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L'Animi e la lotta contro l'analfabetismo in Calabria (1900-1940)
di Fausto Cozzetto
1. Il primo ventennio dell’Animi

L’Associazione Nazionale per gli Interessi Morali ed Economici del Mezzogiorno d’Italia (Animi) iniziò la sua attività nel febbraio del 1910 in una baracca a Villa San Giovanni. Trasferita a Reggio e diffusasi nel Mezzogiorno, a Roma ebbe la sede centrale, dove è rimasta. Proprio dalla Calabria sono partite le manifestazioni celebrative per il centenario della sua fondazione, determinata dallo spirito di solidarietà nazionale suscitato dal terremoto di Reggio e Messina del 1908. Concretizzatasi nell’iniziativa di un gruppo di giovani settentrionali, tra i quali Giovanni Malvezzi e Umberto Zanotti Bianco, l’Associazione espresse in Leopoldo Franchetti il suo primo presidente.
Le celebrazioni, frutto dell’iniziativa congiunta della stessa Animi (presidente Gerardo Bianco e direttore Guido Pescosolido) e della Regione Calabria (assessore Mario Caligiuri), hanno interessato e prevedono di coinvolgere i maggiori centri urbani calabresi. Il convegno svoltosi a Cosenza alla fine di gennaio ha combinato, attraverso uno sguardo al passato, la ricostruzione storica dell’attività dell’Associazione da sempre impegnata ad abbattere la piaga dell’analfabetismo con l’attenzione alle problematiche attuali della scuola meridionale e dei suoi gravi ritardi formativi rispetto alla situazione dell’istruzione negli altri paesi dell’Unione Europea.
In queste note non ci si soffermerà sulle prospettive attuali dell’impegno dell’Animi nell’affrontare i problemi delle carenze formative, in particolare nelle scuole medie superiori, del sistema scolastico meridionale, che in questi ultimi anni sono stati oggetto di dibattito e di dura polemica politica fondata su tradizionali pregiudizi socio-culturali anti-meridionali. A questi temi riguardanti la scuola italiana nel suo complesso e in particolare il segmento medio-superiore «L’Acropoli» ha dedicato buona parte del fascicolo di novembre (2010), a cura di Giovanni Carosotti. Neppure, in questa sede, si vogliono riprendere, se non in maniera cursorea, gli importanti contributi che l’Animi di Leopoldo Franchetti, di Giustino Fortunato e di Umberto Zanotti Bianco ha portato alla lotta contro l’analfabetismo nel Mezzogiorno del primo trentennio del Novecento e con particolare rilievo nella Calabria, dove l’Associazione dava concrettezza alla sua azione in termini di indagine e di provvedimenti legislativi, a partire dalla presa di coscienza del Martirio della scuola in Calabria, un volume di Zanotti-Bianco pubblicato nel 1925. Per ricordare i termini dell’impegno dell’Animi nel Mezzogiorno basterà qui riprendere l’importante testimonianza che ne aveva offerto Giuseppe Isnardi nel suo libro Frontiera calabrese:
L’Associazione ha fondato dal 1910 ad oggi [1954] una settantina di asili (e Case dei bambini, dando questo nome a quelli in cui il metodo montessoriano è stato più precisamente adottato e curato […]) ma ne sussidiò in passato e aiutò a vivere ben 412, dal Lazio alla Sicilia alla Sardegna […]. Vennero poi le scuole propriamente dette, quando l’Associazione fu delegata (1921-1928) dell’opera contro l’analfabetismo in Calabria, in Basilicata e nelle grandi isole. Furono così istituiti migliaia di corsi serali e festivi per adulti, con una popolazione complessiva, in quegli otto anni di forte lavoro, di quasi 500mila iscritti; e sorsero più che 1500 scolette rurali, affidate, in luoghi fra i meno accessibili di quelle regioni a maestri volenterosi che sembravano aver fatto proprio lo spirito pionieristico dell’Associazione1.



2. Emigrazione a alfabetizzazione

Lo stesso Isnardi in un altro capitolo, intitolato L’analfabetismo, riprendeva i dati sul fenomeno, ricavati dalle cifre ufficiali dei censimenti della popolazione del Regno d’Italia dal 1871 al 1931. Le cifre si riferivano per brevità «a soli gruppi di due regioni (conpartimenti amministrativi) per il Settentrione, il Centro, il Mezzogiorno e le due grandi Isole»2. Egli sottolineava come il concetto di analfabetismo utilizzato dall’Istat nei sei censimenti decennali dal 1871 al 1931 era stato quello che identificava l’analfabeta con il «non saper leggere» e come solo nel censimento del 1951 il concetto di analfabeta aveva assunto con precisazione più logica il «non saper leggere e scrivere». Ebbene, tra il 1871 e il 1901, nel complesso del paese l’analfabetismo era passato in media dal 69% al 48%, con una diminuzione di 21 punti in percentuale. Ma mentre, ad esempio, nel Veneto esso era passato dal 64% al 35%, quasi dimezzandosi, in Calabria esso era passato dall’87% al 79%, con una diminuzione di soli 12 punti, la più bassa fra tutte le regioni comprese nella statistica dell’Isnardi. Ciò che importa, ai fini di queste note, è quanto si ricava dal confronto sull’andamento dell’analfabetismo, su base regionale, ricavato dalle statistiche Istat del ventennio 1901-1921. Nella media nazionale l’analfabetismo era ancora sceso dal 48% al 27% quindi di 21 punti in percentuale, ma in Calabria tale discesa era stata di ben 26 punti, l’analfabetismo era infatti passato dal 79% al 53%. Nessun’altra delle regioni riportate nella statistica di Isnardi aveva fatto meglio. E sempre per la Calabria è il caso di notare come nel successivo decennio 1921-1931 il positivo arretramento del fenomeno era stato del 5%, situandosi sulla media nazionale della diminuzione dell’analfabetismo3.
L’importante contributo dell’Animi alla lotta contro l’analfabetismo fu supportato e accompagnato da una vigorosa mobilitazione politico-amministrativa delle comunità locali, rendendo possibile il risultato sopra evidenziato, in un ventennio di inizio secolo sorprendentemente positivo per l’acculturazione della popolazione calabrese. Un così forte arretramento dell’analfabetismo nel Mezzogiorno fu determinato dal bisogno degli emigranti di testimoniare la propria condizione di alfabetizzati, per garantirsi l’opportunità di partire, soprattutto verso le Americhe, in una fase di crescita esponenziale dell’esodo emigratorio. Questo renderebbe ragione a sufficienza del “primato calabrese” nel ventennio di inizio secolo. Una bella testimonianza di quanto gli amministratori del tempo avessero coscienza del rapporto tra crescita della scolarità ed emigrazione è negli atti del consiglio comunale di un piccolo villaggio, Belsito, di circa 1.500 abitanti, situato nella fascia pedemontana dell’altopiano silano. Nell’autunno del 1920, l’amministrazione comunale chiese l’istituzione della quinta classe elementare nella scuola del paese, poiché gli abitanti, è scritto nella delibera del Consiglio, «tendono all’emigrazione»4, «strada percorsa anche da esponenti della classe politica che abbandona[ro]no la carica di assessori»5. La pregnanza di questa osservazione sul bisogno di scolarità per assicurarsi la prossibilità di sopravvivenza legata all’emigrazione, niente toglie alla risposta che i comuni calabresi, come si vedrà, seppero dare a questa aspettativa dei propri cittadini e, altresì, va evidenziato come un elemento di forte modernizzazione il fatto dell’ingresso in massa di decine di migliaia di bambine, accanto ai loro coetanei di sesso maschile, nelle assai più numerose aule scolastiche. Nel piccolo centro sopra citato è possibile rinvenire una bella testimonianza dei tempi nuovi maturati per quelle bambine alfabetizzate nel secondo decennio del Novecento. Nel settembre 1944, settantuno cittadini della piccola comunità del Cosentino, inviarono al Comitato di liberazione nazionale della provincia di Cosenza la richiesta di mutare le candidature, formulate dalla Prefettura, per la formazione della prima giunta antifascista, in quanto tali proposte erano risultate sgradite alla popolazione. L’evento «suscita nell’universo femminile belsitese la volontà di manifestare direttamente la propria scelta politica. È suggestivo poter leggere fra i nominativi dell’elenco dei settantuno anche quello di tredici donne, e tutte sottoscrivono con la propria firma, al contrario di una parte cospicua degli uomini che si limita a tracciare, accanto al proprio nominativo, un segno di croce»6.


