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La crescita e il debito: metafore dell'ambiguità e del destino1
di Massimo Lo Cicero
Questo articolo tratta del problema di come usare bene il risparmio che sottraiamo al reddito di oggi e di come governare il destino dei debiti ereditati dal passato, i proventi dei quali abbiamo usato male. Si vedrà come la moneta, che rappresentava quel risparmio, sia finita in impieghi sterili o che rendono, comunque, meno del tasso di interesse che pretendono, oggi, i creditori che hanno consegnato i propri patrimoni monetari ai debitori che hanno investito male quei patrimoni.


1. Il problema di fondo

Le cronache economiche e finanziarie ruotano da mesi intorno a due parole che, nonostante la ridondanza della propria presenza nei testi della cronaca – e forse proprio in ragione dell’asimmetria che quella ridondanza genera con la interpretazione, necessariamente puntuale, delle relazioni reciproche tra crescita e debito – non vengono percepite adeguatamente, nei loro legami come negli effetti generati da quei legami stessi, da larga parte della popolazione che segue le cronache economiche e finanziarie.
Le parole in questione sono crescita e debito.
E queste due parole sono entrambe legate ad una metafora importante: l’incertezza che circonda la vita quotidiana, e che si proietta sulla percezione ambigua del futuro e sulla indeterminatezza del destino. Entrambe le parole, crescita e debito, sono ambigue.
Possono avere esiti molto diversi perché si dilatano nel tempo, tra passato, presente e futuro, mentre la loro ambiguità si lega al destino, che rappresenta il futuro, di un passato, che diventa noto solo quando il tempo, che separa il passato dal futuro, è trascorso e gli effetti maturati in quel tempo sono ormai irreversibili.
In ogni presente le persone, gli Stati, le imprese, le comunità organizzate come le famiglie o le associazioni di beneficenza, dispongono di un reddito in moneta. Di quel reddito impiegano una parte per consumare: acquistare cose che utilizzano nello spazio breve di un giorno o di qualche mese. Ma, quello che rimane, del reddito impiegato in questi consumi, diventa una riserva che essi possono investire, o consegnare ad altri, intermediari finanziari, che remunereranno quel risparmio, consegnato in moneta e diventato un titolo, ma trasferiranno ad altri la moneta ricevuta perché la utilizzino per realizzare investimenti. Realizzando, i destinatari del credito generato dal titolo consegnato dagli intermediari ai risparmiatori, un investimento che rappresenti strumenti materiali, sistemi ed organizzazioni, che siano, coordinati da imprenditore, singolo o collettivo, capaci, in futuro, di generare un reddito e di pagare con quel reddito anche il costo del debito che è stato contratto verso gli intermediari finanziari, oltre gli interessi dovuti ai risparmiatori originari. Gli intermediari, le banche, segnatamente, hanno il compito, ingrato, di prendere a prestito ad un tasso di interesse che possa risultare sostenibile, da parte di chi da loro prenderà a prestito le risorse monetarie mutuate, una volta che ad esso siano anche stati aggiunti i costi sopportati dall’intermediario per la propria attività.
Non per nulla Schumpeter chiamava i banchieri gli efori del capitalismo: gli efori essendo i giudici che a Sparta potevano mettere a morte i re. Ed essendo gli imprenditori, gli attori dell’investimento, i re dell’economia monetaria di produzione che, nel gergo comune, viene chiamata capitalismo. Gli intermediari, dunque, dovranno prestare quelle risorse monetarie, ad attori, gli imprenditori, che, nell’opinione degli intermediari, siano capaci di pagare un tasso di interesse adeguato a rendere sostenibile l’azione dell’intermediario. Circostanza che imporrà agli intermediari di scegliere come propri debitori quegli attori imprenditoriali che possano realizzare gli investimenti migliori, in termini di rendimento, perché solo in tal modo essi potranno recuperare tassi di interesse capaci di rendere sostenibile la vita degli intermediari e consentire, agli intermediari, di pagare i tassi di rendimento che essi avevano promesso ai propri debitori originali.
Tutte queste vicende si svolgono nel tempo e, come si è detto prima, nessuno conosce quali saranno gli esiti della crescita, cioè gli effetti degli investimenti, prima del tempo necessario perché gli investimenti siano maturati nei propri effetti. Nessuno degli attori imprenditoriali, o degli intermediari che hanno trasferito risparmio verso gli investimenti, conosce il destino dei debiti contratti, fino a quando non si scopre come siano stati usati dagli attori imprenditoriali i soldi ricevuti dal debitore. Nessun debitore potrà mai essere assolutamente certo di quando, ed in che misura, verrà rimborsato del suo credito. La dimensione patrimoniale dell’intermediario rappresenta una diga che dovrebbe coprire la perdita di quelle risorse affidate ad imprenditori, i progetti dei quali non si siano realizzati. Rafforzare il patrimonio delle banche rappresenta una maggiore sicurezza che i depositanti possano recuperare i propri risparmi al valore originario maggiorato degli interessi pattuiti con la banca. L’incertezza avvolge il futuro come una nebbia.
Il rischio, invece, è generato dal modo in cui gli attori imprenditoriali utilizzano la moneta, che rappresenta il risparmio di altri, e ne misura il valore, per sviluppare progetti dei quali l’incertezza avvolge il futuro. Agire senza conoscere tutte le conseguenze dell’azione è la molla che ha spinto l’economia monetaria di produzione verso la crescita: la globalizzazione del mercato ad una scala mondiale sta allargando la sfera d’azione di queste pratiche. La probabilità di ottenere un risultato da quei progetti è considerata una misura del rischio ma è, appunto, una probabilità: la media dei risultati dei tanti eventi possibili in futuro ma non il fatto, compiuto, che emergerà dalla folla, opaca ed indistinta, degli eventi possibili2.


2. Gli effetti sull’Europa della prima crisi finanziaria globale del ventunesimo secolo

La prima crisi finanziaria globale del ventunesimo secolo presenta il proprio punto culminante nel trapasso tra il 2007 ed il 2008. L’esperimento della moneta unica europea era iniziato nel 2000.
La speranza era, allora, di collegare la moneta unica con il mercato unico, e generare una grande spinta espansiva, capace di ottenere – grazie alla capacità, consolidata nei secoli, di utilizzare e gestire la conoscenza nel continente europeo – la creazione della più grande economia fondata sulla conoscenza nel mondo globale.
Veniva sottovalutata, con la speranza di avere questo traguardo, una doppia debolezza: la supremazia relativa, nel campo delle applicazioni della ICT (information and communication technology) da parte delle economie e delle nazioni legate al modello anglosassone, di vita e di comportamenti; la necessità di non considerare l’Europa solo e quasi come una grande economia chiusa, od almeno legata prevalentemente alla propria domanda di consumi domestici, e non collegata ad un sistema internazionale di esportazioni ed importazioni, specializzate secondo le capacità e le opportunità delle molte economie domestiche che si affacciavano al mercato globale.
