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Il "governo tecnico"
di G. G.
Il “governo tecnico” è o può essere, magari tutt’insieme, una mistificazione, una illusione o utopia, una necessità e altro ancora. Nel caso dell’Italia odierna è stato una necessità politica, altamente politica, e c’è voluto così poco a capirlo che anche chi dalla costituzione del governo Monti è stato danneggiato anche più di quanto non temesse o non è stato avvantaggiato per nulla oppure non quanto si aspettava, è stato poi costretto a pronunciarsi del tutto, anzi pressoché incondizionatamente a favore di tale governo e deve cantarne quotidianamente le lodi. Così la destra berlusconiana, così la sinistra col Partito Democratico, così il partito di Casini. Ben più: i gruppi o partiti che si sono pronunciati e rimangono contro il governo Monti non solo da tale opposizione non sembrano guadagnare alcunché nell’opinione pubblica, ma, al contrario, sembrano perdere più di qualcosa.
Ovviamente, anche il governo Monti è un governo politico. Politico perché è nato da un’operazione politica sapientemente orchestrata e realizzata. Politico perché ha determinato, per il fatto stesso della sua costituzione, un mutamento di gran conto nell’equilibrio politico del paese. Politico perché la linea che esso ha impostato e persegue nella conduzione delle cose italiane è fin troppo densa di significati politici attuali e, in notevole misura, anche futuri. Politico, infine, per varie altre ragioni, ma soprattutto perché, come abbiamo già detto, i governi “tecnici” non esistono.
Sarà, anzi, meglio tenere anche presente che dal punto di vista della politica la qualità di “tecnico”, come tutti sanno o dovrebbero sapere, anche quando fanno mostra del contrario, non è affatto una garanzia di competenza, di abilità, di pertinenza o appropriatezza, di effettiva e positiva operatività nei ruoli che i tecnici sono chiamati a ricoprire ed esercitare. E questo perché la politica ha una sua specificità del tutto insurrogabile da qualsiasi altro genere di competenza o di vocazione. Si può essere ottimi (o mediocri o pessimi) tecnici e ottimi (o mediocri o pessimi) politici, come si può essere, con le relative variazioni, ottimi tecnici e pessimi politici. Con una differenza, tuttavia: il politico alle sue insufficienze tecniche può porre riparo avvalendosi della consulenza e della collaborazione di buoni tecnici, che egli sappia scegliere e (ci si passi la parola) utilizzare. Il contrario non è possibile, non solo per evidenti motivi, ma anche perché la politica impone sempre delle scelte, anche quando la tecnica non sembra consentirle. Il pareggio del bilancio dello Stato: quale più classico problema di scienza delle finanze? La stabilità monetaria: quale più classico problema di politica finanziaria ed economica? Eppure, non sono affatto problemi di scienze e discipline scientifiche o accademiche. Sono problemi essenzialmente politici, e pongono ad ogni istante e su ogni versante o aspetto della loro problematicità la questione di scelte che non possono e non debbono obbedire soltanto a criteri tecnici, anche se da saggezza o esperienza tecnica non può in alcun caso prescindere. In altri termini, la tecnica è condizione necessaria e preziosa per la politica, ma ne è anche condizione insufficiente e parziale.
A che pro’ ripetere queste considerazioni che si possono considerare ovvie? Si può rispondere che ripeterle è necessario, più che opportuno, perché i pregiudizi circa il rapporto fra la politica e la tecnica sono antichi e radicati, e tendono tutti a ritenere risolutiva, affidabile e immune da rischi e inconvenienti, a differenza della politica, discutibile, iniqua e attaccata agli interessi invece che alla sostanza delle cose, inarrestabile in una sua pretesa e assoluta autoreferenzialità. La politica, insomma, come si diceva un tempo, non è cosa per le signorine di buona famiglia e di buoni costumi. Sappiamo, peraltro, quanto antico sia un tale pregiudizio, o, piuttosto, serie di pregiudizi. Non sempre, però, neppure gli storici considerano quanto il pregiudizio si sia rafforzato e consolidato nella esperienza dei governi e dei regimi parlamentari. È uno slogan dell’antiparlamentarismo sia di destra che di sinistra che le democrazie siano il regno della corruzione, congiunta a inefficienza, lungaggini, inconcludenza. Sarebbe interessante approfondire il perché di questo elemento importantissimo della storia europea, e non solo europea, degli ultimi due secoli, e, come è evidente, non è questa la sede di un tale approfondimento. Basti aver rilevato la cosa, e aver richiamato la complessità molteplice e dinamica del rapporto fra la politica e la tecnica, come rapporto in nessun modo semplificabile attraverso la presunta innocenza e competenza della tecnica, nonché come rapporto nel quale non si può, né si deve chiedere alla tecnica ciò che essa non può dare e si deve, invece, sapersi avvalere di ciò che ad essa è doveroso, anche più che necessario, chiedere e da essa ottenere ai fini della politica che si vuole perseguire.
