ottenere un sistema economico mondiale che non sia la ripetizione, impossibile, della combinazione tra derivati, finanza creativa ed impatto della (prima e non più replicabile) ondata della rivoluzione digitale.
Eichengreen vede la questione sotto un profilo diverso, in una chiave dove la soluzione si deve trovare in un diverso ordine macroeconomico internazionale:
La prossima volta che emergeranno squilibri globali, gli analisti sapranno – dobbiamo sperarlo – guardare sotto la superficie. Ma ci sarà una prossima volta? Un paio di anni fa le società di previsioni erano sicure che gli squilibri sarebbero riemersi, una volta passata la crisi. Ora però questo scenario appare improbabile: né gli Stati Uniti né la Cina stanno tornando al tasso di crescita o ai modelli di spesa di prima della crisi. Anche la situazione commerciale precedente non sembra destinata a riproporsi. La posizione degli Stati Uniti negli scambi commerciali verrà rafforzata dalla rivoluzione dei gas di scisto, che promettono l’autosufficienza energetica, e da incrementi della produttività che lasciano presagire un rimpatrio ancora più accentuato della produzione manifatturiera. I mercati emergenti, da parte loro, hanno imparato che un surplus nella bilancia commerciale non è una garanzia di rapida crescita, e che il fatto di poter contare su consistenti riserve internazionali non è garanzia di stabilità finanziaria […]. Tutto questo sembra indicare che l’accumulo di riserve estere da parte dei Paesi emergenti e in via di sviluppo – un altro fenomeno su cui molto inchiostro è stato versato – forse sta per raggiungere l’apice. Dopo di che, sarà solo un altro problema dietro le nostre spalle.

Non sarà come prima della crisi, l’economia mondiale ma sarà certamente necessario costruire una chiave adeguata, della relazione tra forme di governo e strutture tecnologiche: per trovare la strada che, dalla crisi, ci riporti su un terreno stabile. La condizione necessaria perché la marea, della crescita, possa incanalarsi nei percorsi strategici dello sviluppo, che ci aspettiamo di ritrovare11.
Si ripropone, ancora una volta, il trilemma di Rodrik: come conciliare la relazione tra cambi fissi e cambi flessibili, sovranità nazionale della politica monetaria, standard monetario internazionale12.
Gold Standard e cambi flessibili, accompagnati da un controllo forte dello Stato nazionale sul regime economico domestico, avevano consentito una forte integrazione economica alla scala internazionale, prima della Grande Crisi. Nel regime successivo agli accordi di Bretton Woods, anche grazie alla presenza del Fondo Monetario e della Banca Mondiale, cambi fissi e Dollar Standard, almeno fino al 1970, assicurarono una ragionevole compensazione degli squilibri derivanti dai flussi di esportazioni ed importazioni. Mentre la democrazia si espandeva nei mercati domestici delle economie industriali. Il ritorno ai cambi flessibili, e la progressiva deregulation dei mercati finanziari, che espandeva la dimensione dei movimenti di capitale rispetto a quella degli scambi commerciali, ci ha progressivamente fatto cadere nella crisi del 2008, e nelle sue conseguenze recessive13.
Nel trapasso all’euro, tuttavia, seppure con un eccesso di lentezza dovuto agli infiniti attriti interni alla costruzione della Unione Europea, un nuovo attore appare sulla scena monetaria internazionale: la Bce. Nel suo intervento a Davos, Mario Draghi propone un ragionamento sulla strada che porta alla stabilità.
L’impatto tra la crisi del 2008, e la lunghezza con cui si è svolto il primo step della stagione dell’euro, hanno creato di certo problemi che oggi si ripercuotono sul tratto recessivo che la sola Europa presenta mentre, appunto, sembra che la marea della crescita possa rimontare nel resto del mercato mondiale. Ma l’ipotesi che Draghi avanza – di ritrovare la sovranità monetaria attraverso una ridefinizione del sistema economico europeo, allargando alla unificazione bancaria il terreno dell’unificazione monetaria – potrebbe essere la chiave di una mutazione nella Governance Europea che, accompagnata dalla ridefinizione delle tecnologie e della struttura macroeconomica del mercato domestico europeo, potrebbe aprire la strada alla stabilità finanziaria, ed anche alla ripresa della crescita reale. Come ci dicono con nettezza Spence ed Eichengreen. Non si vedono oggi fatti che possano rappresentare questa opzione come praticabile nel prossimo futuro ma si vedono gli spazi perché questi fatti possano materializzarsi. La fragilità delle classi dirigenti europee, ed in particolare la ridotta capacità politica della classe dirigente nel vecchio continente, potrebbe essere il dato ostativo che impedisca il passaggio dell’Europa in questa sorta di sliding doors potenziale: la porta per un futuro migliore. The Path from Crisis to Stability, del quale parla Draghi, avendo evocato in altre occasioni anche le suggestioni di Curzio Giannini su fiducia, moneta e governance delle banche centrali14. Speriamo in uno scatto di orgoglio e nella capacità dell’Europa di alzare almeno di un poco lo sguardo verso l’orizzonte: considerando che le strade di ieri non sono impercorribili ma, semplicemente, nel mondo contemporaneo non esistono più.





Una diagnosi cruda ed efficace del Fondo Monetario sul credito in Italia: il superorganismo e la resilienza

Nel settembre del 2013, e con un impianto di dati aggiornati e discussi con le autorità italiane nel primo semestre del 2013, il Fondo Monetario Internazionale ha rilasciato un documento sullo stato del sistema bancario italiano, dopo la traversata nella stagione della crisi e di fronte al persistente clima recessivo che domina l’economia europea ed, in particolare, quella italiana: September 2013, IMF Country Report No. 13/300; Italy: Financial System Stability Assessment15. Si tratta di un documento corposo, sessanta pagine dense di testo, tabelle e grafici, e molto interessante. In questa sede ci limitiamo a spiegare il significato generale delle diagnosi che il documento espone e a rendere molto evidente una delle questioni che pesano sul futuro del sistema: ovviamente se si condivide la diagnosi offerta dal documento stesso. Chi scrive la condivide.
