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La democrazia democratica
di G. G.
Le materie delle discussioni politiche estive sono, di solito, molto rumorose, ma non sempre, o ben poco, costruttive e durature nei temi che propongono. Non sono sempre, insomma, di effettivo conto. Così è stato anche questa estate, ma forse con qualche traccia destinata a durare e a ripercuotersi nel prossimo futuro più di quanto, di solito, per l’appunto, non accada. Altrettanto non si può dire per le problematiche internazionali, sulle quali l’incidenza stagionale è, per la loro stessa natura, e molto comprensibilmente, minima. Si avrà perciò occasione, crediamo, di tornare e ritornarvi più volte nel prossimi mesi.
Intanto, un tema del tutto particolare ha attratto la nostra attenzione. Particolare, poi, per modo di dire. Si tratta, infatti, di una questione che negli sviluppi degli ultimi due anni del dibattito politico-culturale in Italia non ha assunto il rilievo che merita, ma che non per ciò è di minore importanza. Una discussione, poi, che riguarda in apparenza soprattutto la sinistra o il centro-sinistra, e, molto più specificamente e direttamente, il Partito Democratico, tuttora in faticosa e ancora non chiara costruzione; ma che è, invece, di interesse generale, perché l’identità democratica, di cui qui si tratta, investe in pieno anche una gran parte dell’opposto versante, di centro-destra, dell’attuale schieramento politico in Italia, per la quale si ode spesso ricorrere il richiamo ai valori e alla tradizione della democrazia italiana.
Non riteniamo perciò impertinente riproporre all’attenzione dei lettori de «L’Acropoli» il nostro articolo apparso sul «Corriere della Sera» del 30 agosto e dedicato alle affermazioni di uno dei maggiori concorrenti alla segreteria del Partito Democratico in materia di radici storico-ideologiche del nuovo partito. Ecco, dunque, con qualche minima variazione, il testo dell’articolo:

«È passato già un po’ di tempo da quando Bersani, quale candidato alla guida del Partito Democratico, ha enunciato la sua teoria per cui quel partito è un fatto del tutto nuovo, che nasce dall’incontro, fusione e sintesi dei due elementi indicati da lui a fondamento della tradizione della nostra Repubblica: il socialista e il cattolico-popolare. Così i resoconti dei media, senza che a quanto ci risulta, della teoria di Bersani si sia detto alcunché nei commenti che alle sue parole non sono mancati.
Eppure, da dire ci sarebbe stato, e c’è. La doppia componente del P. D. indicata nel socialismo e nel popolarismo cattolico esclude, infatti, da ogni autonoma e specifica considerazione elementi del massimo rilievo nella storia e nel pensiero della democrazia italiana.
Ci riferiamo all’elemento liberal-democratico, repubblicano, di democrazia moderna, “laica” si diceva una volta, che nella storia d’Italia ha contato tanto, e in quella della Repubblica ancora di più. Ci riferiamo a quell’idea, come amavano dire gli Spadolini, i Bobbio e altri, dell’“Italia civile”, dell’“Italia della ragione”, che pure, per starci solo al ’900, da Giovanni Amendola a Carlo Rosselli, da Nitti a Ugo La Malfa, da Gobetti a Omodeo, da Salvatorelli a Mario Pannunzio, da Dorso a Salvemini, ha costituito il pilastro della più moderna coscienza democratica italiana. Un parte politica che non ha dovuto attendere i Clinton e gli Obama per acquisire coscienza e vocazione, perché partecipe, fin dalle comuni origini illuministiche, della stessa tradizione da cui vengono i due presidenti americani.
Né si tratta solo di un filo di pensiero. È stata questa stessa parte “laica” a costituire dal 1945 in poi un ancor più fondamentale pilastro della lunga e dura lotta che fu necessaria, prima per rassodare la neonata Repubblica, poi per mantenerla nel campo occidentale, infine per cercare di dirigerne il grandioso e rapidissimo “miracolo economico” sui sentieri di uno Stato sociale non troppo lontano dalle esigenze di un’economia e di una società moderna. E non parliamo degli apporti della parte radicale e libertaria strettamente legata a quella democratica, pur se differente per tanti versi, dai tempi di Cavallotti a quelli di Ernesto Rossi.
Di questa funzione politica e del suo significato storico e ideale si mostrarono consapevoli gli uomini che nell’Italia post-fascista ebbero le maggiori responsabilità pubbliche, e che ne fecero il massimo conto nelle loro strategie politiche: Alcide De Gasperi, anche quando ebbe la straordinaria maggioranza del 1948, e Aldo Moro, che sull’intesa con Ugo La Malfa fondò il suo governo più significativo. Né diverso fu il criterio del presidente Pertini nel chiamare Spadolini per costituire il primo governo a guida non democristiana dal 1945. E ciò a prescindere dal contributo (ingente) di idee e di realizzazioni legislative e operative che gli uomini di questa stessa parte portarono nel governo del paese quando ne ebbero determinati incarichi, da Carlo Sforza (Patto Atlantico) a Ugo La Malfa (liberalizzazione degli scambi e Nota aggiuntiva al Bilancio del 1962), a Bucalossi (legge sui suoli), a Spadolini (Ministero dei Beni Culturali), a Visentini (registratori di cassa), per fare solo qualche nome.
Parliamo, insomma, di un tronco robusto e fecondo nella storia dell’Italia contemporanea, il cui senso va perfino oltre la distinzione, sempre ferma nei democratici italiani, sia verso il puro liberalismo che verso il socialismo, pur quando ad essi si fu più aperti. Parliamo della parte che più di tutte le altre ha rivendicato l’appartenenza dell’Italia all’Occidente, e che ha guardato sempre in tale direzione, senza lasciarsi attrarre o distrarre da nessun altro polo dell’est o del sud o di altrove, sia di ieri che di oggi, ed è stata in ciò assai più ascoltata di quanto non si dica. Parliamo della parte per la quale l’“idea laica” ha un ampio e profondo senso di pensiero moderno e di etica civile.
Una volta i comunisti amavano atteggiarsi a eredi e continuatori della grande idea e lotta liberale. La pretesa era peregrina e discutibile, ma importante. A chi, come noi, ha creduto di ravvisare nel Partito Democratico una grande idea ed esigenza di rinnovamento della vita italiana, e continua tuttora a crederlo (malgrado ….), e ha orientato e orienta a ciò le sue scelte elettorali, riesce sorprendente il parto gemellare patrocinato da Bersani per la nascita di questo partito. Capisco che un terzo incomodo dà sempre fastidio. Ma nel regno della politica (Bersani lo saprà) gli incomodi possono essere essenziali, imprescindibili, preziosi. La tradizione laica, moderna, occidentalista della democrazia italiana lo è. Ignorarla è peggio che regalarla agli altri (se essa potesse mai essere oggetto di regali)».

