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Elezioni e dopo elezioni 2010
di G. G.
Le elezioni regionali e locali della fine di marzo coi loro immediati strascichi post-elettorali hanno riempito le cronache anche più di quanto ci si potesse attendere, considerando l’importanza di quelle elezioni e di quegli strascichi, che, infatti, nei media e nei commenti, hanno sopravanzato perfino le notizie e i problemi relativi alle vicende finanziarie della Grecia.
Per fare non più di qualche breve riflessione al riguardo, le elezioni ci sembrano aver fatto giustizia, una volta di più, di un certo modo di intendere la lotta politica nel paese: un modo che a dimostrato la sua insufficienza fin da quando, con le elezioni del 1994, si aprì il ciclo politico che tuttora è in corso e che avrebbe dovuto portare alla instaurazione di un regime politico diverso dal precedente nei suoi ordinamenti operativi, nei suoi procedimenti e assetti elettorali. Sarebbe dovuta nascere, così, la Seconda Repubblica, dopo la Prima, durata dal 1946 al 1994, e finita sotto i colpi terribili della cosiddetta “Tangentopoli”. Nessuno, però, osa più negare che di questo “nuovo ordine” da Seconda Repubblica non si sia visto finora granché. Addirittura anche i critici più severi e prevenuti della Prima Repubblica ammettono che qualcosa di buono quella Repubblica aveva, e che per essere durata mezzo secolo una qualche fondatezza e robustezza di radici doveva averla (in realtà, è stata un’epoca tra le più rilevanti, per molte e diverse ragioni, nella storia dell’Italia moderna). Soltanto i giustizialisti più accaniti, alla Di Pietro e compagni, per intenderci, oppure gli ambienti più radicali e settari della Lega, che nella caduta di quella esperienza ebbe gran parte e ne divenne il maggiore beneficiario, persistono in un atteggiamento di ripulsa e di condanna senza appello di quella stagione della storia d’Italia, che ha visto tante e così importanti trasformazioni economiche, sociali, culturali del paese.
Le elezioni vinte da Berlusconi (e questa specificazione personalistica e nominativa è di facile intendimento nelle sue ragioni) hanno confermato che egli rappresenta una realtà che non è affatto soltanto mediatica, non è dovuta affatto al suo preteso dominio di tutti i grandi media, non è bene intesa se attribuita alla sua capacità di colloquiare con la “pancia” (come elegantemente si dice) del paese, o a simili altri inessenziali osservazioni, giudizi, polemiche, accuse e insinuazioni sul punto che perciò il rapporto tra Berlusconi e la maggioranza del paese sarebbe un rapporto artefatto, innaturale, foriero solo di mali di ogni genere. Lungi da noi, a distanza siderale, l’idea che Berlusconi sia, all’opposto, un angelo del Signore, un uomo della Provvidenza, un’ingenua e spontanea manifestazione dello spirito italico e simili altre versioni angelicate e dolcificate, nonché dolcificanti, dell’immagine dell’uomo che ha governato l’Italia per quasi nove degli ultimi quindici anni.
Quel che pensiamo della natura del “fenomeno” Berlusconi lo abbiamo ripetutamente detto nei nostri editoriali. Non staremo, perciò, a ripeterlo qui pedissequamente, se non per ribadire sinteticamente che, a nostro avviso, quel fenomeno non è espressione né di un’ubriacatura, né di un rimbambimento degli italiani, e che esso esige una lettura molto più approfondita di quella che si presume di poter fare della “pancia” del paese. E, per ribadire, altresì, che, a tutt’oggi, non si vede sull’orizzonte italiano nulla che assomigli a un’alternativa politica e di governo per l’immediato futuro: discorsi, idee, progetti, pensate gloriose e fumisterie ideologiche o (come dicono) post-ideologiche, quante se ne vogliono, sodi e attuosi e realistici e definiti e immediati progetti o indirizzi politici da reggere una vigorosa iniziativa di alternativa allo stato delle cose e dei rapporti di forza, pochissimo o nulla.
Quando, però, sembrava che la notevole vittoria elettorale del 28 marzo avesse dato al presidente Berlusconi e alla sua maggioranza una prospettiva addirittura triennale di operosità politica e legislativa al riparo da particolari sorprese e complicazioni, si è prodotto il (chiamiamolo così) “incidente Fini”, che in qualche momento è sembrato addirittura vanificare l’esito elettorale e poter precipitare governo, maggioranza e paese nell’alea di elezione anticipate di oltre la metà della Legislatura in corso. A ridosso, poi, di questa prima sorpresa si è avuta l’altra del caso Scajola: un caso davvero singolare (a chi capita di acquistare a un certo prezzo una casa, e poi scoprire che il valore di tale casa è, in pratica, il triplo di quello pagato e che, perciò, i due terzi del valore del bene acquistato può essere stato pagato da altri senza che noi lo sapessimo? Che cos’è, incauto acquisto, anch’esso sanzionato dalla legge, oppure maldestra copertura di non bello? Nell’augurare all’ex ministro di poter provare quanto afferma – ne guadagnerebbe tutta la politica italiana – non possiamo non manifestare un po’ di sconcerto su tutta questa vicenda, e anche sul fatto che allo stesso Scajola era già accaduto una volta di dover interrompere la sua permanenza al governo, sia pure per tutt’altre ragioni, rivelando così una singolare precarietà della sua immagine e posizione politica). E neppure si era conclusa la vicenda Scajola che già altre inchieste, rivelazioni e notizie o supposte tali si sono affacciate a minacciare con parecchie oscure nubi il cielo di una maggioranza che le elezioni regionali e locali ultime avevano consacrato con maggiore perentorietà di quelle legislative del 2008.
