Rubbettino Editore
Rubbettino
Torna alla Pagina Principale  
Redazione: Fausto Cozzetto, Piero Craveri, Emma Giammattei, Massimo Lo Cicero, Luigi Mascilli Migliorini, Maurizio Torrini
Vai
Guida al sito
Chi siamo
Blog
Storia e dintorni
a cura di Aurelio Musi
Lettere
a cura di Emma Giammattei
Periscopio occidentale
a cura di Eugenio Capozzi
Micro e macro
a cura di Massimo Lo Cicero
Indici
Archivio
Norme Editoriali
Vendite e
abbonamenti
Informazioni e
corrispondenza
Commenti, Osservazioni e Richieste
L'Acropoli
rivista bimestrale


Direttore:
Giuseppe Galasso

Responsabile:
Fulvio Mazza

Redazione:
Fausto Cozzetto
Piero Craveri
Emma Giammattei
Massimo Lo Cicero
Luigi Mascilli Migliorini
Maurizio Torrini

Progetto grafico
del sito:
Fulvio Mazza

Collaboratrice per l'edizione online:
Rosa Ciacco


Registrazione del
Tribunale di Cosenza
n.645 del
22 febbraio 2000

Copyright:
Giuseppe Galasso
 
Cookie Policy
  Sei in Homepage > Anno XI - n. 4 > Saggi > Pag. 390
 
 
Norberto Bobbio e Umberto Campagnolo: due visioni del federalismo
di Moris Frosio Roncalli
La recente ristampa degli interventi di Umberto Campagnolo e Norberto Bobbio sulla “politica della cultura”1 offre l’occasione, partendo proprio dal rapporto intercorso tra i due, di riconsiderare l’interesse del secondo per il federalismo (interno e sovranazionale), periodicamente esplorato a partire almeno dagli anni Quaranta. Alla dimensione interna del federalismo Bobbio arrivò per il tramite di Cattaneo, del quale curò la raccolta degli scritti per Einaudi nel 19712. Sulla scorta di Cattaneo continuò a pensare al federalismo come a una formula istituzionale per lo Stato italiano più che come metodo di risoluzione dei conflitti internazionali. Non mancarono però occasioni per approfondire entrambe le prospettive e perfino per collaborare col Movimento Federalista Europeo, che, nato durante la Resistenza al nazifascismo dalla riflessione di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, iniziò a crescere nel dopoguerra sotto la direzione di Umberto Campagnolo. Alla presenza del federalismo nel crogiulo ideologico della Resistenza, Bobbio dedicherà un intervento pubblicato nel 1975, noto e più volte ristampato3. Mentre l’idea del federalismo come metodo per limitare l’autorità dello Stato e garantire la libertà del cittadino affascinava Bobbio; la proposta della dottrina federale per unire l’Europa e in un futuro più lontano il mondo sotto un unico governo incuriosiva il filosofo, ma, in questo caso, non si giunse mai a una sua piena adesione. Eppure Bobbio aderì ad alcune iniziative del Movimento Federalista Europeo (MFE) e partecipò al suo dibattito interno4, nella forma della polemica scritta con l’amico Umberto Campagnolo. Anche se dedicati a problemi diversi i due scontri con Campagnolo (quello sulla politica della cultura e quello, precedente, sul federalismo) seguono uno schema simile. Il rapporto di Bobbio coi federalisti del MFE ondeggia tra la critica spietata verso uno sforzo politico che il filosofo trova in fondo utopico e l’ammirazione e condivisione a livello teorico dei fondamenti della dottrina federalista alla base della loro azione.
Il pieno coinvolgimento di Bobbio pare frenato da un atteggiamento pessimistico sul futuro dell’Europa. Il suo pensiero pare distinguere nettamente il piano teorico da quello pratico e questo lo divide dai federalisti spinelliani, caratterizzati da una venatura illumistica e storicistica che li porta a considerare il razionale come anticipazione del reale.
