Rubbettino Editore
Rubbettino
Torna alla Pagina Principale  
Redazione: Fausto Cozzetto, Piero Craveri, Emma Giammattei, Massimo Lo Cicero, Luigi Mascilli Migliorini, Maurizio Torrini
Vai
Guida al sito
Chi siamo
Blog
Storia e dintorni
a cura di Aurelio Musi
Lettere
a cura di Emma Giammattei
Periscopio occidentale
a cura di Eugenio Capozzi
Micro e macro
a cura di Massimo Lo Cicero
Indici
Archivio
Norme Editoriali
Vendite e
abbonamenti
Informazioni e
corrispondenza
Commenti, Osservazioni e Richieste
L'Acropoli
rivista bimestrale


Direttore:
Giuseppe Galasso

Responsabile:
Fulvio Mazza

Redazione:
Fausto Cozzetto
Piero Craveri
Emma Giammattei
Massimo Lo Cicero
Luigi Mascilli Migliorini
Maurizio Torrini

Progetto grafico
del sito:
Fulvio Mazza

Collaboratrice per l'edizione online:
Rosa Ciacco


Registrazione del
Tribunale di Cosenza
n.645 del
22 febbraio 2000

Copyright:
Giuseppe Galasso
 
Cookie Policy
  Sei in Homepage > Anno XII - n. 5 > Saggi > Pag. 453
 
 
La politica culturale francese in Sud Italia nel periodo fra le due guerre: l'Istituto francese di Napoli, 1919-1940
di Sandrine Iraci
Introduzione

L’Istituto Grenoble, gioiello dell’architettura napoletana post-unitaria, prodotto dallo stravagante architetto Lamont Young nel 1884, non è soltanto uno dei monumenti più noti di stile liberty del quartiere Amedeo. Dal 1919, è la sede dell’Istituto francese di Napoli di cui ci proponiamo di ritracciare lo sviluppo dalla sua creazione all’inizio della seconda guerra mondiale. In Italia, la presenza culturale ufficiale francese è recente poiché risale al 1908, con la creazione dell’Istituto francese di Firenze per il Centro Italia1, quello di Milano per le regioni settentrionali (che si rivelò ben presto inadeguato poiché chiuse nel 1921) e la creazione, per l’Italia meridionale, dell’Istituto francese di Napoli, tutt’ora in attività. La scelta di ricostituire l’iter del Grenoble è motivato da due ragioni principali. Prima di tutto, in quanto il Grenoble è uno dei primi istituti ufficiali francesi nel mondo e il primo nel Sud Italia. Ma soprattutto perché questo luogo di interfacce culturali fa referenza ad un periodo importante della storia culturale francese, della sua politica estera e delle relazioni intellettuali franco-italiane. Diverse domande sono alla base della nostra analisi: perché i servizi ufficiali francesi hanno scelto Napoli per aprire una succursale dell’Istituto fiorentino? In quale contesto intellettuale e culturale s’impiantava il Grenoble? Quali furono i principali protagonisti all’origine del progetto? In quale contesto storico esso nacque? Cos’è che ha impedito all’istituto francese di Napoli, ideato dopo la prima guerra mondiale per evitare gli odi tra le nazioni europee, di svolgere il suo ruolo? Quale fu la sua reazione di fronte all’avvento del fascismo, e successivamente al suo mutamento totalitario? In che misura le variazioni delle relazioni politiche e diplomatiche franco-italiane hanno influito sull’evoluzione del Grenoble, sulle sue attività, la sua organizzazione e la sua «situazione morale»2?
La nostra riflessione è stata articolata intorno a tre assi cronologici e tematici. Il primo periodo (1914-1919) corrisponde alla genesi della decisione di fondare un Istituto di cultura francese a Napoli negli anni della prima guerra mondiale. Nel secondo periodo (1919-1925) si mostra l’insperato sviluppo dell’Istituto, pur nell’inasprimento delle relazioni italo-francesi alla fine della guerra e nel torbido clima politico e sociale del dopoguerra. Nel terzo periodo (1925-1940) si esamina la difficile sopravvivenza dell’Istituto negli anni del fascismo trionfante che lo porta ad una crisi finale e che, fra il 1935 e il 1940, con il progressivo deterioramento delle relazioni fra Roma e Parigi, portò allo scoppio della seconda guerra mondiale e al sequestro dell’Istituto francese di Napoli.


