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Renzi: Paci e Ricoeur
di Giovanni Carosotti
Emilio Renzi nella sua ultima pubblicazione (E. Renzi, Enzo Paci e Paul Ricoeur in un dialogo e dodici saggi, ATì Editore, Brescia, 2010) ha inteso riunire i saggi da lui dedicati agli autori più cari, su cui è sempre ritornato nel corso degli anni; un’attenzione ricorrente che, come dimostra la lettura dei contributi finalmente riuniti in un unico volume, non ha mai rischiato di scadere nella ripetizione di identici punti di vista. L’intenzione è stata semmai quella di rinnovare il proprio impegno critico e di rivedere le conclusioni raggiunte sul piano interpretativo con il contemporaneo rinnovarsi del dibattito filosofico. Rispetto ai profondi mutamenti degli ultimi anni, il ricorso al pensiero di Paci e di Ricoeur si è rivelato, secondo l’autore, capace di gettare uno sguardo illuminante, a dimostrare l’irrinunciabilità della loro lezione. Intento tanto più rilevante e coraggioso, se si pensa alla sostanziale marginalità cui sono rilegati, nel dibattito filosofico dei nostri tempi, Ricoeur e, soprattutto, Paci. Non che siano mancate pubblicazioni, anche di rilievo, relative alla scuola di Milano, ma quasi mai hanno ricevuto l’attenzione dovuta; giudicate semmai alla stregua di opere storiografiche dedicate alla ricostruzione di un dibattito che ha goduto comunque di una rilevante considerazione in Italia piuttosto che contributi teoretici capaci di incidere sui tempi attuali.
L’idea forte di Renzi, nell’avere organizzato questa pubblicazione, è invece quella di ribadire il valore imprescindibile del pensiero dei due, in tutti i diversi ambiti di discussione della filosofia d’oggi; e nel farlo, egli propone una considerazione congiunta dei loro pensieri, pur dissimili in alcuni aspetti.
I risultati raggiunti convincono Renzi di non avere sprecato il suo tempo di studioso dedicando buona parte della propria vita intellettuale allo studio attento di questi due autori, dei quali pure individua in molti casi le insufficienze, mostrandosi consapevole della necessità sia di ampliare sia di rivedere alcune conclusioni della loro ricerca.
Il punto qualificante comune del pensiero di Paci e di Ricoeur, che non ha affatto esaurito le sue potenzialità euristiche, e che emerge con evidenza dalla lettura dei saggi compresi nel volume, è la ricerca di un legame profondo fra le tradizioni fenomenologica ed ermeneutica; ciò ha consentito a Ricoeur e a Paci di dare vita a una riflessione che, per scelta metodologica, rifugge da qualsiasi forma di dogmatismo, non solo quello classico che fa riferimento alla metafisica tradizionale, ma anche quello opposto, che tende a far scadere qualsiasi presa di posizione teorica in una visione soggettivistica e, proprio per questo, superabile e contingente. È il punto fermo della fenomenologia a far sì che la pratica ermeneutica non sottovaluti il nodo dell’oggettività del sapere, a non farla scadere in una teoria che tutto dissolve nell’incertezza di definire con rigore le caratteristiche dell’oggetto studiato. Pensare che la verità o il senso si offrano allo sforzo di conoscenza dell’uomo in modo trasparente e immediato è un’illusione, ma ciò non significa respingere la questione dell’oggettività del sapere, che è merito dello sviluppo delle scienze avere valorizzato.
Al contrario di Heidegger, che negava un’originalità teoretica al sapere scientifico, Ricoeur e Paci comprendono la necessità di confrontarsi con le forme di conoscenza raggiunte dalla scienza moderna, ma, in coerenza con l’Husserl della Crisi, l’uno e l’altro sono convinti che la cultura scientifica debba confrontarsi con la tematica dei fondamenti e con un’analisi critica della conoscenza che non le toglie legittimità, ma ne relativizza la presunta assolutezza; tanto più quando questa assolutezza vorrebbe essere de facto trasposta sul piano dell’analisi filosofica, attribuendo alla tradizione analitica un primato, se non un ruolo esclusivo, nell’orizzonte del pensiero riflessivo. Di fronte a questa presa di posizione, che divide in modo a volte drastico la comunità degli studiosi, sia Paci sia Ricoeur si mostrano fiduciosi riguardo un metodo di ricerca che può contribuire a rompere questa barriera e a far interagire produttivamente la pratica ermeneutica con la considerazione rispettosa del metodo delle scienze positive.