3. La “Pro Calabria”

Tutto ciò premesso, chi ripercorra le vicende della vita calabrese degli inizi del Novecento, ivi comprese quelle drammatiche del sisma del 1905 e dell’altro, catastrofico e di intensità assai maggiore, del 1908, può difficilmente sottrarsi all’impressione che, nonostante le polemiche molto dure che, allora e dopo, accompagnarono la fase di ricostruzione dalle conseguenze disastrose dei grandi fenomeni tellurici, la vita civile regionale fosse culturalmente e politicamente attrezzata, come mai in passato era avvenuto, per reagire e porre un argine al grave vulnus ripetutamente e orribilmente perpetrato dalla “natura” all’insediamento umano.
Il merito di questa singolare e positiva condizione di preparazione della vita civile regionale è storicamente da attribuire al movimento della “Pro Calabria”. Al suo avvio a Castrovillari, nel 1901, il nucleo dirigente era formato da esponenti repubblicani del Cosentino, come Adolfo Berardelli, Luigi Saraceni e il deputato Roberto Mirabelli. Il gruppo originario si era poi notevolmente ampliato in Comitato provinciale di agitazione, spostandosi a Cosenza. Lo slogan del movimento, “vincere o ribellarsi”, già comparso sul primo numero de «Il Pensiero Contemporaneo», un periodico catanzarese d’inizio secolo, ne sottolineava il carattere rivendicativo e intransigente, giungendo a proporsi obbiettivi di separazione dalla comunità nazionale, perché scaturiti da «40 anni di vane lusinghe e di inutile attesa». Tali obbiettivi si traducevano nella convinzione, ritenuta improcastinabile, della rottura dell’isolamento tra i vari ambiti provinciali e regionali, attraverso la realizzazione di collegamenti ferroviari complementari e il potenziamento degli assi principali. L’allargamento delle basi di consenso e una più precisa formulazione programmatica, incentrata sul rilancio «del commercio, dell’agricoltura, della viabilità, della bonifica e della scuola» avvicinarono il movimento del Cosentino all’Associazione “Pro Calabria”, sorta a Catanzaro agli inizi del 1902. Da qui una dimensione rappresentativa ormai a carattere regionale, nella quale confluirono altre iniziative della provincia reggina, e che si avvalse di un organo di stampa, «La Giostra», la cui redazione era formata dai gruppi più attivi dell’intellettualità calabrese di orientamento radicale e socialisteggiante, sfociando anche nella formazione di un gruppo parlamentare – guidato da Bruno Chimirri, intellettuale di notevole valore e finissimo politico – che si faceva carico dei problemi espressi da un gran numero di consigli comunali e dalle tre deputazioni provinciali.
L’accresciuta rappresentatività del movimento si accompagnava, significativamente, al ridimensionamento dei primitivi toni intransigenti, che rendeva possibile l’incontro tra gli interessi della Calabria e, più in generale, del Mezzogiorno, e quelli perseguiti dello Stato, attraverso la teorizzazione, avviata a divenire prassi di politica economica, dell’intervento straordinario. Intorno alla nuova formula, le diverse aspettative delle regioni del Mezzogiorno convergevano, temporaneamente ma sostanzialmente, con i più recenti sviluppi dello Stato liberale e con le spinte provenienti da nuovi settori e nuove forze dell’economia e della società nazionale7.
L’ideologia che faceva da supporto a questa richiesta generalizzata di una legge speciale o, come si diceva allora, “eccezionale”, per la Calabria, la cui gestazione da parte degli organi di Governo era ritenuta doverosa da parte dei gruppi regionalisti della “Pro Calabria”, dopo che si era avviato il dibattito, nel Parlamento, su leggi speciali per la Basilicata e per Napoli, era quella emergente dalle tesi anti-protezionistiche e meridionalistiche del Nitti, per il quale la ricchezza del Nord era stata, in buona misura, dopo l’Unità il risultato della spoliazione del Sud. Negli anni d’inizio Novecento, che precedettero gli eventi sismici, tale ideologia regionalista assunse come strumento di lotta una forte pressione sul parlamento e sul governo centrale e si esercitò, attraverso ripetute e massicce manifestazioni popolari, sui municipi, per costringere i politici riottosi che rifiutavano di dimettersi dalle cariche elettive; sugli uffici locali dello Stato, in particolare quelli fiscali, praticando il rifiuto del pagamento delle tasse; sulle caserme dei carabinieri, con assembramenti che, non episodicamente, assunsero un carattere violento e con esiti sanguinosi8.
Le agitazioni della “Pro Calabria”, disattese negli esiti legislativi, suscitarono importanti e radicali atteggiamenti antigovernativi nei ceti dirigenti comunali. Una rabbia impotente, tradottasi in innumerevoli delibere di consigli comunali, pur nella consapevolezza che le opere pubbliche invocate non sarebbero state realizzate. Energia indefettibile, però, che alla cancellazione del millennario villaggio di Ajello, l’8 settembre del 1905, e al mare scagliato verso il cielo perché sprofondasse il cuore di Reggio, il 28 dicembre 1908, si tradusse in volontà di rifarsi sulla forza della natura nei centri calabresi, grandi e piccoli, interessati dai terremoti e negli altri rimasti indenni ma non inani.