1914-1919, genesi dell’Istituto francese di Napoli

Uno dei motivi più importanti che stanno alla base della creazione di una politica intellettuale francese in Italia, fu il rapporto privilegiato che l’Italia aveva intrattenuto con la Germania, nonostante gli storici rapporti stretti con la Francia. Infatti, durante la prima guerra mondiale, l’Italia aveva avuto difficoltà a schierarsi con gli Alleati3 in quanto era stata impegnata in una alleanza difensiva con la Germania e l’Austria-Ungheria dal 1882 nel quadro della Triplice (fondata da Bismarck nel 1881)4. Di conseguenza, per gli Alleati, lo schieramento dell’Italia nel loro campo rivestiva un’importanza primordiale. Gli sforzi della politica francese erano diretti a tale intento, soprattutto per le provincie meridionali, veri e propri focolai germanofili, dove l’impronta della cultura tedesca non era mai stata combattuta.
Nel periodo di neutralismo italiano era sorta la necessità di associare l’Italia alla causa degli Alleati, ma era anche apparsa al governo francese la debolezza dei mezzi messi a disposizione per influire sull’opinione pubblica italiana. Nel 1914 la propaganda intellettuale francese in Italia era organizzata intorno a tre assi: l’Istituto francese di Firenze (1908) e quello di Milano (1914) che erano sotto tutela del Ministero della Pubblica Istruzione, e il progetto per l’Istituto francese di Napoli. Ad aver creato ed a dirigere queste istituzioni era il rinomato propagandista Julien Luchaire, padre degli Istituti francesi in Italia. Julien Luchaire, a suo modo, aveva contribuito al riavvicinamento francoitaliano durante il conflitto. Luchaire e l’Istituto fiorentino che dirigeva sin dalla creazione, calzavano perfettamente ai bisogni della propaganda ufficiale francese di allora: un uomo, uno strumento, un budget. In effetti, grazie all’eccellente conoscenza che Luchaire aveva dei diversi ambienti italiani e in particolare dei ceti intellettuali, rappresentava l’uomo ideale per contribuire al riavvicinamento delle due nazioni e nonostante il divario d’opinione che lo opponeva già a Camille Barrère, allora ambasciatore francese in Italia. Come vedremo, tali dissidenze si riveleranno problematiche proprio durante la fondazione dell’Istituto francese di Napoli per una questione di tutela: Pubblica Istruzione o Ministero degli Esteri?
Durante il periodo di neutralità, Luchaire condusse un’azione d’influenza sull’opinione pubblica italiana, attraverso la creazione di circoli di simpatia intorno alla Francia. Un lavoro di penetrazione culturale in un paese dove, come scrisse Ezio Maria Gray, l’influenza tedesca era tentacolare, tanto nella cultura economica che nei settori delle banche, del commercio o negli ambienti intellettuali e culturali, tanto da poter parlare di una «germanizzazione» della scuola e della scienza5.
Al contrario, tra il 1915 e il 1918, l’azione d’influenza di Luchaire fu realizzata attraverso una propaganda dal carattere nettamente più politico e militante. Tale slittamento è lo stesso Luchaire a spiegarcelo nella sua Confession, evidenziando il fragile equilibrio tra azione culturale e azione politica: «c’est probablement à la même, date [1914] que mes opinions ont comencé à évoluer, à la fois sur le plan politique et sur le plan moral. […] Ainsi, un homme essentiellement modéré […] devient révolutionnaire, sans y avoir été entraîné par amitié, ni par intérêt, mais par nécessité intérieure, ou comme par la force des choses»6. Luchaire non partecipò al conflitto a causa di un braccio rotto, ma risentì la necessità di svolgere un ruolo partecipativo scivolando così dalla sfera strettamente intellettuale a quella dell’azione morale. È importante sottolineare questo errore nella sua linea di condotta per capire, come vedremo in seguito, una delle difficoltà che si troverà di fronte il Grenoble di Napoli. Il cambiamento di Luchaire nacque dall’accettazione di diventare un agente per il Comitato Parlamentare d’Azione all’Estero nonostante fosse direttore dell’Istituto francese di Firenze. Divenne così uno dei rappresentanti più attivi della propaganda francese in Italia insieme a Henri Gonse, direttore del Bureau de presse della Maison de la Presse (situato in piazza di Spagna a Roma)7. In effetti, Étienne Fournol, allora direttore del Comitato, fu incaricato di piazzare nei diversi paesi da alleare alla politica francese degli agenti non legati alla politica ufficiale. Tali agenti avevano la doppia missione d’informare il Parlamento e il Governo dei movimenti dell’opinione pubblica e di esercitare un’azione discreta su quest’ultima. Fournol aveva perfettamente capito quanto fosse utile nominare un uomo che non fosse un politico per svolgere un’azione politica8. Luchaire incarnava l’agente politico ideale per svolgere un’azione di propaganda discreta, in quanto conosceva ed era inserito nei diversi circoli italiani, aveva diversi contatti e godeva di una forte credibilità e di un’alta stima tra i ceti intellettuali, grazie alla serietà dell’azione dell’Istituto fiorentino che dirigeva. Inoltre, era stimato anche dai ceti politici, proprio perché l’Istituto fiorentino non era mai stato coinvolto in nessuna azione politica. Tutta la sua credibilità e serietà fu rimessa in questione con l’accettazione del ruolo di agente politico da parte di Fournol. Il suo posizionamento era delicato perché non poteva fare nulla che non fosse perfettamente chiaro. Per evitare di compromettere l’Istituto fiorentino, che slittava lentamente da un’attività pedagogica ad una politica, Luchaire decise di spostare il suo ufficio di propaganda nella capitale lombarda alla fine del 1914. Secondo Luchaire, Firenze era un centro troppo piccolo per svolgere un’azione politica. Milano, invece, era «un focolaio dell’agitazione, il posto migliore per svolgere una bella battaglia d’idee e d’interessi». Tutti i ceti sociali vi erano rappresentati, tutti i partiti, tutti gli interessi economici e sociali. C’era una popolazione agiata, una stampa potente e delle case editrici influenti9. Da qui la nascita dell’Istituto francese di Milano. Il progetto, che lo prevedeva come filiale dell’Istituto fiorentino, sotto la direzione generale di Luchaire, fu approvato dal Consiglio dell’Università di Grenoble dalla quale dipendeva10. Ufficialmente, l’Istituto milanese era stato creato come centro per gli studi economici composto da tre sezioni: un ufficio economico, un ufficio di studi morali e sociali e un ufficio d’informazioni e pubblicazioni11. Aveva come missione ufficiale quella di rappresentare un centro di studi economici disinteressato, destinato alla collaborazione di studiosi francesi e italiani su delle richerche che riguardavano le relazioni economiche dei due paesi. Lo scopo era quindi di riavvicinare la Francia all’Italia e di opporre una resistenza efficace all’economia tedesca, solidamente radicata in questa regione del paese12. Tuttavia, l’Istituto milanese era la copertura di un’intensa propaganda politica. La sezione pubblicazioni, diretta da Maurice Vaussard, si occupava delle relazioni franco-italiane durante il conflitto: diffusione di opuscoli, brochures, libri che distinguevano i «buoni» dai «cattivi» sulla scena internazionale, con delle descrizioni di atrocità eseguite dai Tedeschi. Questi documenti erano spediti dalla Maison de la Presse nelle regioni che dipendevano dall’Istituto milanese: Lombardia, Veneto, etc. Inoltre, si occupava di «sondare» l’opinione, esaminando minuziosamente tutta la stampa francese e italiana per diffondere, in Italia come in Francia, le principali informazioni. Fu anche creato un repertorio metodico con tutti gli articoli scritti durante gli anni del conflitto, sulla politica interna e internazionale dei due paesi, trasmesso poi ai politici francesi e italiani13. Infine, l’Istituto milanese organizzava anche delle conferenze nelle provincie del Nord Italia. I professori francesi che vi partecipavano, quali Bergmann, Lorand, Alazard e Crémieux, pronunciavano dei discorsi che «diabolizzavano» il nemico tedesco e lodavano la «sorella latina». Erano indirizzati ad un largo pubblico ed anche alle forze armate italiane (Luchaire essendo convinto dell’efficacia della propaganda nei ceti intellettuali, politici, economici e militari)14. Col passare dei mesi l’ambiguità dell’Istituto milanese diventò sempre più evidente, sia per l’Università di Grenoble che per il pubblico italiano che lo frequentava. Il rettore stesso dell’Università di Grenoble aveva difficoltà a capire il rapporto tra l’Istituto milanese e quello fiorentino: «ce bureau, transformé en un Institut distinct, semble n’avoir aucun rapport avec l’Institut de Florence»15. L’ambiguità risiedeva nel fatto che la maggior parte del suo personale non veniva direttamente nominato dall’Istituto fiorentino, ma anche dal fatto che percepiva degli aiuti dal comitato parlamentare, cioè da un ente politico. Un altro elemento che portò pregiudizio all’azione di Luchaire, fu il fatto che organizzava in modo autonomo, senza neanche avvertire l’Ambasciata, una vera e propria strategia che spettava nei fatti al Quai d’Orsay (Ministero degli Esteri).
Con lo schieramento definitivo dell’Italia con gli Alleati nel maggio del 1915, la propaganda francese conobbe un nuovo indirizzo, che metteva le regioni meridionali al centro di essa. Prima di tutto, l’opinione italiana, e in particolare quella meridionale, aveva bisogno di essere mantenuta, incoraggiata e confermata, non solo nelle sue scelte di alleanze militari ma anche nei suoi sentimenti per gli Alleati. Infatti, bisogna ricordare che le regioni meridionali erano state maggiormente neutraliste per vari motivi: popolazione principalmente agricola, classe contadina pacifica, l’influenza religiosa, interessi economici favorevoli al neutralismo, passività meridionale riguardo all’impegno di guerra, come sottolineata da Guido Dorso16. Per questo, era necessario continuare a rinforzare le amicizie franco-italiane. Le sofferenze che poteva causare la guerra serebbero state senz’altro una fonte di risentimento contro gli Alleati, e in particolar modo contro la Francia che aveva contribuito notevolmente al suo coinvolgimento militare. Luchaire fu chiaroveggente a tale riguardo: «une chose est de vouloir la guerre durant quelques semaines d’enthousiasme, une autre d’en supporter les douleurs et les inconvénients: […] l’Italie n’était qu’à moitié prête pour la guerre matériellement; […] moralement, les interventionnistes n’étaient qu’une minorité triomphante»17.
Inoltre, dal 1915 al 1918, la propaganda politica francese doveva proseguire la lotta al «nemico tedesco» ed occupare tutte le posizioni del suo nuovo statuto di «amica ufficiale» che la fraternità d’armi le conferiva. Già dal 1916, Luchaire aveva perfettamente capito quale era la posta in gioco del nuovo ordine politico mondiale: «[…] Il ne s’agit plus, maintenant, de lutter contre un adversaire [la Germania], mais de fonder, sur des relations morales, une organisation qui corresponde à des relations politiques nouvelles, entre deux nations faites pour s’entendre étroitement; et nous pouvons dire aussi: à un état nouveau du monde. Donc, notre action défensive, négative, est finie, au moins pour assez long temps. C’est du positif qu’il faut maintenant. Pour l’instant, le seul positif qui importe maintenant, ce sont les victoires et tout ce qui les prépare. Mais de plus en plus, les Italiens vont se préoccuper, se considéreront en droit que nous nous préoccupions d’eux, de nos relations avec eux après la guerre»18. La missione principale era ormai, non più quella di alleare una nazione ma mantenere tale alleanza attraverso un’azione radicata al fine di suscitare un sentimento di simpatia per la Francia, nella società italiana. Inoltre, si trattava di stabilire un rapporto intellettuale privilegiato con la Francia più che con l’alleato inglese che, nelle regioni meridionali, teneva un posto economico importante. Infatti, la grande capacità di adattamento delle industrie inglesi e l’influenza della marina mercantile e militare nei porti di Napoli e Palermo, facevano del Sud Italia una zona sotto influenza inglese. Uno degli scopi della propaganda fu quindi di sostituire all’influenza delle altre nazioni europee nel Mezzogiorno quella della Francia. Ma in che modo?
Dal 1915 al 1918, Luchaire organizzò delle tournées di conferenze in tutta l’Italia meridionale, con la collaborazione di professori dell’Istituto fiorentino e attraverso le quali poté sondare l’opinione della popolazione meridionale e capire i suoi sentimenti per la Francia. Allo stesso tempo, poté diffondere un’immagine «sorridente» della Francia. In effetti, la propaganda politica francese aveva due obiettivi. A medio termine, quello di mantenere alta la mobilitazione dell’opinione pubblica per gli obiettivi di guerra e, a lungo termine, quello di preparare il dopoguerra e mantenere una rete di alleanze e di amicizie durature intorno alla Francia. Il dopoguerra fu una preoccupazione precoce di Luchaire. In una nota a Etienne Fournol, Luchaire scriveva: «les Italiens sont inquiets plus encore pour l’après-guerre que pour la guerre ellemême. En les rassurant sur l’après-guerre, nous les encourageons à la guerre»19. Le conferenze in Sicilia, in Puglia, in Basilicata, in Calabria, furono sempre accolte con il massimo entusiasmo dal pubblico. Anche la stampa locale ne fece una ottima eco, dedicando pagine intere ai conferenzieri, perfetti italofoni, suscitando la forte simpatia del pubblico20.
