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Temi e problemi di storia della famiglia in età moderna
di Rossana Sicilia
TEMI E PROBLEMI DI STORIA DELLA FAMIGLIA IN ETÀ MODERNA
Non si può dire che alla branca di storia sociale costituita dalla storia della famiglia
sia stata portata, negli ultimi decenni, una scarsa attenzione, basterebbe ricordare,
a questo proposito, i tre volumi laterziani finora usciti, che si riferiscono alla Storia
della famiglia in età medievale, moderna e dell’Ottocento. Si tratta di testi che raccolgono
lavori scientifici a più mani da parte di alcuni tra i maggiori studiosi europei
del settore, ma tutto ciò considerato, come si vedrà nel corso di queste note, si ha l’impressione
che tale settore di studi appaia oggi in una situazione di stallo e che non appaiano
all’orizzonte nuove prospettive di indagine tali da qualificare la storia della famiglia
come potenzialmente in grado di offrire, oggi come nei prossimi anni, risultanze
scientifiche innovative e comunque di sicuro rilievo.
Uno dei libri fra i più interessanti e stimolanti di storia della famiglia si deve a Lawrence
Stone (Famiglia, sesso e matrimonio in Inghilterra tra Cinque e Ottocento, trad.
it., Torino, Einaudi, 1985). Esso è stato prodotto dalla storiografia inglese, tra le più
attrezzate in questo settore di studi, circa tre decenni fa ed è comparso in traduzione
italiana quasi un decennio più tardi. L’autore sostiene che in via preliminare il ricercatore
deve risolvere il problema di stabilire il modo migliore di organizzare fatto e
teoria, aneddoto e storia, delineando un tracciato nei mutamenti subiti nei tipi di famiglia
e mostrando come essi si siano realizzati. Da parte sua egli individua sei parametri
a partire dai quali si possono analizzare tali cambiamenti. Il primo è quello biologico,
condotto in rapporto allo studio della demografia, i cui elementi costitutivi sono:
nascita, nuzialità, matrimonio e morte, fattori che influenzano sia la struttura che
il contenuto emotivo della vita familiare. Il secondo è sociologico ed esso riguarda il
rapporto tra l’unità nucleare e le altre forme di organizzazione sociale, in particolare
la parentela, la comunità, la scuola, la Chiesa e lo Stato. Il terzo è politico e concerne
la distribuzione del potere all’interno della famiglia. Il quarto è economico ed inerisce
al ruolo del matrimonio come mezzo di trasferimento di beni mobili e immobili,
al ruolo della famiglia come unità di produzione economica nell’agricoltura o nell’attività
artigianale; ancora alla distribuzione delle attività lavorative tra marito, moglie e
figli. Il quinto è psicologico e riguarda il posto affettivo nella vita della famiglia degli
individui che la compongono. Il sesto è sessuale e concerne l’atteggiamento adottato,
in teoria e in pratica, verso un istinto che costituisce il vincolo biologico fondamentale
della famiglia.
Se sul rapporto-famiglia demografia e sull’aspetto economico esiste una vasta e
consistente produzione scientifica, sia pure dagli esiti talvolta diseguali, sugli ultimi temi,
in particolare per quanto riguarda il Mezzogiorno, la storiografia si è esercitata in
modo approssimativo. Rimane, infatti, come osserva il Galasso (Gli studi di storia della
famiglia e il Mezzogiorno d’Italia, in Idem, L’altra Europa. Per un’antropologia storica
del Mezzogiorno d’Italia, Lecce, Argo, 19972) un ampio spazio da esplorare proprio
nel settore riguardante l’indagine sui rapporti etico-affettivi all’interno della famiglia,
Rassegne
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sulla condizione di subordinazione della donna connessa alla compensazione sentimentale
del rapporto di coppia, sui sentimenti familiari legati alla vita religiosa e a quelli
dell’amore e della morte. Tali indagini potrebbero costituire un momento di notevole
arricchimento, che consentirebbe di storicizzare in maniera più definita i caratteri
della famiglia moderna, troppo spesso oggetto di schematismi socio-antropologici.