In fondo veniva sottovalutato l’effetto di accelerazione dell’integrazione, che sarebbe venuto da un mondo multipolare e dal superamento delle fratture ideologiche e della guerra fredda, tra sistemi statali che si consideravano reciprocamente alternativi ed antagonisti tra loro. Così come era stato, probabilmente, sottovalutato anche l’insorgere di altre forme diffuse di conflittualità ed antagonismo, che si sono progressivamente rivelate nel corso degli ultimi dieci anni in maniera abbastanza drammatica, ma che non hanno ancora impedito il progressivo espandersi della integrazione mondiale dei sistemi economici. Sta di fatto che tre traumi imprevisti hanno ribaltato abbastanza radicalmente le aspettative europee rispetto alla grande economia fondata sulla conoscenza, la moneta unica ed il riequilibrio interno del reddito procapite. Aspettative che l’Unione Europea aveva immaginato di realizzare nel trapasso al terzo millennio.
«September Eleven» segnala, nel 2001, l’insorgere di nuove forme di antagonismo alla scala mondiale; la crisi dell’impero sovietico, nel 2003/2004, induce all’allargamento ed all’inclusione del mercato anche di paesi che non erano ancora in grado di utilizzare la moneta unica, l’euro, e le regole di integrazione fiscale che essa avrebbe comportato; la prima crisi finanziaria globale irrompe sulla scena nel 2008 ed impone, all’intera Europa di rivedere alla data del 2020 l’orizzonte possibile di un nuovo ordine economico interno. Sapendo ormai tutti noi che l’ordine economico mondiale è minacciato da una marcata asimmetria tra classi di paesi: quelli che crescono rapidamente, dopo la recessione che fa seguito alla crisi finanziaria, nel 2009/2010, e paesi che crescono meno ma anche paesi che crescono troppo poco3.
L’Europa percepisce nei propri confini questa insidiosa asimmetria tra crescita più lenta e crescita inadeguata: perché la Germania, collegandosi al mercato extraeuropeo, cresce più dell’Europa come un tutto, mentre l’Europa latina, vincolata dalla moneta unica e costretta dal fallimento delle proprie politiche del debito pubblico, cresce meno della media europea4.
Il risanamento del debito pubblico ed il ritrovamento della crescita diventano, in questo contesto, i temi centrali del dibattito mentre l’interrogativo di fondo della politica economica si trasforma in questa nuova formula: come si alimenta la crescita economica in presenza di un drastico ridimensionamento delle politiche fiscali5?
Questa risposta diventa sempre più difficile in Usa, come nell’Unione Europea, mentre viene, al contrario smentita dai Brics e dalle altre economie, che non hanno ancora sperimentato i costi di un welfare state molto allargato e, di conseguenza, non hanno avuto ancora problemi di gestione rispetto a stock esorbitanti di debito pubblico.
Allargando i compiti e le funzioni degli Stati si ottengono infatti due effetti: una maggiore spesa pubblica ed una maggiore probabilità che appaiano le due metastasi generate dall’incremento della dimensione dello spazio di relazioni sociali ed economiche sulle quali agiscono gli Stati, ed ogni altra forma di gerarchia finalizzata a scopi puntuali: il disordine, che genera inefficienza; l’opportunismo individuale, che genera corruzione e tradimento delle finalità assegnate dalle gerarchie agli individui che ne costituiscono la struttura.
Fenomeni, entrambi, che, nel caso degli Stati, alimentano la dilatazione del debito pubblico, in misura ulteriormente espansiva quando vengono raggiunte le soglie di una pressione fiscale che avvilisce la capacità di spesa monetaria dei cittadini ma non compensa questa riduzione, della capacità di consumare, attraverso la spesa privata, con un’adeguata contropartita nella produzione di consumi collettivi.
Circostanza, quest’ultima, facilmente spiegabile in presenza di inefficienza e di corruzione nelle organizzazioni che trasferiscono fiscalmente fondi monetari dai ricchi ai poveri. Del resto la fiscalità rappresenta, dovrebbe rappresentare, proprio la redistribuzione, nell’ottica di una maggiore giustizia sociale, degli effetti della crescita, che aumenta il livello dei beni e servizi prodotti.
Le imposte e la tasse, insomma, spostano una parte del reddito monetario disponibile verso impieghi diversi da quelli che avrebbero scelto i proprietari dei redditi sottoposti all’imposizione fiscale.
Il circuito finanziario degli Stati si risolve quindi in un mero trasferimento di fondi tra soggetti privati e soggetti pubblici. La spesa dei secondi, realizzati con i fondi ottenuti dai primi grazie al prelievo fiscale, modifica la struttura della domanda effettiva e, per questa strada indiretta, trasforma le forme ed i modi della produzione.
Questo è l’effetto macroeconomico della dimensione fiscale delle politiche pubbliche. Consumi collettivi, infrastrutture o beni intangibili, realizzati grazie a questa trasformazione dell’offerta, ottenuta da una modificazione, della domanda aggregata, mediante il prelievo fiscale, dovrebbero generare esternalità positive che, a loro volta, possono alimentare, traducendosi in vantaggi per gli attori privati, una ulteriore espansione della produttività media di sistema, cioè sia una maggiore crescita che una migliore qualificazione delle forme in cui si presenta lo sviluppo economico.
Quando la dimensione della spesa pubblica eccede in maniera sistematica e crescente quella del prelievo fiscale, lo Stato ricorre all’indebitamento per coprire spese che non avrebbero contropartita fiscale in entrata. Quel debito, in futuro, può essere rimborsato solo in tre maniere: un aumento del gettito fiscale, ad aliquote immutate, dovuto alla crescita che la spesa pubblica ha attivato grazie alle esternalità generate dagli effetti dell’investimento statale; aumentando la pressione fiscale con un incremento delle aliquote; cedendo ai privati le attività, finanziarie od immobiliari dello Stato, od affidando quelle stesse attività in regime di concessione a privati, perché le possano gestire, con i medesimi effetti di crescita economica, a costi inferiori a quelli praticati dalle organizzazioni statali, aumentando sia l’efficacia che l’efficienza di quei processi produttivi.
Per questi tre motivi gli economisti di tradizione ricardiana ritengono che il debito pubblico debba essere considerato solo, o molto prevalentemente, una imposta differita. La probabilità che esso, il debito pubblico, debba essere riassorbito da nuove imposte è tanto più alta quanto meno efficaci ed inefficienti siano stati gli impieghi, le forme di spesa, finanziati dalla pressione fiscale esistente.
La ragione per la quale, in molti casi esso, sempre il debito pubblico, venga ridimensionato da ondate di inflazione, che riducono il valore reale dei titoli che rappresentano il debito pubblico e sono nella proprietà di banche e risparmiatori, conferma questa affermazione. L’inflazione è una tassa regressiva che incide sul patrimonio dei poveri in termini più che proporzionali rispetto all’effetto che essa genera sul patrimonio della popolazione più ricca in termini di reddito e di patrimonio procapite. La difesa che le banche centrali devono garantire sul potere di acquisto della moneta è una forma di tutela della giustizia sociale che deve garantire l’equità della imposizione fiscale, sotto ogni forma, anche quella monetaria che si manifesta nei casi di grande inflazione.


3. L’Europa nella tenaglia tra debito e crescita

L’Unione Europea ha generato una sorta di tenaglia che le impedisce oggi di superare l’empasse tra la gestione del debito pubblico, di ognuno degli Stati che hanno aderito alla moneta unica, l’euro, e la crescita che, assicurando l’espansione della produzione progressivamente, ridimensionerebbe le dimensioni assolute, dello stock di debito pubblico esistente, rispetto alle dimensioni del prodotto lordo interno di ciascuno di quei paesi che si trovano di fronte uno stock molto significativo di debito pubblico.