Un primo giudizio, esposto nel documento, su quale sia la configurazione del sistema bancario italiano è abbastanza chiaro ed inequivocabile: «A traditional bank-centric financial sector with close ties to the corporate clients and large exposure to a sovereign under stress». Un settore finanziario tradizionalmente bancocentrico con stretti legami verso la clientela corporate ed una grande esposizione verso il rischio del debito sovrano, cioè la dimensione e la qualità del debito pubblico in portafoglio. Segue una constatazione rassicurante: «ECB liquidity has all but eliminated funding risk in short termbut then what?». La Banca Centrale Europea è riuscita ad eliminare il rischio di liquidità nel breve termine ma poi cosa accadrà? Il sistema, essendo bancocentrico, esibisce elevati gradi di leverage ed una stretta relazione tra banche ed imprese, all’interno della quale manca l’esistenza di mercati finanziari che trasformino mediante la compravendita di titoli il risparmio in investimento.
Questa trasformazione è prevalentemente realizzata dal canale bancario e dalla relazione tra banche e clientela corporate. Anche se le banche, avendo riassorbito al proprio interno gli intermediari crediti non bancari ed essendosi trasformate in banche commerciali che finanziano il capitale circolante, ma assai meno gli investimenti fissi – in questo caso per evitare problemi di funding nel medio e lungo termine –, mostrano una capacità di resilienza, di fronte agli effetti della crisi, ma si dimostrano avverse al rischio nella copertura di progetti di lungo periodo. La resilienza 16 essendo la capacità di resistere modificandosi di fronte alla pressione di una forza opposta per garantire continuità alla propria azione: avanzando dopo aver arretrato, come insegna il linguaggio di questo termine, che domina la scena quando si manifestano le circostanze di una crisi finanziaria.
E siamo al punto centrale del documento rilasciato dal Fondo Monetario: di fronte a problemi che potrebbero essere diventati più grandi di quanto non siano, osservando bene il sistema bancario italiano, gli analisti del Fondo affermano che esiste una singolare condizione – che ha reso stabile, più di quanto ci si aspetterebbe dai dati oggettivi e comparabili con quelli del resto del mondo – il sistema stesso: la capacità di regolamentazione, supervisione e vigilanza della banca centrale. Insomma, come spiegano bene le scienze della biologia, siamo di fronte ad un Superorganismo: un elemento metasistemico, estraneo agli individui singolarmente inclusi nel sistema, che integrandosi con il sistema lo rende più forte e più stabile. La costruzione di superorganismi è al centro dell’analisi biologica sulle colonie di insetti ed è esposta in maniera magistrale in un volume, edito da Adelphi, di Bert Holldobler ed Edward O.Wilson17.
Il superorganismo, che integra e completa la capacità di resilienza delle banche italiane, è, nella metafora che proponiamo, proprio la banca centrale. Una considerazione che smentisce la lezione delle società americane di consulenza che, negli ultimi venti anni, hanno spiegato alle banche che una banca centrale troppo vicina alle banche, e le banche troppo vicine alle imprese, rappresentavano un problema perché alimentano collusione e corruzione. Dunque, spiegavano i guru americani, il banchiere centrale deve stare a distanza di un braccio dal banchiere ed il banchiere deve stare a distanza di un braccio dal cliente. Anzi, per essere sicuri, il banchiere deve avere un sistema di gestione del calcolo del rischio ed un sistema di marketing strategico. Ed i clienti devono interloquire solo con il secondo sistema, quello del marketing strategico, e non con i veri erogatori del credito, quelli che misurano il rischio senza mostrarsi al mercato. Sembra allora che emerga un paradosso; meno male che erano tutti ad una distanza limitata ed insieme hanno superato la crisi: banche centrali, banche ed imprenditori. In effetti non si tratta di segmentare le relazioni tra organizzazioni ma di gestire adeguatamente la governance del sistema, bancario: sia da parte di un attore terzo, la banca centrale, che di governance interna del rapporto tra banca e mercato.
Se le api bancarie sapranno raccogliere il nettare dei fiori, i progetti delle imprese, l’alveare che quei progetti collega alla produzione industriale del miele, potrà generare un vantaggio espansivo, nei benefici, che sopravanza i costi: sia per le api che per l’ambiente in cui agisce il superorganismo. La medesima cosa è avvenuta nella crisi recessiva, imposta all’Italia dalle sue fragilità precedenti – come la dimensione troppo piccola delle imprese e la progressiva chiusura dei grandi impianti o la mancata accumulazione di nuove tecnologie – e dalla prima crisi finanziaria del mercato globale.
Non siamo di fronte ad un paradosso perché non sempre la vicinanza e la prossimità diventano cooperazione: spesso sono davvero anche la base di una collusione regressiva. Ma è certamente vero che resilienza di alcune banche e governo del sistema, da parte della banca centrale, sono diventate un argine al decadimento che la crisi avrebbe potuto generare. Una cooperazione intelligente e costruttiva, come quella dei formicai e degli altri superorganismi, rappresenta una forza e non una debolezza: è necessaria ma non è detto che sia sufficiente. Così come non è univocamente detto e realizzato che la governance delle banche non appaia adeguata e coerente con la loro missione di alimentare la crescita, trasferendo risparmio agli investimenti e selezionando i progetti imprenditoriali, ma anche le capacità delle strutture aziendali che quei progetti devono realizzare.
Questa ultima considerazione ci riporta ai giudizi degli analisti del Fondo Monetario Internazionale sul nostro sistema bancario.
Esiste un grande lavoro da fare sulla dinamica interna delle banche italiane. Questo lavoro deve partire dagli assetti istituzionali delle banche e dalla governance interna, che quegli assetti finiscono per definire, secondo modalità abbastanza diverse tra loro. In breve e per concludere, sono tre le categorie di banche da analizzare ed è in queste tre categorie che vanno rivisitate, banca per banca, gli assetti istituzionali e, di conseguenza, il modo di governare la banca e di relazionarsi con i clienti sul mercato.
La prima categoria include le banche che abbiano una prevalente presenza di fondazioni bancarie come azionisti. La seconda categoria è quella delle banche popolari che siano troppo grandi e, nel medesimo tempo mantengano la forma cooperativa e non si trasformino in banche costituite come public companies, corporation o società di capitali. La terza categoria è quella delle banche locali che, al contrario, potrebbero proprio grazie alla forma cooperativa dei propri partecipanti, allargare la relazione tra banca ed impresa alla scala di dimensioni territoriali adeguate alla dimensione della banca stessa. Evidentemente non si può attribuire ad ogni categoria la medesima soluzione.
