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Un tè antifascista in Francia a casa Sforza (15 agosto 1933)
di Anna Maria Voci
Nel 1999, a novanta anni dalla nascita di Golo Mann (27 marzo 1909) e a cinque dalla sua scomparsa (7 aprile 1994), l’editore Fischer pubblicò il secondo volume delle memorie dello storico e pubblicista tedesco, che copriva gli anni 1933-1940, il primo periodo del suo esilio, trascorso prevalentemente in Francia1.
Il primo volume era uscito nel novembre del 1986, e portava, invertendo l’ordine dei sostantivi, il titolo “bismarckiano” di Memorie e pensieri, mentre il sottotitolo circoscriveva l’ambito temporale di questi ricordi: il periodo della giovinezza di Mann in Germania (1909-1933)2.
Questo primo volume, curato dallo stesso Golo, fu un grande successo editoriale: a cinque mesi dalla sua uscita ne erano stati già venduti 100.000 esemplari. Seguirono subito anche le traduzioni, tra cui pure quella italiana3.
Forse incoraggiato anche da questo ottimo risultato, l’Autore si mise a lavorare al secondo volume di memorie, incentrato sulle sue esperienze francesi, fondamentali per la sua evoluzione intellettuale, soprattutto perché in Francia gli fu possibile staccarsi dall’ombra del padre, imboccare la strada di una produzione intellettuale propria, dare dimostrazione delle sue capacità di scrittore, di pubblicista e di studioso, che, partito da studi di filosofia (si era laureato a Heidelberg con Karl Jaspers), si andava avviando a letture e indagini storiche. La base del racconto dei suoi ricordi era data a Golo dai suoi diari.
Il lavoro per questo secondo volume si rivelò, tuttavia, molto lento e gli risultò faticoso, soprattutto da quando, nel 1990, si ammalò. Fino al momento della sua morte egli riuscì comunque a consegnare all’editore Fischer un manoscritto che copriva il periodo fino al 1940, ma la morte gli impedì di vederne la pubblicazione. Quest’ultima fu curata da Hans-Martin Gauger, professore di filologia romanza all’Università di Freiburg i. B., e da Wolfgang Mertz, lettore della casa editrice Fischer di Francoforte sul Meno.
Questo secondo volume di memorie si apre con il racconto di un pomeriggio d’estate del 1933, nel quale Thomas Mann fece una visita, accompagnato dalla moglie Katia, dal fratello Heinrich, e dal suo terzogenito, Golo, tutti esuli e, in quel periodo, residenti a Sanary-sur-Mer, una località situata tra Tolone e Marsiglia, mèta di numerosi esponenti dell’emigrazione, soprattutto intellettuale, tedesca. In quel pomeriggio di agosto del 19334 i Mann andarono a trovare Carlo Sforza, che possedeva una villa vicino a Tolone dove trascorreva il periodo estivo. Altri ospiti italiani del Conte Sforza erano Guglielmo Ferrero e Gaetano Salvemini, esuli come lui, e come la famiglia Mann. Dalle note scritte da Thomas Mann nel suo diario al 15 agosto 1933 si apprende che Ferrero era accompagnato dalla moglie, e Salvemini (che Thomas chiama «Prof. Salvatimini») da una collaboratrice inglese, una germanista che parlava tedesco. Thomas aggiunge che fu offerto un tè sulla terrazza e che la conversazione, sul fascismo e il nazismo e sulla paura diffusa in Francia, fu «anregend», stimolante. Egli aggiunge: «Tendenza degli Italiani a presentare il fascismo come altrettanto malvagio e criminale come il nazionalsocialismo – a mio giudizio a torto. Il Prof. S. [cioè Salvemini] molto divertente e simpatico»5. Queste le brevi annotazioni di Thomas Mann sul tè a casa Sforza.
Il racconto del figlio Golo ha uguali contenuti, ma questa visita è da lui narrata molto più nel dettaglio. Si tratta di un episodio, che qui di seguito si riporta in traduzione, raccontato con vivacità e aderenza al vero, appunto perché basato sulle note del diario di Golo, più minute di quelle del padre. Vi è, è vero, qualche imprecisione e, soprattutto, un’informazione sorprendente, la storia del presunto cambio di cognome di Salvemini dopo il terremoto del 1908, che evidentemente fu raccontata per scherzo, verosimilmente dallo stesso Salvemini (descritto da Golo, come da Thomas, come un tipo ameno) durante la conversazione, e che il giovane e ingenuo tedesco prese per buona. Oltre cinquanta anni dopo, preparando il secondo volume delle sue memorie, il vecchio Golo evidentemente riportò di peso nel suo manoscritto quanto si trovava annotato nel diario giovanile.
Ciò nonostante, il suo racconto offre uno squarcio interessante di antifascismo italiano militante, in esilio. A giudicare dal racconto di questo giovane, riflessivo e colto osservatore straniero, tale antifascismo (e non solo quello italiano) era però un po’ velleitario, tutto intento a discutere sterilmente se il fascismo fosse peggiore del nazismo, o Mussolini più malvagio di Hitler. Inoltre, Golo presenta questi fuorusciti italiani come poco inseriti tra le file degli antifascisti di altri paesi, quasi poco curanti i contatti con essi, un po’ isolati per colpa, o scelta propria.
Oltre che per questi aspetti, il vivido e abbastanza dettagliato resoconto di Golo è forse tanto più degno di nota, in quanto pochi furono, nel complesso, i contatti tra i Mann e gli intellettuali italiani fuorusciti, forse anche a causa di quel certo isolamento in cui, stando a Golo Mann, si erano relegati gli Italiani.
Chi, tra i Mann, ebbe forse maggiori contatti con gli intellettuali italiani, non solo emigrati, fu Klaus, maggiore di Golo di tre anni. E ciò soprattutto per via della rivista che Klaus, a partire dal settembre 1933 riuscì a pubblicare (ma solo fino all’agosto 1935) presso un editore ebreo di Amsterdam, Emanuel Querido. Per questa rivista mensile, Die Sammlung6, di carattere letterario, e anche politico, con la quale Klaus tentò di dar vita ad un fronte europeo unitario, antifascista e antinazista, degli intellettuali di qualsiasi convinzione politica (conservatori, liberali, comunisti), egli cercò, tra gli Italiani, la collaborazione di tre persone, un filosofo, un politico e uno scrittore, che, evidentemente, a suoi occhi rappresentavano gli emblemi dell’antifascismo: Croce, Sforza e Silone. Ottenne un breve contributo per la rivista dai primi due.