Con la fine della guerra e la conclusione del ciclo di conferenze di propaganda politica, Luchaire era arrivato a diverse considerazioni. Prima di tutto che le conferenze non bastavano ad appagare lo spirito di sfiducia presente nell’opinione pubblica nei confronti della Francia (infatti, anche se era un’alleata, gli Italiani si sentivano traditi dall’esito dei trattati di pace e in particolare dal non rispetto del Patto di Londra del 26 aprile 1915). Inoltre, essendo impossibile l’azione economica in quanto le risorse erano esaurite, non rimaneva altro che agire sul piano intellettuale per mantenere una rete di simpatie per la Francia, nell’opinione pubblica italiana. Per molti anni, le relazioni culturali furono il frutto di iniziative individuali e di contatti privati, in quanto non esisteva ancora nessun ente ufficiale destinato ad inquadrare questa tipologia di iniziative. In effetti, escluse le propagande politiche ed economiche, è sul piano intellettuale che la Francia affermerà la sua potenza all’estero, creando una rete di solidarietà attorno a lei. Una solidarietà diversa da quella stabilita durante il conflitto. Le affinità, le amicizie, le simpatie intellettuali erano degli strumenti più sicuri e più «sorridenti» per conservare le buone disposizioni dell’Italia nei suoi confronti ed assicurarsi il suo sostegno nel caso di un nuovo conflitto. Così, le istanze politiche francesi decisero di concentrare i loro sforzi su un nuovo tipo di propaganda: «la politica intellettuale». L’idea del Ministero degli Esteri francese e di Luchaire, fu la creazione di organismi destinati a promuovere ed a diffondere in modo coerente e sistematico i diversi aspetti della cultura francese: correnti di idee, arte, scienza, letteratura, lingua, storia. Ora, alla fine della guerra, il Ministero degli Esteri francese non possedeva nessun organismo da lui dipendente capace di inquadrare l’azione culturale francese. Ricordiamo che l’Istituto di Firenze e quello di Milano dipendevano dall’Università di Grenoble e quindi dal Ministero della Pubblica Istruzione e sfuggivano all’azione diplomatica francese. Fu così creato il Commissariat général de la propagande nel 1918, sotto la tutela del Ministero degli Esteri ed erede della Maison de la Presse21. Tuttavia, i due organismi s’ignoravano e operavano indipendentemente. Da una parte, il Ministero degli Esteri francese, rappresentato in Italia da Camille Barrère, riteneva che dopo la guerra, ogni azione, di qualsiasi natura fosse, doveva dipendere dall’azione diplomatica. Dall’altro lato, Luchaire, sostenuto dal rettore dell’Università di Grenoble e dal Ministero della Pubblica Istruzione, difendeva l’autonomia universitaria dall’azione diplomatica. Si delineava così sin da allora la necessità di creare un organismo centrale capace di coordinare le azioni della propaganda francese in Italia. Fino al 1918, le uniche strutture che si occupavano di diffondere la lingua francese in alcuni centri italiani erano le Alliances françaises, che dipendevano dai consolati, e quindi dall’Ambasciata. Questi organismi non erano molto potenti, in quanto semplici supporti al Bureau de la Propagande intellectuelle et universitaire creato nella primavera del 1918 e diretto da Tondeur-Scheffler, segretario dell’Ambasciata e il suo collaboratore più importante all’organizzazione delle iniziative intellettuali in Italia, Maurice Mignon22. La meta della loro azione era di combattere il prestigio della scienza tedesca, fondata su dei servizi «reali e delle competenze serie»23. È in questo clima di conflitto d’interessi istituzionali che nasce l’Istituto francese di Napoli, in quanto Institut d’Université dipendente dalla Pubblica Istruzione ma finanziato in parte dagli Esteri, in modo di garantirsi una certa sorveglianza sull’operato dell’Istituto.
Il dualismo tra «l’impero Luchaire» e l’Ambasciata è evidente nell’azione di controbilanciamento del prestigio della scienza tedesca e delle sue istituzioni intellettuali. I servizi ufficiali francesi decisero di sensibilizzare e di mirare a un pubblico colto tramite diversi mezzi. Uno di questi era la diffusione di riviste e giornali francesi tramite la casa editrice Hachette (Agence générale de libraire et de Publication) per fare concorrenza alla «Rivista italo-britannica» di Roma o la «Vita Britannica» a Firenze. Fu stampata la «Nouvelle Revue d’Italie», erede della «Revue d’Italie», sovvenzionata dall’Ambasciata. Inoltre, furono organizzate in tutta Italia delle tournées di conferenze, sia all’iniziativa di Luchaire, sia a quella di Maurice Mignon, indipendentemente. La diplomazia francese mandò in Italia eminenti personalità francesi del mondo accademico: alti rappresentanti del pensiero francese, delle lettere, delle scienze o delle arti. Bisognava da una parte diffondere un’immagine positiva della Francia nei ceti colti italiani ed indirizzare le loro preferenze verso le università francesi piuttosto che tedesche e, d’altra parte, evitare d’incoraggiare l’idea già ampiamente diffusa di egemonia intellettuale della cultura francese. A tale scopo, si diresse a mettere in evidenza soprattutto i legami tra la cultura francese e italiana. Un’azione non facile in quanto all’inizio del Novecento gli autori italiani erano poco conosciuti in Francia, così come la lingua e solo i ceti più colti li conoscevano. Secondo lo storico Pierre Milza, l’ignoranza della lingua italiana, della letteratura e della vita italiana erano soprattutto dovuti ad un sentimento di superiorità coltivato dai Francesi, rinforzato da una scarsa diffusione della lingua italiana, e delle lingue meridionali in genere24. Tra i rappresentanti francesi più conosciuti che hanno contribuito alla diffusione della cultura italiana, e che per la maggior parte si ritroveranno nella vita dell’Istituto francese di Napoli ricordiamo: Émile Ghebart, Léon Dorez, Henri Bédarida, De Crozals, Maurice Mignon, Paul Hazard, Pierre Ronzy, Henri Hauvette, Julien Luchaire, etc25.
Così, nel maggio del 1918, Maurice Mignon, mandato dall’Ambasciata e con il consenso del sottosegretario di Stato degli Interni per la propaganda fu incaricato di impartire un ciclo di conferenze in Italia. Mignon organizzò l’Intesa intellettuale, e lavorò in stretta collaborazione con il Senatore Volterra nel quadro dell’Associazione Italiana per l’Intesa Intellettuale tra i Paesi Alleati e Amici. Inoltre, collaborò con le società italiane di cultura e di propaganda quali l’Unione intellettuale franco-italiana, diretta da Henri Hauvette a Parigi. I conferenzieri visitarono numerose città tra cui Napoli, considerata da C. Barrère e da Luchaire, come il centro della propaganda intellettuale francese del dopoguerra e il cui scopo era il riavvicinamento dei circoli universitari. Infatti, non solo bisognava rimpiazzare le posizioni tedesche nei campi economici e culturali ma in più bisognava tenere conto che Napoli era un «focolaio di filogermanismo intellettuale a causa della grande influenza di Benedetto Croce»26. I servizi francesi erano a conoscenza della sua importanza in Italia e particolarmente nelle regioni meridionali, della sua influenza tra i ceti intellettuali e universitari attraverso i suoi numerosi discepoli, dei suoi stretti legami con gli editori meridionali come Laterza, del suo impegno nella vita politica italiana e della direzione della rivista «La Critica». Ma soprattutto, il pensiero crociano portava una forte impronta della filosofia tedesca. Così, in linea con l’idea di reciprocità che animava la propaganda francese del dopoguerra, si cercò da un lato di suscitare la simpatia e l’interesse di B. Croce per la cultura francese e dall’altro lato, rimediare al fatto che le opere e il pensiero crociani erano poco conosciuti in Francia. In un rapporto sulla propaganda francese in Italia del 1918, Maurice Mignon preconizzava: «Il faudrait attirer Croce à nous. Il est inadmissible qu’il soit aussi mal connu en France, on devrait le traduire, inscrire ses oeuvres au programme de l’agrégation de philosophie, faire appel à lui pour des échanges de professeurs, bref, agir pour accentuer l’évolution chez Croce, qui se détache de la philosophie allemande. Cela est très utile pour l’orientation intellectuelle de l’après-guerre en Italie»27. Uno dei mezzi col quale Mignon mise in pratica tale politica fu l’organizzazione di conferenze con la collaborazione del Professore Alberto Marghieri, direttore del «Circolo filologico Francesco De Sanctis»28. La scelta di Mignon per tale compito era dovuta alla sua reputazione di fin connaisseur della cultura e della lingua italiane, un «champion des études italiennes en France depuis plus de dix ans, dans son enseignement comme dans la propagande qu’il a menée bien avant la guerre. […] élève de Charles Dejob […] et d’Émile Gebhart, […] disiple du sagace Henri Hauvette […], M. Mignon fit instituer une seconde chaire de littérature italiennes […]. Il fonda également à Lyon une Société des études italiennes, qui contribua notablement à diffuser dans la région lyonnaise la connaissance et l’amour des lettres italiennes, comme pour l’histoire italienne et pour ses multiples activités économiques modernes»29. Le conferenze conobbero un grande successo e rinforzarono in Mignon la consapevolezza della necessità di creare a Napoli un Istituto francese il cui ruolo «serait d’instituter un essai libre de collaboration universitaire et de propagande intellectuelle franco-italienne, comme dans la capitale»30. Tuttavia, la vera paternità dell’Istituto francese di Napoli come di quello fiorentino e milanese, non si deve né a Camille Barrère né a Maurice Mignon col quale lavorava, e quindi al Ministero degli Esteri, ma a Julien Luchaire, vero ideatore degli Istituti francesi in Italia. Luchaire ebbe presto coscienza degli enjeux della preparazione del dopoguerra e dell’importanza della carta culturale, in particolare per il Mezzogiorno. Infatti, nel secondo volume della sua Confession, Luchaire parla del ruolo centrale degli Istituti nella propaganda intellettuale francese: «les Italiens vont se préoccuper […] de nos relations avec eux après la guerre. Notre situation morale doit donc grandir ici, dès demain, dans la mesure où les faits d’ordre diplomatique commenceront à approfondir l’intimité franco-italienne qui doit remplacer l’intimité franco-allemande»31. Inoltre, fu il primo a proporre un vero e proprio programma di scambi intellettuali tra la Francia e l’Italia. In un suo rapporto nel 1917 al Ministro della Pubblica Istruzione francese riguardo ai servizi d’informazione in Italia, scrisse: «Faciliter la circulation des professeurs et des élèves entre les écoles des deux pays (équivalence de grades et de scolarité, parification des programmes d’enseignement et d’examens, échanges de professeurs, organisation dans la mesure du possible et dans certaines régions, de l’enseignement bilingue). Organiser la collaboration, en vue de la production scientifique (accords entre universités et autres sociétés savantes, projets de publications en commun et autres formes d’une réaction commune contre l’influence allemande dans les milieux scientifiques). Élargir les bases de l’enseignement, sous toutes ses formes, langue, littérature, histoire et civilisation françaises en Italie et inversement et organiser méthodiquement la connaissance que les deux pays doivent prendre l’un de l’autre (accroissement de la durée de l’enseignement du français dans les écoles secondaires italiennes et du nombre des chaires d’italien dans les écoles secondaires françaises, organisation de conférences publiques). Former un personnel spécial pour les relations scolaires avec l’Italie (création de cours et d’examens professionnels spéciaux, utilisation à cet effet des écoles et Institut de France en Italie)»32. Così, anche se l’azione intellettuale non era che un aspetto della propaganda francese in Italia, resta fermo che fu Luchaire a porre le basi di una collaborazione fra i servizi del Ministero degli Esteri (l’Ambasciata) e gli Istituti di cultura francese. È quindi Luchaire il vero artefice della convergenza degli interessi della politica estera francese e la natura degli Istituti universitari.
La missione del futuro Istituto di Napoli sembrava allora del tutto tracciata ma la sua creazione prese ritardo a causa delle divergenze tra Luchaire e Barrère. In effetti, mentre Luchaire agiva senza avvertire l’Ambasciata e rifiutava ogni forma di tutela o di reverenza nei suoi confronti, Barrère, riteneva che ogni forma d’azione francese all’estero, economica, politica o culturale che fosse, nel periodo delicato del dopo-guerra, spettava ai servizi degli Affari Esteri. In effetti, l’azione dei servizi di propaganda tendeva man mano a ricoprire altri ambiti di competenza, come l’azione culturale di cui tradizionalmente non era responsabile. Inoltre, il suo impegno nell’ambito intellettuale rifletteva anche un aspetto originale del metodo diplomatico utilizzato dall’Ambasciatore33. Con il dopoguerra, l’azione diplomatica intellettuale era al centro della strategia di propaganda dei servizi di Barrère. Diventa allora chiara la presenza fastidiosa di Luchaire nella «machinerie» di propaganda e del suo carattere non sottomesso. Questo «dualismo» rispecchiava ad un livello più alto le divergenze tra il Ministero della Pubblica Istruzione e quello degli Esteri. Nonostante tale opposizione, Luchaire riuscì a continuare a Napoli ciò che aveva inizato a Firenze e nonostante il fallimento dell’Istituto milanese e le avvertenze contrarie dell’Ambasciata.
Così, nell’agosto del 1918, furono organizzati corsi estivi di lingua e letteratura francesi per iniziativa dell’Università di Napoli e del suo Comitato dei Corsi Estivi di Lingue e Letterature Francesi e Inglesi. A Napoli, era un primo tentativo al quale si prestarono con entusiasmo Luchaire ed i suoi colleghi dell’Istituto fiorentino ai quali fu chiesto di organizzare la parte francese dei corsi. Parteciparono i Professori Auger e Canet ad Agosto; i Professori Barincou e Périsson a Settembre; ed i Professori Alazard e Marcault ad Ottobre34. Per la parte napoletana, i corsi erano presieduti dal Rettore dell’Università di Napoli, dal Provveditore e dai membri dell’Università, tra cui i Senatori Cocchia e D’Ovidio, e anche dagli ispettori delle scuole secondarie35. I corsi iniziarono il 12 agosto 1918. Ebbero un grande successo e furono accolti con la massima simpatia dalle autorità municipali36. La partecipazione ai corsi permise di valutare l’opportunità di creare a Napoli un’istituzione come quella di Firenze e valutare come sarebbe stata accolta37. In un rapporto sullo svolgimento dei corsi estivi, Luchaire scrisse: «de nombreux témoignages m’ont permis ensuite de m’assurer de l’excellente impression produite par cet essai d’introduction d’un enseignement régulier donné par des professeurs français. […] Monsieur le Consul a bien voulu nous exprimer sa vive satisfaction. Le président du Cercle philologique, A. Marghieri, député, ancien recteur de l’université de 1915 à 1917, a demandé la collaboration de l’Institut français pour les séries de conférences organisées par le Cercle pendant l’année scolaire. Le Provveditore des études […] m’a prié de faire tout son possible pour que l’essai de cet été soit continué pendant l’année scolaire qui va commencer: les locaux d’une école au centre de la ville ont été offerts par lui à cet effet»38. Incoraggiato dall’accoglienza fatta ai corsi estivi, Luchaire organizzò dei corsi invernali, chiedendo al Ministero della Pubblica Istruzione un professore permanente e un agrégée d’italiano39. I corsi iniziarono il 2 dicembre nella Reale Scuola Complementare Guacci Nobile, piazza Dante Alighieri, messa a disposizione dal comune di Napoli per dimostrare le eccellenti disposizioni nei confronti del giovane Istituto40.
L’importanza dell’Istituto di Napoli e degli Istituti universitari in generale a fine di propaganda, ignorati durante la guerra, assunsero tutta la loro importanza agli occhi dei servizi ufficiali. I Tedeschi, invece, avevano ben capito l’importanza della penetrazione di questi ambiti sin da tempo ed illustri professori detenevano cattedre universitarie italiane. Luchaire sapeva che la Francia deteneva già i propri strumenti di primissima importanza, gli Istituti francesi: «Ils doivent devenir des centres d’études et même des centres d’attraction au profit de la culture française»41. Dopo che Luchaire sarà messo definitivamente al margine dalla propaganda intellettuale in Italia, agli Affari Esteri rimevano due scelte: o rinunciare al progetto di Istituto francese a Napoli e quindi a svolgerci un’azione di propaganda (il che era inconcepibile) o trasformare i corsi d’inverno creati da Luchaire in modo definitivo sotto la forma di un Istituto culturale. Fu quest’ultima la soluzione preconizzata dal Console francese di Napoli: «cela aurait l’avantage de faire disparaître l’impression très pénible qui a été causée par cette sorte de dualité qui s’est manifestée aux yeux de tous dans l’organisation de notre propagande intellectuelle à Naples»42.