Le categorie disegnano profili organizzativi ma sono le singole banche che devono affrontare il proprio modello gestionale. E saranno proprio le banche più capaci di farlo quelle che rappresenteranno il futuro del sistema. Siamo di fronte ad una distruzione creatrice, una selezione darwiniana che metterà in prima linea solo una parte del sistema. le banche che non riusciranno ad essere aggreganti verranno probabilmente aggregate mediante un processo di fusioni e concentrazioni.
C’è un problema, purtroppo, che rende difficile questo salto di qualità. È assolutamente necessario che la Banca Centrale Europea si assuma la responsabilità della vigilanza bancaria alla scala europea e che nasca una vera e propria Unione Bancaria in Europa.
Lo ha ripetuto Stiglitz 18 e lo ha affermato con forza e determinazione Mario Draghi. Dunque, in Italia, abbiamo poco tempo per mantenere la formula di «resilienza & controllo della banca centrale nazionale» come chiave di volta della nostra stabilità bancaria. Bisognerà accelerare la trasformazione delle banche italiane perché l’ombrello del superorganismo sta per chiudersi. E sarà la Banca Centrale Europea che renderà più uniforme il sistema delle banche alla scala dell’Unione intera. Ma in quel sistema dovranno andarci le banche italiane migliori, e più capaci delle altre, mentre ridurre il sistema bancario italiano ad un’uniforme platea di serie B sarebbe davvero sbagliato e pericoloso. Nel suo intervento al convegno Assiom Forex il Governatore Ignazio Visco ha chiarito molto bene gli estremi di questo processo che condurrà ad una vera e propria trasformazione radicale del sistema bancario italiano 19.
Con l’Unione Bancaria, cioè la possibilità della Banca Centrale Europea di vigilare e monitorare le condizioni del sistema bancario europeo, si allarga al credito la sfera della moneta.
Mario Draghi ha spiegato la relazione tra credito e moneta ad Harvard nel mese di ottobre:
Le implicazioni della decisione di realizzare un autentico mercato unico non si limitano alla creazione della moneta unica. Di per sé la moneta unica comporta conseguenze, la più pressante delle quali è l’unione bancaria.L’istituzione di un’unione bancaria è stata concordata dai capi di Stato o di governo europei e la sua graduale attuazione è già stata intrapresa, a iniziare dal meccanismo di sorveglianza unico. Il meccanismo, facente capo alla BCE, è stato di recente approvato dal Parlamento europeo. Confidiamo che entro gli inizi del 2015 entrerà in vigore un meccanismo di risoluzione unico. Per comprendere perché l’unione bancaria sia una conseguenza dell’unione monetaria giova ricordare che soltanto una quota esigua della moneta è “esterna”, ovvero una passività della banca centrale. La maggior parte della moneta utilizzata nell’economia è “interna”, ossia una passività delle banche commerciali. Affinché la moneta sia veramente unica in seno a un’area valutaria, deve realizzarsi la piena sostituibilità tra le sue diverse forme. Ciò significa che un euro in una banca di un qualsiasi paese dell’area dell’euro deve essere pienamente sostituibile con un euro in un altro paese membro. L’unico modo per creare questa condizione consiste nel rimuovere nel sistema bancario le differenze che possano determinare una frammentazione lungo i confini nazionali; ora, la differenza più importante risiede nel regime di vigilanza delle banche e di risoluzione delle relative crisi, qualora si presenti la necessità, da parte delle autorità nazionali. Stiamo quindi trasponendo queste funzioni al livello europeo, per far sì che la moneta unica trovi riscontro anche in un sistema bancario unico. E questo è coerente con la definizione positiva di sovranità che ho dato in precedenza: un’autentica unione bancaria può ispirare nei cittadini più fiducia verso la propria moneta rispetto ad approcci nazionali distinti. Inoltre, si produce una rilevante interazione positiva. Se da un lato esiste una concatenazione logica dal mercato unico alla moneta unica e all’unione bancaria, a sua volta l’unione bancaria favorisce il mercato unico. Un’eventuale frammentazione del sistema bancario compromette non solo l’unicità della moneta, ma anche la concorrenza; infatti, si verifica una dispersione dei tassi sui prestiti bancari fra i paesi, fenomeno al quale abbiamo assistito negli ultimi anni. A questo punto è necessaria una precisazione: non vi è in sé alcuna ragione per la quale un’impresa spagnola debba potersi indebitare esattamente allo stesso prezzo di un’impresa olandese. Se il contesto in cui operano le due imprese è diverso, ciò può ragionevolmente influenzare il loro rischio di credito e quindi il tasso al quale assumono un prestito. Ma in un mercato unico un’impresa spagnola dovrebbe potersi indebitare presso una banca spagnola allo stesso prezzo che applicherebbe una banca olandese. Se questa condizione non si verifica, se il premio per il rischio corrisposto da un cliente bancario in un paese non è idiosincratico ma sistemico, di fatto non vi è più un autentico mercato unico dei capitali. Il luogo in cui si risiede avrebbe importanza. Ed è proprio questa situazione che l’unione bancaria vuole ribaltare. In Europa una tale unione bancaria assume perfino maggiore rilevanza che negli Stati Uniti, perché il finanziamento esterno delle imprese è costituito per oltre due terzi da prestiti bancari. Per le piccole e medie imprese questa quota è addirittura più elevata. Per contro, negli Stati Uniti il ruolo delle banche nel finanziamento esterno delle imprese rappresenta solo circa un terzo, o persino meno. Pertanto, un’unione bancaria è cruciale anche per l’economia reale dell’area dell’euro 20.

