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Thomas Paine tra filologia e storiografia
di Maurizio Griffo
1. Per quasi tutti i padri fondatori della repubblica americana disponiamo di un’edizione critica delle opere. Spesso si tratta di vere e proprie imprese editoriali, frutto di un lavoro di équipe e programmate su decine di anni; collezioni che raccolgono, oltre agli scritti, la corrispondenza, gli inediti e molto altro materiale documentario. In questo panorama pressoché omogeneo (da Washington a Jefferson, a Madison, ad Hamilton, ad Adams), la più notevole eccezione è costituita da Thomas Paine, della cui produzione letteraria non esiste, a tutt’oggi, un’edizione esaustiva e criticamente impostata. Si tratta di un ritardo che va attribuito alla controversa fortuna della sua opera in America. A sua volta, tale esito critico va riportato anzitutto a un elemento emotivo e caratteriale. Come è stato giustamente sottolineato, Paine aveva «l’aria di un permanente outsider»1. Per intendere questa sua attitudine saranno sufficienti alcuni cenni biografici. Nato e cresciuto in Inghilterra da una famiglia di condizioni modeste, dopo una giovinezza e una prima maturità oscure, Paine emigra in America nel 1774 all’età di 37 anni. Un improvviso mutamento di status avviene all’inizio del 1776, quando si afferma come uno dei più brillanti propagandisti della causa americana. Tuttavia, nonostante la notorietà raggiunta come scrittore politico e le strette relazioni che intrattiene con alcuni dei leader più in vista (Franklin, Washington), Paine non riesce a inserirsi in modo organico nella classe dirigente della nuova repubblica, rimanendo sostanzialmente un isolato. In questa difficoltà pesano certo le attitudini caratteriali, ma conta anche il diverso retroterra sociale da cui proviene2. Irrequieto e scontento, Paine torna in Europa nel 1787 e vi rimane per oltre un quindicennio. La situazione non migliora quando nel 1802, dopo molte traversie (compreso un anno quasi di carcere in Francia durante il Terrore), rientra nella sua patria di adozione. Infatti, pur godendo della stima dei dirigenti del partito repubblicano (a cominciare dal presidente Jefferson), le sue prese di posizione su temi delicati (deismo militante e polemica anticristiana; durissimi attacchi a Washington colpevole, a suo avviso, di non averlo soccorso durante la prigionia) lo confinano in una posizione marginale. Ancora di più, questi atteggiamenti influiscono sulla risonanza della sua opera. In America, nel corso del XIX secolo, gli scritti di Paine circolano soprattutto in ambienti che possiamo definire marginali, come quelli legati al razionalismo religioso. Bisognerà attendere gli anni Trenta del secolo scorso perché la sua figura cominci a essere rivalutata. Una rivalutazione che si conferma con il passare del tempo e che trova un suo primo significativo punto di arrivo nel 1945, con la elezione di Paine nella “Hall of Fame for Great Americans”3.
Sotto il profilo strettamente editoriale, però, se i suoi scritti principali sono continuamente ristampati, l’edizione più comprensiva è ancora quella dei Complete Writings curati nel 1945 da Philip S. Foner4. Nei parecchi decenniì trascorsi da allora sono venuti alla luce diversi interventi mai raccolti e anche alcune lettere inedite. Certo, nel 1995 la pubblicazione delle sue opere più importanti in un’edizione filologicamente curata, nella prestigiosa serie della Library of America, ha sancito in modo definitivo la riconsacrazione di Paine, inserendolo a pieno titolo nel canone della cultura statunitense5. Pure, si è ancora in attesa di un’edizione più ampia degli scritti painiani che, non solo raccolga quanto è stato pubblicato sparsamente in varie sedi, ma compia un’esplorazione sistematica degli archivi e dei giornali dell’epoca6.
Pertanto, non si può che salutare con favore la recente pubblicazione di una silloge di scritti mai prima raccolti, curata da Hazel Burgess7. Gli interventi coprono un arco di tempo di circa un trentennio, dal dicembre 1778, nel pieno cioè della guerra d’indipendenza, al giugno del 1806, tre anni prima della scomparsa. Essi si possono suddividere in due categorie: da un lato parecchie lettere, dall’altro alcuni articoli e anche qualche pamphlet di più ampia consistenza.