Uno sviluppo insperato

Nell’autunno del 1919, la decisione di prolungare l’esperienza dei corsi portò alla nomina come primo direttore dell’Istituto francese di Napoli Paul-Marie Masson, che ebbe questo incarico per oltre dieci anni. La scelta di Masson non fu casuale. L’Istituto napoletano doveva lottare contro l’immagine mediocre allora diffusa degli Istituti francesi in Italia (a causa dell’impegno politico di Luchaire durante il conflitto). Masson, musicologo, era all’altezza per rappresentare l’Istituto francese. Inattaccabile a livello scientifico, aveva una formazione invidiabile e soprattuto la sua carriera non era macchiata dall’impegno politico. Una figura che ispirava rispetto, fiducia e apertura43. Un’immagine perfetta per dissipare le diffidenze nei riguardi dell’Istituto. Ciò nonostante, per riqualificare l’immagine dell’Istituto, l’allontanamento di Luchaire dalla direzione generale degli Istituti francesi in Italia e permettere la loro autonomizzazione era inevitabile.
Lo sviluppo dell’Istituto napoletano sembrava comunque minato dal clima di sfiducia da parte degli Italiani per la Francia in seguito alla «vittoria mutilata». D’altra parte, il dopo-guerra fu segnato in Italia da un periodo di disordini sociali e dalla crescita di movimenti estremisti che non creavano affato una situazione favorevole per le insegne straniere. Dal 1918 al 1922, l’Italia era in preda ad una crisi grave, il che piazzava l’Istituto francese di Napoli in una situazione morale delicata, in particolare durante i primi anni della sua attività. La crisi morale che attraversava l’Italia nel 1919 non era dovuta unicamente alle grandi perdite sul piano umano e materiale della guerra ma anche alla delusione legata alla conferenza di Pace che si era aperta nel 1919 a Versailles in cui le promesse fatte all’Italia dagli Alleati nel Trattato di Londra del 4 settembre 1914 non vennero rispettate. Il nono punto del «Messaggio in quattordici punti» del Presidente Wilson riguardava direttamente l’Italia e ne fissava le frontiere senza rispettare gli accordi44. L’Italia aveva l’impressione di essere stata trattata da “parente povera” e manifestava il suo scontento in tutti i quotidiani nazionali45. L’ultra-nazionalismo che si sviluppò fu utilizzato e amplificato dal partito fascista durante la sua presa di potere. Nel 1919, l’Italia considerava la Francia come un’opportunista e la sospettava di avere mire imperialiste. La «paix joyeuse» di cui parlava il segretario dell’Istituto di Firenze, non costituiva affatto il quadro tanto sperato46.
Mussolini, in contraddizione con i suoi propositi iniziali, dichiarò di non credere più ai principi della Società delle Nazioni, richiedendo una revisione dei trattati. Tuttavia, non credere ai principi della SDN non induceva per tanto la non adesione dell’Italia allo spirito di collaborazione pacifica in Europa. Così, gli Istituti francesi, che erano degli strumenti della politica pacifica della SDN non erano rifiutati dal regime, anche se conobbero delle difficoltà di accetazione. Comunque, nel 1919, l’Istituto napoletano era meno compromesso perché era ancora molto giovane. Il pubblico, benché poco fiducioso, non era completamente ostile. All’azione unilaterale della propaganda, si sostituì il concetto di reciprocità: «organiser des rapports intellectuels. Établir des consultations réciproques, des discussions; rechercher toutes les formes de collaboration. Envoyer des gens [en Italie], et en inviter en France. Surtout, pousser l’étude des problèmes pratiques, de l’avenir»47. Bisognava evitare ogni referenza all’idea di dominazione sulla società locale48.