Questa citazione può sembrare lunga ma riesce a concentrare in una sintesi molto efficace la relazione tra banche e banche centrali, tra stabilità finanziaria e crescita se si guarda alla dimensione macroeconomica e non alla relazione istituzionale tra banche e banche centrali. La moneta esogena si presenta come le banconote che costituiscono il debito esterno della banca centrale verso il sistema economico servito da quella banca. La moneta endogena è il debito, espresso in euro, delle banche europee che appartengono al sistema. La base monetaria europea si esprime cross border rispetto ai confini nazionali dei singoli Stati ma il rischio, ed il rendimento, delle imprese che richiedono credito sarà sempre più convergente nei giudizi delle banche sulle imprese grazie alla vigilanza ed al monitoraggio della BCE sul sistema delle banche europee. Circostanza che eviterà la frammentazione nazionale dei canali creditizi che trasferiscono risorse dalla banca centrale alle imprese mediante i canali bancari nazionali. Ed un unico mercato bancario europeo sarà più efficiente sul terreno del credito e della finanza mentre la politica fiscale degli Stati nazionali dovrebbe rendere più efficace l’offerta dei servizi alla popolazione e la redistribuzione dei redditi con una maggiore equità sociale.
Consolidare il sistema dell’Unione Bancaria Europea significa dare uno scheletro più forte alla possibile crescita economica del mercato unico. La banca centrale ed il sistema bancario, di cui essa si occupa e sul quale vigila, in generale, e quindi anche nel caso europeo, genera, nelle sue relazioni reciproche, una superorganizzazione. Un sistema nel quale la banca centrale e le banche trovano un equilibrio più stabile e più controllato nel trasferimento del risparmio verso l’investimento. Un economista della Banca d’Italia, Curzio Giannini, che abbiamo già citato più volte, scriveva nel suo volume edito nel 2004 e dedicato alle banche centrali:
la banca centrale, checché ne dicano i suoi detrattori, non ha bisogno di andare a caccia di nuove linee di attività. È il capitalismo che l’ha prodotta, ed è il capitalismo che la verrà ancora a cercare, dovesse ancora perdurare l’attuale ondata di infatuazione nei riguardi della capacità auto regolatrici dei mercati finanziari […] la banca centrale produce un bene impalpabile ma essenziale, come la fiducia, di cui il capitalismo, basato come è su una piramide di carta, quando non soltanto di poste elettroniche, ha un bisogno enorme.

La banca centrale, d’altra parte, nasce e si sviluppa in Svezia ed in Gran Bretagna alla fine del 1600, mentre l’attività del banchiere e del mercante, che allarga la sua sfera di azione dal commercio alla finanza, si perdono nella notte dei secoli precedenti. Seguono nell’Ottocento, e fino ai primi del Novecento, altre banche centrali.
La più adolescente delle quali è certamente la BCE. Senza la banca centrale, sia in uno Stato nazionale, che in un mercato unico al quale aderiscano molti Stati, non ci sarebbero le condizioni per tenere insieme la produzione e la creazione della ricchezza. Il triangolo tra salari, interessi e profitti sarebbe permanentemente squilibrato e questi squilibri finirebbero per trascinare nella crisi e nella recessione i mercati dei beni e dei servizi. C’è un’ultima ragione per sottolineare la singolarità della banca centrale ed è la singolarità della moneta: la moneta, quella contemporanea, che non ha un valore intrinseco, ma è un bene pubblico alimentato dalla fiducia di chi la utilizza, è quello che fa e non quello che è. Se la moneta fosse oro od argento, od altro del quale si possa dire che abbia un valore intrinseco, sarebbe come le altre merci e servizi mentre essa è quello che fa: il metro del valore, l’equivalente generale degli scambi ed un fondo di valore. Ed anche la banca centrale è quello che fa: essendo indipendente nei comportamenti e dovendo governare sia la stabilità dei prezzi che quella dei mercati e degli intermediari finanziari.
Quale sarà il futuro delle banche centrali, e quale potrebbe essere il futuro della Bce, è un tema dall’orizzonte abbastanza vasto.
Oltre il picco di attenzione dell’Unione Bancaria Europea, nelle ultime settimane, sono emersi giudizi singolari anche sulla Banca d’Italia, che è una parte significativa della BCE secondo l’attuale ordinamento consortile tra le banche centrali dei paesi che adottano l’euro come moneta. Giudizi singolari e relativi alla trasformazione del valore delle quote del capitale della banca, detenute dalle banche commerciali. Una tempesta inutile, e non richiesta, considerando che la Banca d’Italia, come ogni banca centrale, non può essere assimilata all’architettura delle società per azioni, se non per comodità tecnica nell’articolazione del suo funzionamento. Non è un’impresa che produca reddito e valore aggiunto, così come le banche non sono perfettamente omogenee alla natura delle imprese: governando processi di trasferimento del risparmio e dell’investimento, moneta e titoli che a loro volta sono la base del finanziamento della produzione e dei suoi effetti sulla crescita reale del sistema. Discutere delle banche centrali sul terreno della contabilità e del diritto commerciale non sembra la cosa migliore da fare, se non per la tecnicalità, in senso stretto, che quelle discipline e quei metodi offrono, per nostra fortuna ed utilità. Del resto, proprio nel documento in cui si imposta, da parte della Banca d’Italia, la natura della trasformazione delle sue quote, sono esposti in prima pagina i motivi di quella scelta: i processi di concentrazione bancaria hanno aumentato il peso delle banche che hanno partecipato a quei processi di concentrazione e si deve evitare l’“erronea percezione” che il governo della banca centrale venga assunto dalle banche di grandi dimensioni; bisogna evitare che una legge, promulgata nel 2005, possa trasferire il controllo della banca centrale allo Stato, nazionalizzarla sarebbe una strana soluzione per chi crede che la banca debba essere autonoma ed indipendente nel governo delle proprie azioni, ancorché sia definita la missione che ad essa viene affidata; la necessità di separare la dimensione economica dei dividendi assegnati ai “soci”, che non hanno il controllo del governo della banca, da quella parte dei dividendi che, essendo frutto del signoraggio sulla moneta, che è una funzione pubblica, non devono essere assorbiti dai partecipanti al capitale.
Circostanza già affermata in molte altre banche centrali.
