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Il martirio di Sant’Orsola di Giovanni Bernardo Azzolino
di Anna Maria Porro
Ancor oggi è possibile credere che Napoli sia un luogo magico, basta attraversare il centro storico per percepire la bellezza di un territorio dove la concentrazione di energia artistica ha permesso, attraverso i secoli, l’accumulo e la stratificazione di opere d’arte e monumenti. Un centro nevralgico di vivacità e potere, di credenze e rituali, di immagini sacre e opere d’arte fortemente evocative e simboliche.
A cavallo tra la fine del XVI sec. e il XVII sec. Napoli è un cantiere prestigioso, interessata dal piano urbanistico del viceré Pedro di Toledo che prevede il rapporto tra il nucleo antico (mura greco romane) della città, e il nuovo inglobamento della zona occidentale definita dal Castel Sant’Elmo e dal Castel dell’Ovo con il nuovo tracciato viario (via Toledo) e la sua conclusione verso il mare del Palazzo Vicereale1. Un provvedimento che rimarrà un “unicum” fino agli anni trenta del Settecento con l’avvento di Carlo III di Borbone.
La diffusione di fondazioni ecclesiastiche concorre alla rigenerazione della città: i Teatini, i Gesuiti, Padri dell’Oratorio interessati all’espansione dei propri Ordini religiosi trasmettono l’impegno di combattere negli anni della Controriforma, la diffusione del luteranesimo e del calvinismo che in città comincia ad espandersi. Inoltre la costruzione di importanti dimore tra le quali il Palazzo vicereale, il Palazzo degli Studi, il Monte di Pietà genera un intenso lavoro architettonico. Il rinnovamento avverrà nei primi anni del Seicento quando l’architettura si lega all’indiscussa figura del bergamasco Cosimo Fanzago, architetto, scultore e abile decoratore di marmi policromi. Testimonianza interessante di questa trasformazione, ancor oggi visibile, è la Certosa di San Martino in cui le differenti maestranze locali e forestiere collaborano e si confrontano migliorando la qualità degli interventi2. Un turbinio di artisti contribuiscono alla rinascita della città attraverso cicli di affreschi, nuove personalità artistiche provenienti dalla capitale si innestano nella cultura locale soprattutto agli inizi del Seicento.
Giorgio Vasari (orientato ad un manierismo “moderno”) che a metà del Cinquecento è a Napoli3, insieme a Marco Pino (senese ma attivo a Roma), la descrive intrappolata in una cultura locale tardo manierista ripiegata nel rispetto dei modelli tradizionali romani e toscani incapace di elaborare un linguaggio proprio. In questi anni la produzione pittorica locale si lega agli artisti Fabrizio Santafede, Girolamo Imparato, Luigi Rodriguez, Belisario Corenzio e il poco noto Giovanni Bernardo Azzolino4 (Cefalù 1572 - Napoli 1645).
La svolta si avrà solo nel 1606 con l’arrivo di Michelangelo Merisi da Caravaggio, che trasferitosi da Roma, si sofferma in città risvegliando la formazione locale, diffondendo nuove prospettive pittoriche, concentrandosi su impostazioni plastiche e su un luminismo coloristico fortemente chiaroscurato. Attraverso opere di magistrale interesse come la pala intitolata Le Sette Opere di Misericordia datata 16075 conservata nel Pio Monte di Misericordia a Napoli in cui Caravaggio sottoscrive l’ingresso nella città partenopea e numerose tele di committenza pubblica e privata che condizioneranno le personalità artistiche locali ed in particolare il pittore Giovanni Bernardo Azzolino. Di questo pittore vi sono scarse notizie, si apprende da un testamento del 1633 che la sua famiglia è originaria di Acquaviva di Puglia, che suo padre si chiamava Andrea e non Antonio e che il suo vero cognome è Ragano alias Azzolino6. Approda a Napoli dalla Sicilia insieme a Luigi Rodriguez nel 1594. Sposa una nobile palermitana Antonia India. Dal matrimonio molti figli tra cui Caterina nata nel 1600 che sposerà Giuseppe Ribera. Introdotto nel clima locale napoletano attraverso il pittore Fabrizio Santafede, responsabile della Chiesa di Santo Spirito, Azzolino realizza la Santissima Trinità, affresco perduto nel Settecento quando la fabbrica è interessata ad un rinnovamento dell’architetto Mario Gioffredo7. Nel 1612 esegue per S. Maria della Sanità un’ imponente pala d’altare della Madonna del Rosario con 15 Misteri, oggi visibile soltanto in parte perché le dodici tele raffiguranti i Misteri sono stati trafugati nel 19908. Negli anni a contatto con la pittura di Belisario Corenzio9 nella chiesa del Gesù Nuovo10, conclude la pala d’altare della Madonna con Bambino e Santi Martiri. In questi lavori emerge il gusto manieristico influenzato dalla pittura locale del greco Corenzio e dai pittori romani attivi a Napoli quali Marco Pino e il Cavalier d’Arpino. Il passaggio di Azzolino alla pittura di Caravaggio è