Campagnolo e Bobbio si conobbero nel 1942, insegnarono all’Università di Padova dal ’43 al ’48 e continuarono a collaborare e confrontarsi fino alla morte del primo, il 25 settembre 1976. Fu proprio Bobbio a prendere da quel momento il posto di Campagnolo al vertice della Société Européenne de Culture, l’associazione per il dialogo e la pace tra i blocchi, lo strumento di quella “politica della cultura” elaborata da Campagnolo.
I primi interventi di Bobbio a riguardo del federalismo sovranazionale risalgono alla metà del ’45. Sono articoli apparsi su «G.L.», mentre la collaborazione col MFE inizia nel 1946. Nel sesto numero de «L’Unità europea» del gennaio 19465 viene segnalato un contributo di Bobbio apparso in «G.L.»6 su un incontro del filosofo italiano con il presidente del comitato esecutivo laburista Harold Laski, durante il quale si parlò anche dell’idea di una federazione europea. Nell’agosto del ’45 Laski aveva sostenuto al congresso dei socialisti francesi che Gran Bretagna e Francia dovevano fondare un’unione «aperta all’accesso immediato e definitivo di tutte le democrazie europee»7.
Gli attenti redattori del giornale federalista tentarono subito di convincere Bobbio a prendere chiaramente posizione per la soluzione federale, tanto più che in un precedente articolo sul numero 37 di «G.L.» egli aveva sostenuto il federalismo, sottolineando la stretta interdipendenza tra il suo aspetto interno e la sua applicazione a livello sovranazionale8. I risultati non furono quelli sperati: Bobbio effettivamente rispose all’invito dei redattori, ma le sue argomentazioni sembrarono un colpo mortale contro il Movimento federalista. Il filosofo chiarì nella sua risposta, che l’interesse per il federalismo da lui mostrato sulle pagine di «G.L.» era puramente teorico. Gli parevano nulle, infatti, le possibilità di realizzazioni politiche per la mancanza di un comune sentire europeo ovvero di una “nazione europea”, intesa come «la coscienza d’appartenenza ad una stessa comunità e la convinzione che questa comunità sia distinta in modo rilevante e fondamentale da tutte le altre»9. Limitare la sovranità assoluta degli Stati era un principio condivisibile, ma affidarsi all’esausta Europa per ottenere questo risultato era pura illusione. Erano posizioni diametralmente opposte a quelle sostenute all’epoca da Umberto Campagnolo.
Se sul piano teorico il federalismo appare, in questo periodo, il faro della riflessione di Bobbio sui problemi dello Stato e dell’ordine internazionale, sul terreno della pratica, le sue idee scaturivano in un pessimismo senza uscita.
Gli autori alla base del federalismo di Bobbio erano Kant e Hans Kelsen, dai quali aveva tratto la convinzione che il problema dell’ordine internazionale fosse un problema essenzialmente giuridico10, un percorso e una conclusione questi, identici a quelli di Campagnolo. Ma a questi due maestri, il filosofo piemontese univa Cattaneo11, «il più intelligente e spregiudicato e moderno federalista italiano»12 e Silvio Trentin13, concentrando di conseguenza la sua attenzione più sull’aspetto interno del federalismo, che gli pareva un valido antidoto contro atteggiamenti autoritari degli stati centralizzatori, che sui progetti internazionali. Il suo federalismo aveva tratti di estrema radicalità, visto che vedeva lo stato accentrato come Moloch da distruggere trasferendone i poteri alle comunità locali:
O si dissolve lo Stato unitario nelle autonomie, o altrimenti la federazione europea è inattuabile. O si avvia la politica europea fuor dal pantheon della politica del prestigio nazionale, o altrimenti il principio autonomistico rimane lettera morta. Federalismo internazionale e federalismo statale sono due processi assolutamente interdipendenti: il principio federativo deve agire dal di dentro e dal di fuori per smantellare la roccaforte dello Stato unitario14.

