Rubbettino Editore
Rubbettino
Torna alla Pagina Principale  
Redazione: Fausto Cozzetto, Piero Craveri, Emma Giammattei, Massimo Lo Cicero, Luigi Mascilli Migliorini, Maurizio Torrini
Vai
Guida al sito
Chi siamo
Blog
Storia e dintorni
a cura di Aurelio Musi
Lettere
a cura di Emma Giammattei
Periscopio occidentale
a cura di Eugenio Capozzi
Micro e macro
a cura di Massimo Lo Cicero
Indici
Archivio
Norme Editoriali
Vendite e
abbonamenti
Informazioni e
corrispondenza
Commenti, Osservazioni e Richieste
L'Acropoli
rivista bimestrale


Direttore:
Giuseppe Galasso

Responsabile:
Fulvio Mazza

Redazione:
Fausto Cozzetto
Piero Craveri
Emma Giammattei
Massimo Lo Cicero
Luigi Mascilli Migliorini
Maurizio Torrini

Progetto grafico
del sito:
Fulvio Mazza

Collaboratrice per l'edizione online:
Rosa Ciacco


Registrazione del
Tribunale di Cosenza
n.645 del
22 febbraio 2000

Copyright:
Giuseppe Galasso
 
Cookie Policy
  Sei in Homepage > Anno X - n. 6 > Interventi > Pag. 599
 
 
I numeri della classe politica
di Giuseppe Galasso
Si parla molto sui numeri del ceto politico in Italia. Qualche tempo fa anche l’on. Fini ne ha parlato, valutando quel ceto ad “alcune migliaia” di persone, per cui esso sarebbe pletorico. Vogliamo fare un po’ di calcoli?
In Italia vi sono oltre 8.000 comuni. Alla media (bassa) di circa 20 componenti per ciascuno dei loro consigli, fanno un 150.000 persone. Un centinaio e più di province, alla media di 40 consiglieri ciascuna, fanno un 4.000 persone. Una ventina di regioni fanno circa un migliaio di consiglieri, e abbiamo 945 parlamentari. Vi sono poi comunità montane, consigli di quartiere o municipalità o circoscrizioni in maggiori e minori città, e altre istanze istituzionali territoriali, nonché nomine di membri di governi locali e nazionali (assessori e ministri o altri livelli di governo) al di fuori delle rispettive assemblee elettive. I relativi numeri meriterebbero un’apposita ricerca.
Già così, saremmo, dunque, non molto lontani dalle 200.000 persone. Ma vi sono anche le nomine che assemblee e governi fanno a tutti i livelli istituzionali, dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (il fantasmatico CNEL), dalla Corte Costituzionale, dal Consiglio Superiore della Magistratura, dalla RAI e via via fino a grandi e piccoli enti economici e culturali, aziende sanitarie locali, municipalizzate, altri tipi di enti pubblici, amministrazioni e produzione di beni e di servizi a carattere variamente locale, insomma fino a tutta quella rete di cariche e incarichi che forma a livello periferico (soltanto a livello periferico?) l’enorme rete del cosiddetto “sottogoverno” (che, detto così, è detto molto male, ma anche troppo spesso, visti i nomi e i criteri di nomina, è detto sicuramente bene). Bisogna pensare, inoltre, a tutti coloro che militano nei partiti e non hanno altra occupazione (di qualificazione non parliamo neppure) professionale che, appunto, la politica. E qui mi lancio nell’azzardo di valutare che, pur tenendo conto delle numerose sovrapposizioni di cariche e incarichi nelle stesse persone, fra nominati e militanti si vada a ben più che ad ancora 200.000 persone (e non parliamo della schiera, pur essa numerosa, dei segretari, assistenti, consiglieri e simili altre figure che contornano gli uomini politici e ne riempiono gli uffici, e che sono fin troppo spesso una integrazione costitutiva del ruolo e dell’azione degli uomini politici, dei quali formano un alone indispensabile, spesso prezioso e, meno raramente di quanto si possa pensare, la più influente o addirittura determinante base di orientamento e di decisione). Altro, dunque, che le “alcune migliaia” dell’on. Fini. Sta, però, il fatto che una democrazia realmente partecipata e vissuta non può rimettersi a un’esigua minoranza di “partecipanti” e che la larga partecipazione è un valore indiscutibile della vita civile. Non sarebbe allora il caso di precisare che il ceto politico è pletorico solo ai livelli delle istituzioni e della deteriore professionalizzazione della politica e del mondo che gira intorno alla politica? Si, sarebbe meglio. Ma – si dice – la politica non è un mestiere che si improvvisi, e la sua professionalizzazione, specialmente nelle grandi società di massa, non è un caso, e obbedisce, invece, a esigenze oggettive. Ci sarebbe, al riguardo, da discutere non poco. Il governo dei “tecnici” o dei “competenti” ci ha lasciati sempre assai freddi. Insomma, la professionalizzazione della politica può avere, e certo ha, molte ragioni dietro di sé (così come ce l’ha la professionalizzazione dei sindacalisti, che, detto per inciso, formano per una loro cospicua parte un ulteriore complemento o alone costitutivo della classe politica: una parte che andrebbe quindi senz’altro calcolata con essa e in essa). Ma se non si possono ignorare le ragioni della professionalità politica che si sono affermate nel mondo contemporaneo, neppure (anzi, molto meno) si possono ignorare le ragioni delle critiche che questa professionalizzazione ha sollevato e solleva in misura che è cresciuta e cresce in modo impressionante. Dopo di che sarebbe un po’ banale concludere auspicando una più autentica e fisiologica ed eticamente fondata partecipazione alla politica, essenziale, come si è detto, per una vera democrazia, diversa da quella che è invalsa e che tende a rafforzare le sue note (diciamo così) socio-professionali dominanti. Sarebbe banale. Ma, almeno qualche volta, è meglio riuscire banali che consegnarsi a un realismo senza nessuna luce di alternative e troppo realistico per riuscire, a sua volta, persuasivo.
  Cosa ne pensi? Invia il tuo commento
 
Realizzazione a cura di: VinSoft di Coopyleft