Insomma, sembra strano, ma la ricerca di congiure occulte toglie molto spazio, nella comunicazione economica, ai tentativi di capire come si possa migliorare la qualità delle istituzioni, e dei comportamenti, che in quelle istituzioni trovano lo spazio per agire. Le funzioni, come l’uso della moneta o la necessità di risparmiare per investire, sono basiche e restano stabili nel tempo. Le istituzioni con cui quelle funzioni possono essere articolate e migliorate sono la misura della conoscenza e della capacità di una civiltà. Di questo varrebbe la pena parlare e non di complotti e congiure che riducono a noise (rumore che disturba l’ambiente e soffoca le voci) la gran parte dello spazio utile per la comunicazione e lo scambio delle opinioni 21.




L’Italia diventerà la periferia dell’impero globale?

Quale può essere l’esito dell’incertezza che si accumula nell’economia globale grazie alle questioni che derivano dalla riorganizzazione del sistema bancario europeo – anche per accelerare finalmente la trasformazione dell’Unione Europea in una organizzazione che possa esprimere meglio la propria strategia politica e monetaria – ed a quelle che si collegano agli squilibri ed alle aritmie del tasso di crescita che sembrano pregiudicare proprio l’esito della crescita mondiale, che pure sembrava all’orizzonte alla fine del 2013?
Nessuno dei protagonisti di questa discussione è così amante dell’azzardo da proporre ricette semplici e facili da realizzare: perché tutti sono consapevoli dei problemi di instabilità che, ancora oggi, numerosi anni dopo la prima crisi finanziaria globale, si presentano sulla scena internazionale.
Mario Draghi, ad esempio, sceglie di sospendere il giudizio ma, nel medesimo tempo, fissa un arco di tempo molto limitato per riproporre quel giudizio in maniera puntuale: il successivo appuntamento con la stampa del marzo 2014, quando la nebbia dell’incertezza che circonda il sistema potrebbe anche essersi diradata22. Aprendo la tradizionale conferenza stampa mensile, e smentendo – ma era facile prevedere questa opzione e molte persone normali lo avevano infatti previsto – che è inutile mandare i tassi di interesse sotto lo 0,25%, o forse sotto lo zero, ma è necessario monitorare la dinamica delle variabili economiche e affermare che la BCE è pronta a fare tutto quello che è necessario per evitare un degrado della situazione europea.
Tutti ricordiamo la frase memorabile di Draghi (luglio 2012):“Whatever it takes”, ecco quello che faremo per riportare l’economia sul percorso della crescita!
Il 7 febbraio Draghi, al termine del consiglio direttivo della BCE ha offerto un paradigma esplicativo di questa tesi:
At the same time, underlying price pressures in the euro area remain weak and monetary and credit dynamics are subdued. Inflation expectations for the euro area over the medium to long term continue to be firmly anchored in line with our aim of maintaining inflation rates below, but close to, 2%. As stated previously, we are now experiencing a prolonged period of low inflation, which will be followed by a gradual upward movement towards inflation rates below, but close to, 2% later on. Regarding the medium-term outlook for prices and growth, further information and analysis will become available in early March. Recent evidence fully confirms our decision to maintain an accommodative stance of monetary policy for as long as necessary, which will assist the gradual economic recovery in the euro area.We firmly reiterate our forward guidance. We continue to expect the key ECB interest rates to remain at present or lower levels for an extended period of time.This expectation is based on an overall subdued outlook for inflation extending into the medium term, given the broad-based weakness of the economy and subdued monetary dynamics. With regard to recent money market volatility and its potential impact on our monetary policy stance, we are monitoring developments closely and are ready to consider all available instruments. Overall, we remain firmly determined to maintain the high degree of monetary accommodation and to take further decisive action if required”.

Il corsivo è di chi scrive, per sottolineare come l’espressione di Draghi evochi un principio analitico sull’uso del linguaggio: «Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere!»23.
Ed anche l’utilizzazione di un’espressione forte ed omnicomprensiva quando propose la natura della sua strategia di politica monetaria insediandosi alla: “Whatever it takes”.
Ma per quale motivo la dinamica delle principali variabili macroeconomiche, alla scala globale, è avvolta dalla nuvola di incertezza? Queste circostanze ce le possono spiegare adeguatamente Stiglitz e Rogoff.
Secondo Stiglitz è in atto una stagnazione intenzionale24. L’economia non si muove da sola ed i mercati non riescono a trovare equilibri adeguati, anche perché sono molti, e diversi tra loro, gli attori dei mercati. E tra questi attori non ci sono solo banche, imprese e consumatori. Ci sono anche gli Stati ed i Governi, che possono trovare soluzioni ma possono anche sviluppare politiche che allontanano dall’equilibrio la soluzione dei problemi. I mercati risentono della diversità degli attori che li guidano ma Stati e Governi risentono, altrettanto, dell’intelligenza politica degli uomini che sono al comando delle istituzioni. Proprio come accade nelle banche e nelle imprese, che sono istituzioni altrettanto guidate dagli uomini. È il “manico” – oltre la conoscenza e la dedizione alla missione che viene affidata ad un individuo – di chi governa organizzazioni, pubbliche o private, che fa la differenza. Stiglitz, come sempre, è molto efficace nei suoi commenti:
I surplus commerciali del Nord Europa sono incrementati, anche a fronte di una riduzione di quello cinese. Fatto più importante, i mercati non sono mai stati bravi a raggiungere rapidamente e da soli le trasformazioni strutturali; la transizione da agricoltura a manifatturiero, ad esempio, è stata tutt’altro che morbida; anzi, è stata accompagnata da una notevole dislocazione sociale e dalla Grande Depressione. Questa volta non è diverso, ma per certi versi potrebbe essere peggio: i settori che dovrebbero essere in crescita, rispecchiando le necessità e i desideri dei cittadini, sono i servizi come l’istruzione e la sanità, che tradizionalmente ricevono finanziamenti pubblici, e a ragione. Ma il governo invece di facilitare la transizione, si affida all’austerità e la inibisce. Il malessere è meglio di una recessione, e una recessione è meglio di una depressione.Ma le difficoltà che stiamo affrontando ora non sono il risultato delle inesorabili leggi dell’economia, alle quali dobbiamo semplicemente adattarci, come dovremmo fare nel caso di un disastro naturale, come un terremoto o uno tsunami. Né tanto meno sono una sorta di penitenza che dobbiamo pagare per i peccati passati – sebbene, certamente, le politiche neoliberali che hanno prevalso negli ultimi tre decenni, abbiano molto a che fare con la difficile situazione di oggi. Le nostre attuali difficoltà sono invece il risultato di politiche difettose. Le alternative ci sono. Ma non le troveremo nella compiacenza auto-appagante delle élite, i cui redditi e portafogli azionari sono ancora una volta alle stelle. Solo alcune persone, sembra, devono adeguarsi a uno standard di vita permanentemente più basso. Sfortunatamente, queste persone sembrano essere la maggioranza.

