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Prima dell’Italia, prima della Serbia: le attività consolari del Regno di Sardegna a Belgrado (1849-1861)
di Marco Cuzzi
La storia dei rapporti tra il Principato di Serbia e il Regno di Sardegna è stata oggetto di numerose attenzioni da parte di studiosi sia serbi sia italiani.
Pionieri di queste attenzioni, in quanto autori di fondamentali ricerche sui rapporti diplomatico-consolari tra questi due Stati dopo il 1848, sono senza dubbio i due principali esponenti della scuola italiana di studi sull’Europa orientale nel secondo dopoguerra: Guido Quazza1 e Angelo Tamborra2. I loro studi, a distanza di più di cinquant’anni, restano un imprescindibile strumento per gli storici che vogliono avvicinarsi alla complessa vicenda dell’attività diplomatica del regno subalpino nel principato balcanico. A tali ricerche deve aggiungersi il primo studio organico sul consolato a Belgrado realizzata da Stefano Markus dopo il riordinamento delle carte degli Affari Esteri del Regno di Sardegna compiuto alla fine degli anni Quaranta da Ruggero Moscati3. In tempi più recenti, ricordiamo l’ampia esplorazione archivistica condotta da Ljiljana Banjanin, ricercatrice all’Università di Torino, apprezzata e riconosciuta slavista e autrice di numerosi saggi sui rapporti tra il Regno sardo e la Serbia e in particolar modo sui carteggi tra i consoli Cerruti e Astengo e il governo di Torino4. Inoltre, Pasquale Fornaro ha dedicato alla figura di Cerruti un ampio studio, imperniato sulla sua personale politica magiara5. E non si può prescindere dalle numerose ricerche sui più generali rapporti tra Serbia e Italia compiuti da Nikša Stip evi 6 e da Ljiljana Aleksi Pejkovi 7.
Da tutti questi lavori, e dal materiale consultabile presso l’Archivio storico-diplomatico del Ministero degli Affari Esteri italiano e presso l’Archivio di Stato di Torino, emerge un quadro abbastanza omogeneo circa le relazioni tra i due piccoli e giovani Stati dell’Europa nella seconda metà del XIX secolo.
Traspare anzitutto la grande generosità e lo spirito di abnegazione degli inviati consolari sardi a Belgrado (Marcello e Luigi Cerruti, Francesco Fortunato Astengo, Eugenio Durio e Stefano Scovasso, primo console del Regno d’Italia). Ognuno di costoro si caratterizzerà per una particolare qualità. Marcello Cerruti (e di riflesso suo fratello minore Luigi), un mazziniano permeato da uno spirito rivoluzionario squisitamente quarantottino, che vedrà nel rapporto sardo-serbo-ungherese il fulcro di una rivoluzione nazionale europea; Astengo, il segretario di Cavour dalla vocazione quasi garibaldina, il console che più di tutti amerà incondizionatamente la Serbia, il suo popolo e le sue tradizioni e che si muoverà in bilico tra le sue funzioni istituzionali e un’esplicita attività d’intelligence per colpire l’Austria dalla regione balcanica e danubiana durante la guerra del 1859; Durio, l’avvocato balcanologo, conoscitore della lingua turca, grande mediatore tra l’irrequieto principato e la Porta Ottomana (verso la quale non nasconderà una profonda ammirazione) e spietato censore degli eccessi degli Obrenovi. E infine dobbiamo menzionare Stefano Scovasso, il ligure di Sarzana, ex console a Gibilterra, che passerà dalla fase di intelligence alla regolarizzazione delle relazioni del nuovo Regno d’Italia, ormai lontano dalla politique d’abord ed entrato nel pieno dell’equilibrato moderatismo della Destra storica.
Il punto di partenza dell’attività diplomatica sarda a Belgrado è l’apertura nel 1849 di un consolato di prima categoria nella capitale serba. L’istituzione della rappresentanza in Serbia è contestuale alla nomina del barone Romualdo Tecco a console generale sardo presso la Porta ottomana: si tratta di un evento storico, considerando che dal 1815 al 1824 Torino non ha avuto nessun inviato presso il Sultano, e dal 1825 la carica di rappresentante del re di Sardegna è stata ricoperta da un semplice incaricato d’affari, il consigliere Ludovico Sauli d’Igliano8. La nomina di un rappresentante del re a Costantinopoli e di un console di prima categoria a Belgrado rappresenta una drastica accelerazione della politica orientale del piccolo regno subalpino. Oppure, in altre parole, sancisce l’ingresso ufficiale di Torino nella “questione d’Oriente”.
Sin dalla metà degli anni Quaranta infatti, il Piemonte sta osservando con particolare interesse le novità che iniziano a verificarsi nell’inquieto Principato. Non a caso un attento conoscitore della storia serba come Angelo Tamborra individua nella pubblicazione del celebre Na ertanije (“Disegno”) di Ilija Garašanin, ministro degli Interni di Aleksandar Kara or evi , l’inizio non solo della rinascita serba ma anche dell’interesse del Piemonte verso Belgrado9. L’evocazione esplicita di Jugoslavia presente nell’opera dell’uomo politico serbo, intesa come il prodotto di un’azione che partendo da Belgrado avrebbe unito tutti gli “slavi del sud” (quindi le popolazioni di Croazia, Bosnia Erzegovina, Albania settentrionale e Kosovo, Slavonia, Vojvodina) a discapito dei grandi imperi multinazionali, susciterà nel 1848-49 l’interesse di un Carlo Alberto votato al più convinto revisionismo10. Serbia e Piemonte si incontreranno presto, quindi, perché
comune ad entrambi era il nemico accampato per vari titoli e da epoche diverse nelle due penisole: l’Austria11.

Un consolato nella capitale serba permetterà dunque al Regno di Sardegna di instaurare relazioni con tutti quei movimenti in rotta di collisione con la monarchia asburgica. Si tratta di slavi ma anche di magiari, secondo i consigli assai ascoltati a Torino dell’ex ambasciatore dello zar, ora esule e irredentista polacco, il principe Adam Jerzy Czartoryski, e del suo emissario a Belgrado, conte Ludwik Bystrzanowsky, fautori di un’alleanza tra tutti gli slavi e gli ungheresi12. È un compito arduo, tenendo conto, come ci ricorda Pasquale Fornaro, che i rapporti tra slavi e ungheresi sono difficili, simili se non peggiori a quelli tra slavi e austriaci13. L’unica strada sarà un’alleanza triangolare tra Regno sardo, insorti ungheresi e principi di Serbia, dove i due interlocutori di Torino potranno per così dire ridurre d’intensità gli antichi e recenti attriti in un’alleanza comune e paritetica. Di questo dovrà occuparsi la rappresentanza diplomatica a Belgrado.
Il progettato consolato diventerà quindi non solo un punto di osservazione privilegiato ma anche, in ultima analisi, un potenziale centro di eversione. Inizia quindi, in coincidenza con il “nuovo corso” della politica estera (e interna) del Regno Sardo inaugurato da Cesare Balbo e proseguito dai suoi successori fino a Vincenzo Gioberti e Massimo d’Azeglio, una politica danubiana e balcanica piemontese, con l’obiettivo di sostenere i moti insurrezionali in quelle terre in funzione antiaustriaca14. Belgrado, dirà il colonnello Alessandro Monti, diventerà quindi «il posto più importante della politica italiana»15.
Monti è il primo emissario del Regno Sardo a Belgrado, e vi viene inviato nel dicembre 1848 da Gioberti: è uno dei primissimi atti di governo dell’uomo politico piemontese, da poco nominato capo dell’esecutivo, ed è un segnale dell’inedito interesse nutrito dal nuovo corso del regno subalpino verso le vicende balcaniche e serbe in particolare. Il profilo biografico di questo primo emissario è altrettanto emblematico. Nato a Brescia trent’anni prima, Monti ha intrapreso la carriera militare nell’esercito austriaco, ma ha aderito alla rivolta bresciana del 1848 ponendosi a capo della Guardia nazionale. All’arrivo dell’esercito piemontese si mette alla guida di un contingente di volontari lombardi e si distingue negli scontri in Val Caffaro. Utilizzando solide amicizie coltivate ai tempi del servizio militare, entra in contatto con i rivoluzionari ungheresi. Nell’autunno 1848 Monti sottopone quindi un progetto di alleanza sardo-magiara al presidente del Consiglio sabaudo Ettore Perrone di San Martino e al suo successore Gioberti, che lo accolgono con fiducia, in vista di una ripresa delle ostilità contro Vienna.
L’entusiasmo di Gioberti nasce anche dalle notizie provenienti da Budapest. La depressione che ha colpito la classe politica piemontese dopo l’armistizio di Salasco (9 giugno 1848) e la fine anzitempo della guerra contro l’Austria è mitigata dalla nuova fase in cui è entrata la rivoluzione ungherese: dal 27 settembre il governo provvisorio di Lajos Kossuth ha dichiarato guerra all’Austria e gli scontri tra i separatisti e le truppe asburgiche si stanno sviluppando con esiti incerti per tutto il corso dell’autunno. In attesa di una nuova campagna padana contro l’Austria – questo è il ragionamento di Gioberti, potrebbe tornare utile indebolire preventivamente il futuro avversario partendo da un fronte secondario.
Pertanto, l’iniziativa del Monti è bene accetta. Tuttavia, gli viene ordinato, prima di raggiungere Budapest, di passare per Belgrado dove dovrà fermarsi per alcuni giorni.
L‘emissario sabaudo giunge quindi nella capitale serba e si appoggia a un locale agente di Kossuth d’origine italiana, Giuseppe Carrosini. Il loro compito è preparare il terreno per il prossimo arrivo nella città di un console del Regno di Sardegna, e di condurre insieme a lui una precisa politica antiaustriaca. Scrive Gioberti a Monti il 27 dicembre 1848:
Appena l’Inviato in Ungheria [cioè, Monti – NdA] verrà informato chi sia l’altro Inviato sardo nei paesi slavi del Basso Danubio, e dove prenda la sua principale residenza, egli farà ogni sforzo di mantenersi in costante comunicazione con lui, e di persuadere i due popoli dei vantaggi che avrebbero nel bene costruire le loro separate rispettive nazionalità, onde i Magiari non vengano compressi dai Tedeschi e dagli Slavi, e quindi gli Slavi dai tedeschi e Magiari.

Dunque, la politica regionale del Regno Sardo verterà su un’alleanza slavo-ungherese che dovrà dirimere ogni controversia tra le due etnie. Ma non solo: l’auspicio è anche che
Almeno non possa la Russia assorbire questi paesi slavo-greci, e diffondervi i suoi micidiali sistemi di servitù e povertà16.

Da notare che in un successivo dispaccio al nuovo presidente del Consiglio sardo, Agostino Chiodo, il Monti sottolinea le difficoltà a inserire i polacchi in questo meccanismo di alleanze:
Gli agenti polacchi, se anche nostri amici, pospongono però a ogni altro interesse quelli del Principe Czartoryski. Ho occasione di accorgermene: agisce pro domo sua17.

Tuttavia, almeno in questa fase, l’accordo trilaterale tra polacchi, serbi e ungheresi è prioritario. Per realizzarlo, il nuovo rappresentante sardo a Belgrado dovrà convincere il principe Alexandar e il suo ministro Garašanin ad esercitare la loro influenza sulla minoranza serba in Ungheria affinché questa si affianchi al governo rivoluzionario contro l’Austria18. E lo stesso dovrà fare, dall’altra parte, Monti, destinato a rappresentare il sovrano piemontese a Pest. Tutto ciò, con una duplice finalità: colpire al cuore Vienna ma anche arginare le velleità espansioniste di San Pietroburgo. Questa, in sostanza, sarà la linea direttrice dell’azione del nuovo console sardo a Belgrado19.
Marcello Cerruti (Genova, 18 luglio 1808 – Roma, 12 marzo 1896) a soli diciassette anni è stato ammesso alla carriera consolare. Un profilo un po’ aulico,
pomposo e retorico, come è costume dell’epoca, ce lo lascia il presidente del Senato Domenico Farini, nell’elogio funebre alla morte del quasi novantenne diplomatico, divenuto nel dicembre 1870 a conclusione di una lunga carriera senatore del Regno d’Italia. Al di là della forma, ci appare come un ritratto piuttosto sincero.
Pratico in ogni ramo dell’amministrazione e colto come pochi, come pochi aveva cortesi maniere, spirito acuto, giudizio sicuro; nessuno meglio di lui […] comprese l’importanza degli interessi da tutelare; fra le genti straniere nessuno sentì più degnamente come la patria lontana, nell’ufficio, in lui si impersonasse.

E l’elogio prosegue evocando «il difensore degli interessi piemontesi», il conoscitore profondo dei costumi orientali, il diplomatico apprezzato da tutti gli stranieri che lo ospitarono20. Un dato interessante su questo zelante funzionario ce lo fornisce il dizionario biografico dell’Enciclopedia Treccani, che ci ricorda la sua giovanile frequentazione del Mazzini, del quale è stato compagno di studi21. Nel maggio 1825, a soli 17 anni, diventa segretario del ministro sardo a Costantinopoli. Quindi viene destinato a Tripoli (1831), Tunisi (1836), Milano (1837) e Cipro (1841). Esperto archeologo, nel 1845 è nominato membro dell’Istituto di corrispondenza archeologica di Roma e due anni dopo entra anche nella Società orientale archeologica tedesca. Nel 1848 viene inviato per una missione riservata in nord Africa, in particolare al Cairo e ad Alessandria d’Egitto.
Il 4 gennaio 1849 Cerruti, su consiglio del barone Tecco (che lo considera un «diplomatico giovane ma già di larga esperienza»)22 viene quindi nominato dal gabinetto Gioberti console di prima classe, e suo fratello minore Luigi riceve la nomina a console di terza classe, con l’incarico di vice console. Entrambi partono il 10 dello stesso mese alla volta di Costantinopoli, per farsi rilasciare dal Divano l’indispensabile berat, ovvero la lettera patente necessaria per esercitare la funzione consolare in un principato dell’Impero23. Cerruti è a dir poco pieno d’entusiasmo. Lo ricorderà in seguito, in un lungo dispaccio inviato a Torino, in ben altro clima:
Io avevo lasciato l’Italia in un momento in cui il Piemonte si riorganizzava, in cui il credito pubblico ricominciava a prosperare, in cui un’armata ricomposta ed annunciata lasciava sperare un esito favorevole alla nostra entrata in campagna24.