Quando, tuttavia, ci si accinge a cogliere il cambiamento familiare non si può concentrare
l’attenzione su uno solo degli aspetti sottolineati da Stone, ma su tutti, essendo
fra loro intrecciati. La famiglia costituisce il fulcro in cui tutti i campi di azione
dell’uomo interagiscono e a sua volta rappresenta una sorta di volano che genera la
spinta all’azione degli uomini. In definitiva, la conoscenza dei meccanismi e delle caratteristiche
della famiglia guidano lo studioso verso la giusta considerazione di quelle
più ampie forze (politiche, economiche, sociali, intellettuali, educative e religiose)
che agiscono costantemente nel modificarne la natura e cambiare i comportamenti di
coloro che la compongono, sia gli uni verso gli altri che verso il mondo esterno.
A questo punto è utile riconsiderare la definizione di questa unità di base, cercando
di specificare cosa si è inteso, da parte della storiografia contemporanea, per
famiglia, aggregato domestico o household, lignaggio, parentela.
Il termine «famiglia» può assumere una miriade di significati diversi, limitati alle
persone con cui uno è imparentato e con cui vive, o estesi così da comprendere i genitori,
i figli, o persino tutti i parenti o gli affini riconosciuti. L’aggregato domestico rappresenta
qualcosa di più specifico: il gruppo domestico coresidente; esso delimita lo
spazio in cui vivono un gruppo di persone, che è privato poiché altre persone non possono
entrarvi senza il loro permesso. Essendo più percepibile e concreto, che non la famiglia,
ha naturalmente rappresentato il punto di riferimento nella ricostruzione dei sistemi
familiari del passato. Le fonti, soprattutto quelle dell’età moderna, parlano di famiglia,
casa, casato, linea, gente, parentela, lignaggio ecc. per indicare un gruppo contraddistinto
da un nome o cognome, o, nel caso di un gruppo aristocratico o nobiliare
contraddistinto da uno stemma. Si propongono anche i termini di famiglia, casa e fuoco
per designare gli individui che vivono sotto uno stesso tetto, mangiano alla stessa tavola.
Non si tratta di familiari in senso stretto, ma anche di parenti più o meno vicini,
di persone legate da un rapporto di servizio e a volte da un obbligo di ospitalità.
È evidente che la definizione di aggregato domestico presuppone il dato della convivenza
effettiva. In paesi come il Mezzogiorno continentale medievale e moderno,
per «fuoco», si intende invece un’unità di accertamento e di imposizione fiscale, in cui
non sempre è implicita la coincidenza con l’unità reale di residenza o coabitazione (F.
Cozzetto, Mezzogiorno e demografia nel XV secolo, Soveria Mannelli, Rubbettino,
1986). È bene, perciò, tener presente che il concetto di «fuoco» non ha il medesimo
valore di household, che in effetti richiama un’accezione, che si può definire politica
e istituzionale, del concetto di «casa» in età moderna.
Il concetto di household in modo essenziale identifica un’unità di consumo, ma si
è posto l’interrogativo se rappresenti anche un’unità di produzione. Non è semplice
dare una risposta, in particolare perché se si vuole applicare il concetto di «aggregato
domestico» alla componente produttiva se ne riduce inevitabilmente la consistenza.
È comunque utile come unità di analisi della maggior parte delle famiglie, come si
presentano nei listings, le liste censitarie inglesi, o negli status animarum, gli elenchi di
popolazione residenti compilati dai parroci dei paesi cattolici; non sembra essere molto
utile, invece, per accostarsi alle caratteristiche e alle dinamiche delle famiglie aristocratiche,
la dove la compresenza di più nuclei familiari che mettono insieme i così
detti “famigli”, cioè il personale di servizio, rende dubbio che si possa individuarlo
come unità di consumo e, meno che mai, come unità di produzione.