Da un punto di vista documentario la parte più interessante della raccolta (anche considerando che Paine non era un corrispondente particolarmente assiduo) sono le numerose lettere inedite (all’incirca una ventina), che consentono di illustrare in modo più compiuto vari episodi e circostanze della sua vita. Assai utile per indagare il metodo di lavoro painiano risulta anche la ripubblicazione di un pamphlet stampato nel 1801, intitolato Maritime Compact. In quella stagione, caratterizzata dalle guerre napoleoniche, Paine aveva elaborato, in chiave antinglese, la proposta di una lega fra gli stati che avrebbe dovuto garantire la piena libertà di commercio anche durante i conflitti. Il testo riprodotto in questo volume è una bozza intermedia tra il primo draft del patto marittimo e la stesura definitiva, che erano già noti agli studiosi. Confrontando le tre redazioni si può seguire il processo di messa a punto della intuizione iniziale attraverso un perfezionamento progressivo della proposta 8.
Fin qui, insomma, il lavoro della Burgess si segnala come meritorio perché mette a disposizione degli studiosi degli interessanti inediti. Le dolenti note cominciano invece con alcuni articoli e pamphlets pubblicati tra il 1789 ed il 1795. In questo caso, e si tratta di un insieme di scritti che copre quasi la metà del volume, la curatrice ha proceduto con criteri di attribuzione che più che larghi possiamo definire decisamente arbitrari9.
Vediamo di spiegare perché. La Burgess afferma di aver accertato la paternità degli interventi basandosi su elementi intrinseci ed estrinseci. Il principale argomento estrinseco è il fatto che gli scritti attribuiti siano contraddistinti dallo pseudonimo di Common Sense. Com’è noto, questa locuzione del linguaggio corrente (che si può rendere come “senso comune” o “buon senso”) non è solo il titolo del primo pamphlet pubblicato dal Paine nel 1776, ma venne da lui usata come nom de plume per firmare molti dei suoi lavori successivi. Tuttavia il ritrovare questa sigla in altri pamphlets non comporta necessariamente una indubbia attribuzione autoriale. Nessuno vietava, peraltro in un’epoca in cui la proprietà letteraria non era regolata, l’uso di uno pseudonimo, che è anche un’espressione della lingua quotidiana; e questo non in America, dove Paine era conosciuto sotto quell’appellativo, ma in Inghilterra. D’altra parte, vale la pena notare che per i due più cospicui opuscoli l’espressione “Common sense” è inserita nel titolo a sottolineare un richiamo al buon senso; inoltre, nel caso dello scritto più esteso, la dizione è accompagnata dall’aggettivo “british”, facendo riferimento in maniera ancora più decisa al significato corrente dell’espressione.
Gli argomenti intrinseci sarebbero una evidente continuità tematica e stilistica con altri scritti di Paine, ma la Burgess non offre a tal proposito significativi ragguagli, bensì solo indicazioni sommarie. Anzi, nel caso dell’opuscolo più corposo, non si perita di sottolineare che il pamphlet è «scritto in uno stile abbastanza sconnesso e confuso»10; un’osservazione che dovrebbe invitare a una grande cautela nell’attribuzione se si pensa che gli scritti di Paine si contraddistinguono di solito per la chiarezza dell’esposizione e il vigore dello stile, diretto e immediato.
Peraltro, basta approfondire appena un poco l’analisi per rendersi conto di come la paternità painiana dei pamphlets risulti scarsamente plausibile. Il primo dei tre opuscoli, pur risultando fortemente critico verso la monarchia, si colloca in un ambito di riforma parlamentare11. Un approccio che è assai distante dalla denuncia dei mali del governo monarchico ereditario che Paine ha sempre svolto. Inoltre, sul piano economico avanza proposte di sapore autarchico e protezionistico, molto distanti dal liberoscambismo che ha contraddistinto in modo costante le posizioni painiane12.