4. Terremoti e leggi eccezionali

Le difficoltà di vario ordine frapposte dal governo Giolitti all’emanazione di un provvedimento legislativo eccezionale per la Calabria, furono vinte proprio in seguito al terremoto del settembre 1905. Venne votata allora una prima legge speciale per la Calabria, con la quale, oltre ad emanare norme specifiche, destinate a porre più immediato riparo ai danni prodotti dal sisma (distruzione di una decina di comuni tra la provincia di Catanzaro e di Cosenza, danneggiamenti gravi in oltre un centinaio), si accoglievano le richieste calabresi di consistenti investimenti in opere pubbliche, diminuzione delle imposte fondiarie e provvedimenti per il sostegno al credito agrario (Memorandum della deputazione calabrese al Parlamento) per «risanare un male più antico e più diffuso, e cioè la depressione economica della Calabria»9.
Dati gli obbiettivi, era chiaro il carattere assolutamente inadeguato del complesso delle risorse finanziarie messe a disposizione dallo Stato. Ci volle il nuovo gravissimo episodio sismico del 1908 (che distrusse Messina e Reggio facendo in Calabria dai 18 ai 25mila morti), a riproporre al governo, in termini ultimativi, l’esigenza di una seconda legge “Pro Calabria”, che mettesse riparo alle deficienze della precedente, soprattutto per quanto riguarda la possente spinta, nazionale e non solo, alla salvezza e alla solidarietà verso le vittime. La novità più significativa della nuova legge riguardava l’introduzione di addizionali fiscali per raccogliere le risorse finanziarie e muovere a sostegno della finanza locale e della ricostruzione10.
Gli studi del Cingari hanno chiarito quanto abbiano inciso sulle vicende della ricostruzione le addizionali votate dal governo Giolitti appositamente per Reggio e Messina. Lo storico reggino ha messo in evidenza, altresì, il ritardo di almeno due anni con cui i finanziamenti furono resi disponibili e ha sottolineato come, tra il 1910 e il 1915, proprio a Reggio si sia realizzata «la scelta di vita» dei piemontesi Augusto Monti e Zanotti Bianco organizzando in città e in provincia un grande movimento di educazione popolare in collaborazione con Giuseppe de Nava, il politico reggino che aveva promosso nel 1910 l’Associazione provinciale per l’istruzione e l’educazione popolare11. Nella città dello Stretto, tra il 1916 e il 1918 si verificarono due fatti destinati a dare slancio politico ai progetti ricostruttivi degli anni precedenti. Il primo fu costituito dall’ingresso nel ministero Boselli, prima, in quello Orlando, poi, del reggino Giuseppe De Nava, con l’incarico di ministro dell’Industria, Commercio e Lavoro, premessa di rilievo perché l’impegno dello Stato per la ricostruzione permanesse operativo. Il secondo evento, nel luglio 1918, dall’elezione da parte dell’intero consiglio comunale reggino di Giuseppe Valentino alla guida della città. L’attivismo e la capacità amministrativa, espressi da quest’ultimo, all’indomani del terremoto, quale assessore comunale ai lavori pubblici e quale presidente del consiglio provinciale, costituirono una solida premessa perché sull’asse De Nava-Valentino si realizzasse la ricostruzione urbana che, almeno per quanto riguarda la riedificazione degli edifici pubblici, fu operata proprio dalla giunta Valentino. La città, al momento delle sue dimissioni forzate, voluta dal nuovo governo Mussolini, era stata ricostruita nei suoi edifici pubblici e nel sistema viario, ma, come notava lo stesso sindaco reggino, «i privati hanno costruito circa 325 alloggi, ma poiché la popolazione del comune si aggira sui sessantacinquemila abitanti, chi costruirà la differenza?»12. In quegli anni una delle priorità del bilancio della giunta Valentino era divenuta la spesa per l’istruzione elementare e secondaria che da sola, con oltre un milione di lire, copriva 1/3 di tutte le entrate comunali. Il supporto della vigorosa azione contro l’analfabetismo venne testimoniato dai risultati di una forte flessione a Reggio del numero degli analfabeti, che raggiunse il 35% contro il 53% della media regionale. Questa azione fu contemporaneamente merito della giunta Valentino che istituì in città decine di nuove classi, recuperando vasti settori di evasione scolastica urbana, ma non meno rilevante si dimostrò il concorso della “scuola libera popolare”, nata per volontà dell’Animi per cui accanto al quadro desolante delle baracche provvisorie in cui vennero, sulle prime, riaperte le scuole presto sostituite da moderne strutture scolastiche in muratura «c’era il dato consolante di un desiderio di istruzione […] che testimoniava ad un tempo la volontà di ripresa e la continuità nei lavori propri della città»13.
Monteleone costituisce un caso tipico di promozione di un nuovo ceto politico emerso dalla “Pro Calabria”, dai sismi e dalle leggi speciali. Il nuovo gruppo dirigente municipale nel corso di una generazione dette un nuovo volto e ruolo alla città. Già nel 1894 un terremoto di una certa entità aveva colpito Monteleone, che ne era uscita piuttosto malconcia, assieme ai paesi circostanti, tanto che una legge dell’anno successivo aveva riconosciuto a tutto i centri del distretto la condizione di comuni danneggiati con le consuete agevolazioni fiscali. Quello del 7-8 settembre 1905 la colpì assai duramente, in particolare distrusse il rione Forgiari. Olindo Malagodi, scrisse: «Monteleone è come la capitale di un paese di desolazione». A ridosso del grave accadimento tellurico, il sovrano Vittorio Emanuele III compì una visita in città. Nonostante i gravi disagi e lutti, la popolazione seppe accogliere con calore il rappresentante dell’unità nazionale, mentre a farsi portavoce dello scontento della cittadina per i soliti ripetuti e colpevoli ritardi del governo centrale nell’organizzazione dei soccorsi, fu il sindaco Di Francia, che inviò una lettera a un giornale nazionale. Il sindaco fu costretto a dimettersi per l’immediata reazione del prefetto, per conto del Ministero dell’interno. In realtà, agli indugi altrui, il ceto politico aristocratico, che aveva gestito la città dall’Unità in poi, aveva aggiunto un rigido immobilismo amministrativo, preoccupato di non usare la leva fiscale suscitando le reazioni degli amministrati. Il movimento della “Pro Calabria” rinvigorì nel consiglio comunale la minoranza democratica, divenuta critica in maniera sempre più efficace dell’immobilismo del ceto politico tradizionale, tanto più che all’azione degli oppositori democratici si era aggiunta, nell’aprile del 1905, quella di una sezione socialista costituita per opera di Sallustio Crispo. La sospensione del sindaco Di Francia aveva portato alle dimissioni dalla carica di una grossa parte dei consiglieri di maggioranza, di conseguenza un troncone di consiglio comunale elesse a sindaco Giuseppe De Francesco, guida della minoranza democratica. Nel discorso di investitura il nuovo sindaco sottolineò che la minoranza era stata costretta ad assumersi il compito di guida politica della città «che la maggioranza ha abbandonato». Nel 1908 la sua giunta riuscì ad ottenere un prestito dalla Cassa Depositi e Prestiti per la sospiratissima realizzazione dell’acquedotto, furono realizzati provvedimenti di municipalizzazione di alcuni servizi pubblici essenziali, mentre la città aderiva a un progetto di elettrificazione pubblica e privata. La positiva azione della giunta non fu interrotta dalle conseguenze del terribile moto tellurico del 1908, che ebbe anche a Monteleone serie coseguenze. All’indomani del grave evento, l’amministrazione comunale avviò un’intensa politica di urbanizzazione nella zona ubicata sulla strada per Sant’Onofrio, ma non riuscì a dotarsi per tempo di uno strumento urbanistico adeguato14. Ciò avvenne solo in seguito alle elezioni comunali del 1920. La nuova giunta, guidata dal liberal-democratico Nicola Froggio, nel febbraio del 1921 portò in consiglio per l’approvazione un vasto programma di opere pubbliche. In particolare venne deliberato di affidare all’Unione Edilizia la predisposizione di un piano regolatore per la città, nonché la progettazione e la realizzazione del nuovo acquedotto, di un mattatoio, di un lavatoio, la ricostruzione della chiesa annessa al cimitero (distrutta in seguito ai terremoti del 1905 e del 1908) di edifici scolastici degni di questo nome e il restauro del palazzo Di Francia, sede del municipio, ma quasi nulla di quei progetti venne realizzato. Molto si dovette all’incapacità politica del Froggio e alle sue posizioni non chiare nel panorama politico regionale e nazionale, che gli attirarono ostilità e diffidenza sia nell’emergente schieramento fascista, sia in quello dichiaramente antifascista patrocinato dal socialista riformista Nicola Lombardi. Il sindaco Froggio si limitò a trasportare, la cittadina all’interno del nuovo regime fascista, senza neppure riuscire a soddisfare le sue ambizioni parlamentari. Nel 1928 si ebbe il mutamento di denominazione della cittadina, che mutava il toponimo medievale Monteleone per recuperare, secondo le suggestioni della cultura fascista, Vibo Valentia, antico toponimo del municipio romano. Poi la cittadina usufruì di una congiuntura politico-amministrativa particolarmente favorevole, per la presenza nel governo Mussolini di Luigi Razza, vibonese di nascita, ma che aveva costruito nell’Italia settentrionale le sue fortune politiche fasciste. Si insediò alla guida della cittadina il podestà Lorenzo Scrugli, che stabilì, negli anni del suo podestariato (1930-1933), con Razza un rapporto politico assai stretto. Venne elaborato un disegno di lungo periodo volto a fare della cittadina un centro tra i più rilevanti della Calabria. Furono questi gli anni in cui si affermò la centralità della formazione scolastica nella nuova dimensione urbana che Vibo veniva assumendo, con la costruzione di un nuovo edificio scolastico per la scuola di base, la ristrutturazione e il restauro ad uso pubblico di palazzo Gagliardi, del monastero delle Clarisse e dell’ex convento di S. Giuseppe, che avrebbero ospitato il liceo classico e il nuovo istituto magistrale15.
Paola e il suo circondario vennero colpiti dal sisma del 1905 senza conseguenze disastrose. Pur in presenza di danneggiamenti, non ci furono vittime e ciò fu attribuito alla protezione di S. Francesco, tanto che venne autorizzato il ritorno dei Minimi nel convento paolano da cui erano stati allontanati dopo l’Unità. D’altra parte, il terremoto mise in luce il miserabile stato in cui si trovava la cittadina. Fra l’altro, i dati del censimento del 1901 avevano posto in evidenza come vi si esprimesse la maggiore percentuale di analfabeti della provincia: il 72,5% dei maschi e l’89,1% delle femmine di età superiore ai sei anni. Le insufficienze della scuola elementare paolana era sottolineata dalla chiusura nel 1892 della sezione marina e della prima elementare, poiché la nettezza urbana «lasciava a desiderare». Le classi erano afflitte da un’alta percentuale di evasione e le stesse scuole secondarie, con un ginnasio e una scuola tecnica, avevano un numero ridotto di alunni16. Il movimento della “Pro Calabria” concentrò localmente la sua attenzione sia sulla realizzazione di un asse ferroviario interno che collegasse la cittadina e l’asse ferroviario tirrenico, di cui era sede, con il capoluogo provinciale, inaugurato nel 1915, costituendo così un polo ferroviario tra i più importanti della regione; sia sulla costruzione di un porto attrezzato che avrebbe dovuto completare la dotazione infrastrutturale cittadina, innalzandola ad unico centro urbano del Cosentino che potese coniugare, in un ristretto fazzoletto di terra, un importante nodo ferroviario con la tradizione semimillenaria di approdo marittimo nel tragitto tra Reggio e Napoli17. Minore attenzione, invece, venne portata alla lotta contro l’analfabetismo anche se il ritorno dei Minimi dotò la vita locale di una scuola per i novizi, mentre alla scuola elementare statale, intitolata al patriota Isidoro Gentili, si era aggiunto un triennio di licenza tecnica, aperto anche alle fanciulle. Il rafforzamento di quella che ritornò ad essere la sede centrale dell’ordine dei Minimi si tradusse nella fondazione, nel 1930 di una Scuola apostolica destinata a formare i nuovi frati. Contemporaneamente, l’attenzione verso il centro paolano da parte di altri ordini religiosi portò alla nascita, nel 1933, di un istituto magistrale aperto presso il convento delle suore domenicane il cui ciclo era inizialmente di tre anni per il livello inferiore e di quattro anni per quello superiore. La nuova scuola, riservata alle giovani donne, incrementò il numero delle maestre e, di riflesso, l’attenzione dell’opinione pubblica verso l’analfabetismo. Lungo tutta la costa tirrenica del Cosentino, venne incoraggiata, perciò, l’apertura di nuove classi18.
Se nelle comunità cittadine sopra esaminate il fattore di trasformazione dell’atteggiamento del ceto dirigente municipale fu costituito dalle conseguenze disastrose dei terremoti, pur non essendo tali comunità rimaste estranee ai motivi ispiratori della “Pro-Calabria”, in altre centri della regione la spinta verso la trasformazione fu innescata proprio dalla partecipazione alla lotta del movimento di inizio Novecento.