La strategia culturale dell’Istituto

Tale orientamento accolse il sostegno del programma finanziario della Camera, diventando una priorità dell’azione diplomatica in Italia. Napoli, dove «autrefois on ne parlait que le français dans la société cultivée. Il semble nécessaire d’y établir un centre de culture française qui de là pourra rayonner sur l’Italie méridionale. L’Allemagne y avait établi un Aquarium où elle entretenait 28 savants de premier ordre dont l’autorité et la présence servaient puissamment le prestige de la science allemande dans l’Italie méridionale49. La France se doit, pour l’Italie voisine et amie, de faire à Naples un effort analogue»50.
Nella strategia dell’Istituto, l’insegnamento del francese era al centro delle sue attività, al contrario dell’Istituto di Firenze che aveva sviluppato la sua attività intorno ad una «sezione italiana». L’Istituto organizzò dei corsi regolari di tipo universitario, al termine dei quali si poteva ottenere un certificato d’idoneità all’insegnamento del francese. Contemporaneamente, furono organizzate delle conferenze pubbliche, con temi scelti tra letteratura, filosofia e arti francesi. Poi, l’Istituto organizzò dei corsi serali, destinati ad un pubblico più ampio: studenti, commercianti, impiegati, desiderosi di imparare le basi del francese, necessarie ai loro studi o ai loro affari. La diffusione del francese era allora visto come uno strumento capace di favorire i rapporti commerciali. In altri termini, c’era un’evidente correlazione tra diffusione della lingua ed espansione commerciale. Étienne Verdier, allora segretario alla Camera di Commercio francese di Napoli, sottolineava: «l’École française à l’étranger peut aider le commerce de notre Pays […]. Elle doit être un instrument préparatoire des transactions commerciales et les professeurs, les précurseurs, les pionniers qui préparent ce succès certain, le champ au négociant et à l’industriel»51.
Infine, nell’aprile 1921, le autorità del Circolo militare di Napoli e il Commando della Divisione contattarono l’Istituto per organizzare dei corsi di lingua destinati agli ufficiali napoletani che volevano approfondire la loro cultura generale e lo studio del francese, e quelli che volevano presentarsi ai concorsi pubblici italiani. Questa iniziativa fu una dimostrazione significativa di riconoscenza da parte delle autorità militari di Napoli, dell’importanza e della necessità delle sue attività, e questo sin dal secondo anno di funzionamento. Si riconoscevano ufficialmente le sue «aspirazioni di alta cultura» e di scambio intellettuale52. Col procedere del suo sviluppo, l’Istituto si assicurava un piccolo patrocinio di simpatie individuali e affermava la sua esistenza prendendo contatto con le grandi società letterarie, scientifiche e artistiche, particolarmente numerose a Napoli. In effetti, il Direttore Masson fu invitato dall’Associazione Alessandro Scarlatti a pronunciare una conferenza su «La musica italiana in Francia nel secolo XVIII»53. Era anche in contatto con Il Circolo degli Illusi, La Società del Quartetto e Il Circolo di Cultura religiosa dove il Professore Schuwer fece una conferenza su «L’arte e la religione». Inoltre, era in contatto con la sezione di Bari dell’Unione intellettuale italo-francese54. Si può affermare che già nel primo 1920, l’Istituto francese era «ammesso» e riconosciuto da questi circoli. I contatti dell’Istituto con Benedetto Croce fecero svanire i pregiudizi che quest’ultimo aveva nei confronti del giovane istituto: dichiarò che «rendeva un eccellente servizio» nel perfezionamento degli altri studi a Napoli, e rimpianse che non ci fosse un Istituto britannico o tedesco, organizzato su basi analoghe55.
Inoltre, la sua situazione morale si era consolidata: la qualità dell’insegnamento, la varietà delle attività svolte, la collaborazione pacifica e virtuosa con altre università francesi, i progetti per l’attribuzione di borse, le missioni scientifiche, la creazione di diplomi e certificati, l’organizzazione di pubblicazioni e la creazione di una biblioteca per gli studi francesi, costituivano altrettante ragioni che fecero svanire ogni dubbio di propaganda politica. L’Istituto svolgeva quindi un’attività disinteressata unicamente per diffondere la lingua e la cultura francese e per promuovere una politica di ricerca che consisteva nell’interagire con le società intellettuali locali e sviluppare i suoi contatti con le istituzioni scientifiche francesi56. Il suo investimento e la sua energia erano ponderate da una dignità semplice, lontana da ogni sciovinismo e monotonia57. Alla fine del 1921, anche se l’Istituto godeva di un ottimo sviluppo, di una grande attenzione e sostegno, insperati per la congiuntura politica ed economica di allora, la sua situazione rimaneva incerta, sia per le autorità francesi che per la sua situazione morale a Napoli. Luchaire l’aveva intuito a suo tempo: «Nous pouvons être désavoués et il faut en ce cas nous réserver la faculté de faire machine arrière»58.
Un segno evidente d’incoraggiamento e una certa forma di consacrazione fu la riconoscenza della sua utilità nel Decreto presidenziale del 22 ottobre 1921. Saint-René Taillandier, allora Ministro plenipotenziario francese, fece una visita all’Istituto dal 27 giugno al 2 luglio 1921, incaricato dal Ministro degli Esteri di una missione d’ispezione degli Istituti francesi d’Italia. Dopo un’inchiesta attenta, fu mosso da una grande benemerenza davanti agli sforzi compiuti dall’Istituto napoletano: «un succès encourageant […] récompensant la direction excellente de M. Masson»59. Taillandier, sensibile alle questioni d’amministrazione e d’organizzazione materiale, era convinto che per consolidare i progressi dell’Istituto di Napoli erano essenziali due condizioni. Prima di tutto, colmare i bisogni del suo budget, e in seguito fare in modo che fosse considerato allo stesso livello dell’Istituto fiorentino dalle autorità universitarie60. Così, l’anno successivo, l’Istituto ricevette un budget di 105.000 franchi, un prezioso omaggio agli sforzi compiuti da Masson61. Inoltre, dal maggio 1920, grazie ai contatti personali di Masson, l’Istituto poté affittare il primo piano del Palazzo Saluzzo di Corigliano, situato in piazza San Domenico Maggiore n. 12, in pieno centro di Napoli e di fronte all’Università. In più, l’Istituto ricevette numerose ed elevate sovvenzioni da parte dei servizi francesi.
Il 9 febbraio 1921, Masson organizzò l’inaugurazione ufficiale dei corsi pubblici dell’Istituto, offrendo una prova di vitalità. Non si trattava dell’inaugurazione dell’Istituto in quanto creazione originale e definitiva a Napoli, ma semplicemente dell’inaugurazione di una delle attività che proponeva. Questa scelta era senza dubbio dovuta al fatto che nel 1921 la sua posizione non era ancora definitiva ed ancora fragile. Non bisognava, in effetti, dare l’impressione di una manifestazione troppo imponente, destinata a celebrare la presenza francese in Italia. Inoltre, l’Istituto era ancora molto recente e la strategia del direttore era di progredire in modo efficace, con umiltà e tatto, per cancellare l’impressione di dominazione di cui pativa all’inizio a causa dell’esperienza fiorentina. Bisognava quindi procedere con cautela. Una delle conclusioni di Saint-René Taillandier al suo ritorno dall’Italia fu che il successo dell’Istituto era dovuto in gran parte al suo direttore Paul-Marie Masson: «le succès très significatif de notre Institut de Naples prouve assez qu’une direction habile et sage peut, même dans une période de crise, apaiser de telles susceptibilités. Mais ne pas les sentir finement et ne pas en tenir, dans toute sa conduite, le compte voulu, c’est sûrement s’aliéner les coeurs et ruiner les sympathies qu’on aspirait à développer»62. Comunque, l’inaugurazione dei corsi fu un modo per consacrare la sua posizione già incoraggiante poiché frequentati con assiduità dalle classi sociali agiate napoletane63. Parteciparono tra gli altri la Duchessa D’Aosta e il Duca di Spoleto, molto popolari a Napoli. Tra gli invitati si trovavano il prefetto della provincia, il sindaco di Napoli e le autorità scolastiche provinciale come il Provveditore agli Studi. Erano anche presenti le autorità francesi, tra cui il Console Léon Boulot. Unico punto negativo, l’opposizione intellettuale di alcuni esponenti dell’Università napoletana che vantavano un antagonismo politico dovuto ai risentimenti dell’epoca. Paradossalmente, questa difficoltà era attenuata dalle relazioni private molto cortesi con diverse personalità dell’Università che erano dispiaciute da un tale stato di cose. Ma Masson capì che tale comportamento ostile era dettato da istruzioni ministeriali64.


La strategia di consolidamento dell’Istituto di fronte alla «dittatura legale»