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Si deve al fondatore del Cambridge Group for the History of Population and Social
Structure, Peter Laslett (La famiglia e l’aggregato domestico come gruppo di lavoro e di
parenti: aree dell’Europa tradizionale a confronto in Forme di famiglia nella storia europea,
a cura di R Wall, J Robin, P Laslett, Bologna, il Mulino, 1983, pp. 253-304) la
classificazione della famiglia in cinque categorie diventate ormai strumenti di analisi
di buona parte della storiografia del settore. Si tratta della famiglia nucleare, o semplice,
quando coincide con l’unità coniugale; della famiglia estesa, quando comprende
uno o più parenti conviventi; della famiglia multipla, quando è formata da due o
più unità coniugali; di famiglia senza struttura, quando mancando la stessa unità coniugale,
convivono persone con o senza rapporti di parentela; infine, di famiglia solitaria,
quando è costituita da una sola persona.
La famiglia multipla può riguardare il caso di convivenza tra unità coniugali della
medesima generazione, ad es. fratelli sposati, oppure tra unità coniugali di generazioni
successive, padre-madre con figlio-nuora, nel primo caso si parla di multipla orizzontale,
o anche di frérèsche, nel secondo di multipla verticale, o di stem-family o famiglia-
ceppo. Le famiglie estese e multiple si concepiscono come entrambe complesse.
Alcuni studiosi hanno classificato gli aggregati domestici in base alla presenza in
essi di personale di servizio. In questo caso è altresì essenziale precisare che il servo
può essere necessario non per la definizione del concetto di aggregato domestico ma
piuttosto deve essere inteso come condizione della famiglia concepita come unità economica,
in quanto azienda, anche se, come si è notato, è dubbio che il termine azienda
possa essere riferito alle famiglie aristocratiche.
Il sucesso della tipologia familiare delineata da Peter Laslett e Richard Wall (Introduzione,
in Forme di famiglia…, cit., pp. 37-98) si deve alla sua capacitò euristica,
che ha fatto compiere molti passi in avanti rispetto a tipologie tradizionale di derivazione
ottocentesca. Era stato, infatti, Fréderic Le Play (L’organisation de la famille, Paris,
1871) ad avanzare per primo l’idea di una famiglia estesa e patriarcale come modello
tipo della famiglia tradizionale, ponendo la famiglia complessa, strutturata a ceppo,
comprendente una coppia più anziana o principale, uno o più figli sposati, con
eventuale prole, e altri figli celibi, come la forma originaria della famiglia moderna.
Una tesi che trovava il suo fondamento nell’evoluzionismo ottocentesco, fissando una
linea concettuale evolutiva e di movimento storico tra due termini contrapposti, uno
tradizionale e premoderno, la famiglia patriarcale, l’altro innovativo e moderno, la famiglia
semplice, o, per dirla con Laslett, nucleare. A partire da Le Play, l’indagine storiografica
si è perciò concentrata nell’individuare il fattore o, se si vuole, il motore del
passaggio dell’unità familiare dal tradizionale al moderno. Inevitabilmente, date le
forti suggestioni che negli studi socio-economici esercitavano le tesi marxiste, la trasformazione
o meglio la destrutturazione della famiglia patriarcale tradizionale nella
famiglia semplice moderna è stata individuata come una conseguenza della rivoluzione
industriale.
Proprio per opera della storiografia inglese, in una serie di studi si è accertato, invece,
che nell’Inghilterra industrializzata la tendenza dei nuovi sposi a risiedere con i
genitori, piuttosto che diminuire sia aumentata. Ancor più, un importante studio sul
catasto fiorentino del 1427 ha verificato che, delle circa 60.000 famiglie censite per la
città e il suo contado, il 55% presenta una composizione nucleare (D. Herlihy e C.
Klapisch Zuber, Les Toscans et leurs familles. Une étude du catasto florentin de 1427,
Paris, 1978). Su questa base sembrava venuta meno proprio la premessa delle tesi di
Le Play, il passaggio dal premoderno al moderno attraverso l’abbandono della famiglia
patriarcale. Decisive in questa direzione sono state le ricerche del Gruppo di Cambridge
che hanno evidenziato come in una vasta area che interessa l’Inghilterra, la
Francia, la Germania, l’Italia, la Serbia e la Polonia esiste una percentuale di famiglie
nucleari che varia tra il 67 e il 93%.