Le due leve che stringono la tenaglia sono due innovazioni istituzionali introdotte nell’ordinamento europeo: la separazione tra la moneta ufficiale, il legal tender, e la misura monetaria del debito pubblico in ognuno degli Stati che ha aderito al regime della moneta unica mentre il debito pubblico di quegli stati è denominato in una moneta, che non è governata dalla banca centrale nazionale dello stato in questione; la nascita di una banca centrale europea, come consorzio delle banche centrali nazionali dei paesi che accettano il regime monetario dell’euro, che abbia come proprio obiettivo esclusivo la stabilità monetaria e sia formalmente indipendente, dagli Stati nazionali come dalla Commissione Economica Europea. L’insieme di queste due condizioni richiede ora la ulteriore definizione di istituti e strumenti che possano garantire una comune e condivisa politica fiscale per l’intera Unione Europea ma anche una funzione di lender of last resort (prestatore di ultima istanza) alla Banca Centrale Europea: la possibilità di essere la banca delle banche e la banca dello Stato, e non solo il controllore della dimensione e del tasso di crescita della base monetaria, per un insieme di Stati le cui economie utilizzano tutte la medesima moneta che non è, tuttavia, la moneta nazionale6. Se, nell’Unione Europa, il debito pubblico da rifinanziare è denominato in una moneta creata da una banca centrale diversa da quella dello Stato, che quel debito ha immesso sui mercati finanziari in forma cartolarizzata, viene meno l’esistenza stessa di un prestatore di ultima istanza. Le grandi organizzazione internazionali, siano banche od organismi intergovernativi, se emettono obbligazioni in dollari, e se quelle obbligazioni dovessero essere finanziate da un prestatore di ultima istanza per allungare o ridefinire la struttura dei debiti in essere, potrebbero contare sulla circostanza che esiste un prestatore di ultima istanza che sia capace di garantire un rischio di insolvenza in dollari, la relazione istituzionale tra Federal Reserve e Stati Uniti d’America.
Questo processo di riconciliazione e coordinamento tra politiche fiscali e politiche monetarie è oggi ancora incompiuto e si presenta, invece, nell’Unione Europea, in una fase sperimentale e prototipale.
Non è ancora un fatto compiuto.
Nel durante di tale processo di completamento degli assetti istituzionali per governare politiche fiscali e monetarie nell’ambito dell’Unione Europea, la crisi del debito, in alcuni paesi dell’Unione, diventa una sorta di minaccia, che deriva dalla condivisione della moneta, l’euro, in cui viene espresso il valore del debito medesimo.
La crisi del debito sovrano di uno Stato, singolo, potrebbe diventare la crisi dell’euro, anche perché non esiste, nell’attuale contesto istituzionale, uno Stato che possa garantire la continuità dell’Euro come legal tender. Non essendo l’Unione Europea uno Stato.
In un mondo imperfetto, ha scritto di recente Krugman7, la moneta non servirebbe a niente, se non a compilare cataloghi dei prezzi nominali dei beni (prezzi assoluti). Ma ogni bene sarebbe scambiato con altri in una proporzione già nota a tutti gli operatori del sistema (prezzi relativi). Essendo assolutamente irrealistica questa eventualità, la moneta serve come convenzione sociale che aiuta il miglior coordinamento degli scambi. Ed, essendo la moneta cartacea un debito, della banca centrale che la emette, fronteggiato dai crediti che la banca centrale vanta verso le banche, il resto del mondo e lo Stato nazionale, nell’ordinamento del quale essa è stata incardinata, non possiamo immaginare un mondo imperfetto nel quale, e nel rispetto delle convenzioni formali esistenti, le banche centrali e gli stati nazionali non si occupino di governare la dinamica dei prezzi, dei tassi di interesse e dei cambi tra valute diverse, governando lo sviluppo economico mondiale attraverso il coordinamento, così realizzato, degli scambi di merci e di capitali8.
Il rimpianto della prima esperienza, e la speranza di creare una seconda replica di quella esperienza, anima le attività dell’Insitute for a New Economic Thinking9, che organizza da due anni un convegno annuale a Bretton Woods per dare una forma praticabile a questo coordinamento. Il valore simbolico di quella località, per il mondo globale che emergeva dalla grande crisi degli anni Trenta seguita dalla seconda guerra mondiale, si spiega, oggi, proprio alla luce delle condizioni oggettive che limitano la possibilità di governare adeguatamente la crescita mondiale, riducendo gli squilibri ed i punti di crisi che si manifestano, necessariamente, in un mondo imperfetto.


4. Stock e flussi: mercati finanziari e crescita reale

La tensione crescente, che si è accumulata in Europa e contro l’Europa da parte di molti attori speculativi, di fronte alla lentezza10 con cui maturavano decisioni condivise sugli strumenti per affrontare i problemi del debito pubblico e della crescita nei paesi latini e, segnatamente, in Grecia, poteva essere evitata. Essendo ampiamente note le ragioni e le origini dei problemi da affrontare. Abbiamo già rilevato le opinioni di Spaventa, Savona ed altri economisti che confermano questo giudizio.
Un intervento più tempestivo avrebbe ridimensionato i costi complessivi, che saranno necessari per aggredire compiutamente quei problemi, ed avrebbe evitato una ulteriore drammatizzazione del caso italiano e di quello islandese che vanno, oggi, ad aggiungersi al gruppo dei Pigs: Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna nella formazione iniziale.
Prima che anche l’Italia e la Islanda fossero inclusi nella lista dei paesi a rischio (Piiigs?). Una parte di quella lentezza derivava dalla indeterminatezza delle soluzioni tecniche da utilizzare; indeterminatezza che derivava, a sua volta, da quali Stati avrebbero dovuto coprire i costi dell’operazione di risanamento e ridimensionamento del debito pubblico degli Stati più fragili.
Questo problema, distribuire adeguatamente tra gli Stati europei, la copertura degli oneri necessari per salvare i deboli e, nel medesimo tempo, garantire la continuità del processo di costruzione dell’Unione Europea come entità politica consistente ed autonoma, nasceva dalla troppo lenta realizzazione di un regime di governo adeguato alla complessità dell’Unione Europea. Troppi Stati che oscillano tra un coordinamento dei Governi ed un mandato pieno alla Commissione; troppo pochi gli Stati che si considerano comunque leader del processo ed impongono, o cercano di imporre, modi e condizioni asimmetriche o troppo divergenti rispetto ad una soluzione di equilibrio nella ripartizione delle risorse necessarie per superare i problemi. La Germania e la Francia in pole position rispetto a questa graduatoria.
Alla base di tali problemi rimane la tenaglia che strangola il sistema: una moneta che non ha uno Stato che ne possa garantire il corso legale; una banca centrale che non ha un Governo con cui confrontarsi per definire le condizioni di un coordinamento tra la politica monetaria e la politica fiscale ed, in questo modo, garantire un processo più ordinato di sviluppo per l’intera Unione Europea.