La partenza è dunque illuminata da ottimi auspici. Invero, le cose non appaiono così facili: la Porta tergiversa, fa attendere oltre misura i due fratelli Cerruti perché timorosa delle possibili reazioni di Vienna e di San Pietroburgo dinanzi la notizia dell’apertura di un consolato sardo a Belgrado25. Pertanto, e anche questo è emblematico del carattere della missione in Serbia, Marcello e Luigi lasciano la capitale ottomana senza berat e si dirigono via Salonicco a Belgrado, dove, a causa del cattivo stato delle strade, arriveranno solo il 18 marzo, “travestiti da commercianti inglesi”26: in tutto questo comportamento a metà tra il cospirativo e l’avventuroso vi è molto di mazziniano, ma anche di improvvisato e forse un po’ confuso27.
Senza aspettare il berat del Divano, che giungerà tardivamente, l’intraprendente console non perde tempo. Pur evitando di esporre la bandiera e lo scudo sabaudo al balcone della residenza consolare, Cerruti si muove come un rappresentante diplomatico, anche senza l’ufficialità del ruolo e dei colloqui, che giocoforza restano su un piano ufficioso e informale28.
Incontra immediatamente il titolare degli Affari esteri del principato, Avram Petronijevi , che lo riceve volentieri anche senza il necessario berat29. Da questi primi contatti emerge una cordialità e una simpatia filo italiana da parte di quasi tutti gli ambienti politici e dell’opinione pubblica serba, come rileverà il console in una missiva al titolare degli Affari Esteri sardo, conte De Sonnaz, il 6 aprile30. A parte i tradizionali compiti di consultazione della locale opinione pubblica assai favorevole al Regno Sardo come testimonia la simpatia con la quale viene accolta la notizia della creazione a Torino della Società italo-slava sotto la presidenza dell’economista Lorenzo Valerio31, e a parte altresì i tentativi di sondare le possibilità di un commercio tra il regno e i popoli balcanici partendo da un fondaco da aprirsi in Serbia, Cerruti inizia a sondare la corte belgradese per stabilire un tessuto di relazioni efficace in vista del tandem con Budapest. Per fare ciò si avvale dei buoni uffici dell’ex collaboratore di Monti, Carrosini, rimasto nella capitale serba. Dall’Ungheria, infatti giungono le prime notizie incoraggianti sulla resistenza delle armate del Kossuth alle offensive asburgiche e lealiste.
Da notare che, poco tempo dopo l’arrivo dei due fratelli Cerruti, la loro abitazione provvisoria (condivisa con il console francese) viene incendiata e saccheggiata, in circostanze piuttosto oscure e forse legate all’attività della missione sarda32.
Ma Cerruti non demorde, anzi. Il giovane console cerca di inserirsi nella complessa vicenda della Vojvodina, che sta per essere conquistata dagli insorti ungheresi. Egli si pone come mediatore tra gli slavi e gli ungheresi: in seguito ad alcune presunte violenze condotte da questi ultimi su villaggi serbi, infatti, il console generale austriaco, generale Ferdinand Mayerhoffer, ha favorito poco discretamente l’organizzazione di gruppi di insorti che si scontrano con i militi di Kossuth. Si tratta di un piccolo incidente, ma il rappresentante sardo interviene tempestivamente per impedirne l’amplificazione33. Soprattutto, attraverso accurate indagini, scopre che si tratta di una crudele messinscena degli austriaci. I villaggi sembra siano stati saccheggiati dai soldati di Vienna, per scatenare tra i serbi una reazione antimagiara:
Purtroppo si mettono ogni giorno in campo dal vicino governo nuovi stratagemmi per impedire la pacificazione delle due razze. Si, è questa una gran disgrazia per la umanità di cui si dovrà rendere conto tremendo al cospetto di Dio34.

Ma i maneggi di Mayerhoffer restano limitati e, ricorda ancora Cerruti, la maggioranza della popolazione del principato (definita “la parte colta” dei serbi) non è caduta nella trappola austriaca e crede fermamente nell’alleanza con gli ungheresi35. Tuttavia, in un successivo dispaccio, Cerruti fa notare che esiste una minoranza di serbi della Vojvodina ormai occupata dagli ungheresi, i quali, rifugiatisi a Belgrado, «invece di tornare alle case loro» proseguono un’attività antimagiara e implicitamente filoaustriaca e preferiscono «inondare le vie di Belgrado e andar questuando di porta in porta»36. Comunque le azioni degli insorti antiungheresi proseguiranno, non senza il discreto sostegno del leader dei serbi residenti in Austria, l’arcivescovo ortodosso di Carlowitz37. Al contempo, gli ungheresi intensificheranno le rappresaglie antiserbe. Scriverà Monti a Cerruti, riferendosi alla condotta magiara contro i serbi:
Sono afflittissimo dei nuovi conflitti fra magiari e serbi. Che bestie! Che disgrazia è questa lotta per noi italiani38!

Tuttavia il governo serbo cercherà di prendere le distanze al punto che, ricorderà Cerruti, il ministro Garašanin rifiuterà un’onorificenza asburgica propostagli dal console Mayerhoffer come riconoscimento dell’azione antimagiara affermando che ciò che hanno fatto i serbi in Vojvodina è stato difendere la propria terra, non gli interessi austriaci39.
Pur tra mille difficoltà, dunque, l’iniziativa di Cerruti prosegue; tuttavia, gli sviluppi della crisi italiana sono di ben altro tenore e la brevissima campagna militare di marzo condotta da Carlo Alberto si è tramutata in una débacle senza appello a Novara (23 marzo 1849): il Quarantotto italiano sta naufragando, e con esso le velleità del Savoia che dovrà abdicare a favore del figlio Vittorio Emanuele. In cinque mesi, da gennaio a maggio, si susseguono ben quattro presidenti del Consiglio40: il piccolo regno subalpino è entrato in una profonda crisi istituzionale e persino dinastica, e tutto ciò si riflette sull’attività del consolato, che viene di fatti abbandonato a sé stesso. In aprile Cerruti scrive al Ministro degli Esteri:
Sono sempre privo, dopo la mia partenza da Torino, di dispacci del Ministero, ed Ella comprenderà facilmente qual debba essere la mia ansietà quando saprà che non abbiamo qui altri mezzi d’informazione che i bollettini austriaci che ci provengono da Leybach e da Vienna, e che le ultime notizie ricevute per tale mezzo sono quelle delle giornate del 21 e del 24 Marzo:

ovvero, il giorno dell’iniziò delle ostilità e quello dell’accordo d’armistizio, firmato due giorni dopo a Vignale. La notizia giunge con una «rapidità veramente elettrica» dopo tanti mesi di silenzio, e coglie Cerruti mentre sta predisponendo l’esposizione della bandiera, incurante delle limitazioni, imposte dall’assenza del berat41. La notizia della fine della guerra in Italia è ancora più frustrante tenendo conto che da un lato, «tutta la stampa slava si sia resa favorevole alla nostra causa», e dall’altro che l’armata rivoluzionaria ungherese sta marciando sulla Transilvania e verso il confine austriaco42. Dunque, che fare?
La risposta infine giungerà, e la possiamo immaginare disarmante per il nostro console: il governo di Torino raccomanda prudenza, riservatezza, basso profilo43. Il gabinetto del generale Claudio Gabriele de Launay ha deciso di «cancellare rapidamente… ogni impronta di carattere rivoluzionario alla politica estera del regno di Sardegna»44. È un nuovo corso frustrante, tenendo conto dei rivoltosi ungheresi, che hanno proclamato l’indipendenza il 14 aprile e che militarmente contrattaccano. Inoltre, il timore di Cerruti è che, dopo gli entusiasmi iniziali, la sconfitta italiana possa acuire tra i serbi un atteggiamento filo austriaco che gli incidenti in Vojvodina (ma anche sul confine della Drina) hanno già innescato45.
Il console entra dunque in una fase assai intimista, come fa rilevare la Banjanin46, che non nasconde amarezza, frustrazione e sostanziale isolamento:
Mi accorsi allora più che mai della verità che nelle epoche prospere si hanno molti amici, e che nelle avverse se ne contano pochi47.

I consoli delle altre Potenze, che prima lo hanno accolto come un amico fraterno, ora assumono un atteggiamento ostile. Da maggio aleggia il sospetto di una repentina chiusura della rappresentanza sarda, fatto che vede l’opposizione di Cerruti; e se proprio si dovrà chiudere, scrive al suo governo, sarebbe buona cosa ora che sta per arrivare l’agognato berat, compiere tutti gli atti necessari per registrare presso la corte del Principe il consolato in modo da evitare la scadenza del berat e quindi una nuova, complicata e forse in futuro impossibile trafila burocratica con la Porta ottomana48.
In attesa di conoscere il proprio destino, Cerruti si limita, come scrive, «a vedere, ad ascoltare e a riferire»49; osserva l’ambiente che lo circonda, ben conscio delle infide presenze di agenti e spie di questo o quell’Impero. Belgrado, scrive il diplomatico genovese, «è un luogo compromettentissimo, e tutta la prudenza umana non mette al riparo dal pericolo di compromettersi»50.
Innanzi tutto egli compie un’attenta analisi del corpo consolare residente. Va da sé che le rappresentanze russa e austriaca è ostile. D’altronde, in una memoria di molti anni dopo redatta per il suo successore Astengo, la posizione delle cancellerie asburgica e zarista circa la presenza dell’incomodo Piemonte in Serbia verrà ampiamente documentata, e chiarirà il mistero del ritardato berat del governo ottomano:
La fondazione del nuovo consolato a Belgrado fu contrastata dalle legazioni d’Austria e di Russia a Costantinopoli, le quali diedero una nota al Divano perché negasse il Berat. Non riuscirono nell’intento […] Pare che quelle legazioni o almeno l’austriaca preparassero ostacoli e pericoli al console (cav. Cerruti) sulla via di Costantinopoli a Belgrado51.

Il console russo, generale Danilewski, non è particolarmente disponibile e «gode in questi paesi non dirò dell’influenza, ma di quel culto che si professa dagli slavi per tutto ciò che è russo»52. Il russo è molto amico del generale Mayerhoffer, il rappresentante della Casa d’Austria, anch’egli assai influente in certi settori politici. In una condizione assai isolata e invisa a tutti è il console greco, peraltro anch’egli privo del berat, negatogli dagli ostili ottomani. Di ben altro tenore è l’opinione di Cerruti sul suo collega francese, il còrso Mathieu De Limperani, considerato un uomo dall’animo nobile e generoso, e soprattutto sul console generale di Sua Maestà britannica Thomas de Granier de Fontblanque, apprezzato per le sue opinioni liberali. Una franca e leale amicizia viene stretta persino con il governatore ottomano Hassan Pascià, conosciuto sin dai tempi di Cipro, anche se, nell’ottica delle relazioni con i serbi, questa viene gestita dal rappresentante del Regno Sardo con particolare discrezione53.
Sempre nella sua lunga stagione esplorativa successiva al disastro di Novara, Cerruti si concentra sulla figura del principe Aleksandar Kara or evi , del quale rileva la bontà d’animo, la semplicità e l’amore per la patria, e finanche l’assenza di particolari ambizioni. Portato sul trono di reggenza nel settembre 1842 dal “partito antirusso”, scrive il console, egli è «amabilissimo e semplice nelle sue maniere»; al vertice del Principato
Vi si mantiene coll’osservare una condotta di tale riserva che si dubiterebbe talvolta se egli realmente sia il principe. Egli è buono […]; ama il proprio paese, vuole il di lui bene, e siccome lo vorrebbe davvero, non incontra l’approvazione di tutti… Nella
conversazione ch’io ebbi con lui mi parlò di commercio, di strade carreggiabili, di
agricoltura, insomma di ciò che costituisce la prospettiva di un paese54.

E i complimenti per la compagine serba si sprecano: il ministro degli Interni Garašanin è «onesto» e «indipendente di carattere»; il segretario del Consiglio di Stato e ministro degli Esteri de facto, Jovan Marinovi , è un «puro», «animato da sentimenti patriottici»; il giovane Stevan Magazinovi , ex collaboratore degli Obrenovi ora al servizio del Kara or evi come capo della polizia giudiziaria, viene descritto come un giovane patriota dal futuro sicuro: e infatti diventerà prima titolare degli Interni e poi degli Esteri55. In generale, Cerruti si vanta di avere ottimi rapporti con la corte serba e con il principe in persona:
So che il principe mi vede di buon occhio; alcuni dei suoi Ministri hanno della bontà per me: alcuni altri lasciano credere di averne[…] Io procuro di fare il possibile per divenir popolare: tratto molti di loro con un’ospitalità non affettata e cordiale.

Tuttavia, il nostro console lamenta delle difficoltà nella «classe media», la borghesia mercantile presumibilmente in affari con la Porta o con Vienna, e ostile agli ungheresi: in quell’ambiente a differenza della corte, il rappresentante sardo non sembra ottenere altrettante simpatie56.
Ma nonostante ciò, Cerruti si dimostrerà un ottimo amico del popolo serbo. Scrive ancora la Banjanin:
Anche se riservato nel comportamento e nell’esprimere le sue emozioni, Cerruti tentava di avvicinarsi a tutti, e persino alle persone semplici, e di comprendere i motivi delle loro reazioni a certe situazioni: così alcuni dati all’apparenza insignificanti, rilevano il lato umano del suo carattere57.