5. Castrovillari e Crotone

Il 1° settembre 1901 nella piazza del Ginnasio di Castrovillari si tenne la prima manifestazione anti-ministeriale e separatista della “Pro-Calabria”. Il “vincere o ribellarsi”, negli intendimenti di Saraceni e Enrico Turco, personalità emergente della politica locale, poteva comportare la separazione dal resto del paese. Un anno dopo si ebbero le dimissioni in massa del Consiglio comunale, dello stesso Saraceni e dell’altro castrovillarese Luigi Salerni dal Consiglio provinciale. Quanto alle ragioni “locali”, la motivazione più immediata fu la decisione governativa di non realizzare più la ferrovia Castrovillari-Lagonegro, asse di collegamento interno tra la Calabria e la Basilicata. Turco venne eletto alla guida del Comune, nel 1906, mantenne la carica fino al 1912, alla guida del comune e «riuscì ad allargare gli orizzonti della città, attraverso una serie di opere destinate a cambiarne profondamente aspetto e stile di vita dei cittadini»19. Il municipio si inventò una politica dell’istruzione, espropriando il monastero delle clarisse e trasformandolo in un adeguato edificio di scuola elementare; venne istituita la scuola di arti e mestieri con un indirizzo meccanico, uno ebanistico e un terzo edilizio coordinata con la scuola industriale di Cosenza; venne altresì istituita una regia cattedra ambulante di agricoltura affidata a un esperto del settore, come Giovanni Salerno. Un complesso e variegato sistema di informazione locale sostenne e alimentò lo scontro politico e civile: a partire da fine Ottocento, nacquero «La vedetta», di orientamento democratico, «Il moto», rigidamente regionalistico, «La luce», di orientamento socialista, «L’ora presente», di orientamento radicale. Non meno vivace si manifestò la vita intellettuale concentrata sui temi della politica, della cultura, della scuola e dei rapporti fra i diversi ceti sociali urbani20.
Crotone aderì al moto di protesta a partire da una situazione civile e amministrativa di gravissimo disagio. A fine Ottocento, per merito del suo amministratore più dotato, il socialista Carlo Turano, riuscì finalmente a ottenere dalla Cassa Depositi e Prestiti il finanziamento dell’acquedotto, con un mutuo di 800mila lire. La cittadina che all’epoca sfiorava i 10mila abitanti, non aveva risorse idriche nelle vicinanze del centro urbano21. Gli impegni finanziari assunti con il progetto dell’acquedotto avevano esaurito completamente le risorse del comune che pure nel decennio di fine Ottocento, sempre per merito di Turano, aveva introdotto elementi di progressività nel sistema delle imposte comunali; un risultato di tutto rilievo, ove si tenga conto che vivevano in città le più importanti famiglie proprietarie dei latifondi che egemonizzavano l’agricoltura del Marchesato. L’adesione di Turano alla Pro Calabria fu perciò fervida e accompagnò la protesta con progetti di iniziative di trasformazione della sua città e del suo contesto territoriale. Alla fine del 1905, egli fece votare dal consiglio un ordine del giorno programmatico in cui si prevedeva l’estensione alla Calabria della legge speciale per la Basilicata; la creazione di un sistema di educazione elementare, tecnica e superiore a completo carico dello Stato; il concorso decisivo dello Stato per la costruzione in città delle fognature e di un quartiere operaio; un vigoroso programma di bonifiche e di rimboschimento per le vaste plaghe malariche del Marchesato; la sistemazione del porto. Misure che lo Stato avrebbe effettivamente realizzato, ma nel successivo mezzo secolo. Nel frattempo lo slancio di protesta assunse i connotati di una lotta senza prospettive22. Il secondo decennio del Novecento vide protagonista della vita crotonese i socialisti rivoluzionari di Enrico Mastracchi, il quale seppe coniugare la costruzione di leghe operaie all’interno della città con azioni rivendicative promosse da leghe bracciantili nelle campagne. L’esito finale della sua azione politico-sindacale si raggiunse nel 1920 con la sua elezione a sindaco, ma la sfida condotta nei confronti dei gruppi latifondistici e finanziari della città produsse la nascita di un movimento fascista, appoggiato da gruppi operanti a Cosenza e a Reggio Calabria. Il forte contrasto sociale vide l’intervento dei rappresentanti dello Stato, Crotone era infatti una viceprefettura, e della forza pubblica che protessero la reazione anti-socialista. Così come aveva patrocinato l’attacco alla giunta Mastracchi, lo Stato, dopo l’avvento del fascismo, portò avanti, sulla spinta di esigenze economiche di alcuni settori dell’industria chimica nazionale, progetti industriali nel territorio crotonese in una situazione di assenza delle forze politiche e sociali cittadine. Furono, infatti, amministrazioni prefettizie o regi commissari a coadiuvare, il processo di industrializzazione della Montecatini e della Pertusola. Solo a quel punto, agli inizi degli anni Trenta, fu consentita una normalizzazione della vita politica locale, affidando l’incarico podestarile a Giuseppe Cosentino (1931-1938). Lo Stato concesse grossi finanziamenti per la modernizzazione cittadina che si incentrò sulla creazione di un polo scolastico di prestigio nella città e nell’hinterland – nuovo edificio per la scuola elementare e nuova costruzione per il liceo ginnazio Pitagora, vero fiore all’occhiello dell’edilizia fascista; ristrutturazione del sistema viario, sulla costruzione del nuovo palazzo municipale, su un intervento pubblico diffuso nei quartieri per un complesso di realizzazioni di cui si dette merito all’abilità amministrativa del Cosentino che riuscì a gestire la cifra allora notevolissima di circa 6 milioni e mezzo di lire, a cui si aggiunsero altri 4 milioni per la costruzioni di quartieri di case popolari. Il caso crotonese venne pubblicizzato come emblematico del cosiddetto “meridionalismo fascista”23.