I problemi da affrontare erano e rimangono due: la gestione degli stock esistenti di debito pubblico, che si lega al funzionamento degli scambi tra stock di titoli e moneta, complicati oggi dall’esistenza della finanza derivata; il trasferimento dei flussi di risparmio verso l’investimento, che impone una rivisitazione della regolamentazione del sistema bancario per evitare ulteriori patologie come quelle che si sono manifestate nella prima crisi finanziaria del mercato globale, come è stato detto. Patologie che sono riconducibili, anche in questo caso, alla regolamentazione dei rapporti tra finanza derivata, credito bancario e credito mobiliare.
Esiste uno stock di debito pubblico che circola sui mercati secondari: titoli emessi ad un valore nominale ed ad un tasso di interesse che, sui mercati secondari, vengono scambiati ad un prezzo molto inferiore al nominale. Ovviamente questo cedimento dei corsi rivela un aumento dei tassi impliciti che, in presenza di nuove emissioni da parte dei singoli Stati coinvolti, comporterebbe un aumento dei tassi sui nuovi titoli – e, di conseguenza, un incremento degli oneri per la spesa pubblica – ma anche una dilatazione dei disavanzi anno per anno, cioè un effetto finale “palla di neve che diventa slavina” sulla dimensione dei debiti pubblici. Questa catena di conseguenze negative è stata originata da tre ordini di circostanze: i piiigs hanno dovuto dilatare la spesa pubblica per fronteggiare la recessione successiva alla crisi finanziaria globale; alcuni tra loro crescevano poco e male anche prima della crisi finanziaria globale; molti tra loro, grazie alla dilatazione crescente della spesa pubblica, erano e sono travolti da fenomeni di inefficienza e di corruzione che deteriorano ulteriormente il funzionamento della macchina statale. Per tutti questi paesi nascono problemi di credibilità per lo stock dei titoli che circola sui mercati secondari, problemi di credibilità per il ceto politico che governa quei paesi e che sembra aver perso il controllo della situazione; problemi di mancata crescita che, pregiudicata la possibilità di una espansione economica che riequilibri la dimensione relativa del debito pubblico rispetto al pil, impongono misure draconiane di privatizzazione e di ridimensionamento delle funzioni pubbliche.
La presenza di titoli del debito pubblico, che siano accettati dai mercati secondari solo con un forte sconto sul prezzo nominale degli stessi, produce anche il sospetto di un effetto contagio: quei titoli sono anche nel portafoglio di molte banche europee e, se il loro corso diventa inferiore al nominale, ma anche al prezzo al quale quelle banche li hanno acquistati, quelle banche accusano minusvalenze ed anche il valore delle azioni, e delle obbligazioni, emesse dalle banche viene deprezzato sui mercati secondari. Se questo deprezzamento corrisponde effettivamente ai valori fondamentali dei titoli, di cui si parla, la speculazione, giocando al ribasso, cioè vendendo anche allo scoperto, per ricomprare la medesima quantità di titoli ad un prezzo più basso ed ottenendo anche differenziali di liquidità dalle vendite e dai riacquisti, riporta il mercato a prezzi realistici e guadagna attraverso le transazioni realizzate.
Ma se quei prezzi vengono spinti troppo in basso per ottenere opportunisticamente vantaggi, sui titoli o sui cambi delle monete, dovrebbero essere gli Stati e le banche centrali a battere la speculazione, ripristinando prima degli speculatori una credibile situazione di equilibrio sui prezzi dei titoli e sui cambi delle valute.


5. EFSF vs. Piano Marshall? Prototipi sperimentali e prospettive analitiche diverse

Il potenziamento, nel luglio 2011, dell’European Financial Stability Facility (EFSF), una società anonima fondata in Lussemburgo il 7 giugno 2010 e resa operativa il 4 agosto del medesimo anno, alla quale partecipano i principali stati europei è stato un passo importante. Si tratta del così detto fondo “Salva Stati” che è un primo strumento di raccordo tra la gestione del debito pubblico dei singoli paesi ed un disegno coordinato europeo di stabilità e crescita11.
Lo strumento nasce nella forma di una società per azioni domiciliata in Lussemburgo per emettere azioni ed obbligazioni e generare, per questa strada, flussi potenziali di investimento da realizzare attraverso accordi definiti con i governi dei paesi europei. Azionisti della società sono i governi di larga parte dei paesi dell’Unione Europea.
I limiti dello strumento, per ora, sono le dimensioni delle operazioni complessivamente realizzabili e la sua natura, per così dire, prototipale. Esso (EFSF) dovrebbe cessare la propria attività, se non per la gestione delle operazioni non ancora concluse, nel 2013. Anno nel quale sorgerebbe, al suo posto, uno strumento analogo ma meglio articolato e del quale è già prevista la nascita: lo European Stability Mechanism (ESM)12. L’insieme di queste misure prefigura uno, o due, strumenti che potrebbero agire in futuro come pilastri di coordinamento per una crescita stabile dell’economia europea. Pilastri che dovrebbero garantire un processo che agisca sul flusso, che trasforma i risparmi in investimenti, facendo perno su eurobond dei quali rispondono, progressivamente e non da oggi stesso, tutti i paesi aderenti all’Unione Europea, ma anche assicurare una funzione particolare di prestatore di ultima istanza: ritirare dal mercato secondario emissioni di debito, denominate in euro, ma portatrici di un rischio sovrano riferito a singoli Stati dell’Unione. La dimensione del capitale della entità, che oggi assicura questa funzione, (ESFS) non è ancora adeguata al fabbisogno necessario.
Il potenziamento deciso nel luglio 2011 dello strumento prototipale include, tuttavia, un salto qualitativo nelle azioni che esso potrà svolgere, ancorché in una prima fase di sperimentazione e costruzione di soluzioni sul campo13. Si tratta della possibilità per EFSF di acquistare titoli del debito pubblico sul mercato secondario, concorrendo in tal modo ad una gestione attiva del problema relativo ai titoli in circolazione e non a quelli di nuova emissione.
Questa opportunità permette ad ESFS di cartolarizzare, con titoli dal rating migliore, parte dei titoli in circolazione. Mantenendo i titoli rilevati sui mercati secondari nel proprio portafoglio fino alla propria scadenza naturale, ESFS potrà ottenerne il rimborso alla pari per la quota capitale e percepirà un rendimento ragionevole, considerato il prezzo di acquisto sotto la pari. Nel medesimo tempo, essendo EFSF quotato al massimo rating dalle agenzie di rating internazionali per lo standing dei propri soci, che si rendono anche esplicitamente garanti dei titoli emessi dalla società, esso potrà finanziare a tassi ragionevoli i programmi di investimento per la crescita sottoposti dai paesi in affanno per realizzare i quali esso era stato originariamente creato.
Anche se in futuro, dopo il 2013, questa funzione potrebbe essere “ereditata” dall’ESM. La soluzione trovata, insomma, determina un importante risultato sul piano degli strumenti e delle strategie che si possono ora mettere in campo. Da una parte, come è stato detto nella prima parte di questo testo, esiste un problema di gestione e riorganizzazione dei titoli rappresentativi del debito pubblico dei paesi europei in difficoltà. Questa gestione del debito, grazie alla ricartolarizzazione, che può realizzare ESFS, ora può essere sostenuta. Ovviamente si tratta di definire la dimensione delle operazioni ma è innegabile che la carta, emessa da ESFS, sarà certamente più vendibile della carta che esso ritirerà dai mercati. Inoltre nasce una emissione che non sarà considerata debito pubblico dell’Unione Europea ma certamente sarà considerata come debito pubblico della maggioranza dei paesi europei partecipanti ad un unico soggetto emittente, una società di larga parte degli Stati appartenenti all’Unione Europea.