Questi indagini hanno dato spessore alla tesi che confuta la teoria evoluzionista,
così da liberare la ricerca sulla famiglia dal mito di un modello patriarcale tradizionale
primigenio. Minore fortuna ha riscontrato, invece, la tesi avanzata da Laslett di una
famiglia semplice come modello predominante dell’Europa occidentale, in quanto l’esistenza
di una vasta documentazione ha offerto la possibilità di dimostrare la notevole
diffusione delle forme complesse di aggregato domestico in diverse regioni europee.
Nella Toscana del Quattrocento, dove si è già evidenziata la prevalenza della
famiglia nucleare, è notevole anche l’incidenza della famiglia complessa e in particolare
multipla. Altre ricerche hanno provato l’esistenza della famiglia complessa anche
nel sud della Francia e nel nord della Spagna, in varie zone della Germania e dell’Austria,
tra le popolazione servili dell’Europa orientale e slava (K. Kaser, La servitù
della gleba nell’Europa orientale in Storia della famiglia in Europa. Dal Cinquecento alla
rivoluzione francese, trad. it., Roma-Bari, Laterza, 2002).
In realtà, ciò che appare evidente è che la famiglia che si forma attraverso il legame
istituzionale del matrimonio, ancora agli inizi dell’età moderna, non è ancora una
struttura del tutto definita. Secondo Stone, fino al secolo XI la poligamia casuale sembra
essere stata un fenomeno diffuso, assieme alla facilità del divorzio e al concubinaggio.
Nel 1020 la Noribumbrian Priests’ Law conteneva il precetto secondo il quale
«noi proibiamo ad ogni uomo di avere più di una moglie; ed essa deve essere necessariamente
sposata». Se ne è ricavato che la società anglosassone pagana considerava
il matrimonio con grande disinvoltura. Ancora all’inizio del Cinquecento, fra le
popolazioni europee vi erano forti differenze anche riguardo al problema dello scioglimento
del vincolo coniugale. D’altra parte solo dopo un lungo periodo la Chiesa
cristiana prese una posizione definitiva contro il divorzio e il diritto canonico medievale
proclamò il principio dell’indissolubilità del matrimonio. La strada del divorzio
rimaneva percorribile invece per gruppi di europei. Il primo era costituito dagli ebrei,
il secondo dai musulmani della penisola balcanica, il terzo dai cristiano-ortodossi dell’Europa
orientale. Ovviamente a questi gruppi si devono aggiungere le comunità protestanti
europee che, nel corso dell’età moderna, mutarono il loro iniziale atteggiamento
di ostilità nei confronti del divorzio soccombendo, come sostiene Lloyd Bonfield,
nei confronti delle pressioni della società civile (Lo Stato, la religione, la legge e
la famiglia, in Storia della famiglia…, cit. pp. 122 sgg.).
Alcuni storici, sotto l’influenza degli studi demografici e socio-antropologici, si sono
interrogati sulla connessione esistente fra età al momento del matrimonio e residenza
post-nuziale, per stabilire se le nuove coppie si sistemano in proprie abitazioni
o vanno a vivere in casa dei genitori di uno degli sposi. Da quanto William Shakespeare
lascia dire al padre e alla madre di Giulietta si è dedotto, anche su suggestioni
molto più recenti legate a osservazioni empiriche e di mutamenti di abitudini generazionali
nel corso del XX secolo, che le donne un tempo si sposassero molto giovani, a
12 o a 13 anni. Peter Laslett ha, invece, presentato i risultati di alcune ricerche sulla
base delle quali ha sostenuto che in Inghilterra, nel corso del Seicento, le donne non
si sposavano così presto e i dati attualmente a disposizioni degli storici della famiglia
dimostrano che l’Inghilterra non era un’eccezione. John Hajnal, in un saggio del 1965
(Modelli europei di matrimonio in prospettiva, in Famiglia e mutamento sociale, a cura
di M. Barbagli trad. it., Bologna, il Mulino, 1977, pp. 267-312), considerato ormai un
classico della storiografia sull’argomento, ha sostenuto che per molti secoli, i paesi dell’Europa
occidentale, posti a ovest rispetto a una linea immaginaria che congiunge
Pietroburgo a Trieste, con eccezioni presenti in Francia e in alcune altre zone, hanno
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avuto sempre un modello di matrimonio «unico o pressoché unico al mondo» che si
distingueva per due caratteristiche precise: le persone di entrambi i sessi si sposavano
ad un’età avanzata e gli sposi andavano ad abitare in una loro casa; una quota abbastanza
alta della popolazione non si sposava mai. Nei paesi dell’Europa orientale e di
tutti gli altri continenti, vi ha dominato un modello che Hajnal ha definito come «non
europeo», caratterizzato dal matrimonio precoce e quasi generale della popolazione
maschile e femminile. Secondo questa visione dunque, fatta propria dal gruppo di
Cambridge, il primo sistema si sarebbe diffuso solo nella parte di Europa economicamente
più prospera.