In altre parole, per loro l’interpretazione non esclude l’oggettivazione, purché non si intendano questi due principi in modo unilaterale (e infatti Paci, pur praticandola, aveva espresso perplessità per il termine “ermeneutica”).
Per comprendere l’importanza del modo di intendere la pratica dell’interpretazione da parte di Paci e di Ricoeur, nulla di meglio, secondo Renzi, che far interagire fra loro le due lezioni intellettuali. Non è un caso che la raccolta si apra con una delle ultime fatiche dell’Autore, un’opera importante, pubblicata nel 2006, anniversario della morte di Paci, in appendice a una voluminosa raccolta di saggi di cui «l’Acropoli», all’epoca, aveva reso conto [G. Carosotti, Enzo Paci e l’attualità dello storicismo, 8 (2007)], appena accennando però, per forza di cose, al lavoro specifico di Renzi; si tratta di un immaginario dialogo fra i due autori che avviene in cinque scene, collocate a discreta distanza di tempo. L’ultima, addirittura, «nell’iperuranio e nell’acronia». È facile comprendere il significato di questo stratagemma drammaturgico, ovvero porre a confronto i due con la contemporaneità filosofica e consegnarli a una sorta di immortalità, in contrapposizione alla tendenza sopra richiamata che ha pensato di poter prescindere dal loro insegnamento.
Conviene sottolineare l’importanza di questo scritto che, nel suo genere, è un interessante esempio di “sceneggiatura filosofica” e corrisponde, anche sul piano formale, all’approccio ermeneutico perseguito da Paci e di Ricoeur. Proviamo a indicare alcuni aspetti decisivi, di comune interesse ai due, come si evincono da tale scritto e che, a nostro giudizio, Renzi ritiene irrinunciabili ancora oggi.
Innanzitutto,e l’abbiamo già richiamato, il nesso inscindibile tra fenomenologia ed ermeneutica: questa considerazione congiunta delle due decisive tradizioni filosofiche del Novecento permette di salvaguardare il soggetto, ovvero di evitarne la negazione sia da parte di un’ermeneutica radicale che, risolvendo tutto a interpretazione, applica questa negazione dell’oggettività alla stessa esperienza coscienziale, sia alla sottovalutazione di quest’ultima da parte di un sapere, quello delle scienze, che lo ritiene irrilevante di fronte alla dimensione oggettiva della conoscenza.
Questa riflessione aveva condotto, a parere dei due, anche Husserl ad abbandonare un’impostazione esclusivamente logicista a favore di una comprensione della dimensione storica [«Ricoeur Ci voleva la storia nella forma ben concreta della violenza per obbligare il meno storico dei filosofi a occuparsi della storia come impegno eroico della ragione», (p. 45)]; convinzione che Renzi pone in evidenza anche all’inizio del saggio Ricoeur e l’Einfühlung husserliana, concetto grazie al quale, per il filosofo francese, Husserl riesce a fondare una filosofia della storia nell’ambito di una filosofia trascendentale. La volontà di porre in relazione fenomenologia e storia rivela un’altra profonda comunanza tra i due, sottolineata da Renzi in diversi saggi, ovvero l’idea della relazione profonda tra filosofia e vita, la convinzione che alla filosofia non spetta alcun ruolo di rilievo se il sapere da essa elaborato non fornisce un contributo decisivo all’etica.