Nel secondo pamphlet (che è assai meno critico verso la monarchia di quanto non sia il precedente) e anche nel terzo si parla più volte della costituzione inglese13, mentre Paine ha sempre sostenuto che l’Inghilterra non ha una costituzione, rifiutandosi con puntiglio di fare riferimento agli assetti di potere esistenti nella sua patria di origine con il termine “costituzione”. È questo un motivo che è svolto con vigore proprio nelle due parti dei Diritti dell’uomo (il suo scritto più famoso) composte in Inghilterra tra il 1790 ed il 1792, cioè in un arco di tempo nel quale vengono pubblicati i pamphlets che la Burgess arbitrariamente gli attribuisce14. Si tratta di un argomento cruciale e non di una semplice questione terminologica, perché investe le fondamenta concettuali del pensiero painiano: la convinzione che una costituzione scritta, dove sia incorporato un definito catalogo di diritti, costituisca una sicura tutela delle libertà personali contro l’arbitrio del potere.
Il fatto è che non ci troviamo di fronte a un semplice problema d’imperizia filologica; la errata attribuzione discende dal pregiudizio sfavorevole che orienta tutta l’analisi. Come si comprende leggendo l’introduzione e le note che presentano i testi, la Burgess è convinta che Paine non esprima un definito pensiero politico, ma sia un autore prezzolato, pronto a vendere la sua penna al miglior offerente; il ricasco di una simile premessa è che gli scritti painiani debbono necessariamente rivelare una sostanziale incoerenza. Per questo, non potendo trovare contraddizioni rilevanti nei testi painiani finora noti, la Burgess deve fare ricorso ad attribuzioni cervellotiche e forzate 15.



2. La conferma del fatto che Paine sia entrato in maniera stabile nel pantheon della storia patria americana ci arriva da un altro recente volume (J. Fruchtman jr., The Political Philosophy of Thomas Paine16). Il libro, infatti, è parte di una serie dedicata alla filosofia politica dei padri fondatori17. L’autore aveva già dedicato due volumi a Paine. Il primo, pubblicato nel 1993, descrive efficacemente la concezione della natura di Paine. Una natura intesa non come ingenua primitività, bensì come ordine conforme alle leggi di natura e del cosmo18. Il secondo libro, pubblicato l’anno successivo, è una biografia non particolarmente originale ma ampia ed accurata19.
Questo nuovo lavoro, pubblicato dopo un quindicennio, segue una diversa strada, quella di presentare una sintesi delle linee di fondo del pensiero politico painiano. Data l’angolazione analitica prescelta l’esposizione segue un approccio sistematico, che privilegia la dimensione sincronica. Nel complesso abbiamo una trattazione abbastanza nitida delle idee di Paine che Fruchtman raggruppa attorno ad alcuni temi centrali. Un elenco in cui trovano posto: la fede nel creatore dell’universo, che è un Dio benevolo tipico del deismo settecentesco; l’odio per i privilegi e l’avversione nei confronti del principio ereditario, e per converso la valorizzazione del talento e del merito individuali; l’importanza del costituzionalismo scritto che garantisce i diritti degli individui e fissa degli argini sicuri contro l’arbitrio del potere; la fiducia nella società commerciale come tramite di progresso, che finirà con l’influire positivamente anche nelle relazioni tra gli Stati20. Per quanto il catalogo messo a punto da Fruchtman si può ritenere esaustivo, sarebbe stato preferibile che l’autore avesse sottolineato anche la derivazione divina dei diritti dell’uomo che sta al fondo della concezione politica di Paine21. L’universalismo painiano, infatti, rimanda a una verità auto evidente: il fatto che gli uomini ricevono i loro diritti da Dio al momento della creazione. Il patto politico deve limitarsi a riconoscere e tutelare questi diritti originari.
Tuttavia, se questa omissione di Fruchtman riduce l’orizzonte della esposizione, il difetto maggiore del suo lavoro è in un approccio alla storia del pensiero politico troppo rigidamente selettivo. Lo spettro analitico adoperato prende in considerazione solo alcuni autori, ritenuti canonici, mentre trascura le altre influenze intellettuali e non tiene conto della incidenza degli eventi, che è spesso decisiva. Inoltre si privilegiano grandi categorie interpretative cercando di collocare in esse le concezioni di Paine senza sforzarsi d’intendere dall’interno il concreto atteggiarsi del suo pensiero. Rivelatrice, a tal proposito, è la maniera in cui Fruchtman stabilisce una relazione tra la riflessione painiana e il pensiero di due autori come Locke e Rousseau.