Per Bobbio il federalismo continuerà ed essere un processo inverso all’accentramento che aveva caratterizzato l’età moderna e segnato la nascita dello Stato moderno, posizione ben diversa da quella di Campagnolo che tende a vedere la formazione di stati continentali come ulteriore stadio della tendenza all’organizzazione dell’umanità in unità sempre più vaste15.
Sul piano pratico bisognava privilegiare uno dei due aspetti del federalismo. Per Bobbio, l’idea politica fondamentale del secondo dopoguerra era il decentramento interno; il fascismo era stato la più chiara dimostrazione dell’urgenza di tale riforma. L’ordine internazionale federale doveva di necessità venire dopo. Se sul piano della logica le due facce del federalismo sono dotate di pari dignità, sul terreno politico era solo la riforma interna dello stato ad avere concretezza; mentre l’idea di una federazione tra le nazioni risultava, per il momento, ancora sterilmente incastonata in un dibattito di valore puramente culturale.
Furono queste considerazioni a indurre Bobbio a ridiscutere la sua apertura al federalismo sovranazionale del primo articolo apparso su «G.L.», in un contributo dell’ottobre 1946 sugli Orientamenti federalistici nei paesi anglosassoni16. I sogni di rifondazione dell’ordine internazionale su base federale, scaturiti dalla crisi della Società della nazioni, parevano a Bobbio caratterizzate da “mancanza di politicità”. A livello popolare queste pretese non andavano oltre «lo stadio sentimentale della protesta morale», mentre tra i teorici del diritto non riuscivano a oltrepassare «lo stadio intellettualistico dell’esposizione dottrinale, o nella migliore delle ipotesi, della dissertazione accademica». Si poteva perciò sostenere che:
il federalismo non è ancora diventato un movimento politico, ma tutt’al più un movimento culturale, non è ancora sceso nella storia ma è rimasto ancora con minore o maggiore coerenza nel regno dell’utopia, non si rivolge insomma ai popoli, che dovrebbero esserne i naturali destinatari, ma parla esclusivamente agli intellettuali con la voce degli intellettuali17.

L’articolo si concludeva così: «nella maggior parte degli scrittori federalisti l’idea di una federazione supernazionale è nulla più che un’esigenza culturale che riesce, sì, a prendere forma in una teoria, ma non è in grado di trasformarsi in impulso all’azione»18.
Erano note critiche che, per quanto indirizzate al federalismo inglese, potevano senz’altro ben applicarsi anche ai federalisti del nostro paese.
Accostando i testi dei maggiori autori anglosassoni (R.W.G. MacKay , G.K. Streit, J.S. Hoyland, Ely Culbertson), Bobbio dimostrava come non esistesse un preciso e unico progetto costituzionale federalista. La critica poteva essere applicata allo stesso Campagnolo, che aveva espressamente rifiutato di inserire nel suo Repubblica federale europea19 una bozza di costituzione, convinto che quest’atto fosse prematuro e spettasse a un organismo politico di ciò appositamente incaricato20; ma questa, per Bobbio, costituiva un’implicita ammissione della natura prepolitica dell’azione federalista.
Per quanto riguarda il rapporto tra i due aspetti del federalismo, per Campagnolo, il federalismo interno rischiava di creare diffidenza verso l’instaurazione di un forte potere centrale federale. Campagnolo confondeva federalismo interno e campanilismo, o almeno, temeva il degenerare dell’uno nell’altro e questo giustificava il suo disinteresse per il decentramento. Il principio motore della storia erano le nazioni, non le regioni, le cui rivendicazioni nascevano da interessi spesso egoistici e transitori21.
Inconciliabili erano poi il pessimismo di Bobbio sulla fine dell’Europa provocata dalle guerre mondiali e la convinzione di Campagnolo che la decadenza del vecchio continente fosse solo un fatto transitorio, prodotto dalla collisione occasionale degli Stati e non un elemento da considerarsi ormai costitutivo.
Gli Orientamenti federalistici svelavano infine la natura utopistica del federalismo trattando dell’altro principale nodo irrisolto del dibattito dell’epoca: l’estensione territoriale della federazione. Per Bobbio l’inclusione della Russia era ben poco realistica, vista la natura del regime sovietico e la divisione in blocchi che si andava profilando. Nel MFE era prevalente invece allora, l’idea, rivista nel corso del 1947, che alla Russia spettasse di diritto un posto nella federazione22. Ma a quest’ultimo, importantissimo aspetto non fu dato grande risalto nella diatriba con Campagnolo, limitata a un piano forso troppo teorico. Per Campagnolo la cultura era un fattore più forte della politica, e la comunanza culturale europea avrebbe ricucito le lacerazioni prodotte dalla guerra e delle differenze dei sistemi economici e politici. Questo rispose il filosofo padovano all’articolo di Bobbio, ribaltando i presupposti della riflessione dell’avversario:
mai, forse, come oggi, i popoli d’Europa hanno sentito più viva l’esigenza dell’unità politica, giuridica, morale e spirituale europea; mai, forse, come oggi, essi si sono trovati a soffrire, per le medesime ragioni, i medesimi mali, a provare le medesime inquietudini, a sperare i medesimi rimedi, a tentare i medesimi espedienti23.