Questa dimensione storicistica in cui si realizza la ricerca di un senso oggettivo, privato di qualsiasi caratterizzazione dogmatica, conduce sia Paci sia Ricoeur a un continuo confronto con tutte le altre forme di riflessione filosofica, anche quelle apparentemente più distanti dalla loro, nel tentativo di valutare la forza delle proprie conclusioni, convinti che solo nella dimensione dell’intersoggettività, e quindi del continuo dialogo, ci si possa avvicinare alla verità; i due filosofi, nei loro indipendenti percorsi intellettuali, per esempio, mantengono aperto il confronto con la tradizione neopositivista e strutturalista, e delle stesse offrono un acuto giudizio storiografico. La ragione di questo dialogo ben si evince dalla lettura dei saggi di Renzi, e sta nella centralità che in Paci e in Ricoeur riveste il problema del linguaggio, comune proprio alle correnti filosofiche citate (ma anche alla riflessione heideggeriana). Certo, l’attenzione principale di Ricoeur, il fenomeno in cui per lui maggiormente si svela la relazione tra linguaggio e verità, è quello della metafora «il nervo stesso del discorso figurativo», apparentemente distante da una preoccupazione scientista; eppure questa convinzione si stabilisce in Ricoeur proprio attraverso un confronto con la filosofia analitica: «Paci – Nell’ordito delle tue analisi tu hai immesso l’epistemologia della conoscenza storica, che mette in relazione la spiegazione in storia con la struttura narrativa e con il valore di verità degli enunciati storici. Si avverte l’influsso della filosofia analitica inglese e statunitense […]» (pp. 58-59). La conclusione, però, comune ai due è che «la verità è teleologica non è ontologica» (p. 61); ecco dunque spiegato il rapporto ineludibile tra verità e storia «Se la verità è il telos, proprio per questo essa non si identifica mai con la realtà: la storia è questo scarto costante, è la differenza, è il processo di attuazione della verità e insieme di allontanamento da essa» (p.70) e, di conseguenza, tra fenomenologia ed ermeneutica, contro tutti i tentativi di far coincidere la verità con il puro oggettivismo e l’indifferenza per la sfera soggettiva; è invece la possibilità del fenomeno della “coscienza falsa” a rendere necessaria una considerazione profonda anche del polo soggettivo della conoscenza.
Proprio per approfondire questa dimensione della falsa coscienza, Ricoeur ha dedicato un poderoso lavoro all’opera di Freud, analizzato da Renzi in un saggio molto articolato. Il rapporto con il pensiero del padre della psicanalisi è analogo a quello che sia Ricoeur sia Paci intrattengono con i grandi maestri del pensiero classico, e esclude atteggiamenti di rifiuto o di adesione unilaterali. L’approccio ermeneutico non trascura affatto un rigoroso lavoro esegetico, ma permette di evidenziare meglio il valore delle filosofie del passato in relazione allo sviluppo storico della cultura, come dimostra la fortunata espressione coniata da Ricoeur di «maestri del sospetto», laddove l’elemento comune di Marx, Nietzsche e Freud – fa notare Renzi – è individuato nell’avere tutti valorizzato, all’interno di riflessioni profondamente differenti, un’identica consapevolezza culturale, ovvero quella della falsa coscienza. Si tratta di una considerazione non lontana da quella di Hegel, come Renzi fa giustamente notare, purché si interpreti la processualità hegeliana (come aveva sostenuto proprio Paci, in una delle sue rare incursioni nel pensiero hegeliano) come una processualità continuamente rinnovantesi, non bloccata da un inesistente teleologismo.
Renzi chiarisce il motivo per cui il titolo del saggio, De l’interpetation. Essai sur Freud, non vada inteso come la volontà da parte di Ricoeur di interpretare il pensiero di Freud (il titolo sarebbe allora stato Interpretazione di Freud), e questo nonostante l’ampio studio di Ricoeur ripercorra il pensiero dello psicoanalista a partire dalle primissime opere di approccio rigidamente positivista (dimostrando dunque un estremo rigore filologico quando propone il confronto fra i testi), le quali possiedono per Ricoeur un valore rivelativo. Il titolo esprime invece il carattere interpretante della pratica terapeutica freudiana, che si esplicita nella decifrazione del sogno, ovvero nel cogliere il nesso tra il desiderio contemporaneamente rivelato e nascosto dall’espressione linguistica. L’importanza filosofica del pensiero freudiano sta nella centralità che in esso assume il problema del linguaggio, tema da noi già richiamato. La caratterizzazione della coscienza che ne deriva spiega anche la vicinanza tra la psicanalisi e la fenomenologia, in quanto anche «la fenomenologia rientra nel generale moto di spossessamento della coscienza verso il suo senso vero», dove si verifica la «non-coincidenza tra la certezza dell’“io sono” e la possibilità dell’illusione di se stessi» (p. 213), e dove comuni sono gli strumenti (l’intenzionalità, la fenomenologia del linguaggio e la teoria dell’intersoggettività).