Lo studioso americano, prendendo in esame le fonti del pensiero painiano, osserva: «potremmo dire che Paine era lockiano perché ne accettava gli assunti di fondo: il governo basato sul consenso, l’esistenza di diritti e libertà, e infine il diritto del popolo alla rivoluzione»22. Tuttavia subito dopo non manca di ricordare che Paine afferma di non aver mai letto Locke. A questo punto, anziché valutare l’attendibilità di questa testimonianza, lo studioso americano si limita a registrarla e dà per scontata, lungo tutto l’arco della sua esposizione, una diretta derivazione da Locke delle tesi sostenute da Paine. Certo, lo schema relativo all’origine del patto politico che Paine disegna nei suoi scritti, a cominciare dal pamphlet indipendentista Common Sense, è uno schema che si può definire, all’ingrosso, di impianto lockiano. Uno schema nel quale la società precede il governo e il patto politico sopraggiunge solo per perfezionare e rendere più sicuro e stabile il godimento dei diritti naturali innati.
Tuttavia questa impostazione del tema contrattualista non significa automaticamente una diretta derivazione dalle tesi di Locke, agevolmente riscontrabile nei testi23. Fermo restando che l’accertamento delle fonti di Paine è un tema che ha sempre messo in imbarazzo gli interpreti, sarebbe stato opportuno, prima di procedere apoditticamente con il richiamo a Locke, svolgere qualche specificazione aggiuntiva. Anzitutto si poteva ricordare che la tesi che Locke espone nei suoi scritti politici non è originalissima ma è una razionalizzazione di motivi e argomenti presenti nella pubblicistica britannica del XVII secolo24. In prima approssimazione, perciò, si può sostenere che l’impianto del ragionamento painiano sia riportabile a una matrice che possiamo definire whig. Peraltro nel primo scritto di Paine, il già più volte richiamato Common Sense, troviamo un riferimento diretto a un autore non secondario della pubblicistica britannica del secondo Settecento. In una nota Paine cita in maniera elogiativa il libro di James Burgh Political Disquisitions25. Articolate in tre massicci volumi, le Political Disquisitions sono un’opera che propugna un rinnovamento della forma di governo britannica, senza però sostenere la soppressione della monarchia. Al tempo stesso, data la mole del lavoro e il gran numero di richiami a scrittori politici antichi e moderni ufficiali in esso contenuti, il libro di Burgh costituisce una sorta di enciclopedia politica. Pertanto, non è azzardato ritenere che Paine vi abbia attinto ampiamente, per assumere informazioni sulle idee politiche in generale e sulla storia costituzionale inglese in particolare; né è azzardato supporre che vi abbia ripreso motivi utili a delineare la propria dottrina politica. Semmai è interessante rilevare che la fonte più prossima che si può rintracciare alla riflessione di Paine non sia quella di un autore classico e canonizzato, bensì il lavoro di un pubblicista all’epoca assai letto sulle due sponde dell’Atlantico, ma non particolarmente originale26. Peraltro vale la pena di rilevare che il pensiero politico painiano prima e oltre che in Burgh o nella pubblicistica di opposizione inglese trova la sua matrice più autentica nel particolare contesto della contesa fra le colonie e la madrepatria e della lotta per l’indipendenza americana. Una situazione nella quale la rivendicazione dei diritti dei coloni in rivolta va di pari passo con la sperimentazione di innovative soluzioni costituzionali.
D’altronde, rispetto allo schema lockiano sintetizzato da Fruchtman la posizione di Paine si differenzia sotto un profilo tutt’altro che trascurabile. Il panflettista angloamericano, infatti, non è un sostenitore acritico del diritto del popolo alla rivoluzione. A suo avviso una rivoluzione si giustifica se c’è un regime oppressivo o dispotico; con un governo libero, laddove esiste una costituzione (anche se difettosa), occorre seguire i metodi legali di azione. Non casualmente Paine insiste molto sul fatto che una costituzione non può dirsi completa se non prevede delle clausole di revisione, cioè un meccanismo che regoli in modo pacifico le modifiche suggerite dall’esperienza o rese necessarie dal mutare delle circostanze, scongiurando il pericolo di insurrezioni 27.