Nel federalismo c’era per Bobbio «un nucleo fondamentale ed ineliminabile di verità», che «la causa delle guerre non è il sistema economico, ma unicamente ed esclusivamente il principio di sovranità assoluta»24, principio, che dopo l’esperienza delle due guerre mondiali andava assolutamente rimosso, come aveva ben sostenuto Kelsen25. «La guerra è una conseguenza diretta e necessaria della sovranità. In altre parole, il fare la guerra, appartiene alla natura stessa della sovranità […]. Ma allora è ovvio che l’unica maniera di evitare la guerra è di sopprimere, o per lo meno di attenuare la sovranità»26, come avevano sostenuto Lionel Robbins, Barnes James Thomas Strackey e Barbara Wootton per provare la superiorità teorica del federalismo sul socialismo27. Tra l’ipotesi del federalismo e del socialismo come alternative, sostenuta da Strackey e quella della Wootton della complementarietà delle due teoria, il filosofo italiano pare propendere per la seconda.
Nonostante la sua inapplicabilità al quadro storico, la dottrina federalista manteneva perciò una indiscussa superiorità sul funzionalismo, sul socialismo e sulle varie altre teorie pacifiste. Nel suo articolo Federalismo e pacifismo28, dedicato all’unità europea, di Bobbio distingueva tre correnti pacifiste succedutesi nella storia: il pacifismo liberale alla Cobden, che vedeva nello sviluppo del libero commercio il principale fattore di pacificazione; il pacifismo democratico che faceva nascere la pace dal passaggio da governi illiberali a governi popolari; il pacifismo socialista che legava il problema della fine delle guerra al crollo del capitalismo. Esisteva inoltre una quarta corrente pacifista, quella etico-religiosa, presente in ogni tempo, per la quale la causa della conflittualità risiedeva nella stessa natura umana, dunque il rimedio non poteva essere che una radicale riforma dei costumi, dell’educazione e delle coscienze. I primi tre tipi di pacifismo sono stati smentiti dalla storia, il quarto appare il più astratto. L’unico pacifismo che sembrava avere un contenuto era il federalismo giuridico dei federalisti.
Così la teoria; ma la pratica contraddiceva la teoria. Per risolvere il problema della guerra il federalismo doveva progettare lo Stato mondiale, per il quale non esistevano le condizioni storiche. Il federalismo era forse attuabile solo in una parte del vecchio continente. Non rispondeva al problema della pace ma a esigenze ben più pratiche dei paesi dell’Europa occidentale. La soluzione parziale non avrebbe rivoluzionato il corso delle relazioni internazionali, si sarebbe limitata a mutare i fattori della tradizionale «politica d’equilibrio tra Stati e sia pure tra Stati federali»29. Di questa contraddizione era consapevole lo stesso Campagnolo, interessato a sottolineare il valore del federalismo come via per la pace, ma al contempo inflessibile nel distinguere il federalismo dal pacifismo e dal mondialismo. Il quadro storico tarpava le ali alle aspirazioni più elevate del progetto federale.
C’erano però anche punti di convergenza. Alcune critiche di Bobbio ai federalisti anglosassoni erano le stesse che Campagnolo aveva mosso al tradizionale federalismo “utopistico” di prima della guerra. I due autori si trovavano d’accordo non solo nell’individuazione dell’aspetto di valore del federalismo, ma anche nel giudicare i contatti diplomatici inadeguati al fine, la federazione parziale della sola Europa occidentale potenzialmente pericolosa, il mondialismo al momento inattuabile. L’osservazione conclusiva di Bobbio che occorresse «una preparazione assai più lenta e più profonda rivolta a formare un’opinione pubblica internazionale che sia favorevole all’unità federale ed anziché essere diretta dai governi attuali, prema su di essi o magari li scavalchi» si accordava totalmente con l’impostazione rivoluzionaria che Campagnolo aveva voluta dare al MFE.
Il limite del dibattito tra i due fu di essere troppo astratto, incentrato sul tema dell’esistenza o meno dell’Europa come unità culturale e come soggetto politico autonomo anziché sulle concrete possibilità di azione. Sia a Bobbio che, soprattutto a Campagnolo, pare poi sfuggire che al di là degli orientamenti dell’opinione pubblica sarebbe stato il quadro politico internazionale ad aprire o chiudere ogni possibilità di azione europeistica30.