6. Comuni e centralità dell’istruzione

A Corigliano, grosso centro jonico nella Piana di Sibari, caso indubbiamente raro nella storia del Mezzogiorno, la classe dirigente municipale postunitaria incentrò la sua linea amministrativa sulla cultura e la formazione delle nuove generazioni a cui si garantì il diritto all’istruzione inferiore.
Fu tra quei pochi comuni che nominarono con tempestività i pubblici maestri e stanziarono somme per lo stipendio dei quattro maestri presenti […]. Una particolare attenzione fu dedicata all’educazione dei ceti medio-alti. Nel marzo 1861, veniva deliberata l’istituzione di un collegio e a distanza di alcuni anni veniva inaugurato il ginnasio convitto “Girolamo Garopoli”, dal nome di un intellettuale seicentesco. Chiuso a causa dei debiti contratti per le spese di gestione, veniva riaperto, in seguito all’intervento, a titolo personale, del sindaco Compagna che offrì la somma necessaria per pagare i debiti ai creditori. Della qualità davvero notevole delle attività didattiche che vi si svolsero ebbe ad occuparsi, sulle colonne de «Il Bruzio», Vincenzo Padula. Né si trattava di note puramente encomiastiche, perché in quel collegio giunsero a svolgere il loro magistero, oltre al compaesano del Padula Nicola Romano, Girolamo de Rada, che lo diresse a lungo. Nel 1868, secondo alcune fonti, in città si contavano tre ginnasi-convitti con quattro classi ciascuno24.