Non si chiuderà ancora del tutto lo iato tra debito espresso in una carta generata dagli Stati e moneta unica ma sarà stato compiuto un primo passo avanti in direzione della coincidenza tra debito, moneta e governo dell’Unione Europea.
La seconda importante conseguenza del rilancio di ESFS è il fatto che, anche grazie alle innovazioni aperte dalla soluzione del caso Grecia, si potrà aprire lo spazio per un vero e proprio trasferimento di risorse dal risparmio mondiale agli investimenti per rilanciare la crescita in Europa14. Grazie, in altre parole, al fatto che si apre la prospettiva di investimenti diretti, in infrastrutture, risorse umane e processi di riorganizzazione urbana e territoriale, si mette in moto un trasferimento di risorse nel quale un flusso di beni e servizi alimenterà la creazione di attività, capaci di generare esternalità economiche e vantaggi finanziari nel paese destinatario. Si mette potenzialmente in moto un piano di investimenti che allarga le dimensioni dell’economia reale e, per questa strada, oltre che con idonee privatizzazioni e concessioni ad operatori di mercato, permetterà alla Grecia di riprendere la crescita. Si esce da una logica di stabilizzazione finanziaria e di ristrutturazione ed allungamento dei debiti in essere e si ipotizza un ciclo espansivo di investimenti e crescita del prodotto interno lordo.
Questo è l’effetto “Piano Marshall”, di cui ha parlato giustamente una economista italiana, Benedicta Marzinotto15. Viene superato, in questo modo, l’orizzonte asfitticamente fiscale, che vedeva la soluzione dei problemi relegata allo stock di debito esistente, e flottante sui mercati, ed alle conseguenze del suo progressivo deprezzamento sul contesto economico generale. Nasce una ipotesi, altra ed alternativa, che vede la crescita come leva determinante per uscire dalla recessione e non la deflazione della spesa come male minore per convivere con la recessione. Il rigore cede il passo alla sfida verso le forze oscure del tempo e dell’ignoranza, che chiudono la porta di accesso ad un futuro migliore del presente. Una simile prospettiva andrebbe adottata anche dall’Italia che, nel proprio Mezzogiorno, ritrova, a scala allargata, molti caratteri, economici e finanziari, dell’economia della Grecia insieme con alcune rilevanti presenze metropolitane ed industriali. Metropoli degradate ed industrie spesso mortificate, ma comunque realtà a partire dalle quali, dalla dimensione e dalla densità delle quali, si possono immaginare progetti di espansione.
Senza contare le opportunità di utilizzare l’industria turistica, in Grecia16 come nel Mezzogiorno italiano od in Spagna, come generatore di riserve valutarie grazie ai flussi di entrata che essa può sviluppare. Emulando gli effetti virtuosi dell’esportazione.
A condizione, ovviamente, come accade per le esportazioni, che i costi delle strutture turistiche siano compatibili con i prezzi internazionali e la produttività delle imprese e dei sistemi territoriali. Se l’Italia riuscisse ad utilizzare il proprio Sud, una economia che presenta il doppio della popolazione della Grecia, come una leva per la ripresa della propria crescita, anche per il nostro paese potremmo dire che il rigore ha ceduto il passo alla crescita come strumento principale della ripresa. Trattandosi di economie simili, ed essendo anche l’Italia socia di ESFS, e possibile destinataria della sua azione, non si capirebbe perché non aggiungere anche questa scommessa a quella dell’Europa e del governo greco che si viene proponendo nell’estate del 2011.
Non si può, allo stato dei fatti, definire quali saranno gli esiti delle politiche, ancora indeterminate, che consentiranno all’Italia ed all’Europa di superare questa crisi. Vogliamo, tuttavia, mettere in evidenza una differenza di fondo, l’esistenza della quale potrebbe alimentare incertezza e confusione nella definizione di politiche affidabili, quali che siano le configurazioni definitive di quelle politiche stesse. L’Unione Europea deve trovare un assetto istituzionale che la configuri come una vera e propria entità statuale, capace di: coordinare le politiche fiscali e quelle monetarie; disporre di un prestatore di ultima istanza, come il sistema di regole che collega la Federal Reserve al Governo degli Stati Uniti; utilizzare un sistema di monitoraggio e vigilanza sui mercati e le istituzioni finanziarie.
Quest’ultima funzione, se si condivide la percezione del mercato finanziario come mercato globale, che si collega e si contrappone al mercato globale dei beni e dei servizi reali, deve essere, progressivamente allineata negli standard regolamentari e comportamentali del mondo intero. Come si legge nei documenti della BRI, i criteri di Basilea, e nelle raccomandazioni del FSB, organismo che è espressione del G20, come abbiamo ricordato prima.
La collocazione alla presidenza della BCE – l’embrione di una banca centrale per la futura Unione Europea, dotata di una propria identità statuale – di Mario Draghi, che proviene da una lunga presidenza del FSB nel durante della prima crisi finanziaria del mercato globale, è una grande opportunità per l’Europa e per l’Italia, evidentemente.
Senza contare che, nonostante la stagnazione ultradecennale e la persistente importazione netta di beni e servizi – una produzione deficitaria rispetto alla dimensione dei consumi interni – l’economia italiana è pur sempre la terza economia della zona euro, dopo la Germania e la Francia.
A prescindere dagli orientamenti, propositivi o diffidenti, degli economisti che si occupano di eurobond – cioè di titoli emessi da una entità capace di garantire il rischio sovrano degli stessi e la fondatezza della moneta, l’euro, in cui quei bond sono denominati – non esistono altre soluzioni possibili rispetto al raccordo tra politiche monetarie e politiche fiscali: un raccordo che si deve costruire collegano la natura statuale dell’Europa e gli obiettivi e le funzioni della Banca Centrale Europea, come garante della gestione di quella moneta emessa in nome e per conto della entità statuale europea.
Ci vorrà tempo e pazienza per arrivare a questo risultato.
Proporre banche di sviluppo, cioè intermediari finanziari capaci di trasferire flussi di risparmio verso flussi di investimento per alimentare la crescita di regioni ed economie che devono incrementare la propria produttività di sistema, come la World Bank è altra cosa: le banche di sviluppo servono per finanziare infrastrutture, grandi reti industriali od altre forme di beni intangibili e di capitale sociale. Creare esternalità positive e sistemi di rete. Ne esistono in Europa alcune, come la BEI, ed altre forme di entità intergovernative che raccolgono risparmio sui mercati per offrire fondi a chi, enti pubblici od attori privati, voglia cimentarsi nella realizzazione di investimenti. L’aumento nel numero di questo tipo di intermediari sarebbe il benvenuto in Europa e sarebbe utile anche che entità pubbliche e banche private, organizzate come società per azioni, partecipassero a simili iniziative impiegando le proprie competenze e le proprie capacità di valutare e monitorare progetti di investimento su larga scala. È evidente che questo genere di attività sarebbe fondamentale per avviare una crescita più sostenuta in Europa ma non avrebbe alcuna relazione, funzionale o strumentale, con i problemi di raccordo tra politiche monetarie e politiche fiscali di cui si è cercato di dare una interpretazione in questo articolo.