Insomma i due generatori di incertezza sono una condizione oggettiva, lo squilibrio tra ricchi e poveri che si allarga progressivamente. Ma anche una condizione soggettiva: le “politiche difettose” di larga parte della classe dirigente alla guida delle istituzioni pubbliche e private, ed, in aggiunta, la retorica dell’austerità che ha colpito le classi dirigenti europee.
Rogoff ci offre un’ulteriore dimensione degli squilibri internazionali:
I paesi emergenti, insomma, e non solo la Cina, ovviamente, si sviluppano
in modo non uniforme.
Al centro dei problemi dei mercati emergenti, comunque, ci sono le politiche e le loro ricadute. A questo proposito, sono presenti differenze significative tra i paesi. In Brasile, la crescita è stata danneggiata dagli sforzi del governo per indebolire l’indipendenza della banca centrale e per intromettersi all’interno dei mercati dell’energia e dei prestiti. La Turchia sta subendo gravi sfide alle sue istituzioni democratiche, così come la pressione del governo sulla banca centrale. Il fallimento della Russia nella creazione di forti istituzioni indipendenti ha reso difficile ad una classe imprenditoriale di emergere e contribuire a diversificare l’economia. In India, l’indipendenza della banca centrale rimane abbastanza forte, con la Reserve Bank of India che ora medita il passaggio a un regime di inflation targeting. Ma così, per il prolungato periodo di politiche populiste, la crescita tendenziale si è indebolita e si è aggravata l’inflazione. Tuttavia, alcuni mercati emergenti stanno avanzando e potranno trarre beneficio dalle turbolenze se riescono a mantenere la rotta. Oltre al Messico, paesi come il Cile, la Colombia e il Perù sono in posizione favorevole per trarre vantaggio da investimenti nella costruzione di strutture istituzionali. Ma, ovviamente, per consolidarsi le nuove istituzioni possono richiedere decenni, e, a volte anche di più. Quindi, nel complesso, quanto sono fragili i mercati emergenti? A differenza degli anni Novanta, quando erano diffusi i tassi di cambio fissi, la maggior parte dei paesi presenta ormai tassi flessibili che aiutano ad assorbire gli shock. Infatti, il dramma di oggi può essere interpretato, in parte, come un riflesso del funzionamento di questi ammortizzatori25.

Come interpretare le opinioni di Rogoff?
Il secolo Ventesimo era la scena di una competizione, anche militare, tra le economie avanzate che, in qualche modo, riuscirono a compensare le proprie tensioni interne, tra classi dirigenti e la nuova popolazione di operai ed impiegati che irrompeva sulla scena della grande rivoluzione industriale in atto. Una parte delle compensazioni che si svolgevano, allora, tra classe dirigente e riforme del welfare e crescita dei salari, erano state possibili grazie allo squilibrio tra paesi sottosviluppati e paesi avanzati.Ora i paesi emergenti sono nelle condizioni dei vari miracoli economici, che si sviluppavano dopo la seconda guerra mondiale negli anni Sessanta. Stanno crescendo e richiedono un riequilibrio dei redditi pro capite tra le loro economie e le economie, stagnanti in Europa e molto lente nel ritrovare l’equilibrio, negli Stati Uniti. Sono le differenze tra l’insieme dei paesi emergenti un’ulteriore componente dell’incertezza che oscura, come una nuvole di nebbia, la possibilità di trovare una crescita sostenibile a scala mondiale. Ed è nell’incertezza che si collocano, invece, le goffe politiche delle èlite, inadeguate, dei paesi avanzati, che cita Stiglitz nel suo articolo. Questa favola ha una doppia morale.
Nel mondo si sviluppa un confronto politico tra gli Stati, ed i loro Governi, ed un dibattito tra economisti, che cercano di dare una base affidabile ad un nuovo equilibro globale.
Non sappiamo se, quando e come questo obiettivo sarà realizzato.
Ma, almeno, nel dibattito tra i protagonisti, dell’economia e delle istituzioni mondiali, si capisce di cosa si parla e si trovano anche punti di convergenza sulle opinioni che si contrappongono.
Tuttavia esiste anche una piccola seconda morale della favola che abbiamo raccontato. L’Italia è un paese che ha avuto un grande e clamoroso successo, all’indomani di una guerra, la seconda guerra mondiale, nella quale era stata sconfitta. Entrando nello spazio economico della civiltà occidentale è diventata rapidamente una protagonista dell’economia internazionale di primo piano.
Purtroppo questa parabola ascendente rallenta negli anni Novanta e si impantana decisamente dai Novanta in poi. La seconda repubblica, che si propone da oltre venti anni in uno sforzo di risanamento, ha ottenuto un effetto opposto: il deterioramento dell’economia e delle istituzioni. Una circostanza che vede il nostro paese relegato nella trappola di un’Europa del Sud che si presenta ancora peggio della media europea e dei leader indiscussi dell’Europa: come la Germania. Ma, mentre la Germania annuncia di essere contraria alla politica monetaria della BCE, la corte tedesca affida la giurisdizione della valutazione di questo caso alla corte Europea. Una cessione di sovranità che colloca la Germania nella dimensione prospettica di una sovranità condivisa in Europa. Lentamente ma il “corpaccione” europeo sembra rimettersi in movimento26.
