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Università e cura del corpo in Sicilia
di Fausto Cozzetto
Ci sono brillanti esempi di opere storiografiche che sono state il risultato delle scelte scientifiche realizzate da personalità eminenti della medicina, le quali hanno traslato metodologie e interessi di ricerca dal piano medico e, talvolta, della grande medicina, al piano storiografico. Uno di questi “transiti”, forse il più noto in Italia, fu di Luigi Amabile, che, alla fine dell’Ottocento, si tradusse in studi poderosi come quelli sulla Congiura di Tommaso Campanella, sul Santo Uffizio dell’Inquisizione, etc. Meno frequenti, almeno fino alla diffusione delle istanze metodologiche della scuola de “Les Annales”, l’interesse degli storici per i settori più specifici della storia della medicina, come ad esempio la chirurgia, interesse che ha invece ormai coinvolto settori anche molto distanti dalle posizioni che furono di Febvre e Braudel. Non è quindi con sorpresa che si legge il recentissimo e pregevole lavoro di Antonio Coco su La cura del corpo [Medicina e chirurgia nella storia delle Università siciliane (secoli XIX-XX), Bonanno, Acireale-Roma, 2009]. La sua indagine si colloca all’interno dell’interesse più volte testimoniato dai suoi studi sulla storia delle istituzioni universitarie in Sicilia [si confronti il saggio Catania, il Novecento, l’ateneo, in «L’Acropoli», 4 (2003) e, ancor più, per il carattere, per così dire, propedeutico al testo qui esaminato, Idem, A. Longhitano, S. Raffaele, La Facoltà di medicina e l’università di Catania (1434-1860), Firenze, Giunti, 2000]. Coco stabilisce nelle Conclusioni del suo lavoro i problemi di metodo storico che ha dovuto affrontare nella ricerca ora posta in essere e chiedendosi che cosa sia la cultura medica, nel caso qui affrontato, dal punto di vista della specificità chirurgica, ha ripreso la brillante opposizione dialettica stabilita da Giarrizzo, il quale pone l’interrogativo se la cultura medica «è l’estensione ad un intero ceto professionale di competenze e curiosità scientifiche e tecniche che è riuscito allo storico di ricondurre con certezza alle singole personalità studiate? O non è piuttosto, parte di più generali processi, il percorso che una comunità socialmente strutturata e governata da istituti ha potuto seguire per maturare storicamente e culturalmente il rapporto col proprio corpo?» (p. 133). Insomma è storia della scienza medica e, in questo caso, della scienza chirurgica? O è storia tutta intera di quel momento fondamentale della comunità umana costituito dall’avvio della modernità? Coco, assai finemente, sostiene, a quest’ultimo riguardo, che la storia della medicina siciliana deve essere letta «nel crescente prestigio sociale dell’arte che è, per altro, un aspetto generale della modernità».
Nella sua Prefazione al volume di Coco, Giarrizzo scrive, altresì, che «nella Sicilia moderna, il riscatto della chirurgia in quanto disciplina fondata su presupposti scientifici, ha il suo “storico” momento nell’istituzione nel 1841 della cattedra di Clinica Chirurgica, inserita come materia d’insegnamento nell’università siciliane […] si sanciva così, dopo una separazione secolare, la riconciliazione tra il philosophus che dissertava de pulsibus et de orinis e il cerusico che incideva ed eseguiva quanto il medico rifiutava di “fare” perché comportava l’uso delle mani e l’impiego del bisturi» (p. 10). La narrazione di Coco si svolge adottando un criterio di ricostruzione storica particolare per ognuna delle tre più antiche istituzioni universitarie siciliane: Catania, Palermo e Messina, e grazie alla puntigliosa ricostruzione che l’autore compie delle personalità scientifiche e umane dei grandi “accademici” della chirurgia universitaria siciliana, è possibile comprendere come si sia realizzata in Sicilia, nel periodo indicato da Giarrizzo, il così detto “trionfo della chirurgia”.