NOTE
1 «Ancora qui, Laerte?... A bordo, a bordo! // Il vento s’è già assiso da padrone // in cima alla tua vela, e là t’aspettano. // Va’, figlio, con la mia benedizione, // e imprimiti a caratteri di stampa // nella tua mente queste poche regole: // mai non prestare lingua ai tuoi pensieri, // mai prestar mano a pensieri avventati; // gli amici di provata fedeltà // aggrappateli saldamente al cuore // con uncini d’acciaio; ma sta’ attento // a non scaldarti il cavo delle mani // trattenendovi nuovi uccelli implumi // schiusi appena dal guscio. // Guardati dal mischiarti in tafferugli, // ma se t’accada d’esservi coinvolto, // agisci in modo che il tuo contendente // abbia a guardarsi bene dai tuoi colpi. // A tutti porgi orecchio, a pochi voce. // Accogli sempre l’opinione altrui, // ma pensa a modo tuo. Il tuo vestire, // per quanto può permetterti la borsa, // sia di buon prezzo, ma non stravagante; // ricercato, ma non troppo fastoso, // ché l’abito rivela spesso l’uomo, // e in Francia le persone di buon ceto // sono assai ricercate nel vestire // ed hanno classe, specialmente in questo. // // Non chiedere né dar danaro in prestito: // col prestito si perde, molto spesso, // il danaro e l'amico, e il fare debiti // smussa il filo dell'economia. // Ma soprattutto tieni questo in mente: // sii sempre, e resta, fedele a te stesso; // ne seguirà, come la notte al giorno, // che non sarai sleale con nessuno. // Addio, figlio. La mia benedizione // trapianti e faccia maturare in te // questi pochi precetti di tuo padre». http://www.liberliber.it/biblioteca/s/shakespeare/amleto/html/testo_01.htm. Il neretto nelle frasi è aggiunto da chi scrive.^
2 Una ricostruzione molto efficace dei fondamenti analitici con cui gli economisti, e gli studiosi della probabilità, hanno percepito ed interpretato la natura del rischio e della incertezza si trova in A. Roncaglia, Economisti che sbagliano, le radici culturali della crisi, Roma-Bari, Editori Laterza, 2010. In particolare nei capitoli 5° e 6°. Nel capitolo 7° Roncaglia introduce anche una puntuale osservazione sulla esigenza di trovare, come nel 1944, un compromesso cooperativo alla scala mondiale, evocando anche lui una possibile seconda Bretton Woods. Questo tema, la creazione di un sistema cooperativo di comportamenti sui prezzi relativi tra le valute, i cambi, e l’equilibrio degli scambi internazionali in termini di flussi commerciali, riappare anche nell’ultima parte di questo articolo. Ovviamente, questa seconda Bretton Woods dovrebbe tenere conto della dimensione, oggi assolutamente preponderante, rispetto agli anni Cinquanta del Novecento, dei movimenti di capitale finanziario, tra economie e nazioni diverse tra loro, rispetto ai movimenti di merci e servizi.^
3 Una prima interpretazione della scena finanziaria alla scala mondiale, e delle politiche necessarie per ridefinire l’architettura delle regole per governare i mercati e gli intermediari finanziari, viene pubblicata nel 2010 a Londra dalla London School of Economics and Political Science: Il titolo del volume è The Future of Finance: The LSE Report ed il volume medesimo può essere acquistato dalla pagina web at http://www2.lse.ac.uk/newsAndMedia/publications/book/2010/TheFutureOfFinance.aspx. Anche Mario Draghi, diventato Governatore della Banca d’Italia nel 2006, segue con attenzione le modificazioni dell’architettura finanziaria internazionale e le commenta tempestivamente nel corso del suo mandato. Si vedano, in particolare, le analisi di seguito riportate. L’incipit delle sue prime considerazioni finali, lette nel maggio del 2007 e relative all’anno 2006, chiarisce bene la svolta strutturale che, nell’occasione del ricambio e della successione ad Antonio Fazio, nella qualità di Governatore della banca, è maturata. Scrive Draghi nella prima pagina delle sue prime considerazioni finali che «ai membri del Direttorio che nel 2006 hanno lasciato la Banca dopo decenni di lavoro svolto con impegno, rigore ed equilibrio rivolgo un saluto grato e affettuoso. Hanno accompagnato i miei primi passi in questa istituzione con il conforto della loro lealtà ed esperienza. Vincenzo Desario, Direttore generale dal 1994, ha servito l’Istituto nell’esercizio di delicatissime funzioni, segnatamente nell’area della Vigilanza creditizia. Dopo le dimissioni del dottor Antonio Fazio ha retto ad interim l’Istituto. Di lui resta un’impronta indelebile nell’impostazione della supervisione prudenziale, nei principi dell’organizzazione interna, nella prassi quotidiana dell’amministrazione. Il Consiglio superiore lo ha nominato Direttore generale onorario. Pierluigi Ciocca, Vice direttore generale dal 1995, ha dato alla Banca l’originalità e la profondità del suo pensiero, della sua cultura economica e giuridica. Ha promosso lo studio del diritto dell’economia. Ha ispirato la ricerca per molti anni. Ha contribuito all’affinamento dell’analisi delle funzioni della banca centrale. Nel 2006 il Direttorio accoglie nuove professionalità, esperienze maturate anche all’estero. Fabrizio Saccomanni, che ha diretto per tre anni, come Vice presidente, la gestione dei rischi della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, dall’ottobre è Direttore generale. Da dicembre si affiancano ad Antonio Finocchiaro, come Vice direttori generali, Ignazio Visco, Direttore centrale per la Ricerca economica e già per cinque anni Chief Economist dell’OCSE, e Giovanni Carosio, in precedenza Direttore centrale per la Vigilanza creditizia e finanziaria. Il Direttorio si ricompone congiungendo prestigiose esperienze internazionali con profonda conoscenza dell’Istituzione, competenze di analisi e ricerca con specializzazione nell’area regolamentare e della banca centrale. Nell’anno appena trascorso è stato approvato il nuovo Statuto della Banca. Esso introduce modifiche nell’operatività degli organi dell’Istituto: Consiglio superiore, Collegio sindacale, Direttorio. Stabilisce il principio della collegialità per i provvedimenti che hanno rilevanza esterna». Come si vede è lo stesso Draghi che definisce il proprio ingresso nella banca centrale come un tassello, rilevante, di una profonda riorganizzazione dei comportamenti e delle regole che li governano e che fissano il perimetro della missione istituzionale della stessa. Ad un nuovo sistema dei mercati e degli intermediari finanziari deve corrispondere una rimodulazione dell’organo di vigilanza sugli stessi attori che danno vita a quei mercati ed a quegli intermediari. Dall’aprile del 2006 Draghi è anche Presidente, nella persona e non nelle funzioni di Governatore della banca centrale italiana, del Financial Stability Forum, fondato dal G7 nel 1999 e convocato, per la prima volta, nell’aprile di quell’anno a Washington. Prima di Draghi l’organismo era stato guidato da Andrew Crockett e da Roger Ferguson [General Manager of the Bank for International Settlements (1999-2003) il primo e Vice Chairman of the Board of Governors of the Federal Reserve System (2003-2006) il secondo]. L’organismo si trasforma in una organizzazione