L’avvento del regime fascista, con la «dittatura legale» di Mussolini, modificò il contesto nel quale doveva svilupparsi l’Istituto. Secondo l’ideologia del regime, l’esito naturale del fascismo era un imperialismo decisamente aperto che doveva tendere a creare legami con la tradizione dell’antico impero romano nel quale l’imperialismo francese non aveva posto. Masson era cosciente che i sentimenti nei confronti della Francia potevano slittare dalla simpatia più cordiale alla rivalità più violenta. Cosciente anche che un regime ambiguo e impulsivo dirigeva ormai il Paese, a volte democratico, a volte violento, l’Istituto doveva stare sempre in allerta. Dal 1922, fu alquanto sorprendente che il successo dell’Istituto progredisse in un regime che induriva le regole65. Allora più che mai, l’Istituto doveva mantenere una linea di condotta esemplare e non dare il suo parere su delle questioni puramente italiane: un intervento delle squadre non era affatto improbabile.
In questo contesto dittatoriale, l’Istituto non aveva altra scelta che consolidare le sue posizioni con la massima circospezione e diversificare le sue attività. Prima di tutto, dal 1921, l’Istituto seppe approfittare dell’atipicità del fascismo meridionale. Secondo G. Galasso, la progressione del fascismo nelle regioni meridionali fu il risultato di una «conquista tardiva». Egli sostiene che il fascismo fu un movimento caratteristico dell’Italia del Nord e del Centro, di cui i dirigenti meridionali risentirono solo l’onda e gli effetti66. Va anche sottolineato che questa conquista tardiva si accompagnò a quella di «consenso politico», cioè, come più volte nella storia del Sud Italia, ad un trasformismo caratteristico dei dirigenti meridionali nel sistema politico nazionale. In altri termini, l’ideologia politica non era alla base del consenso politico ma piuttosto il consenso politico era ottenuto attraverso una serie di scambi clientelari intesi a mantenere lo status quo. È questa caratteristica consensuale che permise all’Istituto francese di avere un’evoluzione «normale» durante gli anni della nascita della fascismo. Pensiamo che la caratteristica essenziale del fascismo meridionale sia la separazione netta tra adesione e coscienza politica, il che dava l’impressione di una «oscura coscienza politica meridionale»67. In questo contesto, era «permesso» a tutti gli operatori della società civile di avere una certa «libertà», anche in uno stato totalitario, dal momento in cui il regime non era apertamente criticato e che se ne assicurava la propria adesione. È questa una delle specificità del fascismo italiano in confronto ad altri regimi totalitari.
A partire dal 1925, l’Istituto doveva consolidare le sue posizioni. Con l’investitura di Mussolini come Capo del Governo nel gennaio 1925, l’Istituto era cosciente della sua precarietà e moltiplicò le sue attività universitarie ed extrauniversitarie, contemporaneamente alle attività d’insegnamento, alle lezioni pubbliche ed ai corsi per ufficiali. Tra le novità, furono ideati dal maggio 1922, i corsi serali e le conferenze pubbliche destinate ad un pubblico più largo di quello dei corsi regolari. Gli intervenenti venivano dall’esterno e parlavano su temi letterari, musicali ed artistici. Oltre ad essere un centro d’insegnamento, l’Istituto napoletano si presentava sempre di più come un centro d’attrazione ed un mezzo per ridurre le distanze intellettuali in Europa, nel quadro della Commissione Internazionale di Cooperazione intellettuale (che fu creata nel 1922 dal Consiglio della SDN con la sede a Ginevra e di cui l’Unesco è la sua discendente)68.
Tra le iniziative dell’Istituto, quella della creazione di una biblioteca scientifica è alquanto importante. Infatti, già Luchaire all’uscire del conflitto era stato chiaroveggente a tale riguardo ed aveva previsto per gli Istituti francesi, di costituire un centro di prestito e di scambio di libri scientifici, creando così un prezioso strumento di propaganda nei circoli intellettuali italiani69. In effetti, all’inizio degli anni Venti c’era una scarsa diffusione dei libri in francese, dovuta ad un tasso d’analfabetismo importante che costituiva una chiara barriera alla diffusione del libro, così come il suo prezzo eccessivo. Tale situazione fu denunciata da Ernest Lavisse in un articolo del giornale «Matin»: «[…] Tandis qu’en Angleterre, aux États-Unis, en Allemagne les publications se multiplient, il devient pratiquement impossible en France d’éditer un livre dont le prix soit abordable»70. La creazione di una biblioteca scientifica in questa regione faceva dell’Istituto napoletano un centro di attrazione. Luchaire ribadiva: «Ils [gli Istituti francesi] ne le seront que s’ils ont à leur disposition une importante bibliothèque scientifique de prêt (histoire, philologie, archéologie, littérature) à laquelle on devra avoir recours, parce qu’on y trouvera des oeuvres d’érudition et de science françaises qui n’existent pas dans les bibliothèques des pays où sont installés les Instituts français. Les étudiants et savants étrangers auront ainsi de commodes instruments de travail et en même temps la preuve que la science française a autant, voire plus de valeur que la science allemande. […] On conçoit aisément les heureux résultats qu’on peut en obtenir pendant et après la guerre. La chose qui importe est de faire vite et de ne pas lésiner et de constituer un important centre scientifique là où les Allemands exercent depuis longtemps une influence indéniable»71. Nel 1924, l’Istituto francese inaugurò la collana, «La Collection de la Bibliothèque de l’Institut français de Naples».
Nella linea di consolidamento della sua posizione, va sottolineata la partecipazione dell’Istituto alle manifestazioni e alle feste commemorative delle grandi istituzioni napoletane. Ad esempio, la Francia fu rappresentata dal Professore G. Blondel, del Collège de France, durante il Quinto Congresso Internazionale di Sociologia e delle riforme politiche e sociali, tenutosi a Napoli i 29 e 30 april 192572. Poi, partecipò al Settimo Centenario dell’Università di Napoli, dal 1 al 3 maggio 1924, durante la quale l’Istituto figurò tra gli invitati più illustri e ampiamente rappresentati73. Infine, dopo questi festeggiamenti, ebbe luogo il Congresso internazionale di filosofia, al quale partecipò l’Istituto francese insieme ai più eminenti filosofi italiani74.


Un’esistenza minacciata

Tra il 1925 e il 1936 (formazione dell’Asse Roma-Berlino), lo sviluppo dell’Istituto francese era alquanto paradossale in un paese governato da un regime totalitario che basava la sua ideologia sulla promozione della cultura italiana contro l’egemonia delle grandi potenze europee, tra cui la Francia. Tale condizione è espressamente sottolineata da Masson nei rapporti dell’attività dell’Istituto: «[…] les conditions paradoxales où se trouvent les Instituts, chargés de l’expansion intellectuelle et universitaire française dans un pays où l’on proclame officiellement la déchéance de la France et la primauté de l’Italie sur toutes les nations ‘latines’»75. La sopravvivenza per l’Istituto consisteva nel trovare il giusto posizionamento tra fascismo e anti-fascismo e cioè di trovare il rapporto più equilibrato con le istituzioni culturali italiane e locali, sulle quali il fascismo aveva un potere che, a partire del 1931, divenne sempre più opprimente. In effetti, è a partire da questa data che il regime esigette che i professori universitari italiani giurassero fedeltà ai poteri costituiti e, di conseguenza, al regime stesso76.
Il periodo compreso tra il 1925 e il 1935 può anche essere definito come l’era delle illusioni. L’era dei segreti e delle politiche di facciata di un’Italia che si nascondeva dietro a delle apparenti buone disposizioni con la figura di Dino Grandi, sotto-segretario degli Esteri italiano. Come sottolineato da Ruggero Moscati, D. Grandi fu un fedele porta-voce di Mussolini, con in più il «dovere di tradurre in termini diplomatici cio che Mussolini diceva in stile fascista»77. Ma com’è riuscito l’Istituto a sopravvivere e addiritura a consolidare le sue posizioni in un regime espansionista e con tendenze francamente anti-francesi? Dal 1925, la Francia rappresentava un ostacolo nelle pretese territoriali italiane: la Tunisia, la questione del Danubio, i Balcani, la Corsica, Nizza e la Savoia. In più, l’adesione reticente di Mussolini agli Accordi di Locarno fu la prova di un atteggiamento sempre più ostile alla sicurezza collettiva e sottolineò le tendenze francofobe del regime. Nel 1926 ci fu la svolta revisionista del regime che irrigidì le relazioni franco-italiane e precipitò l’Italia in un cambiamento d’indirizzo diplomatico che si accentuò con l’arrivo di Hitler al potere. Da qui, le relazioni tra i due paesi furono segnate da una forte instabilità che oscillava tra riavvicinamento, nel quadro del Patto a Quattro e degli Accordi Mussolini-Laval e che portarono agli Accordi di Stresa e forti dissensi, a partire dall’invasione dell’Etiopia da parte delle truppe fasciste. L’invasione dell’Etiopia rappresentò una svolta sia nella storia dell’Italia fascista che in quella europea del periodo fra le due guerre. Dalla fine del conflitto mondiale, era la prima volta che una potenza europea membro della SDN attaccava un altro paese. Un tale gesto fu una «sfida aperta» allo spirito di Ginevra e ai principi stabiliti dalla SDN. Inoltre, l’invasione dell’Etiopia evidenziò una grande debolezza dell’Europa liberale dell’epoca, in quanto l’Italia fascista non aveva uno spirito democratico e svelava una natura violenta e intransigente78. Per quanto riguarda il Mezzogiorno, si può dire che l’invasione dell’Abissinia trovò un largo consenso. L’annessione seguiva la logica di «conquista» del Mezzogiorno in quanto gli assicurava un’intensificazione degli scambi commerciali, esportazione di materie prime, etc79. Con l’adesione plebiscitaria alla annessione dell’Etiopia, i Napoletani sostenevano, in qualche modo, una politica anti-francese. Conseguentemente, la situazione morale dell’Istituto era in pericolo. Tensione e incertezza, ambiguità e contradizione erano le caratteristiche del contesto storico politico che definivano le relazioni internazionali e franco-italiane, ed era anche l’atmosfera in cui evolveva l’Istituto. Le fluttuazioni della sua attività erano sensibilmente legate alla politica estera mussoliniana. Dopo il 1935, la sua presenza sul suolo italiano apparve persino come un’assurdità. L’idea secondo la quale gli Istituti francesi potevano ancora avere una minima influenza sul posizionamento dell’Italia di fronte alla Germania, divenne pura illusione.
La posizione dell’Istituto era alquanto delicata nella società civile napoletana, poiché collaborava con delle istituzioni che esprimevano un’adesione limitata al fascismo. Queste istituzioni rifiutavano l’adesione completa ad una vera e propria coscienza politica fascista, che si tradusse in un contro movimento con Il Manifesto antifascista redatto da Croce e Giovanni Amendola nel 1925 sottoscritto da numerose personalità napoletane.
Esistevano a Napoli un mosaico di società e di associazioni, anche se di modesta vitalità, caratterizzate da una grande diversità d’iniziative, una diffusione di tipo «molecolare» e non ideologica80. Il regime adottò un comportamento abbastanza distaccato con loro, così come con l’Istituto francese, che era protetto comunque da uno statuto semi-diplomatico. Inoltre, il fascismo esercitava una discretta sorveglianza con l’Associazione Dante Alighieri (statale sotto il regime), con la quale l’Istituto aveva dei rapporti e che agiva come un punto di coordinamento regionale del sistema scolastico81. Tale atteggiamento dell’Istituto poteva rappresentare per il regime un atto di non-sottomissione. Era quindi importante mantenere le sue attività su un piano rigorosamente scientifico, non solo per l’insegnamento della lingua ma anche come centro di studi per i professori che sviluppavano le loro proprie ricerche. Per l’Istituto era impensabile rientrare nel quadro molto sorvegliato dell’insegnamento fascista. Contemporaneamente, non bisognava risvegliare infondati dubbi per non rischiare di cadere in delle restrizioni molto gravi che potevano frenare lo sviluppo stesso dell’Istituto o peggio, la libertà di chi vi lavorava. Senza fare atto di sottomissione, l’Istituto doveva adottare una linea tale da non aderire al fascismo, senza tuttavia sembrare opposto o critico nei suoi riguardi. L’Istituto veniva considerato dal regime come un degno rappresentante della cultura italiana e napoletana in quanto la qualità delle ricerche svolte dai professori su delle tematiche italiane era garante dell’eccellenza di una propaganda rigorosamente scientifica. Infatti, l’Istituto rispondeva alle esigenze dell’Accademia d’Italia82: traduzioni d’opere italiane, diffusione della cultura italiana in Francia, interesse per la cultura italiana, collaborazioni con società locali, etc. Allo stesso modo, si può dire che l’Istituto non andava totalmente contro l’idea d’espansionismo italiano. Nel 1926, un decreto legge fu depositato al Senato da Mussolini, proponendo di creare degli Istituti di cultura italiana all’estero, in complemento delle scuole italiane83. Per il governo fascista, «autorizzare» la sopravvivenza di un’istituzione culturale francese significava condividere con lei leadership morale e intellettuale, di cui la «sorella latina» si era sempre avvalsa a livello internazionale. Inoltre, il fatto che l’Istituto avesse scelto l’Italia per insediare uno dei suoi prestigiosi centri di cultura era una forma di riconoscenza della fertilità e della grandeur della cultura italiana. In tal modo l’Istituto ribadiva l’antica tradizione di relazioni intellettuali franco-italiane.
L’Istituto aveva come priorità un doppio scopo: l’insegnamento e la ricerca dottorale. Le ricerche erano svolte dagli stessi professori che vi insegnavano. Nel 1931, con il nuovo Direttore Soulier, la formazione dottorale diventa una priorità e la permanenza dei professori doveva ormai essere giustificata dalla ricerca di ducumenti primari per portare a termine il dottorato. Tra i professori che insegnarono all’Istituto ci furono italianisti rinomati. Ad esempio, Henri Bédarida insegnò dal 1927 al 1932; Henri Bosco rimase all’Istituto per nove anni, dal 1920 al 1929; Émile Léonard, che svolse una ricerca di dottorato su La giovinezza di Giovanna I, regina di Napoli, rimase a Napoli dal 1927 al 1934. Lo scrittore e filosofo Jean Grenier insegnò tra il 1924 e il 1927. Inoltre, va sottolineata la presenza di Henri Irénée Marrou, agrégé di Storia e membro dell’École française di Roma, che seppe guadagnarsi la stima e la simpatia dei circoli italiani84. A partire dagli anni Trenta, i professori pubblicarono ad un ritmo sostenuto e va sottolineata la pubblicazione di un nuovo volume della Collection de l’Institut français de Naples, la traduzione del libro di Michelangelo Schipa, Masaniello, da parte di Attilia Bettio.
In seguito, G. Soulier diede un indirizzo più artistico all’attività dell’Istituto. A partire dal 1931, organizzò delle mostre pensate come «insegnamento complementare» e destinate a diffondere la conoscenza delle diverse forme d’arte85. L’Istituto aveva il sostegno della sezione letteraria e artistica del Services des OEuvres degli Esteri, che richiedeva gli archivi fotografici per le stampe ed i clichés per proiezioni. Una parte del museo della stampa francese fu stabilito presso l’Istituto napoletano. Vi furono esposte delle riproduzioni della Calcografia del Louvre a partire da tavole originali (che rappresentavano delle vedute di Parigi e di residenze reali nei secoli XVII e XVIII ), dagli artisti Israël Silvestre et J. Rigaud. In più, Soulier era in contatto con il Ministero delle Belle Arti francesi per la realizzazione di un progetto di mostra con diverse opere recenti delle Manufactures nationales86.
Al fine di evitare il riavvicinamento dell’Italia con la Germania, con l’avvento di Hitler al potere nel 1933, de Jouvenel, allora Ambasciatore, inaugurò una “politica di apertura e di seduzione” sul piano diplomatico e artistico. Organizzò una stagione artistica francese su due anni che fece il giro delle maggiori città italiane (Roma, Venezia, Firenze, Genova, Milano, Torino, etc). In cambio, Mussolini promise di mandare in Francia una mostra dei più grandi artisti italiani quali Leonardo Da Vinci e Botticelli. A Napoli, la Mostra di arte coloniale fu parte di queste iniziative.
La consacrazione più grande per l’Istituto venne dall’aquisto nel 1933 della sua sede attuale. Questa decisione fu la riconoscenza dei buoni risultati dell’Istituto nonostante una situazione economica fragile, dell’instabilità della politica interna italiana e della precarità dei rapporti franco-italiani sul piano diplomatico. In effetti, nel 1932 l’Istituto aveva come sede il primo piano del Palazzo Saluzzo di Corigliano, situato nel centro storico della città. La sua situazione presentava grandi vantaggi, tra cui una posizione centrale e la vicinanza all’Università e all’Istituto Orientale. Ma col passare del tempo, gli inconvenienti presero il sopravvento87. L’Istituto condivideva il palazzo con l’Istituto di Prevvidenza sociale per la provincia di Napoli. Le aule del pianterreno erano delle sale d’attesa per i tubercolosi che dovevano recarsi al quarto piano del palazzo. Gli andirivieni dei malati costituivano delle condizioni d’igiene pessime e molti rischi di contaminazione: segni di sangue sui muri, odori di prodotti disinfettanti, etc.88. In tali circostanze, era pericoloso per i dipendenti dell’Istituto come per il pubblico che lo frequentava, percorrere le scale centrali, «più disgustose che mai»89. Così, nell’aprile 1932, il Parlamento francese votò un progetto di legge che concesse all’Istituto una sovvenzione di 1.650.000 franchi per l’aquisto e l’arredamento della nuova sede90. Nel marzo 1932, l’atto d’acquisto dell’immobile fu firmato tra il governo francese e il proprietario, la Chiesa Unita di Scozia, di cui il rappresentante era un certo James Herbert Rae, nato a Napoli e commerciante91. Il palazzo diventò proprietà dell’Università di Grenoble per circa un milione di lire. Esso è uno dei più rinomati di Napoli grazie alla particolarità della sua architettura di stile neorinascimentale. Il tufo apparente fu una scelta dell’architetto Lamont Young per rendere visibili le caratteristiche del luogo d’inserimento. La lunga facciata che occupa una grande parte della Via Francesco Crispi, i suoi balconi, i busti e le sue finestre ne fanno una delle dimore più singolari di Napoli92. Va sottolineato comunque, che nonostante l’allontanamento dal quartiere universitario, il numero degli studenti crebbe notevolmente, passando a 174 nel 1933, ossia il doppio del 1931. Nel 1933, 48 studenti venivano dell’Università di Napoli, 26 dall’Orientale. La proporzione degli uomini era di 2 su 593. Nonostante la fragilità dei rapporti franco-italiani le lacune economiche dell’Istituto andavano colmandosi e l’Istituto sembro godere di una crescente notorietà.