Il problema che così abbiamo inteso porre all’attenzione della discussione politica in Italia potrà forse apparire a qualcuno soltanto marginale nel grosso rimescolamento delle carte politiche in corso in Italia da ormai troppo lungo tempo (e la lunghezza del tempo – non appaia superfluo il notarlo – è l’ovvia spia di un qualcosa che in questo rimescolamento non va, non riesce ad andare). Se così fosse, quel qualcuno sbaglierebbe di grosso. Se riproponiamo qui il tema, è proprio perché ci sembra fin troppo evidente quanto nell’incertezza persistente e grave del riorientamento dell’asse politico della vita nazionale conti la chiarezza dei discorsi e la fondatezza dei riferimenti che per esso si vogliono adottare. Neppure per un attimo può pensarsi che in una tale, problematica impresa la questione del senso e dei fondamenti di ciò che può essere definito, ritenuto democratico e accettato e professato come tale sia una questione secondaria. Lo è tanto poco che a una tale questione sono anche collegati da tutte le parti in causa gli stessi riferimenti politico-ideologici che si indicano a livello internazionale.
Per la verità, fa un po’ specie (come si dice in napoletano) che vecchi e incalliti fautori del terzomondismo, dell’asse di gravitazione mediterraneo o filoarabo della politica estera del paese, della inarrestabile e meritata decadenza dell’Occidente, del fulgente sole che si leva dall’orizzonte cinese sul domani del mondo,e di varie altre “amenities” politico-ideologiche italiane (e, per la verità, non solo italiane), si proclamino oggi tanto appassionati e devoti della democrazia “made in USA”, tanto vituperata fino a non molto tempo fa (e sotterraneamente, ma anche esplicitamente, deprecata non di rado anche oggi), e si riempiano la bocca dei nomi Kennedy, dei Clinton e degli Obama come di quelli di loro ispirazione. I nomi, beninteso, sono quelli buoni (vorremmo soltanto che non si dimenticasse Franklin D. Roosevelt, vero padre dei democratici posteriori). Non lo è altrettanto l’uso che se ne fa.
A noi, però, la questione della limpieza “de sangre” ideologica non appare affatto appassionante e ineludibile. Né per questo saremmo propensi ad alcun esame, rigoroso o transattivo che fosse, del DNA di chi professa determinate convinzioni. L’unica questione importante è per noi quella della chiarezza delle idee, e quindi, e ancor più, dei propositi che se ne deducono o che se ne vogliono ispirare. Ed è da questo punto di vista che abbiamo sollevato, e vorremmo mantenere aperta, la questione della tradizione democratica nel pieno e proprio senso politico del termine. Che (come si dice nell’articolo che ci siamo permessi di riprodurre in questo Editoriale) non è solo la questione di un «filo di pensiero», ma è, ancor più, la questione di un certo tipo di scelte politiche e del ceto politico-amministrativo che le supporti e le realizzi. Ed è una questione che solleviamo con tanto maggiore convinzione in quanto concerne le ragioni stesse per cui «L’Acropoli» è nata e che furono esplicitamente e diffusamente dichiarate fin dal primo numero della rivista. È, in ultima analisi, semplicemente, la questione della “democrazia democratica”, come la si potrebbe ottimamente definire: ossia di una democrazia che, se intesa davvero “juxta propria principia”, e al di fuori di interessate alterazioni e mistificazioni, potrà ispirare la volontà e l’azione politica dalla quale ne dipende la sorte storica, nel modo più positivo e, sperabilmente, fecondo.


P.s. In un suo discorso a Napoli l’8 settembre, nel suo giro di presentazione della propria candidatura alla segreteria del Partito Democratico, Bersani ha certamente citato il nostro articolo del 30 agosto sopra riprodotto, assicurando di aver solo una volta commesso il ... peccato, per il quale quell’articolo fu scritto, ma di aver sempre ricordato e dichiarato la presenza dell’idea democratica sull’orizzonte del nuovo Partito. Ne prendiamo atto, ringraziandolo e augurandoci che sia davvero così per la democrazia italiana e per il Partito Democratico.
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