Ma il console non riesce a mantenere troppo a lungo questo ruolo di mero osservatore, e ricomincia a trafficare con gli agenti di Kossuth presenti a Belgrado, a cominciare dal solito Carrosini. Soprattutto – e diventa indispensabile l’ampio studio compiuto da Fornaro sulle carte conservate presso l’archivio della famiglia Cerruti – il rapporto che si rinsalda è quello con Monti, che continua a spostarsi rocambolescamente e con una buona dose di incoscienza lungo la frontiera danubiana, e soprattutto non ha alcuna intenzione di accettare il low profile dei governi torinesi dell’armistizio. Infine, non secondario sarà il ruolo giocato dal console Tecco a Costantinopoli, altro sostenitore della politica balcanica del Regno Sardo. Si apre così, nell’estate 1849, l’ultima fase della missione Cerruti, caratterizzata da una prevalenza dell’iniziativa di Monti, orientata a trovare una soluzione tra serbi e ungheresi sulla Vojvodina, proponendo una divisione dei territori serbi da quelli ungheresi e di entrambi da quelli valacchi58. Cerruti dovrebbe quindi intercedere con il principe e con il governo serbo per favorire una soluzione della complicata vertenza in vista di una alleanza slavo-magiara; ma altresì, dovrebbe convincere Torino dell’importanza di questa politica.
La vicenda prenderà i contorni di un’impresa eroica e impossibile, tutta “mazziniana”, con la costituzione di una “Legione italiana” al fianco dei soldati di Kossuth. Ci sarà persino un tentativo di un traffico d’armi verso l’Ungheria e un incontro di Cerruti con alcuni emissari croati, come il barone Kušan59. Questa nuova attività eversiva del console susciterà la vibrata protesta del governo di Vienna, contro la quale lo sconfitto Regno Sardo può fare ben poco.
In ottobre giunge quindi da Torino l’ordine di D’Azeglio di ridurre le attività del consolato per questioni di opportunità, e di richiamare Cerruti in patria: è in corso il decennio di preparazione imposto dal giovane sovrano Vittorio Emanuele II, e le velleità cospirative all’origine dell’apertura della rappresentanza a Belgrado sono divenute quanto meno inopportune. Inoltre, dopo la caduta il 1° settembre della fortezza di Petrovaradin (la “Gibilterra del Danubio”), che Cerruti ricorda dolorosamente in un dispaccio60, e la presa di Vilàgros due settimane dopo, la rivoluzione ungherese è tramontata e nella Budapest rioccupata dagli asburgici vige lo stato d’assedio: gli interlocutori magiari non ci sono più e Kossuth, insieme allo sconfitto Monti, si sta incamminando sulla strada di un esilio senza ritorno.
Il 5 ottobre Cerruti si congeda quindi dal principe Aleksandar. Paradossalmente, essendo il berat del Divano arrivato da poco, si tratta della prima visita ufficiale che il console sardo compie presso il principe. Nel colloquio, il Kara or evi dimostra per l’ennesima volta il “piacere” di “entrare in rapporti di amicizia colla Sardegna” e la simpatia che nutre verso l’ex sovrano Carlo Alberto, una figura che gli ricorda quella paterna61. Il colloquio, costellato da franche espressioni di amicizia (il principe inviterà il console al matrimonio di sua figlia), è privo di particolari riferimenti politici ma ribadisce la rete di rapporti personali intessuti dall’intraprendente rappresentante sardo.
Quello di Marcello Cerruti è un bilancio ricco di successi, forse non concreti, ma ribadenti il primo importante legame tra il Regno di Sardegna e il Principato di Serbia62. Un bilancio, invece assai magro nel significato più letterale: in diverse occasioni Cerruti lamenterà l’assenza di uno stipendio e persino di un rimborso spese (i costi dei danni dell’incendio doloso sono stati a suo carico)63; e questo è un ulteriore esempio dell’abnegazione e dell’entusiasmo del giovane console, pronto a pagare un servizio pubblico di tasca propria.
A malincuore, il 7 novembre 1849, Marcello Cerruti lascia la città serba e via Pest, Vienna e Trieste, torna a Torino.
A Belgrado resta il fratello Luigi Francesco Cerruti (Genova, 8 giugno 1819 – Nizza, 25 dicembre 1883), in attesa di una decisione definitiva circa il destino della rappresentanza diplomatica. Dopo un’esperienza presso il consolato sardo nella Milano austriaca (1840), è stato trasferito a Cipro (1843). Nel 1848 partecipa alla guerra d’indipendenza nel terzo reggimento volontari lombardi, e viene promosso capitano. Con il fratello Marcello ha condiviso tutte le esperienze compiute dalla missione in Serbia e ne vuole proseguire i programmi.
Nella lettera di presentazione a D’Azeglio, Luigi Cerruti ribadirà la convinzione –identica a quella di Marcello- circa l’opportunità di restare in Serbia, un luogo
Che non perdette ancora quell’interesse che presentò nei momenti più caldi delle ultime vicende politiche e che da un momento all’altro può acquistare una grado più che mai rilevante64.

L’attività di Luigi è breve, e si limita, oltre che alla normale amministrazione e alle visite di cortesia presso la corte, all’invio di uno studio compiuto dal segretario del console austriaco Mayerhoffer circa la necessità di inserire la Vojvodina nell’Impero asburgico65, che in qualche modo svela i reali obiettivi dei maneggi austriaci nella regione, e di un lavoro statistico-commerciale sulla Serbia66. Si tratta in realtà di atti conclusivi.
Torino ha altri programmi, e la decisione di chiudere il consolato verrà accelerata dalle attività di Luigi che irritano Vienna e spingono il governo D’Azeglio a richiamare in patria anche l’altro Cerruti67. Il 19 marzo 1850 il diplomatico sardo lascia un consolato ormai chiuso, in gerenza per gli affari ordinari presso il rappresentante britannico de Fontblanque68. Prima della partenza si accommiata da tutte le autorità serbe e dal caimacan (vice-prefetto) del nuovo governatore ottomano Vassif Pascià. Quindi, concluse le consegne con de Fontblanque, si imbarca su un piroscafo per Costantinopoli, non prima di avere ricordato al governo di Torino l’opera di Marcello,
un degno fautore della simpatia per tutto ciò che era italiano, preparando in tal modo terreno per altri rapporti e legami che dopo di lui saranno allacciati69.

Legami che si allacceranno quasi dieci anni dopo, al termine della lunga preparazione e alla vigilia, guarda caso, di una nuova guerra con l’Austria.
Nel frattempo, de Fontblanque si occupa del disbrigo degli affari correnti del Regno Sardo a Belgrado, appoggiandosi a Carrosini, l’agente italo-ungherese già collaboratore prima di Monti e poi dei Cerruti. Questi però non è amato nell’ambiente serbo più anti ungherese, ricorda il diplomatico inglese in una lettera a D’Azeglio, ed è senz’altro inviso agli austriaci70. Al termine di un ennesimo attrito con il consolato asburgico, infatti, il reggente britannico del consolato sardo, accusato da Vienna di essere filo ungherese71, per evitare ulteriori polemiche esegue l’ordine di Torino di mandare Carrosini a Costantinopoli72. Si conclude così la prima fase dell’iniziativa del Regno di Sardegna a Belgrado.
La seconda fase della presenza consolare sarda nel Principato si apre con la campagna di Crimea (1853-1856) e l’adesione alla spedizione multinazionale franco-britannica del piccolo Regno di Sardegna. Come è noto, il sacrificio dei militari italiani, in primo luogo nella battaglia della Cernaia, contribuisce a incardinare il Regno sardo nel concerto internazionale e, a parte le questioni strettamente legate al Risorgimento italiano, lo inserisce tra le potenze garanti del nuovo status autonomo di Belgrado. Gli articoli 28 e 29 del trattato di pace di Parigi prevedono infatti una Serbia dotata di maggiori libertà, svincolata dalla tutela turco-russa e la cui dipendenza dalla Sublime Porta viene garantita dalle stesse potenze vincitrici, Piemonte compreso. Di fatto, quasi un protettorato internazionale. Scrive Tamborra:
Questa maggior autonomia della Serbia, questo suo più disinvolto muoversi nella vasta arena internazionale, il sensibile e ormai deciso accostamento all’Occidente da dove cominciano a giungere i Parižlje, i parigini, cioè quelli che hanno studiato nella capitale francese, doveva necessariamente essere sentita dalla Russia come una propria particolare sconfitta73.

L’offensiva zarista non tarderà, e presto gli alleati dei russi a Belgrado riusciranno a vendicarsi di Alexandar: nel dicembre 1858 la Skup ina dichiara decaduta la dinastia dei Kara or evi , e viene eliminata l’oligarchia di quei “Difensori della costituzione” (Ustavobranitelji) che hanno gestito fino a quel momento il Paese. Dal suo esilio rumeno, torna il knez, il principe Miloš Obrenovi . San Pietroburgo esulta, ritenendo il vecchio sovrano una sua docile creatura: le cose, invero, non staranno così e la cancelleria zarista non tarderà a scoprirlo. Tanto Miloš quanto il figlio Mihajlo hanno infatti ben altri progetti, miranti a inserire con disinvoltura la Serbia nel nuovo contesto internazionale sancito al congresso di Parigi: e la rinnovata dinamicità di Belgrado non può non interessare il revisionismo del Regno Sardo e del nuovo tandem che governa Torino, il giovane sovrano Vittorio Emanuele e il vulcanico premier Cavour. È in questo contesto che si riapre l’attività diplomatica sarda nella regione balcanica.
L’impulso al nuovo corso viene dato quindi dopo la Pace di Parigi del febbraio-marzo 1856, con la sostituzione al vertice della legazione presso la Sublime Porta del barone Tecco con il decisionista Giacomo Durando, già cospiratore mazziniano ed esule nel 1831, poi esponente delle correnti liberal-federaliste filo sabaude, quindi generale comandante il corpo dei volontari lombardi nella campagna del 1848 e infine ministro della Guerra ai tempi della Crimea. Il secondo passaggio sarà la nomina di un nuovo console a Belgrado, dopo nove anni di sede vacante. La scelta di Cavour cade inizialmente sull’avvocato Eugenio Durio, cancelliere di legazione a Costantinopoli, viceconsole di prima classe, incaricato della reggenza del consolato presso la Porta sino alla nomina di Durando. Il Durio è ben attrezzato, conosce la lingua turca ed ha una consolidata esperienza balcanica maturata nei principati di Moldavia e Valacchia.
Ma la scelta definitiva cadrà su Francesco Fortunato Astengo (Savona, 3 giugno 1831 – Buenos Aires, 12 ottobre 1868). Egli è il rappresentante di una nuova generazione risorgimentale: a soli diciassette anni è stato volontario nel quinto reggimento di fanteria della brigata Aosta, ed ha combattuto con il grado di caporale nella guerra del 1848-49. Si distingue nella battaglia di Novara e ha per questo ottenuto una menzione onorevole da Carlo Alberto. Nel 1851 entra come funzionario al ministero delle Finanze; l’anno successivo passa quale “applicato di quarta classe” agli Affari esteri74. Nel gennaio 1857 è segretario particolare del ministro, ossia di Cavour. Un anno prima è diventato vice console di seconda classe.
La missione Astengo non inizia a Belgrado, ma nella capitale francese. Qui, nel febbraio 1859, il console (che usa lo pseudonimo di Giacomo Rossi, nativo di Alessandria, per depistare le spie russe e austriache) incontra, sotto gli auspici di Girolamo Napoleone Bonaparte, cugino dell’imperatore, il generale Gy rgy Klapka, l’ex ministro della guerra ungherese ora in esilio. Klapka definisce Astengo come un uomo perspicace e ben preparato sulla questione magiara75. Si concorda un’azione comune tra il Regno Sardo – in procinto di scatenare una nuova guerra all’Austria – e l’ennesima insurrezione ungherese, da condursi in Transilvania e lungo il Danubio. Dai colloqui emergerà anche un ampio progetto di alleanza tra ungheresi, serbi e romeni, questi ultimi rappresentati dal principe Alexandru Ioan Cuza, con il quale si raggiunge finalmente un fragile accordo sulla futura spartizione della regione della Vojvodina-Banato76.
A Belgrado, Astengo dovrà appoggiare e coprire le attività degli agenti ungheresi e in modo particolare del conte Bystrzanowsky; agevolare i movimenti di volontari provenienti dalla Serbia e diretti in Ungheria; sorvegliare e far giungere in tempo utile carichi di armi provenienti dalla Francia via Torino e destinati agli insorti di Klapka. Tali carichi verranno concentrati a Galatz (Gala i), in Romania: da lì verranno inviati a Jarzy, per la distribuzione in Transilvania, e a Belgrado, per poi essere spediti in Vojvodina. Per agevolarne il compito di coordinamento, il consiglio del principe Girolamo è che Astengo venga nominato console sardo a Belgrado ma al contempo anche a Bucarest, a Galatz e a Jarzy77. In alternativa, saranno attivate specifiche reti di agenti sia nella città ungherese sia in quelle rumene, entrambe collegate al consolato di Belgrado. Infine, last but not least, il nuovo console dovrà prendere contatto con le autorità politiche serbe (in primis Garašanin e Magazinovi ) e con gli Obrenovi , tenendo conto delle presunte tendenze filorusse del principe Miloš e delle altrettanto presunte simpatie filoaustriache del figlio Mihajlo. Astengo dovrà coordinare tutto il traffico e ogni sua attività diplomatica con grande discrezione, coordinandosi strettamente con il console generale a Costantinopoli Durando78.
Astengo, animato da un raro entusiasmo «mi reputerò fortunato di potere anche con il sacrificio della vita contribuire in qualche modo alla grande causa»79 e da uno spirito di sacrificio che lo spinge a paragonare l’impegno diplomatico ai suoi giovanili trascorsi militari, giunge a Belgrado il 23 marzo 1859 e come da istruzioni si presenta con tutte le credenziali alle autorità, le quali lo accolgono affermando che
l’arrivo del Console Sardo in Belgrado era la realizzazione di un vivo desiderio del Governo Serbo al quale stava molto a cuore di avere intime relazioni di amicizia e di commercio col nostro paese, col quale aveva comuni tante speranze e dolori80.

Lo stesso giorno dell’arrivo, incontra Garašanin e il fratello del ministro degli Esteri Magazinovi , e a loro presenta la credenziale ufficiosa di Klapka, a dimostrazione del saldo rapporto sardo-ungherese da allargarsi anche ai serbi. Sulla base dei colloqui avuti con questi collaboratori del knez, già il 29 marzo Astengo può scrivere a Cavour circa
le buone disposizioni del Principe Miloš a nostro riguardo e l’odio che egli nutrisce da molto tempo contro il governo austriaco; ebbi la certezza che avrei trovato nel Principe non un partigiano della Russia o della Francia o di qualsiasi altra Potenza, ma sibbene un vero serbo a cui stavano prima di ogni altra cosa a cuore gli interessi del suo Paese.