A ben vedere, il modello di Hajnal si limita a capovolgere lo schema tradizionale
del Le Play che vuole una famiglia nucleare e il matrimonio tardivo come effetti della
modernizzazione provocata dalla rivoluzione industriale. Al contrario questo modello
sarebbe stato la chiave e la causa del successo economico dei paesi occidentali. Il
controllo demografico esercitato col matrimonio tardivo e l’imposizione sociale di
uno standing, cioè una convenzione sociale che impone un quantum per sposarsi, un
reddito procurato spesso andando a servire in altre famiglie, configurerebbero un tipo
di accumulazione familiare che avrebbe giocato un ruolo decisivo nell’attivazione
dello sviluppo economico. In definitiva la famiglia nucleare e il matrimonio tardivo
sarebbero stati non l’effetto, ma una delle cause della rivoluzione industriale.
Sia Hajnal che Laslett hanno riconosciuto, inoltre, che la regione dove il modello
matrimoniale e familiare occidentale o europeo aveva rappresentato una realtà storica
ben testimoniata non era assolutamente uniforme. Sotto il profilo demografico questa
diversità geografica è stata studiata da E.A. Wrigley (Demografia e storia, Milano,
1977) secondo il quale Francia e Inghilterra possedevano caratteri di nuzialità che
rientrano nel canone “europeo” di Haynal, ma i due paesi differivano in maniera così
sostanziale da dimostrare che vi erano forme significativamente diverse al loro interno.
Ricerche successive hanno avvalorato questa tesi mettendo in luce l’esistenza di
aree nella zona meridionale della penisola iberica, in Irlanda, Puglia e Sicilia, che presentavano
caratteristiche non assolvibili fra quelle dei paesi inclusi nella loro linea di
demarcazione e nelle quali il matrimonio era assai precoce.
La storiografia più recente, perciò, non segue più una linea di demarcazione bipolare,
ma è stata elaborata dallo stesso Laslett una tipologia della famiglia europea più
articolata, che comprende l’esistenza di due tipi estremi: il primo occidentale, con proporzione
minima di famiglie complesse ed età minima al matrimonio delle donne piuttosto
alta, modalità presenti in Inghilterra, Paesi Bassi, Francia settentrionale; il secondo
orientale, con proporzione alta di famiglie complesse del tipo multipla orizzontale,
come si ha in Russia e nelle aree circostanti. A questa prima distinzione si sono aggiunti
due tipi intermedi: il primo caratteristico dell’Europa centrale, con proporzione media
di famiglie del tipo multipla verticale, presente nella Francia meridionale e in varie zone
d’area germanica e mediterranea; un secondo tipo caratteristico dell’area mediterranea,
con proporzione pure media di famiglie complesse, ma del tipo multipla orizzontale,
presente in Spagna, Portogallo, Italia e nella penisola balcanica.