L’Italia, al contrario, resta ancora divisa tra una svolta a centottanta gradi sull’austerità, che ci siamo fatti imporre, ed un velleitario desiderio di uscire dall’euro.Mentre, rimanere nell’euro, e trovare nuove forme di sovranità condivisa per sviluppare la crescita europea, sarebbe l’unica cosa da fare. In questa squallida temperie italiana, dove il confronto, politico ed economico, diventa sempre più banale ed inconcludente, una luce improvvisa ha posto alcuni problemi all’altezza del confronto internazionale. La relazione di Ignazio Visco al Forex (8 febbraio 2014), cha abbiamo anche citato nei paragrafi precedenti, è stata una boccata d’aria e di chiarezza. Perché Visco, Governatore della Banca d’Italia, si colloca da interlocutore rispetto ai temi in discussione alla scala internazionale.Ma ancora di più perché affronta il problema del riordino del sistema bancario italiano in maniera netta ed inequivocabile. E, dopo aver chiesto la deregolamentazione dei lacci, che legano la creazione e la trasformazione delle imprese, ed avere indicato la strada dell’innovazione tecnologica per ridare produttività e, dunque, reddito e capacità di competere, alle imprese sui mercati internazionali, indica chiaramente al sistema bancario che è venuto il momento di rivisitare sia il modo di fare banche che il modo di governare le organizzazioni bancarie. Visco indica, come Stiglitz, un problema oggettivo ed un problema soggettivo: il rischio dei crediti, incagliati o a sofferenza, nelle banche italiane; la reputazione dei banchieri e la necessità che essi riportino un clima di fiducia, e collaborazione, tra le banche, le imprese ed i risparmiatori. Sul primo punto Visco afferma che
In Italia il mercato privato degli attivi deteriorati rimane poco sviluppato. Alcune transazioni concluse di recente segnalano interesse da parte di investitori specializzati nella gestione di queste attività. Vanno nella giusta direzione interventi, quali quelli in corso presso alcune banche, volti a razionalizzare la gestione dei crediti deteriorati con la creazione di strutture dedicate in grado di aumentare l’efficienza delle procedure e la trasparenza di questi attivi. Interventi più ambiziosi, da valutare anche nella loro compatibilità con l’ordinamento europeo, non sono da escludere, possono consentire di liberare, a costi contenuti, risorse da utilizzare per il finanziamento dell’economia.

E sul secondo punto è altrettanto chiaro:
Il sistema finanziario deve riguadagnare, anche da noi, la fiducia del pubblico, erosa dagli eccessi che, generati soprattutto in altri paesi, hanno portato a una crisi globale dai costi enormi. Deve dimostrare di saper svolgere appieno la propria funzione. È importante che la percezione negativa dell’operato delle banche e della finanza non porti a reazioni sproporzionate; bisogna agire per rimuoverla, con decisi miglioramenti nella governance, con un’intermediazione sana e prudente e facendo sì che non manchi il finanziamento a chi lo merita e partecipa al rischio, che continui il sostegno all’economia reale. Siamo consapevoli delle difficoltà da affrontare, operiamo per aiutare a superarle, convinti che una buona finanza resti fondamentale per rimuovere i vincoli di liquidità che ostacolano lo svolgimento dell’attività economica e la messa a frutto delle idee, per promuovere lo sviluppo, favorendo l’innovazione.

L’intervento di Visco vale davvero la pena di essere letto per intero: non solo per la chiarezza con cui affronta i problemi del sistema bancario ma anche per l’altrettanto interesse che si cattura nell’analisi dell’economia italiana, e dei suoi rapporti con il mercato internazionale, che viene sviluppato nel suo discorso.
Una conferma di questo giudizio viene dal commento che Marco Onado dedica al discorso di Visco; indicando tre punti molto interessanti: le banche devono cambiare nei rapporti con la clientela, nei loro piani strategici, nel loro regime di governance e nei comportamenti manageriali; le banche italiane hanno fatto un grande sforzo per superare la crisi e ne va dato atto ma, come direbbe EduardoDe Filippo (testuale!), sono state capaci di far passare la nottata ma non sono state capaci di avviare una ripresa della crescita adeguata e robusta; bisogna, infine, riportare la finanza al servizio della crescita reale e delle imprese. E questa, dice Marco Onado, «Con buona pace dell’agiografia corrente, non è una impresa da poco27!».














NOTE
1 C. Lagarde, Outlook for Europe: Boosting Growth and Employment, European Economic and Social Committee, Brussels, December 10, 2013. At http://www.imf.org/external/np/speeches/2013/121013a.htm^
2 Money and monetary institutions after the crisis, Speech by Mario Draghi, President of the ECB, at the conference organised by Banca d’Italia in memory of Curzio Giannini, Rome, 10 December 2013, http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2013/html/sp131210.en.html^
3 Sulla relazione tra la trasformazione delle banche centrali e la relazione con il sistema economico si veda anche C. Borio, Central banking post-crisis: What compass for uncharted waters?, BIS Working Papers No 353, Monetary and Economic Department, September 2011, at http://www.bis.org/publ/work353.pdf^
4 Si vedano Banca d’Italia, «Bollettino Economico», numero 1/2014, Gennaio, che si può scaricare at http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/bollec/2014/bolleco1/bollec1/boleco_1_2014.pdf ed anche BCE, «Bollettino Mensile», Gennaio 2014, che si può scaricare at http://www.bancaditalia.it/eurosistema/comest/pubBCE/mb/2014/gennaio/boll_mensile_01_14.pdf^
5 G. Toniolo, Ora gli Usa possono ritornare locomotiva, in «Il Sole 24 Ore», 17 gennaio 2014, at http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-01-17/ora-usa-possono-ritornare-locomotiva-064451.shtml?uuid=ABdbFKq^
6 Si veda E.S. Phelps (2009), Capitalism vs. corporatism, in «Critical Review», 21: 4, 401—414, che si può scaricare at http://dx.doi.org/10.1080/08913810903441344^
7 IMF, WEO, Is the Tide Rising?, January 21, 2014 che si può scaricare at http://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2014/update/01/pdf/0114.pdf^