Verso la rottura

A partire dal 1935, l’invasione dell’Etiopia segnò una svolta nella storia dell’Italia fascista e dei suoi rapporti con le potenze europee. L’illusione degli Accordi di Stresa, la preparazione al cambio delle alleanze, la messa in luce della vera natura del fascismo, erano tanti indizi precursori di un irrigidimento del contesto internazionale e, di conseguenza, del controllo dell’attività dell’Istituto. Tra il 1936 e il 1940, l’Istituto francese entrò in una fase di declino inesorabile dovuto alla politica totalitaria del regime e in particolare alla sua politica estera nei confronti della Francia. A partire da questo periodo, l’importante per gli Istituti francesi in Italia era semplicemente di sopravvivere in quanto in Francia si era ormai accettato che la diplomazia non poteva più incidere sulle condizioni di vita difficile degli Istituti francesi. L’opinione, francese o italiana che sia, era ampiamente condizionata dalla politica estera. Gli interessi di espansione dell’Italia, la politica d’isolamento degli interessi francesi, il riavvicinamento con la Germania nazista, con la firma nell’ottobre 1936 dell’Asse Roma-Berlino94, la vittoria del Front Populaire in Francia (un partito con un programma apertamente antifascista), l’arrivo al potere di un socialista come Léon Blum, «membro del partito più ostile a Mussolini» come sottolineava Jean-Baptiste Duroselle, il riconoscimento ufficiale tedesco, austriaco, ungherese e giapponese dell’annessione dell’Etiopia all’Italia, mentre la Francia, la Gran Bretagna e la Svizzera non la riconoscevano95, erano i motivi che stavano all’origine della sconfitta inesorabile di un Istituto del dopo-guerra, inadatto alle nuove relazioni internazionali, sull’orlo di un secondo conflitto mondiale. Dal 1936, l’evidenza s’impose agli occhi di tutti: l’Istituto francese era diventato un’istituzione inadatta. In effetti, le relazioni che l’Istituto aveva potuto tessere nel corso della sua esistenza non potevano avere nessun impatto sulla politica italiana, dato che ogni decisione di alleanza o di rottura dell’Italia con un altro paese dipendeva esclusivamente dalla volontà di un solo uomo: il Duce.
Queste considerazioni motivarono Charles Petit-Dutallis, allora direttore dell’Ufficio Nazionale delle Università e Scuole francesi, a chiedersi se era ancora opportuno di mantenere due Istituti di cultura francese in Italia. Quando cambiò la direzione dell’Istituto francese nel 1937, Petit-Dutallis ritenne che la loro presenza era «paradossale e contraria al buon senso». Per lui, l’Istituto era un «figlio della guerra»96. A partire dal 1936 però, l’Istituto beneficiava di una specie di «rinvio». Bisognava quindi fare un bilancio delle loro attività per sapere se gli Istituti potevano essere mantenuti e sotto quali condizioni. Nel maggio 1938, Pierre Ronzy fu incaricato dal Ministero degli Esteri francese di una missione d’ispezione degli Istituti: Firenze, Napoli e Roma. Dedicò il 10 e l’11 maggio all’Istituto francese di Napoli97.
Il bilancio che ne emerse non era affatto positivo. Innanzittutto, fu rilevato un fallimento di tipo «qualitativo». Secondo Ronzy, mancava all’Istituto di Napoli una sezione italiana, come esisteva a Firenze. In effetti, al contrario di Firenze, a Napoli, si era sviluppato principalmente l’insegnamento della lingua francese. Ora, poiché alla fine degli anni trenta, «l’italianità» aveva il primato particolarmente in campo culturale, Ronzy vedeva in questa lacuna dell’Istituto di Napoli un’errore fondamentale.
Inoltre, il fallimento era anche «quantitativo». Il numero degli studenti nel 1935-1936 era calato, oltre ad avere un tasso d’assenteismo elevato ai corsi. Ronzy qualificò la situazione napoletana «scoraggiante». Nonostante ciò, la qualità e il valore del personale dell’Istituto, che compiva il loro dovere sempre con devozione e spesso con distinzione, non era rimesso in questione98. Ma, più grave ancora, era il deterioramento dei rapporti con l’Università di Napoli. Tale situazione era alquanto sorprendente, in quanto la Facoltà di Lettere dell’Università napoletana aveva un insegnamento in lingue impartito dal Professore Cavallucci, ex-studente dell’Istituto francese, che era succeduto a M. Gerace, allora insegnante presso l’Università di Bordeaux. Inoltre, nel 1938, sui 1200 iscritti all’Orientale, circa 500 imparavano il francese. D’altronte, c’era all’Orientale un lettore di francese, Samy Lattès (dal 1 gennaio 1936), che era succeduto a Pierre de Montéra e prima, a Émile Léonard99. Al deterioramento dei rapporti con l’università influì certamente il vuoto nella direzione sopravvenuto alla morte di G. Soulier (tra il 1937 e il 1938) in quanto era spesso il direttore che intratteneva i rapporti con i diversi circoli di simpatia. Questo stato di crisi fu accentuato dalla riduzione del personale nel 1936100.
In seguito al rapporto fatto da P. Ronzy, Jean Marx, della Direzione degli Affari Politici e Commerciali del Ministero degli Esteri, informava Jérôme Carcopino101, allora direttore dell’École française di Roma, che voleva adottare diverse misure nel quadro della riforma degli Istituti francesi in Italia102. A tale scopo, il Services des oeuvres françaises à l’étranger voleva che J. Carcopino lavorasse in più stretta collaborazione con le istituzioni ufficiali francesi in Italia103. In questo modo, aveva un ruolo centrale nella riforma degli Istituti, secondo i desideri espressi dal Ministero della Pubblica Istruzione e dall’Ambasciatore di Francia a Roma. La riforma proposta da Jérôme Carcopino apparve come necessaria. Maurice Vaïsse, sulle attività culturali francesi in Italia negli anni Trenta, poneva la questione, quasi retorica: «à quoi bon une action culturelle dans un pays totalitaire?»104. Uno scetticismo sottolineato dall’Ambasciatore François-Poncet nel 1939, non totalmente condiviso da J. Carcopino, che voleva mettere tutto in atto per salvare la posizione che l’Istituto francese di Napoli aveva guadagnato. In più, «républicain, foncièrement patriote et libéral», Carcopino detestava il fascismo e Mussolini, come odiava Hitler e il nazismo105. Nella riforma che proponeva, non si trattava affatto di mettere un punto finale al percorso dell’Istituto, segnato da anni di sforzi, né voleva farsi indietro e confortare Mussolini nelle sue manovre d’isolamento degli interessi francesi. Carcopino propose allora diverse misure tra cui una nuova direzione, con un direttore «non residente» a Napoli quale Ronzy (allora direttore generale degli Istituti francesi d’Italia residente a Roma), il rinforzo delle reti dell’Istituto, la creazione di corsi elementari di francese (più richiesti che gli studi secondari) e la creazione di una sezione per ricercatori. Il funzionamento dell’École française di Roma era senz’altro un esempio da cui ispirarsi per la riorganizzazione degli Istituti, ma d’altra parte era anche un modo per espanderne l’influenza intellettuale.
Il principale cambiamento nell’organizzazione degli Istituti francesi fu quindi la loro conversione parziale in Istituti di ricerca, come lo era stato l’École française durante i suoi primi anni di attività. Inoltre, la riforma prevedeva come punto centrale nella nuova organizzazione degli Istituti la mobilità degli insegnanti. Infatti, si era immaginato un sistema di «squadre volanti» tra Roma e Napoli, già in qualche modo attualizzate con S. Lattès che insegnava a Napoli ma abitava a Roma e come il suo collega Pierre Courcelle. Inoltre, la riforma prevedeva la creazione di posti di ricercatori, rinnovabili ogni anno, con un limite massimo di tre anni. Per quanto riguarda le conferenze pubbliche, l’Istituto non avrebbe più avuto la scelta dei temi, come era stato il caso fino ad allora. Con la riforma, l’Istituto perdeva molta della sua autonomia in quanto ogni sua attività era sottomessa alla scelta di un Comitato direttivo, il cui scopo era di coordinare le attività di tutti gli Istituti francesi in Italia. Infatti, Jean Serrailh, rettore dell’Università di Grenoble, decretò che il comitato sarebbe stato composto dal Ministro della Pubblica Istruzione, il Direttore dell’insegnamento superiore, il responsabile delle Œuvres françaises del Ministero degli Esteri, il direttore dell’Ufficio Nazionale delle Università e delle Scuole francesi, il direttore dell’École française di Roma, il rettore dell’Accademia di Grenoble e altri alti funzionari106.
Nel 1938 l’Istituto precipitò verso un’agonia inevitabile. L’accentuarsi della politica d’isolamento della Francia, le folli esigenze del governo fascista con le leggi razziali (alle quali fu sottoposto l’Istituto fiorentino, che dovette malgrado lui, mandare il Professore Levi-Malvano in pensione)107 e le misure fasciste per la cultura («bonifica» della letteratura italiana e Accordi culturali italo-tedeschi del 1939) resero l’attività dell’Istituto quasi impossibile. L’intesa ormai ideologica tra l’Italia fascista e la Germania nazista, sancita da un’alleanza militare, segnò per l’Istituto francese una decadenza da cui non sarebbe più riuscito a risalire. Si può affermare che l’Asse Roma-Berlino rese ufficiale una politica di riavvicinamento iniziata con il riconoscimento tedesco dell’annessione italiana dell’Etiopia e la fraternità di armi in Spagna108.
L’invasione della Polonia da parte della Germania il 1° settembre 1939 segnò l’esito inesorabile del secondo conflitto mondiale. La non belligeranza dell’Italia a quest’iniziativa della Germania fece sperare all’Ambasciatore François-Poncet, con l’accordo unanime del Ministro degli Esteri, Georges Bonnet, di Edouard Daladier, Presidente del Consiglio, di Albert Lebrun, Presidente della Repubblica, e del Generale Gamelin, che una neutralità dichiarata dell’Italia fosse ancora possibile109. L’esito della storia dimostrò che tale speranza fu vana. Infatti, dopo dieci mesi, l’Italia dicharò guerra alla Francia.
Ormai, le «sorelle latine» erano diventate nemiche e le istituzioni francesi erano intrappolate in un paese ormai ostile. Il Prefetto di Napoli mise sotto sequestro l’Istituto e l’attività fu sospesa. Riprese solo nel 1946, data alla quale si aprì un altro capitolo della storia del Grenoble.