una graduale crescita verso il rinnovamento. Il periodo dal 1607 al 1610 è contrassegnato dalla forte impressione che il naturalismo di Caravaggio esercita su di lui. Pittore scultore e ceroplasta Azzolino affronta la lezione di Caravaggio soprattutto in un dipinto che da Pierluigi Leone de Castris è individuato come il Martirio di Sant’Orsola11, oggi appartenente a collezione privata. La presenza di un’altra opera che racconta il Martirio di Sant’Orsola, emersa sul mercato antiquario, anch’essa ritenuta dell’Azzolino per similitudini evidenti all’opera segnalata dallo studioso, sottolinea la sensibilità raffinata dell’autore attento alle trasformazioni artistiche diffuse in città, allineato alle nuove elaborazioni pittoriche (Caravaggio). L’abbandono dei moduli tradizionali a vantaggio della volontà di focalizzare l’attenzione sul controllo della luce, sui modelli spogliati impostando le scene prive di particolari, rivelano l’evoluzione pittorica dell’artista. La scelta di trattare il martirio di Sant’Orsola in maniera “caravaggesca” è una conseguenza di ciò che Azzolino percepisce quando Caravaggio nel 1610, dipinge a Napoli il Martirio di Sant’Orsola per il principe genovese Marcantonio Doria (oggi conservato presso la Galleria di Palazzo Zevallos Stigliano Intesa Sanpaolo, Napoli). Il principe Marcantonio Doria è un committente comune a Caravaggio ed Azzolino; infatti di quest’ultimo si sa che il genovese possiede intorno al 1620 circa 47 dei suoi dipinti12. Questo contatto con la nobiltà gli permette di conoscere le opere di Caravaggio ma soprattutto di consolidare i rapporti con la Liguria attraverso committenze pubbliche (pale d’altare) e aristocratiche (piccole sculture e quadri di devozione privata).
I due dipinti apparentemente lontani sono in realtà vicinissimi, il motivo di tale affermazione è dettato da diversi elementi comuni: dall’impostazione scenica ridotta dei personaggi rappresentando l’evento in maniera essenziale in assenza di motivi decorativi, alla rappresentazione iconografica di isolare la Santa in primo piano con la scelta in entrambi i dipinti di non rappresentare l’esercito delle vergini che assistono alla scena (da sempre storicamente rappresentata), ma di concentrare l’emozione visiva nella protagonista con i suoi torturatori.
Nel dipinto di Caravaggio l’immagine è raccontata nel momento tragico dell’atto, quando il tiranno ha appena trafitto con la freccia il corpo della Santa, in cui il dolore è palpabile in tutta la sua umanità, mentre nell’opera dell’Azzolino il momento cruciale è mitigato dalla sopraggiunta morte, un istante seguente alla scena del dipinto di Caravaggio. La scelta dell’Azzolino di non raffigurare l’atto drammatico della morte, rappresenta la considerazione e il rispetto dei canoni della pittura controriformata in cui il riscatto del volto della Santa già in contemplazione al di la dell’umano rivela il messaggio del Chiesa, in cui lo scopo del martirio è la missione della fede e la salvezza dell’umanità. La Santa è illuminata da una luce innaturale, irreale che descrive il corpo plasticamente estraendola dallo spazio circostante e dallo sfondo, che resta in ombra. I protagonisti descrivono la prospettiva spaziale, il taglio scenico dell’intero dipinto a mezze figure e tutto il lavoro è improntato sulla conoscenza dell’opera di Caravaggio. Questo dipinto non può essere letto in chiave manieristica di ultimo cinquecento ma è un opera che si proietta agli anni venti del seicento, Azzolino ha dimostrato di comprendere la lezione di Caravaggio e di affermare l’apertura della pittura napoletana verso nuovi obiettivi. È un artista rinnovato e adeguato alla pittura del Seicento svincolato dai modelli tradizionali della scuola locale.


NOTE
1 G. Alisio, Urbanistica napoletana del Settecento, Bari, Dedalo Libri, 1979, p. 5.Top
2 Civiltà del Seicento a Napoli, Napoli, Electa, 1984, p. 99.Top
3 Napoli e dintorni, Milano, Guida d’Italia, 1976, p. 65.Top
4 Cfr., Civiltà del Seicento …, cit., p. 99.Top
5 F. Bologna, L’incredulità del Caravaggio e l'esperienza delle "cose naturali", Torino, Bollati Borenghieri, 1992, p.221.Top
6 U.Prota-Giurleo, Pittori Napoletani del Seicento, Napoli, Fausto Fiorentino libraio, 1953, p.125.Top
7 Cfr. U.Prota-Giurleo, Pittori Napoletani…, cit., p.144.Top
8 Napoli Sacra, 14° itinerario, Napoli, Elio de Rosa, 1996.Top
9 Scritti di storia dell’arte in onore di Raffaello Causa, Napoli, Electa, 1988, p.133.Top
10 Napoli Sacra, 4° itinerario, Napoli, Elio de Rosa, 1996.Top
11 P. Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli 1573-1606 l’ultima maniera, Napoli, Electa, 1996, p. 313.Top
12 P. Leone de Castris, Pittura del Cinquecento …, Electa Napoli 1996 p. 313.Top
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