Alla fine dell’Ottocento, Corigliano sfiorava i 15mila abitanti, si pensi che il capoluogo provinciale di Cosenza contava solo 5 mila abitanti in più. Possedeva un sistema scolastico ben strutturato, comprendente scuole elementari maschili e femminili, rispettivamente ubicate nell’ex convento dei Minimi e nell’ex convento dei riformati; il liceo ginnasio “Garopoli” e un istituto tecnico. La diffusa sensibilità per l’istruzione elementare fece sì che nel 1893, su richiesta della popolazione ivi trasferita, veniva istituita presso lo scalo ferroviario, distante dal paese, una scuola elementare mista25. Un caso a se stante, dunque, tanto che fino all’avvio della scolarizzazione di massa con la nascita della scuola media unica nel 1960 gli interventi più importanti nel settore scolastico portati avanti dalle autorità comunali si limitarono a costosi lavori di restauro, di ampliamento e riadattamento degli edifici che già dopo l’Unità erano stati destinati a scuole pubbliche – scuole elementari, ginnasio e convitto, in questi ultimi casi con un impegno finanziario tra i più elevati (800mila lire) che il bilancio comunale del 1924 potesse permettersi26.
Per i grossi comuni, tra cui gli stessi capoluoghi provinciali, l’impegno finanziario delle opere di trasformazione e modernizzazione appariva molto elevato anche quando non avevano subito, come nel caso di Cosenza e di Catanzaro, significative conseguenze dai due grandi terremoti, per cui divenne obbligatorio per legge l’adozione di piani regolatori con conseguenti processi di trasformazione della durata di decenni, talvolta mai condotti a termine. A Catanzaro, una prima razionalizzazione dell’opera di ricostruzione avvenuta dopo il grande sisma, detto delle Calabrie, del 1783, aveva operato all’interno dell’abitato più antico, ed entro fine Ottocento era stato sventrato il Castello e il tratto di strada che dalla Porta di Mare conduceva a Piazza Mercanti, con un’operazione di decoro del centro storico che l’aveva messo alla pari con il nuovo destino burocratico che lo Stato aveva e avrebbe sempre più consegnato alla città27. Ma le pur non drammatiche conseguenze dei due sismi d’inizio Novecento ponevano la necessità indifferibile di un’espansione fuori dal perimetro delle mura medievali. Questo si verificò a partire dal 1911, quando venne redatto il piano di lottizzazione del territorio confinante con il quartiere Baracche. Il Piano indirizzava verso Nord, e quindi verso le colline, l’espansione della città, proprio nell’area in cui sorgeva, e si situa tuttora, la stazione delle ferrovie Calabro-Lucane, che congiungono Catanzaro con Cosenza, attraverso un tortuosissimo percorso silano28. La linea di espansione non era fatta per importanti processi di insediamenti di case popolari, troppo costosi i prezzi delle aree e dei manufatti, per cui gran parte dei ceti medio-bassi furono costretti a continuare a vivere nel centro storico. A partire dal 1902, l’Associazione “Pro Calabria” candidò i suoi esponenti maggiori alla guida del Comune e della Provincia. I democratici divennero il partito guida della città e tra i temi posti in primissimo piano vi era la lotta contro l’analfabetismo e la diffusione dell’obbligo scolastico. L’assessore Vincenzo Vivaldi, uno dei maggiori intellettuali cittadini, nel gennaio 1907, in un Discorso per la premiazione degli alunni delle scuole comunali, non soltanto promise il miglioramento delle condizioni dei maestri ed il loro «innalzamento morale» ma sostenne anche che «è da augurarsi che non sia lontano il giorno in cui lo Stato, per il proprio decoro, e nell’interesse del progresso e della civiltà, renda accessibili a tutti, e quindi gratuite, e l’istruzione secondaria e la superiore»29. L’impegno dell’amministrazione comunale per assicurare il massimo della frequenza scolastica ai piccoli catanzaresi costitì un impegno permanente della vita amministrativa. Nel bilancio preventivo del 1921 predisposto dalla giunta democratica di Giovanni Jannoni, uno dei migliori sindaci che la città abbia espresso, si prevedeva una cifra residuale di 700mila lire, a far conto del complesso delle entrate e delle spese costituite da oneri obbligatori. Jannone volle che il residuo di bilancio, nella sua interezza, venisse utilizzato per il pagamento degli stipendi e delle spese per la pubblica istruzione30. Ancora nel 1932, il fiore all’occhiello della vita civile cittadina era costituito dal numero degli alunni delle elementari iscritti nelle scuole cittadine. Esso risultava pari a 4.370 scolari, rispetto a una popolazione complessiva che, all’epoca, contava circa 40mila abitanti. Ma il “martirio” della scuola catanzarese era descritto dal podestà Domenico Larussa, che a un anno di distanza dalla sua nomina, nel 1933, pubblicava i dati riguardanti le condizioni di vita nella citta e ne era emerso che quei 4mila e passa alunni avevano a disposizioni per le loro attività didattiche 56 aule e che solo 20 di esse erano in buone condizioni, per tralasciare il dato drammatico per il quale nel corso del 1932, su 705 deceduti, 301 erano bambini31.
Tutti i fattori determinanti per la modernizzazione dei maggiori centri urbani calabresi operarono a Cosenza all’avvio del Novecento. Qui la “Pro Calabria”, costituiva un gruppo politico movimento assai forte. Le sue battaglie contribuirono alla gestazione di un sistema di ferrovie complementari che, nel decennio successivo, collegarono il centro urbano a Paola e all’asse ferroviario tirrenico, e in direzione Sud a Catanzaro. La spinta alla formazione di un vigoroso sistema scolastico interessò le scuole tecniche con la nascita di una scuola d’arte e mestieri, poi scuola industriale (1909). L’anno successivo venne aperto agli studenti l’istituto tecnico “Pezzullo”, a indirizzo commerciale e per geometri. Le nuove scuole si aggiunsero al Liceo Ginnasio intitolato a Telesio. Istituzioni scolastiche vitali che attirarono in città centinaia di giovani provenienti dalla provincia, spinti anche dalle prospettive di inserimento nella pubblica amministrazione. All’indomani del primo conflitto mondiale Cosenza aveva raggiunto e superato i trentamila abitanti, purtuttavia, data la sua struttura sociale appariva come un’unità organica di città e campagna, se è vero che il numero degli addetti alle attività agricole era pari a un quarto dell’intera popolazione in età superiore ai dieci anni; le attività industriali (trasporti, edilizia e vestiario) occupavano il 12% degli addetti e una cifra quasi pari era quella degli studenti di ogni ordine e grado, mentre la popolazione residua era costituita da casalinghe (un buon 30%), da addetti al commercio, alla pubblica amministrazione e alle professioni liberali, nonché da un numero esiguo di possidenti.
Il terremoto del 1905 aveva sollecitato una diversa soluzione al problema di dare un’abitazione ai nuovi immigrati: non si poteva più pensare di sviluppare la città in altezza sopraelevando le case di Cosenza antica, con i terribili rischi sismici che ciò avrebbe comportato; l’unica soluzione praticabile restava l’insediamento a valle, al di là del Crati e del Busento, a partire dal nuovo asse stradale di corso Mazzini, che iniziava dal piazzale antistante l’antico ospedale dell’Annunziata. Il terribile nemico di ogni insediamento di fondo valle, la malaria, che agli inizi del secolo colpiva ogni anno circa duemila cosentini, stava subendo duri colpi grazie alle campagne antimalariche organizzate a partire dal 1907; forse era ottimistica l’affermazione di fonti ufficiali, secondo cui già nel 1915 «i casi di perniciosa e di decessi per impaludismo acuto e cronico sono ormai completamente scomparsi da questo comune», ma è certo che il fenomeno malarico appariva ormai in regresso irreversibile. Il nuovo piano regolatore, uno degli atti più qualificanti della giunta cattolica del sindaco Cundari, era divenuto legge dello Stato nel 1912, esso prevedeva entro cinque anni l’ampliamento a valle dell’abitato, al di là dei due fiumi che l’attraversano. L’impegno delle amministrazioni comunali che guidarono Cosenza nel secondo decennio del secolo fu quello di rendere possibile questa scelta storica per l’insediamento urbano, operando un profondo riassetto idrogeologico delle sorgenti da cui i due fiumi nascono e dei territori, a monte della città, che attraversavano, provvedendo a un forte abbassamento del letto dei due fiumi nelle adiacenze del centro urbano, impedendo così il frequentissimo ripetersi delle esondazioni che annichilivano i quartieri bassi del centro storico e rendevano invivibili le vaste e palustri radure della piana del Crati. Per rendere possibile, però, una profonda trasformazione dell’assetto urbano ci volle l’impegno di Michele Bianchi e del deputato Tommaso Arnoni, già liberale giolittiano passato al fascismo, che nel 1925 aveva accettato l’incarico di commissario straordinario per la città bruzia. Egli aveva accettato l’incarico ad una condizione, che aveva personalmente illustrata allo stesso Mussolini, «quella di ottenere dal Governo Nazionale Fascista la somministrazione necessaria ad eseguire le opere pubbliche più urgenti e indilazionabili», chiedendo al Duce un contributo statale a fondo perduto di due milioni e mezzo, nonché l’intervento e la garanzia statale per la concessione al comune di Cosenza di un prestito di 37 milioni e mezzo da parte della cassa depositi e prestiti. A distanza di sei anni, alla fine di dicembre del 1931, l’Arnoni poteva tracciare un bilancio davvero lusinghiero del periodo della sua gestione. Nel centro antico venne operato lo sventramento e il miglioramento igienico stradale di piazza S. Giovanni, del largo Nicola Misasi, dello sbocco tra via Gaeta e lungo Crati de Seta; fu creata, sempre sul lungo Crati, la caserma del corpo dei pompieri; venne realizzato un parziale restauro del castello Svevo e vennero avviati i lavori per il nuovo edificio dell’Accademia Cosentina e della Biblioteca civica e il restauro dell’ex chiesa di Santa Chiara, più tardi adibita a deposito librario della stessa biblioteca. Nella città nuova (dove l’istituto autonomo case popolari aveva realizzato un nuovo quartiere, denominato «Michele Bianchi», in cui furono sistemate 110 famiglie, con una popolazione di circa 700 unità, anche se per il costo troppo elevato delle abitazioni esso fu in realtà abitato da gruppi sociali medio e piccolo borghesi) vennero tracciate, pavimentate, dotate di fognature ed illuminazione 45 nuove larghe strade e sei piazze, per una superficie complessiva di circa 140 mila metri-quadri; fu finalmente realizzato un grande edificio scolastico, il primo costruito per questo scopo nella città bruzia, nel quartiere Rivocati, in grado di ospitare circa 1500 alunni delle scuole elementari; nelle immediate adiacenze di questa scuola fu progettata e finanziata la casa del balilla; mentre a ritmo accelerato, sotto la spinta delle esigenze organizzative delle strutture paramilitari del regime, fu costruito il campo sportivo. Per tutta la città, venne avviato a soluzione il problema dell’approvigionamento idrico32.