Ancora meno convincente risulta il richiamo a Rousseau svolto da Fruchtman. La periodizzazione proposta dallo studioso americano è che negli anni Novanta del XVIII secolo Paine modifichi in parte il proprio quadro concettuale di riferimento, e che all’influenza lockiana si affianchi quella rousseauiana. A suo parere, in quella stagione «Paine adottò un ideale comunitario e nazionale. Mentre continuava a credere nei diritti e nelle libertà individuali, come nella categorie lockiane del consenso e del cambiamento politico, adesso incorporava questi ideali rousseauiani direttamente nella seconda parte dei Rights of Man e in Agrarian Justice»28. Successivamente, dopo aver riassunto la concezione della proprietà della terra come prodotto della vita associata e non come dato originario, esposta in quest’ultimo pamphlet, rileva che, in tale occasione, «Paine era vicino alla visione della proprietà privata di Rousseau, un’attitudine non sorprendente, data la lunghezza di tempo in cui aveva abitato a Parigi all’epoca in cui scrisse Agrarian Justice»29. Per poi citare il noto passo del saggio sull’origine dell’ineguaglianza umana nel quale Rousseau si scaglia contro la proprietà privata come fonte dei mali dell’umanità30.
In questo caso l’influenza intellettuale esercitata da Rousseau su Paine viene argomentata facendo ricorso a un criterio materiale, il fatto di risiedere da tempo nella capitale francese. Un rilievo non si sa se più incongruo o più apodittico, che trasforma una mera circostanza di fatto, l’abitare in un determinato luogo, in una precisa ascendenza culturale. Certo, si può ritenere che il lungo soggiorno francese abbia messo Paine a contatto con un ambiente intellettualmente stimolante, e che tale condizione possa aver avuto un riscontro nella sua produzione letteraria; ma riportare questa generica influenza alla precisa derivazione di temi ed argomenti da un determinato autore sulla base di un accostamento, come dire, residenziale appare un salto logico difficilmente comprensibile. Senza dubbio le proposte di assistenza sociale o di aiuto ai ceti meno privilegiati che Paine avanza nel quinto capitolo della seconda parte dei Diiritti dell’uomo e successivamente in Agrarian Justice si possono intendere come un significativo approfondimento della sua riflessione, ma farle risalire alla diretta suggestione intellettuale rousseauiana mi pare decisamente azzardato da sostenere. Anzitutto perché i riferimenti a Rousseau non sono numerosi in Paine, e quelli che ci sono non fanno supporre un apprezzamento nettamente favorevole. Il più esplicito e compiuto giudizio sul pensiero di Rousseau lo troviamo espresso nella prima parte dei Diritti dell’uomo, nelle pagine in cui Paine svolge una rassegna dell’eredità politica dell’illuminismo francese.
Lo scrittore ginevrino è accomunato all’abate Raynal, in entrambi Paine ritrova «un sentimento di amore per la libertà che suscita rispetto, ed eleva le facoltà umane». Si tratta, però, di una sollecitazione emotiva che non trova un riscontro pratico degno di attenzione, perché «dopo aver suscitato questa animazione, essi non ne indirizzano l’operare, ma lasciano la mente piena d’amore per un oggetto, senza descrivere i mezzi per possederlo»31. In sostanza da una simile osservazione appare evidente che Paine non nutre grande ammirazione per le ricette politiche rousseauiane. Inoltre occorre considerare che le proposte avanzate nello scritto sulla giustizia agraria non mettono in discussione la proprietà privata, né l’autore fa risalire ad essa i mali dell’umanità. Nella premessa allo scritto, una lettera con cui inviava il pamphlet ai dirigenti della repubblica francese, Paine rileva che postulare l’uguaglianza della proprietà «è impossibile; infatti per distribuirla ugualmente sarebbe necessario che tutti avessero contribuito nella stessa proporzione, ciò che non può mai essere»32. Il medesimo concetto viene ribadito in maniera più concisa nel corpo dello scritto quando ricorda che esso è intitolato «“Giustizia agraria” per distinguerla dalla “Legge agraria”»33.
