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L'antigermanesimo italiano. Da Sedan a Versailles
di Federico Trocini
È noto come un vivace sentimento anti-tedesco si formò in seno a porzioni consistenti dell’opinione pubblica italiana tra la fine dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale. Su questo tema Federico Niglia, autore di questo denso volumetto [Le Lettere, Firenze, 2012] si propone di indagarne i processi e le ragioni che portarono alla sua formazione.
Il proposito è ambizioso e non solo perché il tema rimanda alla fitta trama di rapporti tra Italia e Germania a cavallo tra Otto e Novecento, ma anche perché, di per sé, già oggetto di numerosi studi. Ciononostante il lavoro di Niglia si rivela capace di aggirare con efficacia l’uno e l’altro ostacolo. Articolato in tre ampie sezioni – rispettivamente dedicate all’analisi dell’immagine della Germania in Italia prima del 1870; alla ricostruzione del processo di affermazione e usura del modello tedesco tra 1870 e 1914; infine all’esame dei fattori che determinarono lo scatenamento di un prepotente sentimento antitedesco all’indomani del 1915 – il volume riesce a dar conto con accuratezza delle problematiche intorno alle quali venne a strutturarsi il rapporto dialettico di collaborazione e competizione tra le due realtà al di qua e al di là delle Alpi. E, tanto sul piano metodologico quanto sul piano contenutistico, risulta solidamente costruito intorno a una tesi che, se non propriamente originale, non manca comunque di suggerire alcuni interessanti spunti di riflessione. Più precisamente, richiamandosi ad Arnold Toynbee, Niglia ritiene che tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento il rapporto tra Italia e Germania, intese come entità nazionali autonome e al tempo stesso come espressioni della civiltà latina l’una e della civiltà germanica l’altra, possa essere interpretato secondo uno schema concettuale di sfida e reazione (pp. 10-12). Per Niglia, infatti, all’indomani del 1870 la Germania lanciò nei confronti dell’Europa una sfida culturale ad ampio raggio – non riducibile cioè in termini unicamente politico-militari – alla quale rispose anche il Regno d’Italia, alternando sentimenti di ammirazione ed emulazione da un lato a sentimenti di diffidenza e rifiuto dall’altro. In particolare, negli anni immediatamente successivi a Sedan, la società e le classi dirigenti italiane restarono per così dire “vittime” di un vero e proprio invaghimento per la Germania. A tale fase, segnata dall’imporsi trionfale del modello tedesco, ne subentrò tuttavia di lì a poco una seconda, nel quadro della quale si andò rafforzando il numero di coloro che iniziarono a mostrare segni di crescente insofferenza. Sull’onda di quello che fu anche un cambio generazionale maturò quindi una diffusa predisposizione verso l’antigermanesimo, destinata a trasformarsi all’indomani del 1915 in un’autentica ideologia di opposizione. Passando in rassegna alcune delle più autorevoli voci del mondo politico e culturale dell’Italia del tempo, Niglia ritiene, in conclusione, che fu proprio l’aspirazione egemonica connaturata al modello tedesco a introdurre un fattore di problematicità nel rapporto tra Italia e Germania. Problematicità che, aldilà delle controverse scelte italiane di politica estera, si tradusse in un aperto rifiuto inteso anzitutto a preservare la cultura italiana dal rischio, vero o presunto, della germanizzazione. Tra gli anni Settanta dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento venne così a compiersi la parabola del modello tedesco al punto che, nell’immaginario comune degli italiani, l’antagonismo nei confronti della Germania finì per sostituire quello più tradizionalmente coltivato nei confronti dell’Austria (p. 127).
Oltre ad aver di volta in volta segnalato con precisione i diversi contesti nell’ambito dei quali l’Austria e la Germania assunsero il ruolo di portabandiera della germanicità, tra i meriti di questo lavoro rientra quello di aver contribuito, sia pure sommariamente, alla ricostruzione di una porzione significativa della storia millenaria delle percezioni reciproche tra mondo latino e mondo germanico. Lungi dall’essere un semplice esercizio d’erudizione, i puntuali riferimenti a Machiavelli, Alfieri e Leopardi risultano in questo caso funzionali alla messa a fuoco di quel controverso insieme di percezioni che, sedimentatesi nei secoli, furono poi destinate a riemergere nei momenti di maggiore tensione politica. Ed è proprio grazie a questo lavoro di scavo in profondità che il volume di Niglia finisce per offrire al lettore ben più di quanto il suo stesso titolo lasci presupporre.
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