7. Governo e istituzioni non governative

Dall’indagine su alcuni villaggi e centri minori della regione emergono alcune indicazioni di particolare interesse. L’agitazione della “Pro Calabria” con i riflessi politici diffusi, in termini di atteggiamento antigovernativo, in gran parte della regione, evidenziò nella risposta dello Stato un sufficiente equilibrio nel valutare e soddisfare le esigenze prospettate anche dalle piccole amministrazioni locali. Inoltre, fu proprio nei piccoli centri che l’Animi, le associazioni cattoliche e alcuni grandi ordini religiosi, come i salesiani, avviarono iniziative importanti nel settore della lotta contro l’analfabetismo, nella creazione di asili per l’infanzia, nella realizzazione di scuole superiori con annessi collegi.
Particolarmente significativo il caso, già citato, di un villaggio come Belsito. Le aperture di credito del governo nazionale nel corso del secondo decennio portarono l’amministrazione comunale a stipulare, nel 1912, con la Cassa Depositi e Prestiti un primo mutuo per la costruzione dell’acquedotto comunale portando per la prima volta l’acqua potabile all’interno delle abitazioni; a distanza di appena due anni un secondo mutuo consentì al comune di realizzare la selciatura delle strade interne; nel 1916, l’amministrazione deliberò il contratto di fornitura della luce elettrica, sia per uso pubblico che privato; nel gennaio del 1917, infine, il consiglio approvò il progetto per la realizzazione della rete fognaria33.
Gli ultimi tre centri, qui analizzati, Cirò, Soverato e Borgia, situati originariamente sulla fascia collinare della costa Jonica della allora provincia di Catanzaro, produssero, nel corso dell’Ottocento e nel primo Novecento, importanti insediamenti in prossimità della costa. Nel caso di Cirò, dopo una lunga contesa politica tra l’insediamento marino, ormai in possesso di una popolazione più che doppia rispetto al villaggio antico, si giunse a una separazione e alla reciproca autonomia amministrativa. Prima che ciò avvenisse gli impegni di spesa raddoppiarono in quanto le rappresentanze dei centri marini nel consiglio comunale, sempre più numerose, condizionavano le delibere adottate in materia di opere pubbliche. Così gli impegni di spesa per l’acquedotto, per la pavimentazione delle strade interne, per la costruzione di edifici scolastici ottennero finanziamenti statali attraverso le leggi speciali, ma le richieste di varianti ai progetti originari da parte della popolazione del centro marino subirono dinieghi per mancanza di fondi, soprattutto quando intervenne lo scoppio della guerra mondiale. Più efficace la politica scolastica dell’amministrazione: dato il rapido aumento della popolazione furono sdoppiate le classi istituite a Cirò Marina; avviati corsi nelle scuole serali e festive; concessi sussidi comunali nei due centri per l’asilo infantile; aumentati gli stipendi dei maestri elementari, costretti quotidianamente a disagevoli trasferimenti dalla Marina al centro interno34.
Borgia costituì un caso esemplare di quanto avesse inciso il movimento di protesta della “Pro Calabria” sulla vita amministrativa locale, determinando una frattura con il governo centrale che non si ricompose fino all’avvento del fascismo. Protagonista politico di questa vicenda fu il sindaco Vincenzo Massara che assunse il suo primo mandato sindacale nel luglio 1893, rinnovato più volte nel primo ventennio del nuovo secolo. Ai primi del 1905 la giunta Massara, pur aderendo alle proteste antigovernative proposte dall’associazione “Pro Calabria”, rifiutò di associarsi alla più radicale che prevedeva l’astensione, da parte dei contribuenti, dal pagamento delle tasse. Nel settembre dello stesso anno la scarsa attenzione che il governo dedicò alle richieste di finanziamenti per i danni subiti dal sisma, provocò a Borgia il rafforzamento di posizioni antigovernative espressione sia della neonata sezione socialista di orientamento rivoluzionario, sia dei gruppi formatisi attorno all’insediamento salesiano nella cittadina, in conseguenza del sisma del 1905. Entrambi i gruppi di pressione determinarono la rielezione del sindaco Massara e incisero sui suoi atteggiamenti ancora più contestativi dell’azione governativa. La crescita della vita civile, nel decennio successivo, fu perciò il risultato dell’azione dell’istituto salesiano voluta e finanziata, per ragioni filantropiche, dalla baronessa Enrichetta Scoppa di Sant’Andrea. L’istituto produsse non solo una forte ripresa del sentimento religioso popolare, in forme partecipative più efficaci, quanto favorì la frequenza ai corsi con intensi programmi di alfabetizzazione. Quanto ai gruppi di orientamento socialista, essi fecero nascere contemporaneamente una società di mutuo soccorso e una società operaia cooperativa di produzione e lavoro, intitolata a Giuseppe Garibaldi. Inoltre, un fattore di trasformazione della vita economica e di quella sociale fu costituito dal sopraggiungere di consistenti flussi finanziari dalle rimesse degli emigrati. L’emigrazione a Borgia aveva assunto, infatti, già dall’ultimo ventennio di fine Ottocento un particolare rilievo35. L’azione antigovernativa venne ripresa nel primo dopoguerra da una giunta di orientamento socialista che si trasformò, attraverso l’ambigua mediazione dello stesso Massara, in un compatto nucleo fascista all’indomani della Marcia su Roma. Il leader della nuova formazione divenne Achille Sabatino che resse la cittadina per gran parte del ventennio fascista. Fiore all’occhiello dell’attività podestarile fu l’attenzione al mondo della scuola che ricambiò il podestà con una larga partecipazione politica alla vita amministrativa comunale. Venne realizzato nel 1926 un asilo infantile, grazie al lascito di un privato dell’edificio adibito all’accoglienza delle suore del Preziosissimo sangue che ressero, con il concorso del comune, la scuola per l’infanzia. Nello stesso tempo l’amministrazione comunale destinò l’edificio dei salesiani per ospitare le scuole elementari. Vennero istituite scuole rurali nelle diverse contrade comunali e in particolare, nella zona marina adiacente alla Roccelletta, che sarebbe divenuta, con il suo parco archeologico, un punto di riferimento della vita cittadina. I risultati in termini di alfabetizzazione della popolazione si videro al censimento del 1931 quando su una popolazione inferiore ai 5mila abitanti coloro i quali erano in grado di leggere di età superiore ai sei anni costituivano il 50% del totale36.
Ancora più autonoma dall’azione di governo quanto si realizzò a Soverato in termine di modernizzazione agli inizi del Novecento. L’insediamento nel 1875 della stazione ferroviaria alla Marina portò sei anni più tardi la classe dirigente municipale a decidere, senza alcun contrasto, il trasferimento del comune dalla vecchia sede collinare al nuovo insediamento di località Poliporto che venne denominata Soverato Marina. Assieme alla sede comunale scese a valle la parte più intraprendente dei gruppi sociali della vecchia Soverato. Contemporaneamente, si insediarono nel nuovo villaggio gruppi provenienti da altri centri della regione che fiutarono l’importanza di una realtà territoriale di incomparabile bellezza e con prerequisiti che avrebbero consentito la crescita di un’imprenditoria dalle molteplici risorse. Per un lunghissimo periodo nel corso del Novecento, a reggere il Comune furono due membri della stessa famiglia, Rocco e Filippo Caminiti, padre e figlio, espressione di un moderno ceto di imprenditori con una forte coscienza dei servizi da rendere alla comunità di appartenenza e, ineludibilmente, alle proprie attività produttive. In questa condizione la modernizzazione della vita cittadina della nuova Soverato si realizzò attraverso l’iniziativa privata e l’apertura, come a Borgia, di un istituto dei Salesiani, nel maggio del 1908. Venne costruito l’Oratorio di Sant’Antonio di Padova e accanto all’istituzione religiosa una scuola, con corsi dalle elementari al ginnasio e con l’aggiunta di un convitto in grado di ospitare centinaia di iscritti. Esso costituì uno dei maggiori punti di riferimento scolastici privati dell’intera Calabria. Quando nel corso degli anni Trenta si rafforzarono ancor più le attività produttive del territorio, il comune poté garantire la quasi contemporanea realizzazione di due edifici scolastici, destinati ad accogliere le ormai numerose scolaresche, sia nella Marina che a Soverato Superiore. L’attivismo dell’amministrazione di Filippo Caminiti, all’inizio del secondo conflitto mondiale, venne testimoniato dalla delibera di progettazione del mercato coperto, giustificata con la nota che «Soverato è un centro industriale e commerciale e per la sua posizione sul mare e delle linee ferrate è meta di soggiorno di forestieri, tanto che d’estate si raddoppia e delle volte si triplica»37.