Oltre agli interventi teorici va segnalato il coinvolgimento diretto di Bobbio in alcune campagne federaliste. Se non si può parlare di piena adesione non si può nemmeno dire che i dubbi teorici si risolvessero in un rifiuto completo. Nonostante lo scetticismo nei confronti di una prossima realizzazione dell’unità del continente, Bobbio non mancò in seguito di dare il suo appoggio a un movimento del quale non condivideva l’ottimismo messianico, ma verso il quale sentiva una affinità etica. Il suo nome appare tra quelli dei 266 professori universitari che nel corso del 1946 firmarono il Manifesto degli universitari italiani per la federazione delle nazioni d’Europa31, è inoltre citato nell’archivio del MFE32 come delegato a rappresentare la Sezione di Padova al II congresso nazionale dei federalisti (sala del gonfalone del Castello sforzesco di Milano 15, 16 e 17 febbraio 1948), il che lascia supporre che almeno per un breve periodo, abbia figurato tra gli iscritti.
Neppure lo scontro tra Bobbio e Campagnolo fu insanabile, tanto che la discussione si arrestò per il riconoscimento dello stesso Bobbio che una volta verificato l’accordo sul valore del federalismo (inteso come puro ideale o, come voleva il collega, soluzione attuabile), il dibattito si riduceva a una discussione accademica. Quello che davvero contava era la condivisa avversione per il dogma della sovranità assoluta degli stati, che era alla base dell’impegno di ogni federalista. Ma in realtà questo non bastava. La venatura pessimistica del pensiero di Bobbio in merito alle possibilità per l’intellettuale di incidere sul corso storico gli impedivano di diventare un vero militante del federalismo, verso il quale provava essenzialmente una semplice attrazione intellettuale e una certa affinità etica. Su questo piano la distanza con Campagnolo era incolmabile. In seguito il confronto tra i due si trasferì su altri piani, quello della politica della cultura, che per Campagnolo era la naturale estensione del suo impegno europeista in un campo più ampio33. Sorprende ancora una volta trovare il nome di Bobbio associato a quello di Campagnolo in un’impresa che anche più di quella federalista presupponeva non solo una scelta etica, ma anche una visione ottimistica, velata d’utopia (termine che per Campagnolo non ha valenza negativa) delle possibilità degli uomini di cultura di influenzare con l’azione il corso storico. Bobbio aveva ormai maturato un radicale pessimismo sulle possibilità per gli intellettuali di incidere nella vita del Paese, aveva scritto di una frattura tra cultura e politica34. L’impegno continuo nella SEC e le occasionali partecipazioni alle campagne del MFE possono essere visti come tentativi per mettere alla prova questo pessimismo, che urtava contro una spinta etica all’azione.
L’ultimo confronto con il MFE fu intrattenuto da Bobbio con Altiero Spinelli, il fondatore del movimento, tornato alla guida dei federalisti italiani dopo la parentesi della direzione campagnoliana. Si tratta di un breve scambio epistolare, che però chiarisce i motivi della mancata piena adesione di Bobbio al federalismo europeo. In primo luogo c’è la vecchia opinione che il federalismo europeo fosse
pur sempre soltanto una struttura formale, riempibile di qualsiasi contenuto. Di quale contenuto? Leggendo il suo articolo mi pare che per lei il federalismo sia una soluzione finale. Io credo che sia un mezzo: uno dei mezzi. Se ci guardiamo attorno, ci accorgiamo che il potere oppressivo non è soltanto prerogativa degli Stati nazionali. Una grande impresa oggi ha la possibilità di abusare del potere più dello stato stesso. Le nostre costituzioni accordano garanzie contro l’abuso di potere da parte degli organi dello Stato. Non ne accordano contro l’abuso di potere da parte dei grandi gruppi capitalistici. Il superamento dello Stato nazionale è una faccia del problema del potere. O i federalisti credono che sia una soluzione totale? Io non ne sono del tutto convinto35.