più stabile ed articolata grazie all’iniziativa del G20 nel summit dell’aprile 2009 e diventa il Financial Stability Board che mantiene la propria struttura operativa in Basilea, in Svizzera, ospitato dalla Bank for International Settlements. Il mandato del FSF, prima, e, rafforzato dagli eventi conseguenti la prima crisi mondiale dei mercati finanziari, iniziata nel biennio 2006/2007, è proprio quello di articolare i principi di un nuovo sistema di governo dei mercati e degli intermediari finanziari. Nella sua attuale configurazione, FSB, l’organismo riunisce rappresentanti dei governi, delle banche centrali e delle autorità nazionali di vigilanza sulle istituzioni e sui mercati finanziari, di istituzioni finanziarie internazionali, di associazioni internazionali di autorità di regolamentazione e supervisione e di comitati di esperti di banche centrali. Esso si propone di promuovere la stabilità finanziaria a livello internazionale, migliorare il funzionamento dei mercati e ridurre il rischio sistemico attraverso lo scambio di informazioni e la cooperazione internazionale tra le autorità di vigilanza. Ad agosto del 2011 è ancora presieduto da Mario Draghi. Durante gli anni nei quali Draghi è stato alla guida della Banca d’Italia, del FSF e poi del FSB è ritornato più volte sui temi della modificazione dei mercati e degli intermediari parallela alla globalizzazione dell’economia intera. In effetti la ICT ha alimentato, sul piano tecnologico, l’integrazione transnazionale delle imprese e delle banche e le banche, per la loro natura, dovendo controllare e gestire informazioni e trasferirle in tempo reale da una parte all’altra del mondo hanno rappresentato il primo esempio di una economia fondata sulla connessione e non solo sulla contiguità e la prossimità fisica tra gli operatori. I principali contributi di Mario Draghi su questi temi sono stati: Center for Financial Studies, Presidential Lecture Series, Transformation in the European Financial Industry: Opportunities and Risks, Lecture by the Governor of the Bank of Italy, M. Draghi, Frankfurt, 22 November 2007; NBER - Bocconi University,“Europe and the euro”, Financial Stability and Growth: The Role of The Euro, Speech by the Governor of the Bank of Italy, M. Draghi, Milan, 17 October 2008; Combating the global financial crisis - the role of international cooperation, HKMA Distinguished Lecture, 16 December 2008; Challenges to Financial Stability and the Proposals of the Financial Stability Board, Address by the Governor of the Bank of Italy M. Draghi, Rome, 12 November 2009; Modernisation of the Global Financial Architecture: Global Financial Stability, Remarks of M. Draghi, Chairman of the Financial Stability Board to the Committee on Economic and Monetary Affairs European Parliament, 17 March 2010; una intervista al quotidiano «Handelsblatt», 19 marzo 2010, M. Draghi, Abbiamo bisogno di un governo economico europeo; Università cattolica del Sacro Cuore, L’euro: dal passato al futuro, Intervento del Governatore della Banca d’Italia, M. Draghi, Milano, 21 marzo 2011; Globalizzazione e politiche economiche: lezioni da una crisi, Intervento del Governatore della Banca d’Italia, M. Draghi, Torino,13 aprile 2011; Les Rencontres Économiques d’Aix-en-Provence, 8-9-10 July 2011, Session 2, Tensions and New Alliances: the Currency Wars, Mr. M. Draghi, Introduction. Ovviamente è molto interessante anche il testo delle ultime considerazioni finali di Draghi, lette il 31 maggio del 2011 e relative all’anno 2010, nel quale egli traccia anche un bilancio della sua esperienza come Governatore della banca centrale italiana, essendo ormai già stato designato alla guida della BCE. Si veda, in proposito, l’intervista alla «Frankfurter Allgemeine Zeitung», del 15 febbraio 2011 dal titolo Tutti dovrebbero seguire il modello tedesco. Interventi che possono essere tutti scaricati at http://www.bancaditalia.it/interventi/integov. Al centro delle riflessioni di Draghi esiste un nocciolo duro che può essere sintetizzato in questi termini. La globalizzazione, e lo sviluppo di nuove tecnologie finanziarie, realizzano un nuovo modello di business per le grandi banche internazionali, l’OTC, il così detto originate-to-distribute model: creare e distribuire il rischio che hai creato, costruendo titoli rappresentativi di quel rischio e delle operazioni che lo hanno generato. Derivati e cartolarizzazione sono la base, instabile per certi versi, di questo nuovo modello di business. Essendo il precedente modello quello di creare e conservare, negli stati patrimoniali delle banche, il rischio che esse avevano generato erogando crediti. I mercati secondari, quelli dove si scambiano moneta e titoli diventano, grazie alla diffusione delle tecniche di cartolarizzazione del rischio ed all’allargamento delle quotazioni per azioni ed obbligazioni, centrali per i sistemi finanziari e per il sistema finanziario globale, che si è creato in una sorta di relazione simmetrica con il mercato finanziario globale. Le forze generate dallo scambio tra moneta e titoli prevalgono su quelle che dovrebbero trasferire il risparmio verso l’investimento, come facevano, nel modello precedente (conservare e gestire il rischio) le banche. Il mercato finanziario moderno è governato dagli intermediari ma è orientato dagli attori, gli intermediari che agiscono sui mercati per ottenere commissioni sugli scambi di titoli e non per valutare e concedere credito come accadeva in una stagione, il Novecento, ed in una regione, l’Europa, dove i processi non erano orientati ai mercati ma agli interme diari. Si veda, nella sterminata letteratura esistente su mercati e intermediari, il volume di M. Albert, Capitalismo contro capitalismo, Bologna, il Mulino, 1993, ma anche l’articolo Capitalismo contro capitalismo, dieci anni dopo, ne «il Mulino», n. 3, maggio-giugno 2001.^
4 I problemi che legano il processo di integrazione economica e politica dell’Europa e le contraddizioni che le modalità di attuazione della moneta unica avrebbero potuto determinare, ed hanno determinato, nella convivenza dell’Europa latina con la Germania, e le economie che appartengono all’Unione ma non utilizzano l’euro come moneta nazionale, si potevano leggere già in G. La Malfa, L’Europa legata, i rischi dell’euro, Milano, Rizzoli, 2000. Sui medesimi problemi, ma affrontati in una ottica assai meno pessimistica sul destino dell’euro, si legga L. Bini Smaghi, L’Euro, Bologna, il Mulino, quarta edizione aggiornata, 2009. Si vedano, inoltre, i commenti ex post, rispetto al periodo di gestazione e creazione della moneta unica. In particolare il commento di P. Savona e C. Pelanda, Europa, America e Cina hanno un problema comune chiamato dollaro, apparso su «Il Foglio» del 26 luglio 2011. Sia consentito rimandare anche a M. Lo Cicero, Mezzogiorno e mediterraneo, un approccio di lungo periodo, in «Alternative per il Socialismo», n. 17/2011; il testo può essere scaricato at http://www.finanzaecomunicazione.it/massimo-locicero/senior/mezzogiorno-e-mediterraneo-un-approccio-di-lungo-periodo.^