NOTE
Tabella delle sigle
AEFR = Archivio dell'École Française di Roma
AFRQ = Ambasciata di Francia a Roma
AIFF = Archivio dell'Istituto francese di Firenze
AIFN = Archivio dell'Istituto francese di Napoli
AMAE = Archivio del Ministero degli Esteri francese -Parigi- La Courneuve o Nantes
AN = Archivio Nazionale - Parigi

CICI = Commissione Internazionale di Cooperazione Intellettuale
EHEH = École des Hautes ÉtudesHispaniques
ENS = École Normale Supérieure-Parigi
EPHE = École Pratique des Hautes études
IFF = Istituto francese di Firenze
IFM = Istituto francese di Milano
IFN = Istituto francese di Napoli
IICI = Istituto Internazionale di Cooperazione Intellettuale
MIP = Ministero dell'Istruzione Pubblica
MP = Maison de la Presse
ONUEF = Office national des universités et écoles françaises
SDN = Società delle Nazioni


1 I. Renard, L’Institut français de Florence (1900-1920): un épisode des relations franco-italiennes au début du XXe siècle, Roma, École française de Rome, 2001, p. 501.^
2 La «situazione morale» dell’Istituto è il modo in cui esso veniva percepito in Italia e in Francia, sia dall’opinione pubblica che dalle autorità ufficiali.^
3 P. Renouvin, Les crises du XXe siècle, tome VII: de 1914 à 1929, Parigi, Hachette, 1957, pp. 28-29.^
4 P. Milza, Les relations internationales de 1871 à 1914, Parigi, A. Colin, 1968, p. 42.^
5 E.M. Gray, Germania in Italia, Milano, Ravà, 1915, p. 36; vedere anche E.M. Gray, L’invasione tedesca in Italia, Firenze, I libri d’oggi, 1915, p. 260.^
6 J. Luchaire, Confession d’un français moyen, t. II: 1914-1950, Firenze, L.S. Olschki, 1965, p. 7.^
7 J.P. Viallet, Aspects de la propagande française en Italie pendant la première guerre mondiale, in P. Guillen (dir.), La France et l’Italie pendant la première guerre mondiale, Actes du Colloque organisé par l’Université de Grenoble, Faculté des sciences sociales de Grenoble, Centre de recherche d’histoire de l’Italie et des pays alpins, 28, 29 et 30 septembre 1973, Grenoble, PUG, 1976, p. 207.^
8 J. Luchaire, Confession…, cit., t. II, pp. 23-24.^
9Ivi, p. 27.^
10 Il primo direttore in loco fu A. Einsenstatd.^
11 AMAE-Nantes, AFRQ, busta 340, note sur l’Institut français de Florence, s.d.^
12 AMAE-Nantes, SOFE, busta 143, rapport du SOFE, 3 settembre 1916.^
13 AMAE-Parigi-La Courneuve, AFRQ, busta 340, notes sur l’Institut français de Florence, s.d.^
14 I. Renard, L’Institut français de Florence…, cit., pp. 325-336.^
15 AIFF, XIX/4, lettre du recteur de l’Université de Grenoble à Luchaire, 23 gennaio 1917, citato da I. Renard, op. cit., p. 316.^
16 G. Dorso, La rivoluzione meridionale, Torino, Einaudi, 1977, p. 124.^
17 J. Luchaire, Confession…, cit., t. II, pp. 39-40.^
18 AMAE-Nantes, SOFE, Série C, Europe, 1912-1940, busta 143, lettre de Julien Luchaire au Ministre des Affaires étrangères, 3 settembre 1916.^
19 AIFF, XV/1, rapport de Luchaire à Fournol, 12 dicembre 1916.^
20 J. Luchaire, Confession…, cit., t. II, p. 31.^
21 Il Commissariat fu diretto da Jean Marx, ex-alunno dell’École française di Roma che fu incaricato del coordinamento delle iniziative francesi in Italia.^
22Agrégé d’italiano e professore all’Università di Lyon.^
23 AMAE-Parigi-La Courneuve, MP, busta 40, 1918-1922, rapport de Jean Marx, 31 luglio 1918.^
24 P. Milza, Français et Italiens…, cit., p. 456.^
25 Per quanto riguarda gli italianisti in Francia per il periodo, si possono consultare: L. Fiurmi, Conoscenza dell’Italia in Francia, 1934, p. 20, in «Rassegna nazionale», Pistoia, maggio 1934; M. David, Pour une chronographie des études italiennes en France au XXe siècle, in «Revue des études italiennes», nouvelle série, t. XXX, n. 1-4, gennaio-dicembre 1984, pp. 129-165; P. Milza, Français et Italiens…, cit.^
26 AMAE-Parigi-La Courneuve, MP, 1914-1928, busta 45, rapport de M. Mignon, 29 luglio 1918.^
27Ibidem.^
28 AMAE -Nantes, AFRQ (1814-1940), busta 1293, lettre du professeur Marghieri à M. Mignon, 19 maggio 1918.^
29Ivi, Presentazione di M. Mignon fatta dal Professore Alberto Marghieri, maggio 1918.^
30Ivi, Rapport sur la propagande intellectuelle en Italie, ottobre-novembre-dicembre 1917.^
31Rapporto di Luchaire alla Maison de la Presse, 3 settembre 1916, citato da I. Renard, op. cit., p. 310.^
32 AIFF, busta XX/1, rapport de Julien Luchaire sur les services d’information qu’il dirige en Italie du 1er juillet 1917 au 30 juin 1918, 30 giugno 1918, p. 68.^
33 E. Serra, Camille Barrère e l’intesa italo-francese, Milano, Giuffré, 1950, p. 321.^
34 AIFF, busta XIX/8, Naples, 1917-1918.^
35 AIFF, rapport de Luchaire sur les nouveaux cours de langue et littérature françaises à Naples pendant l’été 1918, Naples, 1° settembre 1918.^
36 AIFF, busta XIX/6, cours de Naples: correspondance, planification des cours envoyé au Provveditore de l’université de Naples, B. Crotonei, 12 agosto 1918 et AIFF, busta XIX/8, Naples, 1917-1918.^
37 AMAE-Parigi-La Courneuve, MP, 1914-1928, busta 44, lettre de J. Luchaire au directeur (du service de la propagande?), 10 maggio 1918.^
38 AIFF, XIX/8, rapport de J. Luchaire sur les nouveaux cours de langue et littérature française à Naples pendant l’été 1918, 1 settembre 1918.^
39 AMAE-Nantes, AFRQ, busta 1295, lettre du ministère des AE à l’Ambassade de France à Rome, 24 settembre 1918.^
40 Annuncio pubblicato nel giornale «Roma», del 22 novembre 1918.^
41 AMAE-Parigi-La Courneuve, MP, busta 44, lettre de Luchaire au Président de la Chambre de députés, 28 luglio 1918.^
42 AMAE-Nantes, AFRQ (1814-1940), busta 1295, lettre du Consul général de France à l’Ambassadeur de France à Rome, 26 novembre 1918.^
43 Dopo degli studi in Lettere presso il liceo parigino Henri IV, fu classificato terzo all’École Normale Supérieure (1903, promozione 1904), seguì le lezioni di Romain Rolland alla Sorbona sulla storia della musica. Ottenne la Licence in Lettere nel 1902, e fu diplomato in studi superiori di Lettere classiche nel 1906, e poi agrégé in Lettere nel 1907 (primo nella classifica). In seguito, fu un alunno dell’École pratique des hautes études et della Schola Cantorum di Parigi (alunno di Vincent d’Indy per un corso di composizione musicale, 1907-1909). Più tardi, divenne un alunno di Charles Koechlin. La specialità di Masson in musicologia ne faceva un elemento proprio adeguato per Napoli, sede del teatro e della sala d’opera più famosa in Europa: il Teatro San Carlo.^
44 Questi accordi promettevano, in cambio di uno schieramento dell’Italia con gli Alleati, il Trentino, il Tirolo meridionale fino al collo del Brenner, il Veneto con Trieste e Gorizia, senza il porto di Fiume che doveva rimanere Croato, una grande parte delle isole dalmate, un protettorato sull’Albania e dei compensi coloniali nel caso un’expansione dei protettorati francesi e inglesi. Inoltre, gli Alleati avevano promesso all’Italia una zona d’influenza in Asia minore nel caso di uno smembramento della Turchia (Accordi di Saint-Jean de Maurienne nell’aprile 1917) P. Milza, S. Bernstein, Le fascisme italien: 1919-1945, Parigi, 1980, pp. 36-37.^
45 P. Renouvin, Les crises du XXe siècle, tome VII: de 1914 à 1929, Parigi, Hachette, 1957, pp. 196-198.^
46 A. Tasca, Naissance du fascisme, Parigi, Gallimard, 2003 (prima edizione nel 1938), p. 37.^
47 AMAE-Nantes, SOFE, Série C, Europe, 1912-1940, busta 143, lettre de Julien Luchaire au Ministre des Affaires étrangères, 3 settembre 1916.^
48 J. Luchaire, Confession…, cit., p. 38.^
49 Si tratta delle Stazione zoologica Anton Dohrn, nella villa comunale.^
50 «Journal Officiel», Documents parlementaires-Chambre, n. 6339, 19 giugno 1919, p. 1899.^
51 AMAE-Parigi- La Courneuve, AFRQ, busta 1019, lettre d’Étienne Verdier, secrétaire de la Chambre de commerce française à Naples. Contiene un dei suoi articoli pubblicato nella rivista «La France universelle illustrée», 6 giugno 1919.^
52 AIFN, busta II, cartella «cours d’officiers», Trattative preliminari con la direzione dell’Institut français de Naples (4-11 aprile 1921), 15 aprile 1921.^
53 AIFN, busta III, rapport sur le fonctionnement de l’Institut français de Naples pendant l’année scolaire 1921-1922, p. 9.^
54 AIFN, busta III, cartella «Associations et sociétés», brochure sull’Unione intellettuale italo-francese di Bari, Bari, dicembre 1922. L’associazione fu creata nel 1916 da Henri Hauvette.^
55 AIFN, busta IV, rapport sur le fonctionnement de l’Institut français de Naples pendant l’année scolaire 1922-1923, p. 16.^
56 Sulla distinzione tra attività «interessata» e «disinteressata», vedere J.M. Delaunay, Des Palais en Espagne. L’École des hautes études hispaniques et de la Casa de Velàzquez au coeur des relations franco-espagnoles du XXe siècle (1898-1979), Madrid, 1994, pp. 271-272.^
57 AIFN, busta I, rapport de fonctionnement 1919-1920.^
58 AIFN, busta I, cartella «Local», lettre de Julien Luchaire à Paul-Marie Masson, 3 gennaio 1920.^
59 AMAE-Nantes, AFRQ, busta 1287, rapport confidentiel de Saint-René Taillandier au Président du Conseil concernant la mission d’inspection des Instituts français d’Italie, 14 settembre 1921.^
60Ibidem.^
61 AIFN, busta II, cartella «correspondance personnelle», lettre de P.-M. Masson au Recteur de l’Académie de Grenoble, 2 luglio 1921.^
62 AMAE-Nantes, AFRQ, busta 1287, rapport confidentiel de Saint-René Taillandier au Président du Conseil concernant la mission d’inspection des Instituts français d’Italie, 14 settembre 1921.^
63 AIFN, busta II, rapport de fonctionnement 1920-1921, p. 22.^
64Ivi, p. 27.^
65 AMAE-Parigi-La Courneuve, Série Z Europe, busta 188-189, lettre de C. Barrère, 5 luglio 1921.^
66 G. Galasso, Relazione, in P. Laveglia (dir.), Mezzogiorno e fascismo: atti del convegno nazionale di studi promosso dalla Regione Campania, volume I, Salerno-Monte S. Gaicomo, 11-14 dicembre 1975, vol. I, p. 22. Vedere anche G. De Antonellis, Napoli sotto il regimen. Storia di una città e della sua regione sotto il decennio fascista, Milano, Donati, 1972.^
67 G. Dorso, op.cit., p. 127.^
68 Per la Francia, la conseguenza diretta della CICI fu la creazione, nel gennaio 1924 da H. Bergson, dell’Istituto Internazionale di Cooperazione intellettuale. Vedere l’articolo: J-J. Renoliet, La genèse de l’Institut international de Coopération intellectuelle, in «Relations internationales», n. 72, 1992, pp. 387-398.^
69 AMAE-Parigi-La Courneuve, MP, busta 44, note de Jean Marx pour le Commissaire général sur le projet de constitution d’une bibliothèque d’échange scientifique à l’Institut français de Florence, projet de M. Luchaire appuyé par M. le Député Honnorat, 16 agosto 1918.^
70 AMAE-Nantes, AFRQ, busta 1356, articolo di Ernest Lavisse, in «Le Matin», 24 dicembre 1920.^
71 AMAE-Parigi-La Courneuve, MP, busta 44, lettre de Luchaire au Président de la Chambre des députés, 28 luglio 1918.^
72Ivi, busta VI, cartella «associations et sociétés».^
73 AIFN, busta V, cartella «associations et sociétés», lettre du directeur de l’IFN au secrétaire de l’Académie de Paris, 13 febbraio 1924.^
74 Per il dettaglio delle festività, vedere P.M. Masson, Le septième centenaire de l’université de Naples, in «Revue internationale de l’enseignement», 15 settembre-15 octobre 1924, Parigi, Philippe Renouard, 1924, p. 13.^
75 AIFN, busta XII, rapport de fonctionnement de l’IFN pour l’année 1929-1930, p. 14.^
76 Nel decreto del 18 agosto 1931 proposto da E. Gentile, tutti i professori, per poter continuare a svolgere la propria attività didattica, dovevano giurare fedeltà al fascismo. Solo cinque università quali quelle di Milano, Torino, Roma, Pavia e Perugia, manifestarono segni di dissenso nei confronti del regime.^
77 R. Moscati, Locarno: il revisionismo fascista, il periodo Grandi e la nuova fase della politica estera, in A. Torre, R. Mosca, etc, La politica estera italiana dal 1914 al 1943, Torino, ERI, 1963, p. 115.^
78 P. Milza, S. Berstein, L’Italie fasciste…, cit. p. 315.^
79 G. Galasso, Relazione, in P. Laveglia (dir.), op.cit., vol. I, p. 24.^
80 P. Varvaro, Potere e società…, cit., p. 85.^
81Ivi, p. 87.^
82 L’Accademia d’Italia fu creata nel gennaio 1926 da Mussolini, con sede a Roma. Segnò la fascizzazione dell’insieme del sistema fascista, in quanto dal 1926, il dominio dello Stato totalitario non si limitava piu ormai alle sole sfere politiche o militari, ma anche a quella intellettuale. L’articolo 2 del Decreto legge del 7 gennaio 1927, adottato dal Consiglio dei ministri italiano ne specificava lo scopo: «L’Accademia d’Italia ha per scopo di promuovere e coordinare il movimento intellettuale italiano nel campo delle scienze, delle lettere e delle arti, di conservarne puro il carattere nazionale, secondo il genio e le tradizioni della stirpe e di favorirne l’espansione e l’influsso oltre i confini dello Stato». Per compiere la sua missione, l’Accademia aveva il potere di sovvenzionare delle istituzioni, delle imprese artistiche e letterarie; poteva dare delle sovvenzioni provvisorie o a vita agli artisti, poteva organizzare dei viaggi di studi; organizzare la diffusione all’estero di traduzioni di libri italiani, in altri termini, sviluppare ogni progetto capace a sviluppare la cultura in Italia e le iniziative degne di incoraggiamento. AMAE-Parigi-La Courneuve, Série Z Europe, «lettre de l’Ambassade de France à Rome au Ministre des Affaires étrangères, sur la création de l’Académie d’Italie», 4 gennaio 1926. Numerose personalità importanti nel campo scientifico e intellettuale a Napoli ne fecero parte Giovanni Gentile, il poeta Salvatore di Giacomo, l’orientalista Giuseppe Tucci, il compositore Francesco Cilea, Amedeo Maiuri, archeologo famoso per avere fatto «sorgere» Pompei ed Ercolano, etc.^
83 Progetto di legge dell’8 giugno 1926.^
84 AMAE-Nantes, AFRQ, busta 338, rapport des oeuvres françaises en Italie: Institut français de Naples, année 1933-1934; École française de Rome, Annuaire des membres, membres (1873-1986), Roma, École française de Rome, 1987, pp. 87-88.^
85 AIFN, busta XIV, rapport sur le fonctionnement de l’Institut français de Naples durant l’année 1931-1932 et les subventions qui lui seraient nécessaires.^
86 AIFN, busta XV, rapport sur le fonctionnement de l’Institut français de Naples durant l’année 1932-1933; AMAE-Nantes, AFRQ, busta 338, rapport des oeuvres françaises en Italie: Institut français de Naples, année 1933-1934.^
87 AMAE-Nantes, AFRQ, busta 340, lettre de William Rötig, Consul de France à Naples, à M. de Beaumarchais, Ambassadeur de France à Rome, 9 ottobre 1931.^
88 AMAE-Nantes, AFRQ, carton 340, lettre de William Rötig, Consul de France à Naples, à M. de Beaumarchais, Ambassadeur de France à Rome, 9 ottobre 1931.^
89 AIFN, carton 12, rapport sur le fonctionnement de l’IFN pour l’année 1930-1931.^
90 AIFN, carton 12, lettre du président du Conseil, ministre des Affaires étrangères, à l’Ambassadeur de France à Rome, 7 aprile 1932.^
91 Prima dell’Istituto francese, il palazzo era la sede dell’Istituto femminile Mac Kean Bentik, creato nel 1869 grazie ai fondi di Harriet Bentick e grazie a fondi raccolti dall Chiesa di Scozia. L’Istituto impartiva un insegnamento di studi superiori. AMAE-Nantes, AFRQ, carton 334, note rédigée par le Consul de France à Naples, William Rötig, sur l’état de l’enseignement du français à Naples, 12 dicembre 1928.^
92 G. Alisio, Lamont Young: utopia e realtà nell’urbanistica napoletana dell’Ottocento, Roma, 1978, pp. 91-93.^
93 AMAE-Nantes, AFRQ, busta 338, rapport des oeuvres françaises en Italie: Institut français de Naples, année 1933-1934.^
94 J.B. Duroselle, La politique étrangère de la France: la décadence: 1932-1939, Parigi, Imprimerie nationale, 1979, pp. 291-294.^
95 Nel 1936, la Francia richiamò le sue legazioni diplomatiche in Etiopia, per mandare i suoi consoli presso le autorità italiane. Nel Settembre 1936, il Ministero degli Esteri francese rappresentato da Yvon Delbos, richiamò il suo Ambasciatore di Roma, Charles Chambrun, e decise di mandare un semplice chargé d’affaires, Jules Blondel, per rimpiazzarlo, rifiutando di accreditare un Ambasciatore presso il «Re e imperatore d’Italia». Solo nel 1938, un nuovo Ambasciatore fu mandato: A. François-Poncet, P. Milza, S. Berstein, L’Italie fasciste…, cit., pp. 333-335; J. Blondel, Au fil de la carrière. Récit d’un diplomate 1911-1938, Parigi, 1960, p. 396.^
96 AMAE-Nantes, SOFE, busta 309, réformes des Instituts et changements de direction, 10 febbraio 1937.^
97 AEFR-Roma, classeur 1, rapport de Pierre Ronzy sur la réorganisation des Instituts français d’Italie, 28 maggio 1938.^
98 AEFR-Roma, classeur 1, rapport de Pierre Ronzy sur la réorganisation des Instituts français d’Italie, 28 maggio 1938.^
99 AIFN, busta XXI, rapport sur le fonctionnement de l’IFN pour l’année 1935-1936.^
100 AMAE-Nantes, SOFE, busta 309, lettre du directeur de l’IFN à J. Marx, directeur du SOFE, 12 agosto 1936.^
101 Jérôme Carcopino (1881-1970) fu alunno dell’ENS, poi membro dell’EFR (1904-1907). Professore al Liceo di Le Havre, all’Università di Algeri, ispettore delle Antichità dell’Algeria, direttore del museo del Parc Galland, poi Professore presso la Facoltà di Lettere di Parigi. Infine, sarà nominato direttore (interinale, dal 1922 al 1923) dell’EFR (1937-1940). EFR, Annuaire des membres, (1873-1986), EFR, Roma, 1987, p. 24.^
102 AEFR-Rome, classeur 1, Institut français de Naples, lettre de Jean Marx à Jérôme Carcopino, 28 giugno 1938; Id., rapport de Pierre Ronzy sur la réorganisation des Instituts français d’Italie, 28 maggio 1938.^
103 AMAE-Nantes, SOFE, busta 310, lettre du SOFE au Recteur de l’Académie de Grenoble, 6 dicembre 1938.^
104 Maurice Vaïsse, Les oeuvres françaises en Italie dans les années 1930, in J.-B.Duroselle, E. Serra (dir.), Il vincolo culturale fra Italia e Francia negli anni trenta e quaranta, Milano, Franco Angeli, 1986, pp. 104-107.^
105 André François-Poncet, Au Palais Farnèse: souvenirs d’une Ambassade à Rome (1938-1940), Parigi, 1961, p. 61.^
106 AIFN, busta XXIV, cartella «correspondance administrative», Conseil de l’université, séance du 12 febbraio 1938.^
107 Tuttavia l’Istituto napoletano non era stato sottoposto a queste drastiche scelte.^
108 S. Colarizi, L’opinione degli italiani sotto il regime, Bari, 1991, pp. 298-299.^
109 André François-Poncet, Au Palais Farnèse: souvenirs d’une Ambassade à Rome (1938-1940), Parigi, Arthème Fayard, 1961, pp. 139-141.^
SOFE = Service des Œuvres françaises à l'Étranger
  Cosa ne pensi? Invia il tuo commento
 
Realizzazione a cura di: VinSoft di Coopyleft