Quanto al figlio del principe, Mihajlo, Astengo vuole verificare le voci parigine circa una sua simpatia verso l’Austria. Le voci si dimostrano false. Il giovane erede al trono del principato dimostra di essere ancora più antiaustriaco del padre «al punto che si doveva aver confidenza in lui più ancora che in suo padre».
Magazinovi spiega inoltre ad Astengo che la popolazione serba di entrambe le sponde del Danubio, è
già molto ben disposta in favore degli Ungheresi e che l’odio generale contro l’Austria era radicato in queste popolazioni per modo che con poca fatica si sarebbe potuto ottenere dalle stesse quanto desideravasi81.

Le prime impressioni di Astengo sono confermate non appena incontra il vecchio principe, il 23 marzo, il quale ribadisce il desiderio di «intrattenere col Piemonte relazioni di buona amicizia» attraverso uno stabile ufficio consolare sardo a Belgrado. Serbia e Regno di Sardegna sono unite, aggiunge Miloš, dagli stessi interessi, dalle stesse speranze e dallo stesso odio verso il «comune nemico, l’Austria». Tuttavia, il vecchio principe spiega al console che in concreto la Serbia, schiacciata tra Vienna e Costantinopoli, può fare ben poco, e che la chiusura delle frontiere e del Danubio da parte di queste potenze, in caso di iniziativa unilaterale di Belgrado, potrebbe procurare alle popolazioni serbe una «totale rovina»82.
Il vecchio principe, uomo assai pratico, chiede schiettamente ad Astengo cosa vuole il governo di Torino da lui. Il console lo sa bene. Da tempo il comitato insurrezionale ungherese, in esilio dalla sconfitta del 1849 ma sempre attivo, sta chiedendo al Regno di Sardegna un appoggio concreto sulla questione delle minoranze serbe in Ungheria. In una relazione riassuntiva redatta dal comitato si fa esplicita richiesta di inviare a Belgrado (e nei territori moldavo-valacchi) agenti intelligenti e preparati per convincere i capi di quei principati a influenzare concretamente le minoranze serbe e rumene oltre il Danubio affinché abbandonino le antiche ostilità e facciano causa comune con gli insorti di Kossuth83. Si tratta del vecchio progetto di Cerruti.
Ma questo console è assai più impulsivo del suo predecessore, e presenta le richieste sarde con una certa brutalità. Astengo riassume il tenore del colloquio in una sua relazione a Cavour. Rivolto al knez il console è di una schiettezza che egli stesso definisce “militare”:
Sarebbe stato molto utile alla causa comune che la popolazione serba al di là del Danubio tenesse un contegno ben diverso da quello tenuto nel 1848 e 1849 […] per ottenere questo risultato era necessaria la cooperazione morale dei Serbi al di qua del Danubio e principalmente la sua propria.

La conclusione del suo lungo appello al principe rasenta poi la brutalità:
E ora, gli dissi, permettetemi Altezza che con la stessa franchezza con cui vi esposi quanto desideravate sapere vi chieda se debbo scrivere al mio governo che il Principe Miloš sia per lui o contro di lui. Questo brusco finale sconcertò un momento il principe che mi rispose dopo un istante di silenzio assicurandomi non essere stato avvezzato mai dalle altre Potenze a trattare gli affari così francamente, quantunque questo fosse stato sempre il suo più vivo desiderio84.

Il vecchio Miloš, dinanzi all’aut-aut del suo interlocutore, dopo aver espresso ammirazione per Cavour e stima per Vittorio Emanuele, si chiude in una risposta piuttosto generica «Mi rispose…che avrebbe nell’interesse del suo paese fatto quanto stava in lui per coadiuvarci negli avvenimenti che si stavano maturando», rinviando la conversazione ad altra data85.
Più concreta sarà la reazione del giovane erede Mihajlo, incontrato subito dopo dal console. Il giovane rampollo degli Obrenovi (secondo Astengo, un «vero gentiluomo») entra nel vivo della questione, spiegando al console sardo la penuria di armi e gli ostacoli posti dall’Austria al riarmo della Serbia. Astengo gli suggerisce di inviare un agente in Francia per trattare la questione. Circa le armi per gli ungheresi, Mihajlo promette un’intercessione con il padre. In un successivo colloquio a tre con Astengo e Mihajlo, Miloš romperà gli indugi:
potete scrivere al vostro Governo ch’io lascerò entrare e far deposito di tutte le mercanzie possibili e quando piacerà a coloro che le porteranno, poco curandomi se dette mercanzie siano armi, cannoni o munizioni, voglio che il commercio sia affatto libero nei miei Stati e in quanto alle dogane si troverà modo che non vi disturbino86.

La missione Astengo non poteva iniziarsi sotto migliori auspici. Oltretutto, a differenza di dieci anni prima, ora il berat arriva in meno di un mese e Astengo si premura di presentarlo al nuovo governatore ottomano Osman Pascià, ottenendo così il pieno riconoscimento delle sue funzioni. Con tali premesse, i carichi di armi per i patrioti ungheresi potevano attraversare la Serbia e giungere a destinazione. Il tutto, suggellato da una simpatia personale del vecchio principe nei confronti del giovane diplomatico, al punto che Miloš metterà una casa di sua proprietà a disposizione di Astengo. Ma c’è dell’altro. A differenza del resto del corpo consolare straniero, anche di quello da molti più anni presente in città, Astengo frequenta assiduamente le famiglie più in vista, i “salotti” diremmo oggi, facendosi introdurre nel jet-set belgradese e serbo con straordinaria popolarità. Da notare le festose accoglienze popolari che il giovane console riceve in occasione del suo ufficiale insediamento, suggellato dall’esposizione di tutte le bandiere consolari (ad eccezione di quella austriaca), delle salve di cannoni dalla fortezza del Kalamegdan, e dalla doppia banda serba e turca in pompa magna87.
Si tenga conto che il corpo consolare straniero ha nei confronti del governo serbo un atteggiamento a dir poco presuntuoso. Ne dà testimonianza lo stesso Astengo, in un dispaccio alquanto ispirato del 1° maggio:
È impossibile farsi una precisa idea della importanza che gli Agenti Consolari si vogliono dare in questo Paese e del modo durissimo con cui trattano questo povero governo che incomincia appena ora a fare i primi passi sulla via della civilizzazione e del progresso […]. In nessun Paese certamente si vuol fare tanta politica quanta se ne fa dai Consoli in Belgrado, e non manca mai la parte comica in tanta serietà di discorsi e di progetti, per chi voglia considerare imparzialmente gli avvenimenti.

Viceversa, ancora più che il suo predecessore Cerruti, il giovane diplomatico savonese con il suo savoir-faire e il suo innato rispetto verso le altre culture, scatena un interesse verso le cose italiane e suggella un’amicizia tra due popoli basata sul rispetto reciproco. Naturalmente c’è console e console. Astengo instaura ottimi rapporti con l’inglese de Fontblanque (il cui fratello, alto esponente della massoneria inglese e noto giornalista, è un intimo amico di Cavour), che aveva gestito gli affari italiani a Belgrado tra il 1850 e il 185288. Il diplomatico britannico, con diciotto anni di esperienza belgradese, informa Astengo della situazione politica in città: ribadendo la sua personale antipatia verso l’Austria, de Fontblanque descrive minuziosamente al giovane inviato piemontese le infiltrazioni degli agenti asburgici nel ceto politico serbo89. Informazioni analoghe vengono date al nostro console anche dal francese Desepart, anch’egli acerrimo nemico dell’Austria e sostenitore della causa magiara: con costui Astengo getta le basi per una stretta collaborazione in vista dell’’operazione a favore degli ungheresi90. Osman Pascià, nuovo governatore ottomano (e di fatto quasi nulla più che un console della Sublime Porta) viene presentato come un uomo insulso, che parla solo di «pipe, di tabacco, di donne». Il console austriaco, conte Giorgi, è descritto come freddo e distante. Del console russo, invece, Astengo nota solo la sua personale simpatia e, soprattutto la sua avvenente moglie91. Ma il console sardo va ben oltre la semplice analisi dei suoi colleghi e dei rapporti che essi hanno con il governo serbo. Ne controlla i movimenti, ne registra i colloqui mediante i numerosi informatori che il suo empatico atteggiamento ha disseminato per tutta Belgrado, a cominciare dal suo potente alleato britannico. Alla fine di aprile de Fontblanque intercetta infatti un colloquio tra il console prussiano e quello austriaco circa l’eventualità di un’alleanza austro-turca e di una guerra contro Francia e Italia. I due diplomatici vengono sorpresi ad ipotizzare anche l’occupazione del Kalamegdan e lo stazionamento di navi a vapore austriache sul Danubio. Per fare ciò, il prussiano e l’austriaco progettano un’insurrezione serba antiturca e un intervento militare della Porta e magari di Vienna. In effetti, le voci di un’insurrezione serba sono talmente insistenti che Osman Pascià convoca il corpo consolare affinché si organizzi la tutela dei cittadini stranieri residenti. Il conte Giorgi, a nome dell’Austria, propone l’invio di navi a vapore da guerra sul Danubio per tutelare i cittadini asburgici. A quel punto, Astengo interviene e svela la trama austro-prussiana, sostenuto dal console di Francia: la rivoluzione è solo un’invenzione dei due consoli per estendere il controllo austriaco sulla Serbia. Il governatore ottomano chiama quindi a rapporto il ministro Magazinovi , il quale conferma l’inesistenza del piano. L’incidente sembra chiuso, per merito di Astengo e del suo collega francese (ormai, due piccoli Vittorio Emanuele e Napoleone balcanici), anche se Osman Pascià decide comunque di rafforzare le difese del Kalamegdan, fatto ritenuto dal console sardo come controproducente:
È inutile negare che queste misure, le quali non possono restar celate, vanno eccitando grandemente la popolazione e gravi potrebbero essere le conseguenze se non si penserà in tempo al riparo92.

Questo genere di vicende, oltre ad accrescere l’antica ostilità antiturca, scatena tra i serbi una cocente antipatia verso l’Austria e i suoi alleati; anzi, rispetto alle titubanze e alle tendenze filoasburgiche rilevate nella missione precedente, stavolta sembra che il sentimento nazionale sia più nettamente ostile a Vienna: tra i serbi, scrive Astengo in codice cifrato, l’Austria è disprezzata come in Italia93. Tra l’altro, fa osservare acutamente il console in un altro messaggio cifrato, anche la Russia è della partita, e sta operando anch’essa per scatenare un’insurrezione antiturca, sebbene per motivi opposti a quelli di Vienna. Motivo in più per convincere i principi Obrenovi alla moderazione94. Converrebbe stringere i rapporti con la Serbia, instaurando tra Torino e Belgrado un asse commerciale quasi esclusiva: è il disegno di Cavour, e, anche se Astengo fa notare con precisione («cosa rara per uno straniero», ci ricorda la Banjanin)95 la profonda arretratezza del Paese che lo sta ospitando, inizia a gettare le basi per relazioni mercantili e investimenti industriali del Regno sardo nel Principato: il tutto, sempre e comunque per ostacolare i progetti egemonici austriaci e russi. Pertanto, egli tratta con il governo di Belgrado affinché si conceda la rotta danubiana e alcune concessioni minerarie a una joint-venture franco-piemontese. Il progetto resterà in attuato, come quello di lanciare una cooperazione tra il Regno sardo e la Serbia nello sviluppo dell’industria manifatturiera96. È anche a causa di questa intraprendenza mercantile di Astengo che le relazioni inizialmente buone con il corpo consolare straniero anche con gli amichevoli console inglese e francese, iniziano ad incrinarsi.
Nel frattempo, l’operazione della fornitura di armi agli ungheresi prosegue. Tuttavia, la ragion di Stato non si muove con la stessa entusiastica velocità del console. Miloš ci ripensa e prima di un definitivo via libera all’operazione ha bisogno di una contro verifica per conoscere meglio non tanto le posizioni del Regno Sardo –che attraverso Astengo ben conosce quanto quelle dei due veri arbitri delle vicende europee: Francia e Gran Bretagna. Manda quindi il figlio a Parigi e Londra, seguendo peraltro il consiglio datogli dallo stesso console sardo nel corso del primo incontro, ma non solo per verificare la disponibilità francese circa una fornitura di armi alla Serbia: Mihajlo ha anche un mandato esplorativo per sondare le posizioni delle due cancellerie circa le loro reali intenzioni circa la regione balcanico-danubiana.
L’incontro con Napoleone III, Kossuth e Klapka lascia Mihajlo piuttosto perplesso: il timore è che se oggi la causa ungherese è comune a quella serba, un’Ungheria indipendente domani potrebbe essere un vicino ingombrante, soprattutto tenendo conto della ipotizzata estensione dei suoi domini sulla Croazia e della solita vertenza per la Vojvodina. Di conseguenza viene raggiunto con gli ungheresi un accordo di massima, dai contorni vaghi.
Cavour se ne accorge e non esita a criticare Astengo e la sua eccessiva franchezza, che ha suscitato troppi timori tra gli Obrenovi 97. Il console si trova oltretutto in una complicata situazione: a quanto pare, oltre a un controllo occhiuto del traffico postale da e verso Torino condotto dalle spie di Vienna, agenti provocatori austriaci presenti a Belgrado (ma anche l’infido console di Prussia, definito dall’italiano «austriaco per la pelle»)98 hanno fatto uscire notizie in merito a sue operazioni immobiliari improvvide99; è un fatto che lo colpisce profondamente, come testimonia una sua lunga missiva a Cavour del dicembre 1859100.
Comunque, l’operazione magiara inizia il 16 maggio. Il coordinatore nominato espressamente da Cavour è il funzionario degli Esteri Raffaele Benzi, trasferitosi a Genova per meglio seguire i traffici. Egli è in collegamento con il console sardo a Marsiglia, de Castellinari. La destinazione, attraverso il Bosforo e il Danubio, saranno i “principati”, intendendo tanto quello serbo quanto quelli moldavo-valacchi. Infatti, da Torino verrà comunicato ad Astengo di mettersi a disposizione di Annibale Strambio, console generale sardo a Bucarest, nominato ad hoc. Egli avrà la piena “sorveglianza” delle attività del consolato in Serbia101.
Un primo carico, a titolo sperimentale, è spedito da Marsiglia il 30 maggio102. Viene caricato sul brick-schooner sardo “Maria”, e diretto in Moldavia. Un secondo, di 19 tonnellate tra armi (circa 1300 fucili), munizioni e giberne, viene caricato il 18 giugno sul brigantino “Destino” (già “Avvenire d’Italia”) al comando del capitano Niccolò Ottone. Un secondo legno (il “Francesco di Sauli”), comandato da Giuseppe Olivari, con ben 72 tonnellate di armi, parte il 22 dello stesso mese103. La destinazione ufficiale sarebbe l’Algeria, ma i due carichi giungono a Galatz, in Ungheria, dove vengono presi in consegna dal nuovo console sardo inviatovi all’uopo, quell’Eugenio Durio che inizialmente Cavour aveva visto bene come console a Belgrado104. Astengo nel frattempo da tempo ha predisposto i luoghi dello stoccaggio in Serbia, e si è recato in loco per prendere i contatti con le autorità locali105. In realtà, questi fondaci non verranno utilizzati: troppe le titubanze del knez, e troppi gli ostacoli (locali e internazionali) per consentire al rappresentante sardo in Serbia di agire secondo programma.
Scriverà il console a Cavour:
È impossibile descrivere le simpatie di queste popolazioni e di quelle al di là del Danubio pel nostro Paese; se le mercanzie fossero giunte si potrebbe fare un ottimo commercio purché si avesse qualche capitale per far fronte alle prime tratte106.