In questo ambito di definizione geografica del modello familiare, Kaser (La servitù
della gleba nell’Europa orientale…, cit.) ha compiuto una serie di indagini sulle quattro
strutture politiche più importanti della macroregione orientale, focalizzando la sua
attenzione sulla Polonia, la Russia, l’Impero asburgico e l’Impero turco. Nella sua ricerca
non ha adottato la metodologia marxista, per la quale l’assetto produttivo determina
gli svolgimenti sovrastrutturali. Così esclude che nel determinare l’accrescersi
della famiglia complessa ad Est, nei secoli dell’età moderna, possa essere individuato
come prevalente il fattore della feudalizzazione che sopraggiunge in questa parte dell’Europa
proprio in questa fase storica e assieme ad essa la servitù della gleba. Rispetto
alla teoria di Haynal, Kaser sottolinea come l’origine del modello orientale sarebbe
stato il frutto di un processo migratorio, che, a partire dall’XI secolo, dall’Europa occidentale
e centrale, ne avrebbe progressivamente caratterizzato il trasferimento ad
Est fino a disegnarne il limite della linea di demarcazione detta appunto di Haynal.
Altri studiosi hanno, invece, ricordato che l’esistenza della linea di demarcazione
non impedisce affatto il formarsi di aree di notevole contiguità e promiscuità. Un
esempio di questo tipo è rilevato da Cozzetto (Lo Stato di Aiello. Feudo, istituzioni e
società nel Mezzogiorno moderno, Napoli, Editoriale Scientifica, 2001) in un aggregato
feudale, quello di Aiello Calabro, in cui convivono, nell’età moderna, due grossi villaggi
rurali, Aiello e Lago, il primo caratterizzato da una netta prevalenza di famiglie
nucleari, il secondo, al contrario, di famiglie complesse, in posizioni antitetiche rispetto
alla loro capacità di presenza sul mercato e di difesa dalle influenze, positive e
negative, che lo stesso esercita in una società di antico regime. Più in generale proprio
il caso italiano, come ha studiato il Delille (G. Delille, Famiglia e proprietà nel Regno
di Napoli, Torino, Einaudi, 1988) rappresenta la possibilità della coesistenza in un’unica
area di una pluralità di sistemi di formazione della famiglia. Per l’Italia del Settecento,
in particolare, sono stati individuati tre principali casi: uno presente nelle campagne
del Centro-Nord, con matrimonio tardivo e residenza patrilocale, ma con tendenza
alla famiglia-ceppo in Piemonte, Liguria e Lombardia e tendenza alla famiglia
multipla orizzontale nelle restanti regioni; un altro presente nel Sud, con matrimonio
precoce e residenza neolocale; infine un terzo modello con matrimonio tardivo e residenza
neolocale, presente nelle città del Centro-Nord e in Sardegna (G. Delille, Demografia,
in Storia del Mezzogiorno, vol. VIII, Aspetti e problemi dell’età moderna, I,
Napoli, Edizioni del Sole, 1991).
Un limite, non di scarso conto, di queste impostazioni tipologiche risiede nel delineare
delle situazioni familiari statiche, come se le varianti rappresentate dalla diversità
delle forme di proprietà e delle relazioni di lavoro, delle condizioni della produzione
e del mercato, degli stati sociali e degli statuti territoriali, abbiano poca possibilità
di incidere sull’assetto definitivo iscritto in questa linea di demarcazione, fra
questi sistemi e sottosistemi. Una critica a queste impostazioni tipologiche era stata alcuni
decenni fa già formulata da Berkner (La famiglia ceppo e il ciclo di sviluppo della
famiglia contadina, in Famiglia e mutamento sociale, a cura di M. Barbagli, trad. it., Bologna,
il Mulino, 1977) Questi ha osservato che i tipi di famiglia possono talvolta essere
il mero riflesso della stessa struttura dei censimenti, che fissano i gruppi domestici
in una fase del loro ciclo di sviluppo. Un approccio attivo e dinamico, invece, potrebbe
far scoprire come una famiglia nucleare e una famiglia complessa possono essere
considerate fasi successive della medesima famiglia.