A Catania il protagonista fu Euplio Reina, che laureatosi a soli 18 anni aprì subito un gabinetto di anatomia ed ebbe la fortuna di potere apprendere dal padre Calcedonio, chirurgo in due ospedali cittadini, ma già con esperienze anatomiche importanti presso la scuola del Nannoni a Firenze, le preziose metodologie anatomiche che Calcedonio vi aveva appreso. Inoltre, Euplio si vide assegnati, sempre per opera dello stesso genitore, reperti umani infantili provenienti dai due ospedali cittadini, al gabinetto anatomico da lui creato. Frutto di questo intenso lavoro sperimentale, la pubblicazione, che è del 1841, di un’opera monografica in cui venivano spiegate, grazie anche ad una serie di disegni, le alterazioni di sviluppo di un feto umano tricefalo (pp. 34-35, 83). Niente di meglio del caso del Reina, per testimoniare come il passaggio dalla pratica medica e chirurgica, alla ricerca sperimentale si era felicemente realizzato coniugandone i fattori che l’avevano reso possibile: la passione per la ricerca, l’apertura a metodologie d’indagine avanzate, l’acquisizione di strumentazioni e reperti umani adeguati per l’indagine scientifica. La ricostruzione di quanto si verificò, in quell’ambito temporale, all’università di Palermo, consente a Coco di offrire un interessante profilo di un chirurgo accademico, Enrico Albanese. Questi era stato reso preparato al compito che venne chiamato a svolgere, a partire dal 1868, alla guida della cattedra di Clinica Chirurgica, dal consueto “gran tour” accademico scientifico, con epicentro Firenze. A esso si aggiunse l’adesione convinta, avvenuta proprio nella città toscana, al movimento per l’Unità nazionale, di cui divenne protagonista nella sua Palermo e, da fervido garibaldino, nell’impresa di Aspromonte che avrebbe dovuto concludersi con la liberazione di Roma, nel 1862 (in quell’occasione l’Albanese ebbe in cura l’Eroe dei due mondi, ferito ad una gamba). Ai suoi meriti scientifici e patriottici aggiunse nella sua pratica clinica a Palermo, come scrive il Coco, l’adozione, pionieristica nel suo reparto, della tecnica dell’anestesia generale con cloroformio e l’antisepsi sostenuta dal Lister (p. 104).
Esemplare, infine, la biografia scientifica del terzo dei chirurghi clinici che inaugurarono la nuova scienza chirurgica questa volta nel rifondato ateneo messinese: «Carmelo Pugliatti ─ scrive Coco─ nato a Savoca, si formò a Firenze alla scuola di Mascagni e di Antonmarchi e a quella del Bigischi e dell’Uccelli, esercitandosi negli interventi di ostetricia e in altre operazioni chirurgiche. Viaggiò molto e in Francia studiò chirurgia a Parigi da Dubois e Dupuytren e seguì le lezioni di ostetricia di Baudelocque. Tornato a Messina ottenne, quale vincitore di concorso, la direzione della Clinica chirurgica» (p. 120). L’indagine sulle specificità delle sue attività scientifiche sottolineano il profilo anche internazionale delle sue indagini, e tutto ciò dà ragione a Coco quando ricorda che se nel 1838 Ferdinando II di Borbone elevò l’Accademia Carolina a struttura universitaria, chiusa un secolo e mezzo prima dagli Spagnoli in seguito alla grande rivolta di Messina del 1674-78, non vi è dubbio che ciò fu anche merito del fatto che «l’Accademia Carolina era pervenuta ad un tale livello di qualità scientifica che lo stesso Ferdinando II consentì agli studenti messinesi di poter conseguire la laurea presso l’università di Catania o Palermo dopo un triennio svolto nell’Accademia stessa» (p. 121).
Un quadro, insomma, quello che si evince dal lavoro di Coco che conferma il quadro di riferimento europeo degli studi scientifici che anche sul piano medico-chirurgico si era raggiunto, in età preunitaria e nella prima età postunitaria, nelle università siciliane e, più in generale, italiane. Non a torto, lo storico catanese, ha tuttavia fatto precedere i tre capitoli destinati alla sopracitata ricostruzione storica della chirurgia medica siciliana, da un primo capitolo molto significativamente intitolato “Da Napoli alla Sicilia: l’università e gli ospedali dopo l’Unità”, fornendo un’indagine non priva di chiaroscuri sui rapporti tra gli atenei siciliani e quanto si realizzò, per opera del nuovo Stato, sul piano della legislazione nazionale in materia di studi e organizzazione degli atenei italiani. Colpisce, in particolare, come al contrario di quanto oggi si pensi, e da parte di una fetta non piccola dell’opinione pubblica italiana, i momenti migliore della vita dell’istituzione universitaria, sono stati quelli in cui l’autonomia delle università e della ricerca scientifica sono stati meglio tutelati. Anche sotto questo aspetto e con particolare riferimento alla realtà degli studi scientifici nel settore della clinica chirurgica l’indagine di Coco appare particolarmente valida e attuale.
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