5 Una risposta a questa domanda si trova in L. Spaventa, All’ultimo minuto, in «la Repubblica» del 22 luglio 2001 od in P. Savona, L’Italia che argina il deficit non legittima l’inerzia europea, in «Il Foglio» del 18 agosto 2011. Si legga anche P. Krugman, Anche la BRI ha la testa dura: il rigore ci porta in recessione, ne «Il Sole 24 Ore»» del 16 luglio 2011. Si vedano anche i materiali raccolti grazie alle ricerche dell’OECD e del Ministero dello Sviluppo Economico italiano, nella pagina web, Come realizzare investimenti per la crescita quando si contrae la spesa pubblica, che si può scaricare dal sito www.finanzaecomunicazione.it at http://www.finanzaecomunicazione.it/admin/tool/come-realizzare-investimenti-per-la-crescita-quando-si-contraela-spesa-pubblica.^
6 Si veda P. De Grauwe, The European Central Bank as a lender of last resort, 18 Agosto 2011, che si può scaricare at http://www.voxeu.org/index.php?q=node/6884#fn1 ma anche D. Gros, The seniority conundrum: Bail out countries but bail in private, short-term creditors?, 5 dicembre 2010, che si può scaricare at http://www.voxeu.org/index.php?q=node/5891. Entrambi gli articoli sono apparsi su web magazine http://www.voxeu.org. Un’analisi più articolata sui medesimi temi si ritrova, invece, in C. Kopf, Restoring financial stability in the euro area, Centre for European Policy Studies (CEPS), No. 237, 15 March 2011at http://www.ceps.eu.^
7 Si tratta di P. Krugman, C’è qualcosa nella moneta che fa perdere a qualcuno il lume della ragione, apparso su «Il Sole 24 Ore» del 23 luglio 2011, download at http: //www. ilsole24 ore. -com/art/economia/2011-07-23/krugman23_it 101457_PRN.shtml. Nell’articolo Krugman spiega perché l’economia monetaria è intrinsecamente legata alle imperfezioni del mercato: «in un mondo privo di attriti, dove le informazioni sono pienamente disponibili e i calcoli non comportano costi, non avremmo bisogno di moneta e non avrebbe importanza come sono catalogati i prezzi. Avremmo semplicemente dei mercati completi, secondo il modello di Arrow-Debreu, per qualsiasi cosa, e tutti i prezzi sarebbero in equilibrio».^
8 Come si è detto nei paragrafi precedenti di questo articolo i movimenti di capitale sono oggi un problema più complesso di quello che si presentava nel 1944. Quando vengono creati i pilastri del nuovo mondo globale, il Fondo Monetario Internazionale e la World Bank. Su questi temi si concentra da alcuni anni Joseph Stiglitz, che ha promosso l’Insitute for a New Economic Thinking, le ricerche e le iniziative del quale si possono leggere at http://ineteconomics.org.^
9 Si vedano i materiali proposti da M. Lo Cicero su «Finanza&Comunicazione»: at http://www.finanzaecomunicazione.it/massimo-lo-cicero/tool/inet-seconda-conferenzaplenaria-annuale-a-bretton-woods/.^
10 Sulla necessità di interventi puntuali e più veloci in Europa, A. Leipold, su «Il Sole24 Ore» del 23 luglio 2011 dice: «l’Europa viene costruita un passo alla volta, nella consapevolezza che ogni passo è di per sé incompleto, e richiederà passi ulteriori nel tempo». L’articolo è consultabile a questo link: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-07-23/dopo-intesalezioni-rischi-081024.shtml?uuid=AaTEwWqD&fromSearch.^
11 Esistono molti atteggiamenti eterogenei nella formulazione dei giudizi sul fondo salva Stati ed il suo destino possibile: i diffidenti ed i propositivi sono le due categorie principali. Ma la categoria dei propositivi si biforca essa stessa in due rami. Consigliamo di leggere le ragioni dei diffidenti su L. Zingales e R. Perotti, Tre paracadute a rischio di buchi, in «Il Sole 24 Ore» del 19 agosto 2011. Le ragioni dei propositivi sono divise in due rami. Si possono considerare propositivi sotto un profilo macroeconomico D. Gros and T. Mayer, Debt reduction without default?, CEPS, Policy Brief, No. 233 / February 2011, download at www.ceps.be/ceps/download/4150. Si possono giudicare propositivi sotto un profilo più istituzionale che macroeconomico, legato alla riorganizzazione degli istituti di governo, piuttosto che alla relazione tra obiettivi e strumenti, R. Prodi, A. Quadrio Curzio, Garanzie e debito Europeo, Eurounionbond, ecco ciò che va fatto, in «Il Sole 24 Ore» del 23 agosto 2011. Un’anticipazione del medesimo tema si può leggere anche in A. Quadrio Curzio, La crisi dei mercati, Solidarietà e rigore anti-contagio, così si può ridare forza all’Europa, apparso sul «Corriere della Sera» del 5 agosto 2011.^
12 Di seguito riportiamo un breve estratto dei documenti ufficiali che hanno dato vita a questi due nuovi organismi. «On 24 June 2011, the European Council decided to establish a permanent crisis resolution mechanism – the European Stability Mechanism (ESM). The ESM treaty was signed by the 17 euro area Member States on 11 July. The function of the ESM will be to mobilise funding and provide financial assistance, under strict conditionality, to euro area Member States. It may also exceptionally intervene in the debt primary market under the same conditionality. For further details, please consult the European Council Conclusions of 25 March 2011», from http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/en/ec/120296.pdf. Riferimenti ulteriori at http://www.efsf.europa.eu/attachments/faq_en.pdf.^
13 Isabella Bufacchi, dice che l’EFSF non è più una fuoriserie dei mercati ma è diventato un carrarmato finanziario dotato di mezzi eccezionali. L’articolo, apparso su «Il Sole 24 Ore» del 23 luglio 2011, è consultabile a questo link: http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-emercati/2011-07-22/fondo-salvastati-ricapitalizzare-fino-222819.shtml?uuid=Aa4PWRqD.^
14 A questo proposito suggeriamo di leggere l’intervista di Vittorio Da Rold a Daniel Gros, presidente del Ceps a Bruxelles, uno dei maggiori e prestigiosi think tank economici europei. «L’accordo per salvare la Grecia – spiega – è molto positivo anche se si possono criticare dei dettagli. La direzione è quella giusta e si è dimostrato che la Grecia è una caso speciale. Inoltre il default, sia esso di tipo selettivo (selective) o totale (full), è stato accettato come un evento possibile e non è stato considerato come la fine del mondo o la ripetizione del caso Lehman Brother in Europa». L’intervista completa è consultabile a questo link: http://www. ilsole-24ore.com/art/finanza-e-mercati/2011-07-23/gros-aperto-ombrello-garanzie-095249.shtml?uuid=AafigdqD.^
15 L’intervista di Firstonline a Benedicta Marzinotto è consultabile a questo link: http://www.firstonline.info/a/2011/07/22/benedicta-marzinotto-litaliana-che-ha-proposto-il-/75c83a1f-2b49-46e9-ae6d-10649ec564b8.^
16 Anche P. Krugman in un articolo apparso su «Il Sole24 Ore» del 23 luglio 2011 sottolinea l’importanza del turismo nell’economia greca. Accanto ad esso, vanno però sviluppate nicchie di mercato dell’high tech e delle tecnologie verdi: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-07-23/dopo-intesa-prove-rilancio-081101.shtml?uuid=AavVyWqD&fromSearch.^
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