Nella sua risposta Spinelli chiariva di non considerare il progetto dell’unità europea come la soluzione a tutti i mali dell’umanità:
La richiesta che le faccio, a se stesso e a quanti sentono il problema dell’unificazione europea, di concentrare tutte le proprie energie su questo problema, non nasce dunque dall’illusione di considerare il federalismo come la risposta a tutti i problemi della nostra convivenza. Nasce, oserei dire, da un’esigenza etica36.

Un’esigenza alla quale Bobbio era sensibile, nonostante il suo pessimismo di quegli anni, tanto che lo troviamo tra i partecipanti anche alla campagna del MFE forse più difficile e disperata, quella del Congresso del popolo europeo. Bobbio partecipò alla prima sessione del Congresso del popolo europeo a Torino in quello stesso dicembre 195737, e il suo nome figura poi accanto a quelli di Mario Albertini, Giulio Cesoni, Gustavo Colonnetti, Paolo Greco, Geno Pampaloni, Piero Pieri e Silvio Romano tra i firmatari del “Documento di protesta e di rivendicazione degli intellettuali di Torino a favore della federazione europea”38.
Quella col federalismo fu per Bobbio una prolungata frequentazione motivata dalla sostanziale condivisione dei temi fondamentali dei federalisti europei. Il giudizio di Daniele Pasquinucci e altri che bollano come “una coincidenza” l’adesione del filosofo e di altri intellettuali al CPE, riconducibile «ad una manifestazione di europeismo piuttosto generica, ben difficilmente trasformabile in un impegno politico vero e proprio», per quanto motivato è dunque forse troppo categorico39.