Ciò premesso, suonerà meno strano, se mai tale fosse apparso, ribadire l’affermazione che il governo “tecnico” presieduto da Mario Monti è un governo squisitamente, intensamente politico. Esso è nato, certo, da una crisi della politica italiana: incapace di portare avanti col precedente governo Berlusconi la linea politica che quel governo pure si proponeva o avrebbe voluto, in una sua larga parte, portare avanti; incapace di determinare e imporre una maggioranza alternativa a quella del governo Berlusconi; incapace di tagliare corto a queste opposte, ma equivalenti e concorrenti incapacità con un ricorso anticipato alle urne. Il Presidente della Repubblica ha quindi dovuto, prima ancora di volere, tagliare lui corto al prolungarsi di queste incapacità, e lo ha fatto, invero, con grande accortezza e abilità. Sospensione della democrazia. Tacitamento della politica. Questi e altri simili sono i commenti e i giudizi che si sono sentiti ripetere di continuo dal giorno dell’entrata in funzione del nuovo governo. Commenti, invero, piuttosto banali e, comunque, lontani sia dal vero che da un’analisi delle cose condotta con spirito costruttivo. La verità è, infatti, si, che si può ben dire che democrazia (nel senso di autonomia delle forze politiche nello svolgere il loro ruolo) e politica (nel senso di effettivo e, ancor più, pieno svolgimento del ruolo delle forze politiche) hanno subito, con la costituzione del governo Monti una variante inconsueta della loro prassi italiana. Bisogna, però, anche aggiungere subito – ed è l’elemento più importante della questione – che quella sospensione è stata, piuttosto, e propriamente, un’autosospensione. È stata la democrazia, è stata la politica a sospendersi, e l’accettazione del governo Monti, nei modi e nelle forme in cui è avvenuta, nonché per come si sta sviluppando nel corso ordinario dell’attività legislativa, amministrativa, parlamentare, di governo insomma, è equivalsa, e continua ad equivalere, a una completa e incondizionata presa d’atto di tale autosospensione. Tanto piena e incondizionata da essere sempre più caratterizzata da una presa di coscienza, per la verità molto meno completa e molto di più e variamente condizionata, di una condizione di crisi un po’ generale delle forze politiche. Crisi che è un dato ormai tanto largamente e ripetutamente percepito che da molte parti si afferma, riprovando e solo più di rado approvando, che il governo Monti non solo ha sospeso la politica, ma ha anche svuotato i partiti italiani, un po’ tutti, di senso politico nelle presenti circostanze, e, si teme, un po’ oltre, accrescendone gli elementi di crisi. Un’affermazione che coerenza vuole sia riportata a un giudizio di auto-svuotamento dei partiti analogo a quelle auto-sospensioni di cui abbiamo sopra parlato. E non è neppure questione soltanto di coerenza, perché sono i fatti a imporre, anche in questo caso, un tale giudizio.
La rottura ormai sempre più presumibile fra la Lega e il PDL, l’avvilupparsi sempre più evidente di Bossi e del suo partito su un livello di sostanza e di comunicazione politica sempre più meschino e di sempre più scarso respiro e prospettiva, una stasi del partito di Di Pietro ormai prigioniero di un suo schema di modo di essere e di fare che non lo può portare molto lontano, l’enorme difficoltà del partito di Berlusconi di convertirsi in un partito non più percepito soltanto come il suo partito personale e di avviarsi alla “normale” vita di un partito che si dà per certo che non gode più i favori dell’elettorato come prima, le difficoltà non minori del PD sotto la guida di Bersani sui più varii piani (componenti interne da quietare, opzioni da perseguire tra una linea più moderata e una meno moderata, la renitenza della periferia a quella guida che cresce a ogni consultazione per le “primarie”, l’oscillazione tra alleanze diverse, il rapporto difficile da mantenere con le cosiddette “forze sociali”), l’ormai monotona insistenza a cui si vede costretto il partito di Casini su slogans che anch’essi sembrano sempre meno capaci di penetrare nell’opinione pubblica e di catturarla, lo sbandamento dei gruppi sociali che non si riportano a un qualche partito su posizioni senza alcun senso e prospettiva politica (esempio, i cosiddetti NO TAV), la difficoltà dei sindacati di collegarsi a indirizzi e a gruppi politici che ne echeggino efficacemente le posizioni, nonché numerosi altri dettagli della vita politica e sociale – non solo indicano a sufficienza che non è nella costituzione del governo Monti che va cercata la ragione dello svuotamento della politica e la riduzione dei partiti a realtà molto, molto meno corpose di quel che appariva ancora pochi mesi fa – ma indicano pure che da parte politica si dà ormai quotidianamente dimostrazione di brancolare piuttosto nel buio anche per quanto riguarda una ripresa di funzioni, di energia, di indirizzo degli stessi partiti, che per ciò su questo, non su altro dovrebbero concentrare la loro attenzione, tensione e iniziativa. C’è, naturalmente, tutta una serie di altri problemi connessi a quelli qui
accennati che, per parlare anche soltanto un po’ dell’Italia di oggi, andrebbero toccati, a cominciare da ciò che fa il governo Monti e da come lo fa. Ma qui ci importava di mettere a fuoco, innanzitutto, la questione della “politica”, che è stata all’origine di tutto il grave momento che il paese attraversa da alcuni (troppi) anni a questa parte, e su questo le osservazioni che abbiamo avanzato certo non bastano, ma già esse riguardano una materia amplissima, ed è per ciò che ora ci fermiamo qui.
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