La centralità della questione linguistica, e del conseguente lavoro interpretante, l’unico capace di dare un senso alle espressioni di razionalità e di oggettività senza farle scadere in un sostanzialismo metafisico, spiega anche le numerose profonde riflessioni dei due in ambito estetico. Nient’affatto una prova di eclettismo, come è stato spesso ingiustamente rimproverato soprattutto a Paci. In realtà quest’impegno esprime ancora una volta quel profondo legame tra filosofia e vita, tra teoria e creatività e produttività umana. Non è un caso che parte dell’impegno di Renzi nei confronti di Paci ha riguardato l’analisi di quelle attività collaterali (l’impegno editoriale o nel design, la collaborazione alla rivista «Casabella») che non hanno affatto un significato marginale nel suo pensiero, ma costituiscono una perfetta dimostrazione di come, secondo il filosofo, la ricerca del senso e del vero può essere affrontata solo nel confronto continuo con altre esperienze e discipline, nella dimensione cioè dell’intersoggettività.
Tutta l’organizzazione del testo di Renzi ci sembra voler dimostrare il carattere unitario dei due percorsi intellettuali, che pure hanno conosciuto un così vasto campo di applicazioni. Il libro si divide in quattro sezioni, che non seguono l’ordine cronologico della scrittura dei saggi. Al dialogo immaginario tra Paci e Ricoeur, che inaugura il volume e quasi sollecita l’impegno del lettore alla considerazione congiunta dei due filosofi, segue una sezione intitolata “il mio paci”, contenente discorsi di commemorazione del maestro e una lettera, con relativo commento, scritta da Paci a Renzi. Nelle ultime sezioni Renzi raccoglie, separatamente, i saggi da lui dedicati ai due filosofi, probabilmente per evitare un’identificazione ingenua del loro pensiero. Quelli su Ricoeur – autore di cui Renzi ha curato la traduzione di opere importanti – sono di maggiore spessore e affrontano le tematiche più rilevanti del filosofo francese; il rapporto tra linguaggio e interpretazione è approfondito, oltre che nel già citato saggio Freud e Ricoeur, in quelli intitolati Il linguaggio in festa e Metafora e narratività in Ricoeur. Gli altri tre scritti, invece, riguardano la riflessione sulla fenomenologia husserliana, riferimento imprescindibile per comprendere l’originalità del modo di intendere in Ricoeur la pratica dell’interpretazione, nonché la relazione tra la filosofia (intesa come ricerca della verità) e l’etica (evidente nel saggio Paul Ricoeur, una fenomenologia della finitezza e del male ma anche in parte in quello intitolato Per una antropologia filosofica).
Per quanto riguarda la sezione dedicata a Paci, Renzi si è soffermato, soprattutto, sull’analisi riservata dal filosofo marchigiano alla letteratura, con l’intenzione sempre di costringere la filosofia a confrontarsi con l’altro da sé, nella convinzione che anche il linguaggio letterario sia veicolo di verità. Esigenza peraltro comune anche a Ricoeur, come è ben mostrato nello scritto che di nuovo accosta i due autori, quello intitolato Mann Paci Ricoeur.
Il volume di Renzi affronta dunque problematiche differenti, campi di applicazione filosofica eterogenei, e già questa varietà rende il volume stimolante. Nello stesso tempo, una volta portata a termine la lettura, l’impressione è quella di un’analisi che, pur svolgendosi nell’arco di diversi anni e su diversi temi, trasmetta l’impressione di un’estrema coerenza e contribuisca a fare chiarezza, dal punto di vista storiografico, sul ruolo occupato da Paci e da Ricoeur nel contesto del pensiero filosofico novecentesco, nonché della irrinunciabilità del loro modo di intendere la disciplina filosofica.
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