Ma non arriveranno né armi né denaro: la guerra in Lombardia sta assorbendo le risorse del piccolo regno sabaudo. Pasquale Fornaro osserva che tra le cause del mancato invio delle armi non vi è solo la titubanza del vecchio principe serbo; un ruolo egoistico lo gioca anche il rumeno Cuza e uno, ancora più ambiguo, la stessa Francia, dove il ministro degli esteri di Napoleone III, conte Alexandre F.J. Walewski, ha più volte ribadito la sua ostilità alla politica cavouriana a favore delle nazionalità balcanico-danubiane107.
Fallimento, dunque? In parte. Ma le relazioni intessute sono davvero ottime, e vanno dalla casa degli Obrenovi al governatore ottomano Osman Pascià, a parte della borghesia cittadina, agli alti dignitari ortodossi (nonostante le loro innate simpatie filorusse). E i ritratti che Astengo manda a Torino delle autorità serbe, dal vecchio e ormai sempre meno affidabile Miloš al giovane e più dinamico Mihajlo, sono un affresco senza pari della realtà serba del periodo.
Il clima poi, a parte le titubanze del knez Miloš, è tutto favorevole alla causa d’Italia. La notizia della vittoria di Solferino viene celebrata con il consolato illuminato a festa per tre giorni, mentre
la musica militare e quella della città, inviate dal Principe, non cessarono un istante di eseguire concerti sotto le mie finestre e la casa consolare rigurgitò tutto il giorno di gente che venivano a congratularsi col rappresentante sardo della vittoria delle armi alleate. Più di mille persone s’iscrissero alla mia porta, i gridi di viva l’Italia, viva il Re Vittorio Emanuele, viva Cavour echeggiavano per tutta la città, non si sarebbe potuto fare di più se si fosse trattato di una vittoria riportata dagli stessi Serbi108.

Al di là dell’inattività del governo di Torino in questo settore, e oltre le titubanze degli Obrenovi dinanzi agli ungheresi, resta quello che Tamborra definisce un “legame sentimentale”,
la connessione ideale e pratica fra gli avvenimenti militari e politici che si svolgono nella pianura padana, e le sorti o quanto meno le possibilità avvenire della Serbia, del popolo serbo sono sentiti in modo vivo, plastico, immediato109.

E, a riprova di ciò, ecco la reazione quasi disperata dei serbi dinanzi alla notizia dell’armistizio di Villafranca:
Sarebbe impossibile descrivere la sensazione che tale novella produsse in questo principato. A tutta prima nessuno volle prestarvi fede, considerandola come una invenzione dell’Austria; ma alla fine quando dispacci ufficiali vennero a confermarla un abbattimento generale succedette all’allegria prodotta dall’annunzio delle successive vittorie riportate dalle armi alleate e se le simpatie per nostro paese si accrebbero moltissimo, considerandolo qui tutti come ingannato, esse diminuirono assai per la Francia110.

La delusione di Astengo si tramuta in una personale controffensiva. Uomo d’azione, egli cerca di convincere il principe Miloš a favorire l’arrivo sulla rotta danubiana di compagnie di navigazione straniere che possano rompere il monopolio asburgico sulla navigazione fluviale mercantile. È una guerra proseguita con altri strumenti anziché le armi111. Il giovane console vuole creare un secondo Piemonte in Serbia, una spina nel fianco meridionale dell’Impero, che sappia colpire gli interessi economici di Vienna per scatenarne le reazioni che giocoforza dovranno sfociare in una generale ripresa delle ostilità.
Ma il temporaneo ritiro di Cavour e l’arrivo del governo La Marmora – Dabormida comporta un brusco arresto della politica balcanica del Regno di Sardegna. Il nuovo ministro degli Esteri è chiaro e perentorio e, in una lettera ad Astengo del 14 agosto scrive:
Vous devez vous abstenir de toute participation aux mouvements de ce pays. Le but secret de votre mission est fini […] Toute imprudence sera laissée sous votre responsabilité112.

Ancora più esplicito appare il dispaccio di Dabormida ad Astengo di dieci giorni dopo:
Benché io veda con piacere che la causa italiana continua a godere delle simpatie di codesta popolazione, non devo dissimularle che le mutate circostanze impongano a tutti gli Agenti di S.M. all’estero ed in particolar modo alla Signoria Vostra Illustrissima la maggior prudenza e riservatezza […] io non dubito che la Signoria Vostra Illustrissima, convinta della grave responsabilità cui andrebbe incontro con un diverso contegno, avrà già conformato le sue parole e la sua condotta alle intenzioni attuali del Governo di S.M.

Il compito di Astengo, conclude il dispaccio del ministro degli Esteri sardo, sarà prettamente quello d’istituto: proteggere il commercio e tutelare i privati interessi dei sudditi sardi residenti in Serbia. E null’altro113.
Inizia per il Regno Sardo una nuova fase di raccoglimento, di riflessione in attesa di nuovi sviluppi e di nuovi nulla osta sui progetti d’unificazione. C’è la questione del Reame borbonico a sud, quella dello Stato della Chiesa, il Veneto…
Tutti obiettivi che passano attraverso il placet di Francia, o della Gran Bretagna oppure dell’irrequieta Prussia, un altro “Piemonte” che si sta affermando in Europa.
Ma questo rallentamento della fase operativa non interrompe la politica balcanica attraverso l’opera dei nostri consoli. Soprattutto all’indomani di Villafranca e fino al 17 marzo 1861 si assiste a un acuirsi dell’interesse (e anche dell’inquietudine) piemontese verso l’evolversi della situazione politica in Serbia: un Paese che, forse anche per merito dell’esempio italiano, sta rapidamente raggiungendo un ulteriore grado sul cammino dell’emancipazione114.
Un esempio di ciò lo fornisce la vicenda della successione dinastica sul trono del Principato. Il 28 dicembre 1859 in una comunicazione al Gran Vizir, il governo serbo chiude la successione ereditaria per gli Obrenovi ; l’eliminazione dell’Hatt-i-sherif (editto) che limitava l’indipendenza del governo serbo negli affari interni del Paese; l’allontanamento della popolazione civile turca dalle fortezze; un coinvolgimento della Serbia nelle relazioni internazionali della Porta. In pratica, si tratta della prima grande rivendicazione di indipendenza.
Astengo, che continua ad essere molto irrequieto, descrive il clima successivo a questo dispaccio come assai prossimo a un’insurrezione antiottomana. Tuttavia Cavour, tornato alla guida del governo, non ha alcuna intenzione di assecondare il console circa una rivolta serba contro la Porta e chiede a Durando di intervenire per ridurre l’attrito tra Belgrado e Costantinopoli. Il 7 marzo 1860 il primo ministro sardo scrive al suo rappresentante presso la Porta, spiegando i motivi della sua prudenza:
Dans l’état actuel de l’Europe nous devon garder le plus grande réserve et ne pas engager prématurément notre action dans les graves complications qui peuvent naître en Orient.

E il consolato a Belgrado dovrà essere d’ora in poi un semplice luogo di osservazione, non una sorta di centrale di agenti segreti dall’entusiasmo potenzialmente dirompente115.
Vittima di questo nuovo corso sarà lo stesso Astengo, peraltro ormai entrato in crisi: non solo tutti i consoli, compresi gli ex alleati britannico e francese, hanno iniziato una campagna denigratoria contro di lui, reo di essere troppo nelle grazie del principe e di essere “commercialmente ingombrante”, ma anche il governo sardo inizia a dubitare del suo rappresentante116.
Francesco Fortunato Astengo viene quindi richiamato, il 9 novembre 1859, in un modo piuttosto brusco, da lui definito ingiusto e dannoso. La causa forse è legata alla vicenda degli imprecisati investimenti immobiliari disinvolti e ai presunti favori ottenuti da potenze straniere e dai loro rappresentanti: tutto ciò viene letto dal console come una trappola dell’Austria per incastrarlo.
In realtà egli viene richiamato anche per non aver saputo riferire a Torino anzitempo la nuova strategia rivendicativa del knez Miloš nei confronti della Porta e forse anche per il suo reiterato zelo cospirativo che poco si addiceva all’ennesimo low profile adottato dal governo sardo dopo Villafranca. Non a caso, e forse vi è una esplicita richiesta di Vienna in merito, il richiamo di Astengo è quasi contestuale all’apertura delle trattative di pace tra Piemonte e Austria, culminate con il trattato di Zurigo del 10-11 novembre.
Ad ogni modo, il secondo console sardo a Belgrado esce di scena con una spiccata vis polemica. Il suo incondizionato amore per la Serbia è contenuto nei passi finali del suo lungo, appassionato commiato:
Spetta poi alla storia il definire quanto grave sia la colpa dei pochi stranieri che vennero di tempo in tempo in questa terra promessa e che invece di arricchirsi aiutando la popolazione a conservare ed accrescere sviluppandole le ricchezze naturali fornitele da suo suolo, non fecero che sperperarle maggiormente e lasciarono, col trattare questa povera gente come se fossero barbari o bruti, esecranda memoria di se117.
Come poteva Astengo, intrattenere con tali consoli rapporti e collaborazioni di qualsiasi tipo?
Come infatti avrei mai potuto riuscire se coordinando alle loro le mie azioni non avrei fatto…che di parlare del Principe regnante qualificandolo come [sottolineato nell’originale – NdA] e dei Serbi in generale denigrandone la società? Come disprezzando una povera nazione, che per aver avuto la disgrazia di essere stata oppressa come la nostra, viene da questi signori qualificata di barbara e di indegna di godere dei privilegi ed agi che caratterizzano le nazioni civilizzate?

Il console passa dunque a difendere il vecchio knez, l’“eroe canuto” che guida il suo popolo, tenendo testa ai tanti partiti che lo compongono, con l’obiettivo, guarda caso, di «far libera la patria»; Miloš, che potrebbe «mettere in fuoco la Bosnia, l’Erzegovina, il Banato, il Montenegro e tutto ciò che è serbo di origine in Oriente», ma che invece è stato invitato proprio da Astengo alla moderazione e a respingere gli emissari bosniaci antiturchi ispirati da Vienna o da San Pietroburgo.
Allearsi con gli altri consoli contro Miloš e il suo popolo, significherebbe essere
indegno del nome d’Italiano, contribuendo con essi ad opprimere sempre maggiormente un popolo già troppo malmenato e che fa sforzi sovrani per preparare alla nazione serba quello che sta compiendo il Piemonte con l’Italiana.

Astengo conclude ricordando il suo obiettivo più importante, che è stato raggiunto:
Se il Piemonte era poco in Serbia conosciuto, ora è ammirato e benedetto da ogni ceto di persone, perfino dai bambini, giacché le madri insegnano loro ad amare il loro Principe ed il nostro, il loro Governo e l’illustre uomo di Stato che seppe dopo tanti anni di sofferenze far rivivere la causa italiana118.

Questo amore incondizionato per la terra che lo ospita vale al giovane console un commiato ben oltre l’ufficialità. Glielo riserva il generale serbo Jovan Dragaševi , docente all’Accademia militare e poeta, che gli dedica una poesia dal titolo in lingua italiana: Buon viaggio119.
Ha inizio così, immediatamente dopo la triste partenza di Astengo, la missione Durio, terza e ultima fase della presenza sarda a Belgrado. Nominato il 6 novembre 1858, Eugenio Durio (Novara, 18 dicembre 1825 – ca. 1875120), il consigliere di legazione al quale era stato preferito, l’anno precedente, Astengo, giunge a Belgrado il 26 febbraio 1860. Discendente da una nobile famiglia di Varallo, nel novarese, laureato in giurisprudenza, Durio è stato incaricato prima a Trieste (1845) e poi a Tolone (1847). Nel 1848 è trasferito a Marsiglia e l’anno successivo viene spostato a Costantinopoli. Dall’ottobre del 1855 all’aprile 1856 regge il consolato generale sardo presso la Sublime Porta e quindi è membro della commissione europea di organizzazione dei Principati danubiani dopo la guerra di Crimea. Nell’aprile 1859 è vice console di prima classe con patente di console a Galatz e come si è visto collabora con Astengo nel trasferimento delle armi per gli ungheresi.
Il nuovo console, che ha immediatamente incontrato le autorità ottomane (Osman Pascià) e serbe (i due Obrenovi ), e che è stato avvertito da Astengo circa la scarsa lealtà del resto del corpo consolare, si occuperà quasi esclusivamente della vertenza tra Belgrado e Costantinopoli sulla successione dinastica. Sin dall’inizio Durio dimostra di essere un diplomatico consumato, e non un outsider come il suo predecessore, e si astiene da qualsiasi giudizio emotivo sulla compagine serba121.
In una lunga lettera a Cavour, il nuovo console dimostra la grande conoscenza delle vicende balcaniche ma anche una certa diffidenza, rispetto agli entusiasmi dei suoi predecessori. Ritiene anzitutto che la questione dinastica rappresenti solo in parte il problema. Secondo il pratico diplomatico, la Serbia ha in primo luogo bisogno di una buona amministrazione interna; quindi di una vera e propria rivoluzione culturale che «rompa l’alto sonno nella testa alla sua razza agricola disavvezzandola dalla infingardaggine» e che, dall’altra parte
divelga nella mente dei suoi figli il troppo facile orgoglio del diritto di incedere armati, perché le armi diventano presto di peso a chi presto può non avere del pane.