Non è sorprendente che su tutto ciò si sia precipitata l’opposizione in tutti i suoi tronchi, adombrando una rivoluzione o, come suole più pedestremente dirsi, un ribaltone politico-parlamentare, peraltro con non totale chiarezza di idee sul punto se convenga il ricorso a nuove elezioni o il prosieguo della Legislatura con la formazione di un nuovo governo. Intanto, Fini è diventato “un interlocutore” (ricordate la Lega “costola della sinistra”) o una pedina da muovere sulla scacchiera del vagheggiato “centro” o “grande centro” (Fini, Rutelli, Casini, Montezemolo o chissà chi altri), che nei discorsi di alcuni (troppi) sembra incombere sulla scena politica italiana come l’ombra di Banco o la statua del Commendatore nelle ben note opere di Shakespeare e di Mozart. Soprattutto, però, da parte dell’opposizione sembra puntarsi sulla possibilità che la maggioranza cada in uno stato comatoso, diventi una “palude”, com’è stato detto, a seguito delle nubi scandalistiche e giudiziarie che si annunciano ogni giorno di più nelle cronache nazionali.
Non è sorprendente, dunque. Ma a che porta? Possiamo sbagliare, ma non ci sembra che la prospettiva Fini sia un’ampia apertura di orizzonti. Ci sembra piuttosto una finestrella; e, comunque, ammiriamo che pensa di aver capito quale realmente sia la prospettiva dello stesso Fini, cedendo magari alla tentazione di puntare su di essa per un grosso gioco di innovazione o almeno di modificazione dell’equilibrio politico in Italia. Il “centro”, piccolo o grande aspettiamo di vederlo, ma siamo sicuri di dover aspettare a tempo indefinito. Per l’ondata sperata di scandali e processi si può solo dire che essa può avere, anzi ha il suo aspetto civico e politico da non coartare o ridurre in alcun modo, ma che non è questa la strada per far fuori Berlusconi e il berlusconismo (e questo anche perché il senso della realtà italiana di oggi e le ragioni degli equilibri politici vigenti per le dimensioni delle forze e delle presenze della destra vanno, a nostro avviso, alquanto oltre il berlusconismo).
Insomma, nel giro di qualche mese una situazione politica che sembra rischiarata e stabilizzata da un risultato elettorale oltremodo netto, che si è nuovamente rabbuiata e sembra essersi fatta addirittura difficile. Che questo possa alterare a breve scadenza l’attuale bilancio delle forze in Italia, non lo crediamo. È più che prevedibile che si continui ad andare avanti sulla falsariga della linea emersa tra il 2008 e il 2010, con le sue luci (che non mancano affatto) e le sue ombre (altrettanto innegabili). Ciò la dice lunga, però, sullo stato della salute politica del paese, e fa pensare al senso complessivo di questi ultimi quindici anni. Ora, è evidente che tornare indietro al di là di questa soglia quindicennale è assolutamente impossibile e impensabile. Ma la destra deve ancora e definitivamente dimostrare di essersi organicamente trasformata da geniale e audace improvvisazione di una personalità fuori dal comune in una grande aggregazione politica moderna in grado di interpretare, su una linea, appunto, di destra, le esigenze del paese per il presente e per il futuro. La sinistra deve ancora uscire fuori dalla sua pressoché totale nudità strategica e programmatica e dalla permanente illusione di risolvere per via giudiziaria o in altro modo mediaticamente efficace il problema della vittoria sull’avversario, che non sa risolvere nell’unico modo possibile, ossia con una grande e frontale battaglia politica che apra davvero un nuovo orizzonte civile al paese.
Tutto, dunque, ancora da fare? Per un verso, sì. Ma non si creda che niente, intanto, si sia verificato. Intanto ha preso piede in misura orami molto consistente la spinta federalistica, che quindici anni fa era ancora agli albori. Certo, nessuno mostra di sapere bene di quale federalismo si tratti (solidale, fiscale, demaniale, e via dicendo) ma è indubbio che di una trasformazione del regionalismo in federalismo la maggior parte oggi non dubita più. Inoltre, si è avuto un avvio concreto al superamento del frazionamento elettoralistico e parlamentaristico del sistema politico, anch’esso ancora incompleto, ma già a buon punto per la forte tendenza bipolaristica del sistema delineatasi specialmente negli ultimi anni. Uno dei rischi maggiori (e per alcuni aspetti, addirittura il maggiore) della situazione delineatasi dopo la vittoria elettorale della destra è che si abbia un netto regresso proprio su questo piano. Che è quanto si possa considerare più lontano dai bisogni del paese in una fase internazionale caratterizzata dal disastro greco e da incertezze di altri paesi europei, che dovrebbero accrescere il senso della responsabilità nazionale in un’Italia che non sembra toccata da tali incertezze, ma che certo, come altri paesi europei (e non solo dei minori), non ne può essere del tutto sicura.
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