Esistono buone probabilità che i genitori siano ancora vivi quando due giovani si sposano,
questi ultimi iniziano il loro matrimonio in una famiglia estesa. Col tempo i genitori muoiono,
e gli sposi, ormai di mezza età, vivono in una famiglia nucleare; quando uno dei loro figli
si sposa e porta in casa la propria moglie, la famiglia diventa di nuovo estesa e così via.
L’approccio che sottolinea l’esistenza di un processo, evidenzia come l’aggregato
domestico non sia un’entità, una forma immobile, ma è sottoposto a evoluzione e può
essere modificato dai cicli di vita dei suoi membri, i quali caratterizzano l’insieme delle
fasi di un ciclo di sviluppo della famiglia. A questo svolgimento progressivo si aggiungono
altri fattori che determinano variazioni di lunga durata, come quando un
una popolazione è colpita da un’epidemia, una carestia, un evento bellico. Dopo un
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periodo di forte tasso di mortalità la famiglia deve infatti riguadagnare l’assetto perduto,
in un percorso che certamente non può essere lo stesso per tutte le unità familiari;
alcune scompaiono, altre si scompongono, altre si aggregano, così da adattarsi
alle nuove condizioni.
Un aspetto profondamente connesso ai temi di storia della famiglia è, ovviamente,
la parentela che ha suscitato un notevole interesse nella storiografia contemporanea.
A qualsiasi livello sociale il prestigio e il rango di un individuo o di una famiglia si
valutano dalla robustezza e dall’ampiezza dei legami e delle reti di parentela. Persiste
comunque l’incombenza dei legami di parentela, nelle sue valenze ora positive ora negative,
che viene riproposta attraverso gli impedimenti del diritto canonico, imposti
dalla Chiesa a partire dal IV secolo, con i quali si prescrive il divieto di contrarre nozze
entro il settimo grado di consanguineità e il quarto di affinità. Sono questi impedimenti
che stimolano ovunque tutti i ceti ad organizzarsi e a sviluppare delle strategie
matrimoniali, per poter conservare i patrimoni all’interno dei gruppi familiari, oppure
per intessere alleanze tra gruppi o lignaggi con lo scambio reciproco delle donne. È evidente
che l’importanza dei legami parentali e l’elaborazione delle strategie familiari variano
nei diversi gruppi sociali, aristocratici, borghesi-urbani, contadini. Secondo Stone
(Famiglia, sesso e matrimonio…, cit.) nell’aristocrazia inglese dell’inizio dell’età moderna
prevale il tipo di famiglia «a lignaggio aperto», caratterizzata dal legame di lealtà
fra i suoi membri, così da ottenere la prevalenza del gruppo sugli interessi individuali,
anche se non si impedisce la penetrabilità delle influenze esterne. Questa apertura consente
l’imparentamento dei gruppi familiari e la realizzazione di una fitta rete di alleanze.
Nel corso dei secoli successivi molte funzioni tradizionali dei legami di parentela
si vanno esaurendo e confluiscono fra le attività svolte da istituzioni proprie dell’organizzazione
ecclesiastica e dell’organizzazione statale, Ora un segmento non piccolo
degli studiosi di storia della famiglia, di orientamento sociologico, hanno, come si
è accennato prima, costruito un modello evolutivo della famiglia, bisogna ammettere
di particolare suggestione, facendo nascere la famiglia nucleare a partire dal momento
in cui si rescindono i legami dei suoi componenti con i parenti consanguinei e affini.