DA G. MANN, Erinnerungen und Gedanken. Lehrjahre in Frankreich, Frankfurt, Fischer, 2002?, pp. 11-13.

«Un pomeriggio di agosto con un cielo splendido. La terrazza di una villa non lontana da Tolone, affacciata sul mare, e tuttavia separata da questo da un prato nel quale un bimbo, quasi un adolescente, è intento a montare una tenda. Il padrone di casa: il conte Carlo Sforza, diplomatico italiano, ambasciatore a Parigi al tempo della ‘marcia su Roma’ di Mussolini, un paio d’anni dopo allontanatosi dalla patria per protesta contro il nuovo regime, coniugato con una signora belga, vive adesso a Bruxelles della sua attività di pubblicista storico-politico. Un uomo oltremodo prestante, forse di origine lombarda, come taluno dei suoi pari rango. Gli ospiti: due suoi connazionali, anch’essi emigrati, entrambi storici, Guglielmo Ferrero, un uomo lungo, magro, lo sguardo penetrante un po’ melanconico, e Gaetano Salvemini, di una testa più basso del suo collega. I tre italiani portano una barba piena o un pizzetto. Salvemini, in origine, aveva un altro nome. Si diede questo nome nuovo ‘che possiate salvarvi’ – allorché, tornando a Messina un giorno dopo il terremoto, trovò morti moglie e figli. Questo fu molto tempo fa, 22 anni fa7, e Salvemini il più ridanciano tra gli invitati. Gli ospiti tedeschi: Julius Meier-Graefe, acclamato storico dell’arte, con interessi culturali prevalentemente rivolti alla Francia, e tuttavia un signore affatto tedesco, alto e maneggiante un monocolo, metà anni sessanta. La moglie potrebbe essere sua figlia, quasi sua nipote. Lo ha portato in macchina qui da Saint-Cyr. È lei a portarlo ovunque in macchina, e, su questo, egli una volta ci lesse una novella malinconica, Il compagno di viaggio [Der Mitfahrer]. Poi vi erano Henrich e Thomas Mann e Katia Mann, questi ultimi assieme al figlio G. Dal canto nostro, noi eravamo stati portati lì in macchina dal figlio minore dello scrittore alsaziano René Schickele, il cui nome era Rainer.
All’arrivo TM salutò il Conte in tedesco, e subito dopo ne lodò energicamente l’ultimo saggio, Il ritorno dei Junker, peraltro non del tutto a ragione, poiché l’Autore aveva fortemente sopravvalutato il ruolo giocato dai Junker nella nuova Germania. Era interessante osservare il diplomatico, mentre ascoltava questo discorso gentile: i tratti del suo viso esprimevano un’attenzione cortese, perfino ansiosa, al tempo stesso però anche il fatto che non capiva una parola, non conoscendo la lingua tedesca. Dopo poco mio padre indovinò la situazione e pregò mia madre di tradurre; lo fece malvolentieri, dato che ella, che aveva imparato il francese prima della sua lingua madre, lo dominava ancora perfettamente. E dare dimostrazione di ciò alla presenza di mio padre, divertiva lei, lui di meno. La conversazione proseguì poi, per due o tre ore, in francese.