Per valutare con cognizione di causa le proposte in favore degli strati meno favoriti della popolazione elaborate da Paine nel capitolo quinto della seconda parte dei Diritti dell’uomo e poi nel pamphlet sulla giustizia agraria, conviene riportarsi alla situazione politica in cui esse vengono formulate. Quando si accinge a scrivere la seconda parte dei Rights of Man, Paine spera che le conquiste delle rivoluzione francese si possano estendere rapidamente anche all’Inghilterra. A tal fine, per dare maggior risonanza alle tesi politiche sostenute nel corso dello scritto, immagina un utilizzo diverso dei fondi destinati alla corona e alla corte, nonché una diminuzione delle spese militari 34. Agrarian Justice, scritto tre anni dopo, propone misure analoghe, da finanziare con una tassa di successione sulla proprietà terriera del dieci per cento35. Diversa però è la motivazione che, in questo secondo caso, guida lo scrittore angloamericano. Dopo il Terrore Paine si convince che la società europea è arretrata tanto sul piano del costume civile che dell’equilibrio sociale. Una condizione che rende problematico, o comunque meno agevole di quanto pensasse, trapiantarvi il sistema di governo costituzionale-rappresentativo messo a punto in America. Non casualmente in questa stagione Paine comincia anche la propaganda religiosa per diffondere il deismo, al fine di arginare una possibile deriva ateista che la semplice distruzione dell’ordine religioso precedente sembra, a suo avviso, preparare. Le proposte di riforma avanzate in Agrarian Justice sono il corrispettivo sociale del suo impegno per propagare una religione razionalista. Esse sono immaginate come un mezzo per rendere più coesa ed equilibrata una società nella quale ci sono disparità troppo vistose. Rispetto a queste motivazioni, suggerite dalla realtà politica del tempo, postulare un’influenza di Rousseau, che non trova riscontro nei testi, mi pare una troppo facile scappatoia euristica 36. In sostanza, il metodo seguito da Fruchtman per delineare l’orizzonte culturale e politico del pensiero politico di Paine non appare convincente. Sulla base di un consimile approccio, la storia delle idee politiche diventa una concatenazione di concetti o di linguaggi che si combinano e si modificano in modo autonomo, al di sopra degli avvenimenti. Dimenticando il fatto che la storia del pensiero politico non è che l’attento scandaglio degli sforzi intellettuali compiuti da uomini del passato per trovare soluzioni a problemi e difficoltà che la realtà aveva reso attuali.











NOTE
1 H. Harmer, Tom Paine. The Life of a Revolutionary, London, Haus Books, 2006, p. 73.^
2 Sugli aspetti caratteriali (irrequietezza, pigrizia, vanità, ostinazione, una certa sregolatezza di abitudini) cfr., per una messa a punto equilibrata, D.F. Hawke, Paine, New York, Norton, 1992 (1974), pp. 128, 144, 346, 354. Per la diversità sociologica cfr. E. Foner, Thomas Paine and American Radicalism during the American Revolution, in J. Chumbley and L. Zonneveld (editors), Thomas Paine. In Search of the Common Good, Nottingham, Spokesman books, 2009, p. 44.^
3 Un’attenta ricognizione della fortuna di Paine in America tra XIX e XX secolo in H.J. Kaye, Thomas Paine and the Promise of America, New York, Hill and Wang, 2005, pp. 118-191.^
4 The Complete Writings of Thomas Paine, collected and edited by Philip S. Foner, New York, The Citadel Press, 1945, 2 voll.^
5 T. Paine, Collected Writings, edited by Eric Foner, New York, The Library of America, 1995.^
6Ci sono buone prospettive che questa lacuna venga colmata in un prossimo futuro. Alla «International conference of Thomas Paine Studies 2012», tenutasi a New Rochelle (NY) nei giorni 19 e 20 ottobre 2012 presso l’IONA College, Gregory Claeys, uno studioso dell’università di Londra, ha annunciato la costituzione di un gruppo di lavoro per una nuova edizione delle opere di Paine.^
7 T. Paine, A Collection of Unknown Writings, edited by Hazel Burgess, New York, Palgrave Macmillan, 2010.^