In particolare gli studi di J. Goody (Famiglia e matrimonio in Europa. Origini e
sviluppi dei modelli familiari dell’Occidente, Milano, Mondadori, 1984), proprio a riguardo
dell’aristocrazia inglese, hanno identificato una evoluzione del modello familiare
moderno che, pur avendo creato un modello di analisi particolarmente in auge
nell’ultimo ventennio, ha suscitato e suscita forti perplessità sul piano scientifico. A
partire dall’originario modello patriarcale allargato, secondo lo studioso inglese, il declino
dei legami di fedeltà al lignaggio e una nuova e impersonale lealtà verso la Chiesa
e la monarchia genererebbero l’affermazione nell’aristocrazia di un nuovo tipo di
famiglia «patriarcale nucleare ristretta», che si identifica con una forma di famiglia nucleare,
stretta da un rapporto di dipendenza al suo capo e patriarca. Tra la prima e la
seconda rivoluzione inglese si delineerebbe un terzo tipo di famiglia che è quella «nucleare
domestica chiusa», che si esprime attraverso un forte sentimento di individualismo
affettivo e che riserva un particolare risalto al rapporto di coppia. Questa terza
forma fa la comparsa dapprima nella piccola nobiltà rurale, poi nei gruppi borghesi
più elevati, nell’aristocrazia e lungo tutto il Settecento in ogni strato sociale,
Proprio su quest’ultima tappa del percorso evolutivo di storia sociologica della famiglia
moderna, si può obbiettare che è ben difficile credere che l’individualismo affettivo
sia un fenomeno sei-settecentesco poiché le testimonianze letterarie e quelle
che emergono da documentazione di archivi familiari di età medievale e moderna, fanno
propendere verso conclusioni assai diverse rispetto a quelle evidenziate dal Goody
e dalla larga schiera dei suoi epigoni.
Molto più di recente è stato Ortu ad offrire una non meno suggestiva spiegazione
dell’origine della famiglia nucleare almeno per quanto riguarda il mondo contadino
medievale. Quest’ultimo, dal punto di vista familiare, nell’alto medioevo non presenta
una sua identità definita e stabile, anche perché una buona parte della popolazione
rurale versa in condizioni di servitù. Anche se il servo, ottenuto il consenso dal dominus,
si può sposare e tenere con sé i figli, la sua famiglia non assume mai dei contorni
ben definiti, ma piuttosto sfumati, perché vive in uno stato di promiscuità e concubinato.
Sarà l’azione del cristianesimo a consolidare il vincolo coniugale, imponendo
il principio secondo cui non è il concubitus, l’accoppiamento più o meno stabile, a
legittimare l’unione, ma il consensus, il consenso. Si evita così l’interferenza, nell’ambito
coniugale, sia delle famiglie dei futuri sposi sia delle istituzioni. Anche il signore
perde il controllo sul matrimonio dei suoi servi o vassalli. In realtà, non è solo l’affermarsi
di un principio di morale e di diritto a mutare la situazione, ma è la trasformazione
che della signoria fondiaria, che si basa sullo sfruttamento diretto del lavoro servile,
in una signoria, quella feudale, che si basa sull’imposizione tributaria. Questo
nuovo modello di sfruttamento delle popolazioni rurali determina necessariamente
l’esistenza di unità di produzione relativamente autonome e simili nella composizione
del corpo umano e aziendale; implica la formazione di una sola classe di contadini
che si può ascrivere in un unico modello di famiglia, più o meno omogeneo. Proprio
quell’aggregato domestico nucleare che servirà da riferimento anche agli studiosi della
famiglia in età medievale e moderna (G.G. Ortu, Famiglia e demografia…, cit.).
Tutto ciò non significa rinunciare a una forte impronta storica da imprimere agli
studi di storia della famiglia, o tanto peggio arrendersi ai teorici della storia immobile.
Ripercorrendo le fasi del ciclo di vita della famiglia, attraverso l’analisi dei mutamenti
economici, politici, religiosi, demografici e sociali che l’hanno interessata, fino
a constatarne la sua trasformazione, varrebbe la pena di recuperare una riflessione di
Tocqueville, che sottolineava i vantaggi e le perdite che questo cambiamento aveva
comportato per l’umanità: «può darsi che la società ci rimetta, ma l’individuo ci guadagna
di certo. Mano a mano che i costumi e le leggi si democratizzano, e i rapporti
fra padre e figlio diventano più intimi e affettuosi, la fiducia vi sostituisce l’autorità severa
e il vincolo naturale si stringe mentre quello sociale si allenta» (A. de Tocqueville,
La democrazia in America, a cura di N. Matteucci, Torino, UTET, 1991).
Rossana Sicilia
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