Di che cosa si parlò? Naturalmente di fascismo e di nazionalsocialismo, del pericolo in cui si trovava allora la Francia, e dei due dittatori. I Tedeschi avevano l’ambizione di dimostrare che i loro nuovi governanti erano incomparabilmente più malvagi di quelli a Roma; cosa che gli Italiani contestavano energicamente, adducendo esempi atti a dimostrare il contrario, Salvemini ridendo, Ferrero con profonda serietà. Sforza aveva conosciuto bene Mussolini, aveva prestato ancora servizio sotto di lui come ambasciatore, si era trovato spesso a parlare con lui. “Egli è un giornalista, un giornalista, nient’altro che un giornalista”, ci assicurò, “impagabile come bugiardo, ma per il resto povero di idee, senza conoscenze solide, per un momento riconoscente per ogni idea che gli viene da altri”. Alla fine ci si accordò sul parere che Mussolini fosse il più cattivo, Hitler il più stupido. Io tacqui, memore degli eventi da me vissuti nei sei mesi appena trascorsi. Nel complesso la conversazione rimase una bizzarra mescolanza di serenità ilare e cupa malinconia. Sforza: “Un’alleanza tra la Germania e l’Italia significa l’invasione della Francia”. Oppure: “Entro due anni bisognerà emigrare in Australia, Voi come noi”. Poi qualcuno propose di indirizzare, tutti insieme, un telegramma beffardo a Mussolini. Sforza: “Subirebbe un attacco epilettico…”. Tutto sommato, uno scambio di opinioni al quale anche troppo spesso dovetti assistere in quella lunga estate, dal giugno al settembre del 1933: l’unica cosa originale fu, in quell’occasione, la presenza degli Italiani, che di solito mancavano. Ci salutarono ancora una volta con le mani quando eravamo già seduti in macchina: “Abbasso tutti i dittatori”. Ciò fu accompagnato da un’ultima risata.
La sera TM si mostrò, invece, angustiato: secondo lui questi Italiani avrebbero, inizialmente, di certo contato anche su un presto ritorno in patria, e vivevano, ormai già da dieci anni, all’estero, in un ambiente difficile».

Golo Mann
(trad. A.M. Voci)





NOTE


1 G. Mann, Erinnerungen und Gedanken. Lehrjahre in Frankreich, herausgegeben von H.- M. Gauger und W. Mertz, Frankfurt am Main, Fischer, 1999 (2002?).^
2 Idem, Erinnerungen und Gedanken. Eine Jugend in Deutschland, Frankfurt am Main, Fischer, 1986. Le memorie di Bismarck si intitolano: Gedanken und Erinnerungen, uscirono in due volumi a Stuttgart, Cotta, 1898, e furono più volte ristampate. L’ultima edizione è: München, Herbig, 2007.^
3 G. Mann, Memorie e pensieri. Una giovinezza in Germania, a cura di L. Ritter Santini, Bologna, Il Mulino, 1988.^
4 Era il 15 agosto, come risulta dalla nota nel diario di T. Mann, Tagebücher. Vol. II: 1933-1934, hrsg. von P. de Mendelssohn, Frankfurt, Fischer, 1977, pp. 151-152.^
5 Ivi. Salvemini, invece, nei suoi Dai ricordi di un fuoruscito. 1922-1933, a cura di M. Franzinelli, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, non ricorda questo pomeriggio a casa Sforza.^
6 Die Sammlung. Literarische Monatsschrift unter dem Patronat von André Gide, Aldous Huxley, Heinrich Mann, herausgegeben von Klaus Mann. I. Jahrgang (Sept. 1933-Aug. 1934); II. Jahrgang (Sept. 1934-Aug. 1935), Amsterdam, Querido Verlag.^
7 Il terremoto di Messina fu nel dicembre del 1908, quindi quasi venticinque anni prima.^
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