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Il resto è rumore: ascoltare il XX secolo ovvero “il paese che non può essere trovato sulle mappe”
di Tommaso Rossi
Il resto è rumore- Ascoltare il XX secolo di Alex Ross (Bompiani) è davvero uno degli strumenti più interessanti usciti negli ultimi anni per chi voglia addentrarsi nel complesso e intricatissimo mondo della musica del XX secolo.
Il ponderoso volume (che alla fine offre anche una sintetica quanto esauriente discografia) è il frutto di un’attenta quanto disincantata analisi del “secolo breve” in musica, ed ha il pregio di tratteggiare un quadro ampio e variegato con uno stile assai comunicativo. L’occhio di Ross, che è critico del "New Yorker" e tiene sul web un informatissimo blog dal titolo The rest is noise (che è poi è anche il titolo inglese del libro) non sembra velato da pregiudizi ideologici: certo appare chiara una sua predilezione per quei musicisti che hanno cercato un compromesso tra le esigenze di sperimentazione e le aspettative del pubblico. Eppure il saggio di Ross non indulge affatto a quelle semplificazioni, tanto amate in Italia da Alessandro Baricco, che fanno male alla divulgazione della musica contemporanea (e – direi – alla musica tout court) nel nostro paese. Il resto è rumore non è, come pure alcuni hanno detto, la liquidazione delle avanguardie storiche (leggi Schönberg) o delle post-avanguardie europee, ma, semmai, rappresenta il tentativo – perfettamente riuscito – di contestualizzarle in un quadro più ampio, dove tutti i pensieri musicali del ’900 trovano uno spazio argomentativo, una loro ragion d’essere e dunque un loro valore. Proprio come, in un grande ecosistema, tutte le forme di vita, anche quelle minoritarie e più nascoste, acquistano un ruolo insostituibile.
La storia di Ross comincia a Graz, nel 1906. C’è la prima della Salome di Richard Strauss. Oggi si potrebbe definire “un evento”. Illustri spettatori da tutta Europa, una città intera in attesa: un fervore che, oggi, sarebbe dedicato ad una partita di calcio o ad un concerto di un gruppo rock.
Alla prima della Salome assisterono Mahler con la moglie Alma, Schönberg, Giacomo Puccini, Alban Berg, Alexander Zemlinsky, la vedova di Johann Strauss II, persino il diciassettenne Adolf Hitler. Dalla Croazia i giornali annunciavano i primi disordini indipendentisti, ma l’Europa era ancora quella di sempre, alla vigilia della catastrofe. Musica e storia, ovvero la musica è storia.
Tra i meriti di questo libro c’è anche quello di umanizzare i protagonisti di quella straordinaria avventura che è il ’900 musicale. Le debolezze, i caratteri a volte insopportabili, gli slanci e le passioni di quegli uomini che hanno inventato musica nel XX secolo, di coloro che hanno assistito al più grande cambiamento nella fruizione artistica che sia capitato nella storia dell’umanità: il passaggio rapidissimo dal mondo della committenza borghese e del mercato d’èlite alle sconfinate praterie della fruizione di massa, della serializzazione della produzione, attraverso l’invenzione del disco e della pubblicità e la diffusione della radio e della televisione.
La rivoluzione innescata dai processi tipici delle società di massa ha totalmente modificato il ruolo del compositore e del musicista negli ultimi cento anni. L’insorgenza dei generi musicali popolari, dal jazz al rock, ha cambiato completamente la scala valoriale, i modelli artistici, le stesse modalità della percezione. Su questi aspetti s’interroga profondamente il libro di Ross, cercando di capire quali siano state le diverse strade percorse per reagire a questi immani cambiamenti, ed affrontare la nuova realtà. E così, più che un quadro ben definito, il mondo della musica d’arte del XX secolo ci appare come un grande puzzle in divenire, in cui ogni tessera è rappresentata dal volto pensoso di ognuno dei protagonisti di quest’avventura, più che dagli slogan ideologici, ormai dimenticati, che molti gridarono durante la disfida adorniana tra avanguardisti e neo-classicisti. Ed ecco, da un lato, il radicalismo di Schönberg, con il suo carattere aggressivo e la sua volontà di rigore morale, dall’altro il dottissimo eppure inquieto plurilinguismo di Stravinskij, il suo evolversi dagli ancestrali ritmi della Grande Madre Russia agli stilizzati echi della tradizione classica occidentale, fino all’ adesione, estetizzante quasi, con la dodecafonia e l’avanguardia bouleziana; eppure lo spirito del XX secolo s’intravede di più negli occhi impauriti dei grandi compositori sovietici, Å ostakovič e Prokof’ev, perennemente in attesa di una telefonata censoria di Stalin, piuttosto che in quelli meravigliosamente gentili di John Cage, appena uscito, in compagnia di Morton Feldman, da un concerto nel centro di New York. Bellissime le pagine dedicate alla New York minimalista di Steve Reich e Philip Glass. Perché il XX secolo in musica è anche questo: la storia delle città dove è stata scritta e suonata, le città su cui l’angelo della storia si è posato o da cui è irrimediabilmente fuggito.
Un libro tutto da leggere perché fa appassionare ad un argomento per molti ostico e ci invita, con leggerezza ma anche con ricchezza di informazioni, a scoprire «quel paese che non può essere trovato sulle mappe», come scrisse, pensando alla musica, quando si era soltanto agli inizi del XX secolo, il grande Claude Debussy.
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