8 Il testo di questa versione intermedia del Maritime Compact è alle pp. 158-172 di A Collection of Unknown Writings, cit.; quello definitivo e la prima bozza sono in The Complete Writings of Thomas Paine, vol. II, cit., rispettivamente pp. 941-946 e 940-941.^
9 Si tratta dell’articolo Friends and Countrymen, pubblicato il 13 febbraio 1789, dei due pamphlets intitolati Reflections on the Present State of the British Nation by British Common Sense, e A Letter from Common Sense Addressed to the King and People, pubblicati nel 1791, ora entrambi in T. Paine, A Collection of Unknown Writings, cit., rispettivamente alle pp. 65-66, 74-132, 133-146, 149-153, e, infine di un altro breve opuscolo pubblicato nel 1795: Ten Minutes Advice to the People of England, on the two Slavery Bills Intended to be Brought into Parliament the Present Sessions, ivi, pp.149-153.^
10 A Collection of Unknown Writings, cit., p. 133.^
11 Dopo aver accennato alla necessità di una «riforma parlamentare», l’anonimo autore specifica che è necessaria una «riforma dei presenti abusi del governo», ivi, p. 115; ma vedi anche analoghe considerazioni alle pp. 116-117.^
12 Cfr. ivi, p. 95.^
13 Vedi, per esempio, nel pamphlet intitolato A Letter from Common Sense Addressed to the King and People, ivi, pp. 134, 137, 143, 145 e nello scritto intitolato Ten Minutes Advice to the People of England, ivi, pp. 151 e 153.^
14 Come rileva in un passo della prima parte dei Diritti dell’uomo: «Una costituzione non è una cosa che esiste solo di nome, ma anche di fatto. Non ha un’esistenza ideale ma reale; e dovunque non possa essere esibita in una forma visibile, non esiste. Una costituzione è una cosa antecedente al governo, e un governo è solo la creatura della costituzione. La Costituzione di un paese non è un atto del suo governo, ma del popolo che costituisce il governo»; e successivamente, rivolgendo un interrogativo retorico a Edmund Burke, afferma: «Può dunque il signor Burke produrre la Costituzione inglese? Se non può, noi potremo giustamente concludere che, sebbene se ne sia molto parlato, un simile oggetto non esiste, né è mai esistito, e di conseguenza che il popolo deve ancora creare la costituzione», in The Complete Writings of Thomas Paine, vol. I, cit., pp. 278-279.^
15 Una critica molto documentata del libro curato dalla Burgess, e della di lei preconcetta attitudine euristica, è in K.W. Burchell, Review of Thomas Paine, A Collection of Unknown Writings, ed. Hazel Burgess, London: Palgrave McMillan, 2010, leggibile all’indirizzo web http://kenburchell.blogspot.com/p/review-of-thomas-paine-collection -of.html.^
16 Baltimore, John Hopkins University Press, 2009.^
17 Tra gli autori finora trattati nella serie troviamo Benjamin Franklin, George Washington, Thomas Jefferson, James Madison. A conferma dell’avvenuta canonizzazione di Paine, vale la pena di segnalare che anche in un recente libro di Gordon S. Wood, dedicato ai padri fondatori, non manca un acuto e simpatetico ritratto di Paine, cfr. Revolutionary Characters. What made the Founders Different, New York, Penguin, 2006, pp. 205-222.^
18 Thomas Paine and the Religion of Nature, Baltimore, John Hopkins University Press, 1993. Questo libro si ricollega a una linea interpretativa del pensiero di Paine messa in luce nei decenni tra le due guerra da Harry Hayden Clark. Tra i numerosi studi dedicati da Clark all’argomento cfr., riassuntivamente, Toward a Reinterpretation of Thomas Paine, in «American Literature», May 1933, pp. 135-145.^
19 Thomas Paine Apostle of Freedom, New York, Four Walls Eight Windows, 1994.^
20 Per una enucleazione generale di questi temi cfr., in particolare, The Political Philosophy of Thomas Paine, cit., pp. 7-8.^
21 Peraltro Fruchtman non manca di sottolineare questo aspetto in un altro suo scritto, cfr. J. Fruchtman jr., Foreword, a T. Paine, Common Sense, Rights of Man, and Other Essential Writings of, New York, Signet, 2003, pp. XV-XVI.^