8. Conclusioni

La lotta contro l’analfabetismo in Calabria, per almeno un quarantennio (1900-1940), vide protagonisti l’Animi e lo Stato, ma anche il ceto politico e intellettuale che governò centinaia di comuni e che si era mobilitato ad inizio Novecento attorno ai temi del meridionalismo e della legislazione eccezionale, come allora si chiamava. Furono battaglie con esiti politici e civili di singolare rilievo, oltre che sul piano della lotta contro l’analfabetismo, nella quale si ottennero risultati inaspettati già alla fine degli anni Venti, su quelli della trasformazione e modernizzazione dell’ambiente urbano. Fu tale e tanta la mobilitazione di vasti gruppi sociali che, nel primo decennio dell’età fascista, le spinte alla modernizzazione che avevano caratterizzato la Calabria prefascista continuarono ad esprimersi nelle comunità della regione, conseguendo risultati talora inaspettati e che vennero dalla stampa locale etichettati come “meridionalismo fascista”. È appena il caso di notare che tutto ciò si esaurì con l’avvio della seconda guerra mondiale, contrariamente a quanto era avvenuto, invece, nel corso della prima guerra mondiale quando le manifestazioni indotte dalla “Pro Calabria” testimoniarono, come si è visto nelle pagine precendenti, ancora la loro vitalità.




NOTE
1 G. Isnardi, Cinquant’anni di lavoro per le aree depresse, in Frontiera calabrese, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1965, p. 353.^
2 Ivi, p. 287.^
3 Ibidem.^
4 Archivio comunale di Belsito, Delibera del Consiglio, 3 ottobre 1920, in R. Sicilia, Istituzioni, economie e società. Belsito, Cosenza, Editoriale Progetto 2000, 2006, p. 90. ^
5 R. Sicilia, Istituzioni…, cit., p. 90.^
6 Ivi, p. 100.^
7 M.G. Chiodo, La Calabria dall’Unità al fascismo, in Storia del Mezzogiorno, a cura di G. Galasso e R. Romeo, Vol. XV, t. I, Regioni e province nell’Unità d’Italia, Napoli, Edizioni del Sole, 1990, p. 301.^
8 Cfr. G. Cingari, Storia della Calabria dall’Unità a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1982, pp. 141-159.^
9 B. Chimirri, La Calabria e gli interessi del Mezzogiorno, Milano, 1919, vol. II, pp. 187-189.^
10 Cfr. G. Cingari, Storia della Calabria…, cit., pp. 159-170.^
11 G. Cingari, Reggio Calabria, Roma-Bari, Laterza, 1988, p. 231.^
12 F. Cozzetto, L’età contemporanea in Reggio Calabria. Storia cultura economia, a cura di F. Mazza, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1993, p. 243.^
13 G. Cingari, Reggio…, cit., pp. 229, 264.^
14 Cfr. R. Liberti, Politica e amministrazione nel Risorgimento, in Vibo Valentia. Storia, cultura economia, Soveria Mannelli, a cura di F. Mazza, Rubbettino, 1995, pp. 178-180.^
15 F. Cozzetto, Dal primo dopoguerra a capoluogo di provincia, in Vibo Valentia..., cit., pp. 209, 218-219. Per questo un forte stimolo venne dato all’approvazione del piano regolatore. In linea con quanto suggerivano gli orientamenti urbanistici del regime, esso prevedeva radicali sventramenti nei quartieri più degradati dell’antica Monteleone. Un complesso di edifici pubblici fece da battistrada alla nuova realtà urbana: tra di essi il completamento del palazzo di giustizia. Venivano inoltre previsti interventi rilevanti di nuovo disegno e sistemazione delle strade urbane; si progettò il nuovo acquedotto, che risolveva il problema dell’approvvigionamento idrico della città, mentre due altri piccoli acquedotti avrebbero servito le frazioni Triparni e Vibo Marina. Proprio questa parte della città, con il suo nuovo porto, doveva divenire il cuore dello sviluppo economico e perciò si predisponevano opportune sinergie tra il porto e la stazione delle Ferrovie dello Stato.^
16 Cfr. G. Caridi, A. Savaglio, Dalla prima restaurazione borbonica alla Grande guerra, in Paola. Storia cultura economia, a cura di F. Mazza, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1999, pp. 154-155.^
17 G. De Luca, Una modernizzazione economico-territoriale da transito ferroviario, in Paola…, cit., pp. 270-272. La legge 25 giugno 1906, n. 255, elevava l’esistente scalo marittimo a spiaggia ad approdo protetto, promuovendolo di categoria e prevedendo immediate opere in muratura. Un successivo decreto localizzava in città – così come in altri sette centri minori della regione – una Sezione speciale del Genio civile per la progettazione delle opere di ricostruzione. Tre anni dopo, la legge sulla ricostruzione, emanata dopo il nuovo terremoto del 28 dicembre 1908, ritornava ad interessare la città di Paola: considerate le opere di un semplice approdo protetto non rispondenti alle caratteristiche della spiaggia, venne finanziata la costruzione di un vero e proprio porto. Il Piano regolatore del porto fu approvato il 16 luglio 1910. La struttura non venne mai realizzata.^
18 M. Graneri, La vita culturale nel Novecento, in Paola…, p. 240.^
19 P. Nardi, Il “secolo della storia”: l’Ottocento, in Castrovillari. Storia cultura economia, a cura di F. Mazza, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, p. 159.^
20 Ivi, pp. 158-161.^
21 G. Gissing, Sulle rive dello Jonio, trad. it. M. Guiducci, Imola, Cappelli, 1962, p. 74. Crotone «in realtà, non ha praticamente nessuna riserva d’acqua. Vidi un pozzo o due gelosamente custoditi; la loro acqua a rigore non sarebbe potabile, e chi può permetterselo compra l’acqua che viene da lontano, in orci di terracotta». ^
22 Sull’attività politica socialista di Turano cfr. G. Masi, Socialismo e socialisti in Calabria (1861-1914), Salerno-Catanzaro, Società Editrice Meridionale, 1981, sub-indice. ^
23 Cfr. F. Cozzetto, L’età contemporanea, in Crotone. Storia cultura economia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1992, pp. 305-324.^
24 R. Sicilia, Corigliano Calabro alle soglie della contemporaneità, in Episodi e aspetti della storia delle città in Calabria (secc. XV-XIX), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2009, pp. 228-229.^
25 Ivi, pp. 231-232.^
26 F. Mazza, L. Ambrosi, La politica nel ventesimo secolo: tra instabilità e modernizzazione, in Corigliano Calabro. Storia cultura economia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005, p. 203.^
27 Cfr. A. Carvello, Dal decennio francese alla prima guerra mondiale, in Catanzaro. Storia cultura economia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1994, pp. 183-186. ^
28 D. Cersosimo, Un’economia a regolazione pubblica, in Catanzaro…, cit., p. 342.^
29 Il testo venne pubblicato dalla tipografia Silipo di Catanzaro. Per esso cfr. R. Colapietra, Potere e cultura a Catanzaro (dall’Unità alla Repubblica), Presentazione di Umberto Bosco, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1982, p. 62 n. 48.^
30 F. Cozzetto, La città nel Novecento, in Catanzaro…, cit., p. 211.^
31 Ivi, p. 224.^
32 F. Cozzetto, La città contemporanea, in Cosenza. Storia cultura economia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1991, pp. 189, 197-199.^
33 R. Sicilia, Belsito…, cit., pp. 88-89.^
34 M. Pezzi, Politica e amministrazione nel Risorgimento in Cirò Marina. Storia cultura economia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1997, pp. 184-185.^
35 Cfr. R. Sicilia, Il lungo Ottocento in bilico tra tradizione e modernizzazione in Borgia. Storia cultura economia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006, pp. 135-139.^
36 F. Mazza, L. Grisolia, La vita politica e amministrativa dal primo dopoguerra ad oggi, in Borgia…, cit., pp. 159-176.^
37 T. Fiorita, La città nel XIX secolo, in Soverato. Storia cultura economia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2009, pp. 120 sgg.; A. Di Stefano, A. Pontieri, Una città borghese, in Ivi, pp. 159-163.^
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