NOTE
1 N. Bobbio-U. Campagnolo, Dialogo sulla politica della cultura, introduzione di D. Cadeddu, Genova, il Melangolo, 2009.Top
2 N. Bobbio, Una filosofia militante, Torino, Einaudi, 1971.Top
3 N. Bobbio, Il federalismo nel dibattito politico e culturale della Resistenza, in S. Pistone (a cura di), L’idea dell’unificazione europea dalla prima alla seconda guerra mondiale, Torino, Fondazione Einaudi, 1975, successivamente ristampato nelle due edizioni de Il Manifesto di Ventotene di A. Spinelli ed E. Rossi, Napoli, Guida, 1983 e Bologna, il Mulino, 1991.Top
4 La prima notizia di un coinvolgimento di Bobbio nelle attività del MFE è registrata dal giornale del movimento «L’Unità europea», n. 8, 5 febbraio 1946, p. 4, dove troviamo la segnalazione di una conferenza del filosofo, su invito della locale sezione del Mfe, intitolata “Federalismo repubblicano nel Risorgimento”.Top
5 Spunti federalisti sulla stampa italiana e straniera, rubrica di F. Lo Bue su «L’Unità europea», n. 6, 5 gennaio 1946, p. 3.Top
6 N. Bobbio, Da un colloquio con Harold Laski, in «G.L.», 28 dicembre 1945.Top
7 Cfr. «Federal News», n. 126, settembre 1945, p. 4.Top
8 N. Bobbio, Le due facce del federalismo, in «G.L.», n. 37, 7 giugno 1945. Sempre su «G.L.» era apparso anche l’altro articolo federalista di Bobbio, Federalismo vecchio e nuovo, nel n. 102 del 25 agosto 1945. Gli articoli sono ora anche in Idem, Tra due repubbliche. Alle origini della democrazia italiana, Roma, Donzelli, 1996. Un ottimo commento a questi articoli è in P. Polito, Federalismo ed europeismo nell’opera di Norberto Bobbio, in Europeismo e federalismo in Piemonte tra le due guerre mondiali. La Resistenza e i trattati di Roma (1957), a cura di S. Pistone e C. Malandrino, Firenze, Olschki, 1999, pp. 153-173.Top
9 Idem, Il federalismo e l’Europa in «L’Unità europea», n. 10, 5 marzo 1946, p. 1.Top
10 Da qui la critica contro il “pacifismo economico”, che s’illude di poter raggiungere il traguardo di uno stabile ordinamento internazionale attraverso la costruzione di legami economici e settoriali, che troviamo in un altro articolo federalista di Bobbio del ‘47 Funzionalismo e federalismo, in «La Comunità Internazionale», 2 (1947), pp. 353-359. In questo contributo Bobbio sposa senza riserve le ragioni dell’Europa politica care ai federalisti: «Soltanto gli “illusi federalisti”, che dirigono i loro sforzi verso l’organizzazione politica dell’Europa e non si lasciano sedurre dal pacifismo economico, sono in realtà gli unici che non s’illudono».Top
11 Nel suo De senectute e altri scritti autobiografici, Torino, Einaudi, 1996, p. 86, Bobbio ha steso una lista dei dieci filosofi per lui fondamentali, cinque moderni: Hobbes, Locke, Rousseau, Kant, Hegel e cinque contemporanei: Croce, Pareto, Weber, Kelsen e Cattaneo. A Cattaneo e a Kelsen, l’autore riconosce lo stesso debito: «mi hanno liberato definitivamente dalla prigione delle sterili astrazioni filosofiche nelle quali è impigliata la mente giovanile».Top
12 N. Bobbio, Tra due repubbliche, cit., p. 10.Top
13 Bobbio ha dedicato parecchi studi e omaggi a Trentin: l’Introduzione a S. Trentin, Federalismo e libertà. Scritti teorici 1935-1943, Venezia, Marsilio, 1987, pp. IX-XXXVII e N. Bobbio, La crisi europea e lo stato federale nell’opera di Silvio Trentin, in «Città e Regione», 1 (1975), pp. 201-212; infine il ritratto Silvio Trentin, in Italia civile, Bari-Perugia, Manduria, 1964, pp. 271-288.Top
14 N. Bobbio, Le due facce del federalismo, cit.Top
15 Cfr. Idem, Il federalismo nel dibattito politico e culturale della Resistenza, cit., p. 224.Top
16 Idem, Orientamenti federalistici nei paesi anglosassoni, cit., pp. 542-543. Top
17 Ibidem.Top
18 Ibidem. Le opere cui Bobbio faceva diretto riferimento erano C. Kirshman Streit, Union Now. A Proposal for a Federal Union of the Democracies of the North Atlantic, London-New York, Harper, 1939; R.W. Gordon Mackay, Federal Europe e Peace Aims and the New Order, London, Joseph, 1940 e 1941; J. Somervell Hoyland, Federate or perish, London, Federal Union, 1944; Ely Culbertson, Summary of World Federation Plan, London, Faber & Faber, 1944 e i saggi a cura di P. Ransome, Studies in federal planning, London, McMillan, 1943.Top
19 U. Campagnolo, Repubblica federale europea. Unificazione giuridica dell’Europa, Milano, L’Europa Unita, 1945; ristampato con introduzione di L. Cedroni e lo stesso titolo da Rubbettino, Soveria Mannelli 2004.Top
20 Cfr. anche: «In realtà noi non abbiamo la costituzione in tasca, ma ne vogliamo semplicemente creare i presupposti sia come coscienza [federalista aggiunta a lapis] che come movimento politico» (U. Campagnolo, Progetto di volantino, in Archivio del Movimento Federalista Europeo, fald. 1946-47 Varie CDN, cart. N°MFR4, doc. 4.35). L’archivio (d’ora in avanti AMFE) è stato recentemente trasferito a Firenze presso gli Archives des Communautées Européennes.Top