E poi, da cavouriano convinto, Durio invoca infrastrutture, linee di comunicazione, modernizzazione. Un’«amministrazione provvida, vigilante». È necessario, in ultima analisi, un governo
che in una parola faccia cessare l’onta di un Belgrado che, posto al confluente di due fiumi navigabili, uno dei quali ha nome Danubio, presenta allo straniero che lo visita la tristissima impressione della inesplicabile privazione di ogni risorsa commerciale e industriale, l’aspetto di un cimitero di viventi.

Un ritratto spietato, assai diverso dall’incondizionato amore di un Cerruti e di un Astengo. Per Durio la Serbia preferisce anziché occuparsi di quelle vere emergenze, battersi con la Porta per cacciare gli ottomani dalle fortezze e garantire un futuro agli Obrenovi . Che, oltretutto, se ottenessero dal Sultano le garanzie dinastiche richieste, rischierebbero di trasformarsi senza una costituzione, in despoti dal potere «irresponsabile e assoluto»122.
Ma le raccomandazioni di Durio vengono disattese. Mentre una delegazione guidata da Mihajlo è in viaggio per Costantinopoli, la Gazzetta Ufficiale serba definisce in primis et ante omnia Mihajlo “principe ereditario”. Il console sardo esprime tutto il suo disappunto, citando i quattro Hatt-i-sheriff sultanali che in passato hanno regolato la questione del Principato di Serbia. Una decisione del genere, presa unilateralmente e senza la consultazione delle potenze garanti del trattato di Parigi, è “prematura”, “illogica”, “affatto illegale” e finanche “un atto di puerilità e di demenza”: a Parigi per Durio non sono stati fissati solo i diritti, ma anche i doveri della Serbia verso la Sublime Porta, a cominciare dal principio dell’eleggibilità del titolo di principe attraverso una sessione del Senato e non della ereditarietà, come vorrebbero gli Obrenovi . E tali doveri andrebbero rispettati, e non disattesi, con il rischio di un intervento congiunto delle Potenze garanti che pregiudicherebbe il cammino di Belgrado verso la più avanzata autonomia123.
Interessante è il giudizio di Tamborra, per il quale questo console, non a caso di formazione giuridica, dimostra grandi capacità ma anche una certa “dipendenza” dai freddi schemi dei trattati, a cominciare da quello di Parigi, che gli impediscono di comprendere in pieno la dinamicità della posizione serba124.
Questo diplomatico ci appare quindi come un solerte funzionario sabaudo, privo di quelle connotazioni mazziniane presenti nella formazione dei suoi predecessori. Non è nemico del popolo serbo, ma è privo delle passioni di Cerruti e Astengo. Di conseguenza nelle sue relazioni viene più volte sottolineato il trattamento non particolarmente amichevole che le autorità belgradesi gli riservano.
Da esperto di vicende balcaniche, segue con attenzione il complesso meccanismo della successione dinastica: Miloš è ormai prossimo alla morte e il governo di Torino deve prepararsi in tempo a trattare con il suo energico figlio Mihajlo. Non ha in simpatia gli Obrenovi , e non solo per la questione della successione. La casa regnante, secondo Durio, è spudoratamente filorussa (tanto quanto precedenti principi sono stati filo ottomani e filo occidentali), e il console – che nutre una cocente ostilità verso San Pietroburgo tanto quanto i suoi colleghi odiavano Vienna – non perde occasione per ribadire a Cavour che è stato l’allora console zarista a proporre alla Skup ina Miloš quale nuovo principe della Serbia: «questo fu il vero suffragio universale che anelano gli Obrenovi », scrive con malcelato disprezzo Durio nella ricostruzione storica dei rapporti serbo-russi. Il tutto per estendere il protettorato zarista su tutti i “cristiani d’oriente” e gettare le basi per una prossima insurrezione anti turca che coinvolga bulgari, bosniaci e, per l’appunto, serbi. E non certo per una generica solidarietà panslava, ma per una evidente smania imperialista125.
Solerte nelle analisi, Durio è formale come nessun suo predecessore, e incarna la volontà del giovane regno di Sardegna (in procinto di trasformarsi in Regno d’Italia) di inserirsi in pieno nel grande gioco diplomatico europeo e mondiale126. Soprattutto, la sua attività consolare rappresenterà un’occasione mancata: nel momento di massima necessità per il Regno Sardo di rafforzare un’alleanza con Belgrado, Durio – vittima forse anche della sua lunga frequentazione del Divano conduce una statica politica legalitaria (in termini di diritto internazionale) e persino filo ottomana: rispetto a Cerruti e Astengo, questo console instaurerà rapporti quotidiani con Osman Pascià e con le autorità ottomane, incurante del potenziale disappunto che tali palesi frequentazioni potrebbero suscitare tra i serbi.
Non a caso sarà Marcello Cerruti, temporaneamente segretario generale degli Affari Esteri a Torino, a inviare a Durio nell’aprile un telegramma dove lo si invita ad attenuare quello “zelo esagerato” a favore della Sublime Porta127: il vecchio primo console sardo non dimentica la sua passione pro serba e richiama all’ordine il suo dipendente, che è andato ben oltre le aspettative di Cavour. Si tratta di utilizzare i buoni rapporti con gli ottomani, ma per porsi come interlocutore di tutti.
L’occasione si avrà con i sanguinosi scontri tra serbi e turchi del 5 agosto 1860, che registrano lo sgozzamento di cinque musulmani bosniaci, indiretta conseguenza dei massacri compiuti nel luglio precedente dai drusi del Libano, con la complicità delle autorità turche, ai danni dei cristiano-maroniti128. Il console adopererà tutta la sua ottima conoscenza della lingua turca, la sua amicizia con Osman Pascià e i suoi cordiali (anche se non amichevoli) rapporti con le autorità serbe, per condurre – tra gli apprezzamenti dell’inerte corpo consolare a Belgrado una difficile mediazione129. Durio ha più di un sospetto sul fatto che a soffiare sul fuoco sia il solito console russo; anzi, il dubbio è che gli incidenti – solo in apparenza legati ai massacri in Libano – siano stati organizzati da agenti zaristi:
È quasi fuori di dubbio che i fatti della sera del 5 sono il risultato di istigazione straniera. C’è chi vuole ad ogni costo intervenire nella Turchia d’Europa, c’è chi spera [sottolineato nell’originale – NdA] che la notizia della uccisione di cinque turchi fortuitamente bosniaci, e del ferimento di altri diciotto turchi, anch’essi fortuitamente bosniaci avrà per effetto di far cadere i turchi della Bosnia sopra i cristiani della Bosnia, vi sarà un massacro colà al sopraggiungere della notizia sopradetta, e la porta dell’intervento sarà finalmente aperta130.

Ma il clima resta difficile, e l’estate sarà caldissima, con ulteriori incidenti tra serbi e turchi, in particolare nel villaggio di Ghabatz, e con una parte della classe politica serba (a cominciare dal presidente del senato e da alcuni prefetti locali) favorevole all’escalation della tensione. Durio, con l’aiuto del console britannico, si prodigherà per conciliare gli animi, non nascondendo una certa simpatia verso i musulmani.
Agli inizi di settembre la delegazione serba, dinanzi all’ennesimo parere negativo del Gran Vizir, abbandona le trattative con la Porta e torna a Belgrado, dichiarando che le richieste sono tramutate in diritti acquisiti per la Serbia: una decisione che l’acuto Durio aveva immaginato sin dall’inizio della lunga vertenza e che considera sbagliata e pericolosa.
Il 26 settembre 1860, dopo una lunga malattia, muore il vecchio principe Miloš, che negli ultimi tempi era stato colpito da una progressiva demenza senile131. Al suo posto, ascende al trono Mihajlo Obrenovi, che si dà il titolo di Mihajlo III: una successione dinastica accettata ob torto collo dalla Porta, come lo stesso Durio ha anticipato sin dal marzo precedente132.
Il nuovo principe, che ha ampliamente rinnovato la compagine governativa nominando tra l’altro un nuovo ministro degli Esteri (Filip Hristi ) e cambiando il vertice delle forze di polizia del Principato, non può non suscitare la simpatia di un severo fustigatore dei vizi e dei difetti dei serbi come Eugenio Durio. Mihajlo ha una buona formazione continentale (studi ad Heidelberg, anni d’esilio in Ungheria, moglie magiara, ottime amicizie a Parigi); non è un rozzo figlio di contadini, dispotico e reazionario come il padre: è liberale, moderno e modernizzatore; non è un vecchio satrapo provinciale, ma un giovane principe illuminato ed europeo. O almeno così sembra. Tuttavia, si tratta di una simpatia personale. Durio resta convinto che «gli Obrenovi in Serbia non saranno mai altro che i docili strumenti degli interessi politici russi in Oriente»133; e inoltre, last but not least, ecco apparire una compagnia fluviale di navigazione franco-serba, senza capitali piemontesi, fatto che fa naufragare – è il caso di dirlo! – il vecchio progetto di Astengo circa le penetrazione commerciale sarda nel Principato134.
Probabilmente è anche per cercare di contrastare queste tendenze, e suggellare una rinnovata amicizia con Belgrado in funzione antiaustriaca e in concorrenza con San Pietroburgo, che Cavour accetta una precedente richiesta di Kossuth circa l’invio di 50 mila fucili per una futura, ennesima insurrezione ungherese che inizialmente prevede persino lo sbarco di 20 mila garibaldini in Dalmazia, in appoggio dell’azione dei magiari135. Di questi fucili, diecimila saranno depositati in Serbia, con il nulla osta del principe Mihajlo e l’appoggio del consolato sardo136. Le armi, partite da Marsiglia come d’abitudine, su cinque navi, giungono in Serbia, dove si trova l’agente di Kossuth Ludwik Bystrzanowsky137. Ciò che non era stato concesso ai tempi di Miloš e di Astengo, ora sembra che si possa fare con Mihajlo e Durio138. Tuttavia, un’ulteriore spedizione, condotta con quella che Marcello Cerruti, coordinatore da Costantinopoli, descriverà come un’“innocenza tutta battesimale” (le casse delle armi riportano la scritta “Regio arsenale di Genova” e “Regio arsenale di Torino”) verrà bloccata dagli austriaci e dai russi, e rispedita ai porti di origine, scatenando una querelle internazionale tra Vienna, San Pietroburgo, Costantinopoli e Torino e costringendo Cerruti ad abbandonare la capitale ottomana139.
Con Mihajlo Obrenovi si inaugurerà una fase nuova, dirompente, della politica serba, proprio a ridosso della proclamazione del Regno d’Italia. Nella primavera del 1861, il nuovo principe invierà il vecchio Garašanin in missione a Vienna, Pest, Karlova e Novi Sad per suggellare una nuova e più solida alleanza tra serbi e magiari, in funzione anti austriaca.
Gli ungheresi infatti hanno in mente un ampio progetto di confederazione danubiana, come recita un appunto inviato a Durando nel 1862, che comprenda Ungheria, Transilvania, Romania, Croazia, Slavonia, Dalmazia e Serbia, e che si leghi al costituendo Stato italiano140. Ma forse si sta delineando un nuovo scenario, come scriverà in seguito Stefano Scovasso (Sarzana, 23 marzo 1816 – Calvas de Rainha, Portogallo, 4 ottobre 1887), dal 28 febbraio 1861 console sardo (per due settimane) e quindi italiano nel Principato141:
Il Principe Michele ha un’immensa ambizione e questa è divisa dai suoi Serbi, i quali aspirano non solo al possesso della Vojvodina, di parte del Banato e di tutti i paesi dell’Impero Austriaco abitato dai Serbi, ma altresì della Croazia, del Montenegro, della Slavonia, della Dalmazia, della Erzegovina, della Bosnia, di Novi Bazar, etc., perché si credono i predestinati a formare l’Impero Sudslavo142.

Dietro l’apparente solidarietà balcanico-danubiana, appare sempre più chiaramente la volontà del nuovo knez e futuro re di gettare le base per quella più grande Serbia ipotizzata dal Na ertanje di Garašanin e suggerita – attraverso i suoi consoli – da un Piemonte alla ricerca di una più grande Italia143.
Si conclude così l’esperienza consolare del Piemonte in Serbia. In modo assai diverso, i due fratelli Cerruti, Francesco Fortunato Astengo, Eugenio Durio e Stefano Scovasso, hanno contribuito a fare incontrare la futura Serbia con la futura Italia.
E soprattutto, con molte contraddizioni, qualche ingenuità, un po’ di confusione, ma anche smisurata generosità e altrettanto coraggio (tutti pregi e difetti caratterizzanti sia gli italiani sia i serbi), questi primi consoli hanno contribuito a trasformare due sogni indipendentisti in due giovani nazioni legate tra da una profonda amicizia che sarebbe perdurata nei decenni a seguire.