8 Un economista americano, premio Nobel ed innovatore delle valutazioni e dei comportamenti assunti nei mercati finanziari, indica anche come sarebbe possibile che si manifesti ancora una volta la deflagrazione dei mercati finanziari globali; si veda R.J. Shiller, Il prossimo incendio finanziario, in «Project Syndicate», Jan 14, 2014, che si può scaricare at http://www.project-syndicate.org/commentary/robert-j–shiller-asks-why-innovative-ideas-toprevent-
another-financial-crisis-have-gained-no-political-or-media-traction/italian
^
9 M. Spence, Le reali sfide per la crescita, in «Project Syndicate», 23 gennaio 2014, che si può scaricare at http://www.project-syndicate.org/commentary/michael-spence-explains-why–secular-stagnation–is-not-a-problem-that-the-us-and-other-advanced-economies-should-try-tosolve/italian^
10 B. Eichengreen, A Requiem for Global Imbalances, in «Project Syndicate», January 13, 2014 che si può scaricare at http://www.project-syndicate.org/commentary/barry-eichengreennotes-that-a-decade-after-external-imbalances-emerged-as-a-supposed-threat-to-the-globaleconomy–the-problem-has-disappeared.^
11 Sulla natura delle dinamiche in atto nei paesi emergenti si veda anche Min Zhu, Deputy Managing Director, IMF, Emerging Markets Need To Do More To Remain Engines of Global Growth, January 22, 2014. Che si può scaricare at http://blog-imfdirect.imf.org/2014/01/22/emergingmarkets-need-to-do-more-to-remain-engines-of-global-growth/^
12 Si veda D. Rodrik, The inescapable trilemma of the world economy, june 27, 2007, che si può scaricare at http://rodrik.typepad.com/dani_rodriks_weblog/2007/06/the-inescapable.html^
13 Si veda il libro, già citato, di C. Giannini, L’età delle banche centrali, forma e governo della moneta fiduciaria in una prospettiva istituzionalista, il Mulino, 2014 ed in particolare i capitoli 6 e 7 del volume.^
14 M. Draghi, The Path from Crisis to Stability, World Economic Forum Annual Meeting 2014, che si può scaricare, in video, at http://www.weforum.org/sessions/summary/path-crisisstability^
15 Si tratta del giudizio del Fondo Monetario Internazionale sulle banche italiane; il documento si può scaricare at http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2013/cr13300.pdf. Inoltre si può scaricare, per avere un quadro generale del sistema bancario internazionale l’ultimo Global Financial Report del FMI: 2013 October at http://www.imf.org/External/Pubs/FT/GFSR/2013/02/pdf/text.pdf.^
16 La definizione di Resilience, resilienza, nella definizione del dizionario digitale del «Financial Times», si può scaricare at http://lexicon.ft.com/term?term=resilience^
17 Si veda B. Hölldobler, E.O. Wilson, Il superorganismo, Bellezza, eleganza e stranezza delle società degli insetti, Traduzione di Isabella C. Blum, Biblioteca Scientifica, Adelphi, 2011.^
18 J. Stiglitz, Europa a rischio, Prigioniera dell’austerity, in «Corriere della Sera», 13 novembre 2013, il testo si può scaricare at http://www.corriere.it/economia/13_novembre_13/stiglitz-europa-rischio-f6ebbbca-4c47-11e3-b498-cf01e116218a.shtml^
19 Si può scaricare il testo dell’intervento di I. Visco at http://www.bancaditalia.it/interventi/integov/2014/forex-08022014/Visco_08022014.pdf^
20 L’Europa alla ricerca di “un’Unione più perfetta”, Malcolm Wiener Lecture tenuta da Mario Draghi, Presidente della BCE, presso la Harvard Kennedy School, Cambridge, 9 ottobre 2013. Il testo si può scaricare at http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2013/html/sp131009_1.it.html^
21 Indagine conoscitiva per l’istruttoria legislativa sul disegno di legge n. 1188. Si veda Audizione del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco con riferimento alle norme relative al capitale della Banca d’Italia, Roma, 12 dicembre 2013 presso il Senato della Repubblica, 6a Commissione (Finanze e Tesoro). Il testo completo si può scaricare at http://www.bancaditalia.it/interventi/integov/2013/aud_gov_121213/Visco_aud_12.12.13.pdf^
22 Introductory statement to the press conference (with Q&A), Mario Draghi, President of the ECB, Frankfurt am Main, 6 February 2014; il testo completo si può scaricare at http://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2014/html/is140206.en.html^
23 L. Wittgenstein, Tractatus logico – phlisophicus e Quaderni 1914 – 1916, traduzione di A.G. Conte, Giulio Einaudi editore, prima edizione nei reprints 1974.^
24 J. Stiglitz, Stagnazione intenzionale, in «Project Syndicate», 6 febbraio 2014, il testo completo si può scaricare at http://www.project-syndicate.org/commentary/joseph-e–stiglitz-arguesthat-bad-policies-in-rich-countries-not-economic-inevitability–have-caused-most-people-sstandard-of-living-to-decline/italian.^
25 Si veda anche G. Toniolo, Cooperare è meglio che curare le crisi, in «Il Sole 24 Ore», 15 febbraio 2014 ed anche alcuni articoli del nuovo Governatore della Bank of India. Raghuram Rajan, Financial sector reforms, Talk by Dr Raghuram Rajan, Governor of the Reserve Bank of India, at the Delhi Economics Conclave 2013, Delhi, 11 December 2013. Raghuram Rajan, The five Pillars of Reserve Bank of India’s financial sector policies, Speech by Dr Raghuram Rajan, Governor of the Reserve Bank of India, at Bancon 2013, Mumbai, 15 November 2013. Entrambi si possono scaricare sul sito della banca dei regolamenti Internazionali, at https://www.bis.org/central_bank_hub_overview.htm^
26 Si veda il comunicato stampa della Corte costituzionale tedesca sull’OMT: rinvio alla ECJ del 7 febbraio 2004. Il testo si può scaricare nella traduzione italiana at http://europeancentralbank.wordpress.com/2014/02/07/corte-costituzionale-tedesca-sullomt-rinvio-alla-ecj/^
27 M. Onado, Un appello che va oltre il sistema finanziario, in «Il Sole 24 Ore», 9 febbraio 2014. Il testo completo si può scaricare at http://www.selpressmm.com/sole/immagini/090214E/2014020934920.pdf. Si veda anche D. Gros, Europe’s Ungainly Banking Revolution, February 7, 2014, in «Project Syndicate», che si può scaricare at http://www.project-syndicate.org/commentary/daniel-gros-examines-the-inelegant-but-fundamental-innovation-that-is-thesingle-
resolution-mechanism
.^
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