22 The Political Philosophy of Thomas Paine, cit., p. 5.^
23 Per un’accurata messa a punto del tema cfr. da ultimo C. Lounissi, La pensée politique de Thomas Paine en contexte. Théorie et pratique, Paris, Champion, 2012, pp. 143-170. Quasi al termine della sua analisi, la Lounissi rileva che «è legittimo chiedersi se la certificazione della lettura di Locke da parte di Paine è indispensabile per una buona comprensione della sua opera», ivi, p. 169.^
24 Si tratta di una considerazione che è largamente presente agli interpreti di Locke; cfr., per una prima informazione, C.A. Viano, Il pensiero politico di Locke, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 58.^
25 J. Burgh, Political Disquisitions or, an Enquiry into public Errors, Defects, and Abuses. Illustrated by, and established upon Facts and Remarks extracted from a Variety of Authors, ancient and modern etc., London, Printed by E. and C. Dilly, voll. 1 e 2, 1774, vol. 3, 1775. Per il luogo nel quale Paine cita Burgh cfr. Common Sense, in The Complete Writings of Thomas Paine, vol. I, cit., p. 38 n.^
26 Per l’importanza di Burgh nel dibattito politico del tempo, cfr. C. Robbins, The Eighteenth-Century Commonwealthman. Studies in the Transmission, Development and Circumstances of English Liberal Thought from the Restoration of Charles II until the War with the Thirteen Colonies, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1959, pp. 363-368 e I. Kramnick, Republicanism and Bourgeois Radicalism. Political Ideology in late Eighteenth-Century England and America, Ithaca and London, Cornell University Press, 1990, p. 64.^
27 La sottolineatura dell’importanza delle clausole di revisione costituzionale è un motivo che torna spesso in Paine. Una formulazione assai nitida si ritrova, ad esempio, nello scritto Answer to Four Questions on the Legislative and Executive Powers, composto tra la primavera e l’estate del 1791, dove si dice fra l’altro che «nessuna costituzione che non contenga disposizioni volte a tale fine può essere considerata completa», in The Complete Writings of Thomas Paine, vol. II, cit., p. 532.^
28 The Political Philosophy of Thomas Paine, cit., p. 123.^
29 Ivi, p. 129.^
30 «Il primo che, recintato un terreno, ebbe l’idea di dire: Questo è mio, e trovò persone così ingenue da credergli, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, guerre, assassini, quante miserie ed orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i paletti o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: Guardatevi dall’ascoltare quest’impostore; siete perduti, se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno», J-J. Rousseau, Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini, a cura di V. Gerratana, Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 133.^
31 In The Complete Writings of Thomas Paine, vol. I., cit., p. 299.^
32 Agrarian Justice, in ivi, p. 606.^
33 Ivi, p. 612. E poi precisa: «nulla sarebbe più ingiusto di una legge agraria in un paese che gode dei miglioramenti apportati dalla coltivazione», Ibidem.^
34 Le principali proposte formulate da Paine prevedono: contributi per l’istruzione dei figli sotto i quattordici anni, pensioni per gli indigenti che hanno raggiunto i cinquanta anni e per tutti coloro che hanno superato i sessanta.^
35 Il fondo ottenuto con la tassa di successione servirà a dotare gli ultra cinquantenni di una pensione di dieci sterline annue, e ad assicurare un bonus di quindici sterline a tutti coloro che raggiungono la maggiore età.^
36 Il procedimento interpretativo adoperato da Fruchtman risulta ancora più singolare perché lo studioso americano non manca di sottolineare l’importanza del Terrore come evento che segna un riposizionamento di Paine, cfr. The Political Philosophy of Thomas Paine, cit., pp. 136-137; pure, la spiegazione fattuale gli pare insufficiente e si sforza di trovare collegamenti tra Paine e altri autori, senza preoccuparsi dei riscontri documentali possibili.^
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