NOTE
1 G. Quazza, La politica danubiana e balcanica del regno Sardo nella crisi del 1849, in «Rassegna Storica del Risorgimento», 35 (1948), n. 2.^
2 A. Tamborra, La politica serba del Regno di Sardegna 1856-1861, in Ivi, 38 (1951), n. 1.^
3 S. Markus, La missione del console Marcello Cerruti nel 1849, in Ivi, anno 37 (1950), n. 1.^
4 L. Banjanin, Francesco Fortunato Astengo, console del Regno sardo a Belgrado, in «Studi Piemontesi», 28 (1999), n. 1.; Eadem, Il primo console del regno Sardo a Belgrado nel 1849, in Ivi, 32 (2003), n.1.^
5 P. Fornaro, Risorgimento italiano e questione ungherese (1849-1867). Marcello Cerruti e le intese politiche italo-magiare, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995.^
6 Non si può non ricordare qui il professor Stip evi , storico di fama internazionale e presidente dell’Accademia Serba delle Scienze e delle Arti, recentemente scomparso, il quale suggerì a chi scrive la presente ricerca. L’abstract di questo lavoro fu presentato dall’autore a Belgrado il 6 aprile 2011, in occasione del convegno internazionale “Italia-Serbia 1861”, organizzato dall’Ambasciata d’Italia a Belgrado, dall’Accademia Serba delle Scienze e delle Arti e dall’Istituto per la storia del risorgimento italiano di Roma.^
7 Tra numerosi lavori di Nikša Stip evi si ricorda Serbia e Italia nel XIX secolo, in «Quaderni Giuliani di Storia», 21 (2000), n. 1XXI; tra gli studi di L. Aleksi Pejkovi, Politika Italije prema Srbiji do 1870 godine (La politica dell’Italia nei confronti della Serbia fino al 1870), Narodna knjiga – Istorijski Institut, Beograd, 1979.^
8 La nomina di un incaricato d’affari a Costantinopoli può essere fatta risalire alla passione orientalista di Carlo Felice, sovrano di Sardegna dal 1821, che proprio verso la metà degli anni Venti inizia a dedicarsi alla raccolta dei reperti per il Museo Egizio di Torino; non va però dimenticato che esattamente nel 1825 ha luogo un attrito con il bey di Tunisia, alle dipendenze della Sublime Porta, per alcune inadempienze su accordi stipulati con Vittorio Emanuele I circa l’ereditarietà dei beni di cittadini piemontesi residenti a Tunisi. Nel settembre Torino invierà una flotta al largo di Tunisi, allo scopo di intimidire il Bey. Si tratta di un atto che impone a Torino la presenza di un incaricato presso il Sultano, per evitare di trasformare una scaramuccia in una crisi internazionale.^
9 A. Tamborra, cit., pp. 45-47.^
10 La più ampia, seppur datata e agiografica, opera sulla politica estera di Carlo Alberto, tuttavia, non fa menzione della politica balcanico-danubiana del sovrano piemontese. Cfr.: Francesco Lemmi, La politica estera di Carlo Alberto nei suoi primi anni di regno, Firenze, le Monnier, 1928.^
11 A. Tamborra, cit., p. 47 ^
12 Archivio di Stato di Torino (d’ora in poi AST), Regno di Sardegna, Consolati nazionali, Belgrado (23 marzo 1849 – 28 aprile 1850), Dispacci di Marcello Cerruti + allegati, n. 4.1, Bystrzanowsky a Gioberti, Belgrado, 5 gennaio 1849.^
13 P. Fornaro, cit., p. 35.^
14 L. Banjanin, Il primo console del regno Sardo a Belgrado nel 1849, cit., p. 145.^
15 P. Fornaro, cit., p. 43.^
16 P. Fornaro, cit., pp. 39-40; G. Quazza, cit., pp. 158-160.^
17 AST, cit., Dispacci di Marcello Cerruti + allegati, n..6, Monti a Chiodo, Belgrado, 26 febbraio 1849.^
18 L. Banjanin, Il primo console del regno Sardo a Belgrado nel 1849, cit., p. 146.^
19 Nell’agosto 1849, dinanzi alla rotta dell’armata di Kossuth e Klapka, Monti si rifugerà in Serbia per evitare un arresto da parte delle autorità asburgiche, che probabilmente si sarebbe tramutato in una condanna al patibolo per diserzione e alto tradimento (AST, Regno di Sardegna, cit., Marcello Cerruti a D’Azeglio, Belgrado, 24 agosto 1849).^
20 Senato della Repubblica, Archivio Storico, Senatori dell’Italia liberale, Scheda Cerruti Marcello, in www.senato.it.^
21 Dizionario biografico degli italiani, vol. 24, Enciclopedia italiana, Roma, Società grafica romana, 1980, p. 39.^
22 Ivi, p. 40.^
23 Il “Divano” (Dîvân-i humâyûn) era il luogo dove si riuniva il Consiglio imperiale ottomano e dove il Sultano (e in seguito il Gran Vizir) riceveva gli ambasciatori e i ministri plenipotenziari.^
24 AST, cit., n. 48, Marcello Cerruti al Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri, Belgrado, 13 luglio 1849.^
25 L. Banjanin, Il primo console del regno Sardo a Belgrado nel 1849, cit., p. 147.^
26 Ibidem.^
27 A. Tamborra, cit., p. 56.^
28 AST, cit., n. 27, Marcello Cerruti a Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri, Belgrado, 18 maggio 1849.^
29 Ivi, n. 7, Marcello Cerruti a Gioberti, Belgrado, 23 marzo 1849. La carica di ministro degli Affari esteri del principato era, di fatto, equivalente a quella di Primo ministro.^
30 AST, cit., n. 14, Marcello Cerruti al Ministro degli Affari Esteri, Belgrado, 6 aprile 1849. Scrive Cerruti: «Io sono stato qui accolto con simpatia da tutte le autorità dei Serbi»: le “tendenze” della classe politica e dell’opinione pubblica locale, aggiunge il console, sono tutte «in nostro favore». In una successiva relazione al nuovo Presidente del Consiglio piemontese Massimo d’Azeglio specificherà meglio il clima di accoglienza: «Vi trovai presso i Ministri e presso il Principe stesso la più cordiale accoglienza […] Mi son male espresso, volevo dire la più brillante, perché le cose che vengono dal cuore durano sempre e non sono soggette alle alternate mutazioni dei tempi». Ivi, n. 48, Marcello Cerruti al Presidente del Consiglio, Belgrado, 13 luglio 1849.^
31 Nata a Torino il 4 marzo 1849, la Società, diretta emanazione del Ministero degli Esteri sabaudo, agisce «perché si stringano fra slavi e magiari quelle stesse amichevoli relazioni che esistono fra magiari e italiani e fra entrambe quelle nazioni e la Polonia». S. Markus, cit., p. 293.^
32 AST, cit., n. 21, Marcello Cerruti a De Launay, Belgrado, 3 maggio 1849.^
33 Ivi, n. 18, Marcello Cerruti al Ministero degli Affari Esteri, Belgrado, 14 aprile 1849.^
34 Ivi, n. 19, Marcello Cerruti al ministro degli Affari Esteri, Belgrado, 20 aprile 1849.^
35 Ibidem.^
36 Ivi, n. 32, Marcello Cerruti al Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri, Belgrado, 25 maggio 1849. Per Cerruti, nella Vojvodina ungherese non c’è alcun problema per i serbi, i quali potrebbero tornare ed essere accolti dalle nuove autorità senza alcun rischio. A suffragio di questa posizione, il console allega al suo dispaccio una lettera del generale comandante ungherese di Novi Sad, il quale ribadisce l’assenza di una questione etnica nella lotta per l’indipendenza magiara: «I magiari scrive Cerruti hanno subito proclamato la libertà di commercio sulla riva sinistra del Danubio, proclamato l’abolizione delle Dogane pel commercio con l’altra sponda, garantito la libertà dei culti, ed estesa la costituzione ungara a tutte le razze». Cit. in ibidem.^
37 G. Guazza, cit., p. 156. Da notare che l’arcivescovo dichiara al conte Bystrzanowsky che l’azione antiungherese non pregiudica i rapporti tra serbi e Regno sardo. Ibidem.^
38 P. Fornaro, cit., p. 46, nota 62.^
39 AST, cit., n. 48, Marcello Cerruti al Presidente del Consiglio, Belgrado, 13 luglio 1849.^
40 Sono: Vincenzo Gioberti (dimessosi in 21 febbraio), Agostino Chiodo (21 febbraio-27 marzo); Claudio Gabriele de Launay (27 marzo-7 maggio) e Massimo D’Azeglio (nominato il 7 maggio).^
41 AST, cit., n. 48, Marcello Cerruti al Presidente del Consiglio, Belgrado, 13 luglio 1849.^
42 Ivi, n. 14, Marcello Cerruti al Ministero degli Affari Esteri, Belgrado, 6 aprile 1849.^
43 L. Banjanin, Il primo console del regno Sardo a Belgrado nel 1849, cit., p. 149. «I dispacci e le notizie che Cerruti invia a Torino dopo gli avvenimenti di Novara perdono la quasi ossessiva intenzione del firmatario di essere molto attivo, all’altezza della missione, sempre con alto senso del dovere. Il loro tono diventa più vicino all’uomo comune, anche se egli non cessa di sentirsi il rappresentante del Re di Sardegna». Cit. in ivi, p. 152.^
44 P. Fornaro, cit., p. 45.^
45 S. Markus, cit., p. 294.^
46 L. Banjanin, Il primo console del regno Sardo a Belgrado nel 1849, cit., p. 149.^
47 AST, cit., n. 48, Marcello Cerruti al Presidente del Consiglio, Belgrado, 13 luglio 1849.^
48 Ivi, n. 27, Marcello Cerruti al Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri, Belgrado, 18 maggio 1849.^
49 Ivi, n. 48, Marcello Cerruti al Presidente del Consiglio, Belgrado, 13 luglio 1849.^
50 Ibidem, Marcello Cerruti al Presidente del Consiglio, Belgrado, 13 luglio 1849. Allo scopo di evitare le intercettazioni austriache, tutti i dispacci e le relazioni inviate dal console a Torino vengono infatti inviate in originale ad amici fidati residenti nella capitale del Regno Sardo e da costoro poi consegnate al Ministero. Per ulteriore sicurezza quasi tutta questa corrispondenza viene anche inviata in copia presso indirizzi compiacenti di Genova e Parigi.^
51 A. Tamborra, cit., pp. 50-51.^
52 AST, cit., n. 48, Marcello Cerruti al Presidente del Consiglio, Belgrado, 13 luglio 1849.^
53 Hassan Pascià morirà nel gennaio 1850, in seguito a una lunga malattia, e verrà ricordato dal successore di Marcello, Luigi Cerruti, il quale sottolineerà il carattere mite e la simpatia che il governatore ottomano ha riscosso non solo tra i membri del corpo consolare ma anche tra gli stessi serbi [AST, cit., Belgrado (novembre 1849-marzo 1850), Dispacci di Luigi Cerruti, n. 109, Luigi Cerruti a D’Azeglio, Belgrado, 30 gennaio 1850].^
54 AST, cit., Dispacci di Marcello Cerruti + allegati, n. 48, Marcello Cerruti al Presidente del Consiglio, Belgrado, 13 luglio 1849.^
55 L. Banjanin, Il primo console del regno Sardo a Belgrado nel 1849, cit., p. 150.^
56 AST, cit., n. 48, Marcello Cerruti al Presidente del Consiglio, Belgrado, 13 luglio 1849.^
57 L. Banjanin, Il primo console del regno Sardo a Belgrado nel 1849, cit., p. 150. Tra gli episodi citati dalla ricercatrice torinese, ricordiamo un premio che Cerruti vuole dare agli allievi di una scuola elementare di Belgrado; oppure quando rinuncia a una messa cattolica in suffragio del generale Perrone, morto nella battaglia di Novara, per non irritare gli ortodossi; o anche quando riduce al minimo i rapporti con il già citato governatore Hassan Pascià.^
58 P. Fornaro, cit., p. 57.^
59 Dizionario biografico degli italiani, cit., p. 40.^
60 AST, cit., n. 74, Marcello Cerruti a D’Azeglio, Belgrado, 11 settembre 1849.^
61 Ivi, n. 79, Marcello Cerruti a D’Azeglio, Belgrado, 6 ottobre 1849.^
62 L. Banjanin, Il primo console del regno Sardo a Belgrado nel 1849, cit., p. 153.^
63 AST, cit., Marcello Cerruti al conte de Launay, Ministro degli Affari esteri,, Belgrado, 3 maggio 1849. Anche dal punto di vista finanziario, la proverbiale, scarsa attenzione di Torino verso i finanziamenti ai propri uffici consolari raggiungerà con il consolato di Belgrado livelli notevoli.^
64 AST, ivi, Dispacci di Luigi Cerruti, n. 86, Luigi Cerruti a D’Azeglio, 10 novembre 1849.^
65 Ivi, n. 101, Luigi Cerruti a D’Azeglio, Belgrado, 27 gennaio 1850. Il documento verrà tradotto dalla “Società amici degli Slavi”.^
66 Ivi, n. 102, Luigi Cerruti a D’Azeglio, Belgrado, 30 gennaio 1850.^
67 S. Markus, cit., p. 302.^
68 AST, cit., n. 108, Luigi Cerruti a D’Azeglio, Belgrado, 14 marzo 1850. Per questo motivo il console de Fontblanque, che gestirà il consolato italiano fino al 1852, riceverà da Torino l’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Il consolato italiano sarà in seguito gestito fino al 1859 dal console francese Desepart, che riceverà anch’egli l’alta onorificenza sabauda per i servigi resi al Regno Sardo. Cfr. Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri italiano (d’ora in poi: ASMAE), Moscati I, Segreteria e Ministero degli Affari Esteri del Regno di Sardegna, Affari politici vari (1815-1861), Busta 116, Fasc. “Documenti vari 1859-1861”, Stf. “Missione Astengo”, Astengo a Cavour, Belgrado, 29 marzo 1858 [recte. 1859]).^