21 Cfr. U. Campagnolo, Repubblica federale europea, cit., p. 83.Top
22 Cfr. l’articolo di A. Monti, Definire l’Europa, in «L’Unità europea», 20 febbraio 1946, n. 9, p. 1. Per Monti la Russia era «parte integrante ed essenziale dell’Europa». Il discorso però pare incentrato più su motivi culturali che politici. Bobbio ritornerà sull’argomento con un’impostazione opposta a quella di Monti col suo ultimo articolo sul federalismo, in cui riconosceva che «la questione di fatto […] relativa all’estensione territoriale degli auspicati Stati Uniti d’Europa, se cioè sia possibile o abbia senso parlare di un’Europa senza la Russia» implicava una «valutazione d’ordine politico», N. Bobbio, Federalismo o funzionalismo, «Comunità», 2 (1947), p. 3.Top
23 Idem, L’Europa federalista (risposta a Norberto Bobbio), «L’Unità europea», 5 aprile 1946, n. 12, pp. 1-2.Top
24 N. Bobbio, Orientamenti federalistici, cit., p. 553. Top
25 E quale strumento migliore del federalismo, che sul piano teorico si trovava «nel solco del pensiero politico realistico che da Machiavelli a Hobbes, da Spinoza a Hegel, da Marx a Meinecke o a Max Weber, ha demitizzato la concezione idealizzante dello Stato – lo Stato come societas perfecta che provvede al bene comune dei suoi membri – per considerarlo, analizzarlo e qualche volta adorarlo come la massima manifestazione in terra di una potenza irresistibile»? come dirà Bobbio ricordando i suoi scritti federalisti in Il federalismo nel dibattito politico e culturale della Resistenza, cit., p. 231.Top
26 Idem, Federalismo e socialismo, in «Lo Stato moderno», 3 (1946), pp. 490-492. Top
27 L.C. Robbins, Le cause economiche della guerra, Torino, Einaudi, 1944 e Economic Planning and International Order, London, 1937; B.J.T. Strackey, Federation or socialism?, London, Gollancz, 1940; B. Wootton, Socialism and Federalism, London, McMillan, 1943. A questi autori e testi Bobbio fa esplicito riferimento nel suo articolo su Lo Stato moderno.Top
28 Federalismo e pacifismo, in «Comunità», 2 (1947), p. 2. Su questi temi Bobbio tornerà in alcune successive opere: cfr. N. Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Bologna, il Mulino, 1979 e Per una teoria generale della politica. Scritti dedicati a Norberto Bobbio, a cura di L. Bonanate e M. Bovero, Firenze, Passigli, 1986. Top
29 N. Bobbio, Orientamenti federalistici, cit., p. 553.Top
30 Più interessante, per il tema qui trattato, è il confronto tra Bobbio e Spinelli sviluppatosi a metà degli anni Cinquanta in alcune lettere in cui il filosofo ribadiva la sua vecchia opinione che il federalismo europeo fosse solo una struttura formale (Norberto Bobbio a Spinelli, 15 dic. 1957 e risposta di Spinelli del 3 febbraio 1958, in Archives historiques des Communautés europeennes, Fondo Spinelli, cart. 186, Rélations politiques d’Altiero Spinelli).Top
31 Sull’adesione al federalismo di Bobbio si veda anche la sua lettera a Campagnolo, che accompagnava la sottoscrizione del Manifesto degli universitari italiani per la federazione delle nazioni d’Europa, datata Torino, 21 aprile 1946, in H. Kelsen-U. Campagnolo, Diritto internazionale e stato sovrano, Milano, Giuffrè, 1999, p. 72. Il testo del Manifesto fu pubblicato in «L’Unità europea», n. 17, 10 settembre 1946, pp. 2-3 e su «Mondo europeo», 2 (1946), pp. 134-136.Top
32 AMFE, fald. 1947-48 Org. II, cart. 1947-48 Veneto, busta Padova.Top
33 Cfr. l’articolo di Campagnolo, Politica e filosofia, in «Rivista di filosofia», 51 (1960), pp. 452-472, la risposta di Bobbio, Filosofia politica o politica della filosofia? Risposta a Umberto Campagnolo, in ivi, pp. 473-476 e la controreplica di Campagnolo, Politica e filosofia. Risposta a Norberto Bobbio, in «Rivista di filosofia», 52 (1961), pp. 109-112, ora nel volumetto curato da Cadeddu.Top
34 Cfr. N. Bobbio, Cultura vecchia e politica nuova, in «il Mulino», 4 (1955), pp. 575-587 e Idem, Politica e cultura, Torino, Einaudi, 1955, in cui all’uomo di cultura veniva attribuito il ruolo di fautore del dialogo, mediatore tra due parti in lotta e quindi uomo di pace, in un’ottica vicina a quella che reggeva la SEC.Top
35 N. Bobbio a Spinelli, 15 dic. 1957, ora pubblicata all’indirizzo http://www.eurostudium.uniroma1.it/documenti/spinelli/lettere.php.Top
36 Risposta di Spinelli a Bobbio del 3 febbraio 1958, pubblicata allo stesso indirizzo.Top
37 Cfr. C. Rognoni Vercelli, Il Congresso del popolo europeo, in S. Pistone, I movimenti per l’unità europea. 1954-1969, Università degli Studi di Pavia, 1996.Top
38 Cfr. E. Paolini, Altiero Spinelli. Appunti per una biografia, Bologna, il Mulino, 1988, pp. 120-121.Top
39 D. Pasquinucci, Europeismo e democrazia. Altiero Spinelli e la sinistra europea. 1950-1986, Bologna, il Mulino, 2000, pp. 94-95.Top
  Cosa ne pensi? Invia il tuo commento
 
Realizzazione a cura di: VinSoft di Coopyleft