69 L. Banjanin, Il primo console del regno Sardo a Belgrado nel 1849, cit., p. 153. Marcello Cerruti è stato un grande diplomatico: dopo Belgrado sarà commissario del re presso il Parlamento, e nel 1851 avrà il compito di redigere un progetto di Codice consolare; sarà poi incaricato in Brasile, in Uruguay, in Argentina, al Plata, nel Paraguay, quindi ministro residente a Costantinopoli, inviato straordinario in Persia (1861), segretario generale del ministero degli Affari esteri (1863), ministro a Berna (1867), Washington (1868) e Madrid (1869); collocato a riposo con il grado di ministro plenipotenziario di prima classe (7 dicembre 1870) sarà nominato senatore del Regno (Università degli Studi di Lecce, La formazione della diplomazia nazionale 1861-1915, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1987, pp. 179-180). Anche Luigi proseguirà la carriera: sarà trasferito al Cairo (1850), a Tripoli e poi a Beirut (1851), a Parigi (1852). Nel 1865 diventerà console di prima classe e nel 1876 verrà trasferito a Nizza, dove morirà nel 1883, in pieno servizio (Ivi, p. 178).^
70 AST, Regno di Sardegna, Consolati nazionali, 1851 Belgrado, Dispacci del conte di Fontblanque, De Fontbanque a D’Azeglio, Belgrado, 17 agosto 1850.^
71 S. Markus, cit., p. 303.^
72 AST, cit., De Fontbalnque a D’Azeglio, Belgrado, 22 maggio 1851.^
73 A. Tamborra, cit., p. 49.^
74 ASMAE, Moscati I, Segreteria Regno di Sardegna, Personale del Ministero e carriere indipendenti, incartamenti individuali, Busta 142, Fasc. A-B, Carte Astengo, Stato informativo.^
75 ASMAE, Moscati I, Segreteria e Ministero degli Affari Esteri del Regno di Sardegna, Affari politici vari (1815-1861), Busta 116, fasc. Affari di Ungheria 1848-1861, Klapka a Cavour, Parigi, 19 febbraio 1859.^
76 P. Fornaro, cit., p. 131, nota 62.^
77 ASMAE, cit., fasc. Documenti vari 1859-1861, stf. Missione Astengo, Astengo a Cavour, marzo 1859 (senza giorno).^
78 ASMAE, cit., Affari politici vari (1815-1861), Busta 116, Fasc. Documenti vari 1859-1861, Stf. Missione Astengo, Instruction pour le Consul Sarde à Belgrade, senza autore, senza data.^
79 Ivi, Astengo a Cavour, marzo 1859 (senza giorno). Tra l’altro, Astengo è spinto ad aiutare la causa magiara anche per un fatto personale: nel 1848, durante la guerra all’Austria, un anonimo militare ungherese gli ha salvato la vita (Ibidem).^
80 AST, Regno di Sardegna, Consolati nazionali, 1859 Belgrado, “Dispacci del Console Reggente Astengo + allegati”, n. 1, Astengo al Ministro degli Affari esteri, Belgrado, 29 marzo 1859.^
81 ASMAE, Moscati I, Segreteria e Ministero degli Affari Esteri del Regno di Sardegna, Affari politici vari (1815-1861), Busta 116, Fascicolo “Documenti vari 1859-1861”, Sottofascicolo “Missione Astengo”, Astengo a Cavour, Belgrado, 29 marzo 1858 [recte. 1859].^
82 Ibidem.^
83 Ivi, Guerre nazionale en Hongrie (relazione, senza autore).^
84 Ivi, Stf. Missione Astengo, Astengo a Cavour, Belgrado, 29 marzo 1858 [recte. 1859].^
85 Ibidem.^
86 Ibidem.^
87 L. Banjanin, Francesco Fortunato Astengo, console del Regno sardo a Belgrado, cit., p. 184. Dello sgarbo austriaco Astengo è molto colpito, come testimoniano numerose lettere al suo governo.^
88 Vedi nota 67.^
89 AST, Regno di Sardegna, Consolati nazionali, 1859 Belgrado, Dispacci del Console Reggente Astengo + allegati, n.4, Astengo al Ministro degli Affari Esteri, 10 aprile 1859.^
90 Ivi. n. 4, Astengo al Ministro degli Affari Esteri, Belgrado, 10 aprile 1859, annesso cifrato alla lettera.^
91 ASMAE, Moscati I, Segreteria e Ministero degli Affari Esteri del Regno di Sardegna, Affari politici vari (1815-1861), Busta 116, Fascicolo “Documenti vari 1859-1861”, Sottofascicolo “Missione Astengo”, Astengo a Cavour, Belgrado, 29 marzo 1858 [recte. 1859].^
92 AST, Regno di Sardegna, Consolati nazionali, 1859 Belgrado, “Dispacci del Console Reggente Astengo + allegati”, n. 6,, Astengo al Ministro degfli Affari Esteri, 1°maggio 1859^
93 Ivi, n. 3, Astengo al al Ministro degli Affari Esteri,, 1° aprile 1859, annesso cifrato alla lettera.^
94 Ivi, n. 6, Astengo al Ministro degli Affari Esteri,, 1° maggio 1859, annesso cifrato alla lettera.^
95 L. Banjanin, Francesco Fortunato Astengo, console del Regno sardo a Belgrado, cit., p. 184.^
96 AST, cit., n. 19, Astengo al Ministro degli Affari Esteri, 25 dicembre 1859.^
97 ASMAE, cit., Stf. Missione Astengo, Cavour ad Astengo, Torino, 20 aprile 1859.^
98 Ivi, Stf. Missione Astengo, n. 1, Astengo a Cavour, Belgrado, 29 marzo 1858 [recte. 1859].^
99 Astengo è costretto a scrivere in cifra e addirittura usando il succo di limone come inchiostro per evitare di rivelare notizie riservate al nemico.^
100 ASMAE, cit., n. 16, Astengo a Cavour, Belgrado, 15 dicembre 1859.^
101 Ivi, Moscati I, Segreteria Regno di Sardegna, Personale del Ministero e carriere indipendenti, incartamenti individuali, Busta 142, Fascicolo A-B, Carte Astengo, Il Ministero degli Esteri ad Astengo, Torino, 25 maggio 1859.^
102 Ivi, Moscati I, Busta 117, Archivio del R. Consolato a Marsiglia, 1859, Invio delle armi a Galatz, Benzi al console a Marsiglia, Genova, 28 maggio 1859.^
103 Ivi, Bulletin d’embarquement,18 e 22 giugno 1859.^
104 Ivi, Busta 117, Archivio del Consolato a Marsiglia, 1859, Invio delle armi a Galatz, Benzi al console a Marsiglia, 30 agosto 1859.^
105 AST, cit., Consolati nazionali, 1859 Belgrado, “Dispacci del Console Reggente Astengo + allegati”, n. 7, Astengo al al Ministro degli Affari Esteri,, 15 maggio 1859, annesso cifrato alla lettera.^
106 ASMAE, cit., Stf. Missione Astengo, Astengo a Cavour, Belgrado, 23 giugno 1859.^
107 P. Fornaro, cit., p. 131, n. 62.^
108 ASMAE, Moscati I, Regno di Sardegna, Busta 250, Fasc. 1831-1861 Rapporti consoli sardi all’estero”, Busta 250, stf. Consolato in Belgrado 1859-1861, Astengo a Dabormida, Belgrado, 15 luglio 1859.^
109 A. Tamborra, cit., p. 55.^
110 ASMAE, cit., Astengo a Dabormida, Belgrado, 20 luglio 1859.^
111 A. Tamborra, cit., p. 56.^
112 Ibidem.^
113 ASMAE, Moscati I, Segreteria Regno di Sardegna, Personale del Ministero e carriere indipendenti, incartamenti individuali, Busta 142, Fasc. A-B, Stf. Astengo Francesco, Dabormida ad Astengo, Torino, 24 agosto 1859.^
114 A. Tamborra, cit., pp. 57-58.^
115 A. Tamborra, cit., p. 64.^
116 AST, cit., “Dispacci del Console Reggente Astengo + allegati”, n. 19, Astengo al Ministro degli Affari Esteri, 15 dicembre 1859. Questa relazione di Astengo, una delle ultime, di ben venti pagine, dopo una prima parte dedicata appunto al richiamo in patria, si dedica a un’attenta, acuta e intelligente analisi socio-economica della Serbia della metà del XIX secolo ed è indiscutibilmente uno straordinario documento per conosce quella realtà.^
117 Ibidem^
118 Ivi, Astengo al Ministro degli Affari Esteri, 15 dicembre 1859. Astengo proseguirà la carriera: richiamato al ministero verrà inviato con incarichi speciali a Napoli (15 luglio 1860, nel pieno della crisi garibaldina con il Regno delle Due Sicilie); sarà poi trasferito a Malta (1861), a Rio de Janeiro (1862) e a Buenos Aires (1864), con le patenti di console generale. Morirà in servizio, nel 1868, a soli trentasette anni (Università degli Studi di Lecce, cit. pp. 32-33).^
119 L. Banjanin, Francesco Fortunato Astengo, console del Regno sardo a Belgrado, cit., p. 186.^
120 Non ci sono date certe sulla data della sua morte.^
121 ASMAE, Moscati I, Regno di Sardegna, Busta 250, Fasc. 1831-1861 Rapporti consoli sardi all’estero, stf. Consolato in Belgrado 1859-1861, n. 5, Durio a Cavour, Belgrado, 9 marzo 1860.^
122 Ivi, n. 7, Durio a Cavour, Belgrado, 28 marzo 1860.^
123 Ivi, n. 11, Durio a Cavour, Belgrado, 9 aprile 1860.^
124 A. Tamborra, cit., p. 66.^
125 ASMAE, cit., n. 22, Durio a Cavour, Belgrado, 30 giugno 1860.^
126 A. Tamborra, cit, p. 66. Tra i tanti episodi ricordiamo la vibrata protesta inviata direttamente al Divano per le mancate salve per il compleanno di Vittorio Emanuele (ASMAE, cit., n. 19, Durio a Cavour, Belgrado, 23 maggio 1860); in un altro episodio, Durio redarguisce il ministro degli Esteri serbo per aver fatto trascorrere ben otto giorni prima di ricambiare una visita effettuata dal console (Ivi, n. 6, Durio a Cavour, Belgrado, 11 marzo 1860). Nei dispacci seguenti, più volte Durio elencherà gli atteggiamenti ben poco formali di questo esponente politico belgradese.^
127 A Tamborra, cit., p. 66.^
128 ASMAE, cit., n. 25, Durio a Cavour, Belgrado, 28 luglio 1860.^
129 Ivi, n. 27, Durio a Cavour, Belgrado, 7 agosto 1860. Durio deplorerà il fatto, affermando tra l’altro che l’assassinio è deplorabile prescindendo dalle religioni, dalle etnie e dalle latitudini (Ivi. n. 28, Durio a Cavour, Belgrado, 9 agosto 1860).^
130 Ivi, n. 29, Durio a Cavour, Belgrado, 17 agosto 1860.^
131 Già Astengo nota nel luglio 1859 del comportamento del vecchio principe, ormai avvezzo a “eccentricità deplorevoli” (Ivi, Astengo a Dabormida, 20 luglio 1859).^
132 Ivi, n. 6, Durio a Cavour, Belgrado, 11 marzo 1860.^
133 Ivi, n. 52, Durio a Cavour, Belgrado, 15 dicembre 1860.^
134 Ivi, n. 49, Durio a Cavour, Belgrado, 1° ottobre 1860.^
135 P. Fornaro, cit., pp. 136-137.^
136 ASMAE, Moscati I, Segreteria e Ministero degli Affari Esteri del Regno di Sardegna, Affari politici vari (1815-1861), Busta 116, Documenti vari 1859-1861, Nota ungherese, 8 settembre 1860. La nota, sulla quale Cavour appunta che il governo ha dato l’autorizzazione all’invio delle armi, prosegue con un ampio progetto di insurrezioni antiaustriache in Dalmazia (con la partecipazione della componente etnica italiana) e in Croazia.^
137 Ivi, Jean Ludwik [Bystrzanowsky] au Prèsident du Comité national hungrois, ancien Gouverneur de Hongrie, “Rapport sur l’état des choses en Servie et en Croatie”, Bruxelles, 26 gennaio 1861.^
138 La richiesta iniziale di Kossuth comprendeva anche due batterie di cannoni e dalle due alle tremila SABRES (Ivi, Lettera di Kossuth a Cavour, 12 settembre 1860).^
139 P. Fornaro, cit., p. 139 e nota 77. Cerruti è costretto a coprire con vernice bianca le scritte sulle casse, in una situazione ai limiti del grottesco.^
140 ASMAE, cit., Stf. Avvenimenti del 1859, Gy rgy Klapka, “Programme d’une Confédération du Da nube”, 15 aprile 1862.^
141 Eugenio Durio sarà trasferito a Scutari nel dicembre 1861; quindi resterà per sette anni a disposizione del ministero, poi verrà inviato come console generale a Sarajevo (1868) e quindi a Rustciuk (1873). Per motivi di salute viene collocato a riposo nel 1875 con il grado di console generale di seconda classe (Università degli Studi di Lecce, cit., pp. 304-305).^
142 Il console a Belgrado, Scovasso, al Presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Ricasoli, R. 2, Belgrado, 16 ottobre 1861, in Ministero degli Affari Esteri, I documenti diplomatici italiani, Prima serie, 1861-1870, vol.I (8 gennaio – 31 dicembre 1861), La Libreria di Stato, Roma, 1952, doc. 347, p. 422. Le relazioni di Scovasso nel suo lungo mandato consolare (1861-1868), oltre a testimoniare l’evolversi dei rapporti tra il Regno d’Italia e il Principato di Serbia, sono ricche di informazioni e di conseguenza rappresentano una fonte straordinaria per conoscere la realtà politica serba negli anni precedenti le grandi crisi degli anni Settanta del XIX secolo (Nikša Stip evi , cit., p. 9). I rapporti tra il nuovo Stato italiano e il futuro regno balcanico si rafforzeranno con il conte Luigi Joannini Ceva di San Michele. Costui, nuovo console a Belgrado, insieme a Icillo della Bona, già volontario garibaldino nelle guerre serbo-turche del 1876-78, fonderà il 16 ottobre 1876 la loggia massonica italo-serba “Luce dei Balcani”, sostenuta con entusiasmo dal Gran Maestro Giuseppe Garibaldi (Velimir-Bata Žugi , I Garibaldini e la fondazione della prima Loggia in Serbia, in: “Hiram”, n. 3/2011, p. 85).^
143 Non a caso l’agente ungherese a Belgrado, il già citato conte Ludwik Bystrzanowsky, lamenterà in seguito che una parte delle forniture franco-sarde destinate agli ungheresi e depositate temporaneamente lungo il Danubio serbo sono state incamerate dal governo del principe (ASMAE, cit., Busta 116, Fasc. Documenti vari 1859-1861, Stf.Avvenimenti del 1859, Gy rgy Klapka, Programme d’une Confédération du Danube, 15 aprile 1862).^
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