Rubbettino Editore
Rubbettino
Torna alla Pagina Principale  
Redazione: Fausto Cozzetto, Piero Craveri, Emma Giammattei, Massimo Lo Cicero, Luigi Mascilli Migliorini, Maurizio Torrini
Vai
Guida al sito
Chi siamo
Blog
Storia e dintorni
a cura di Aurelio Musi
Lettere
a cura di Emma Giammattei
Periscopio occidentale
a cura di Eugenio Capozzi
Micro e macro
a cura di Massimo Lo Cicero
Indici
Archivio
Norme Editoriali
Vendite e
abbonamenti
Informazioni e
corrispondenza
Commenti, Osservazioni e Richieste
L'Acropoli
rivista bimestrale


Direttore:
Giuseppe Galasso

Responsabile:
Fulvio Mazza

Redazione:
Fausto Cozzetto
Piero Craveri
Emma Giammattei
Massimo Lo Cicero
Luigi Mascilli Migliorini
Maurizio Torrini

Progetto grafico
del sito:
Fulvio Mazza

Collaboratrice per l'edizione online:
Rosa Ciacco


Registrazione del
Tribunale di Cosenza
n.645 del
22 febbraio 2000

Copyright:
Giuseppe Galasso
 
Cookie Policy
  Sei in Homepage > Anno X - n. 3 > Interventi > Pag. 256
 
 
Il ritorno della storiografia tedesca nella «ecumene degli storici». Sintesi e prospettive1.
di Ernst Schulin
Al termine di questo volume spetta a me il compito di farne una sintesi e, al tempo stesso, di indicare qualche prospettiva. Non mi posso basare su nuovi studi miei, ma devo risalire a ricerche già svolte anni addietro. Potrei rifarmi quasi ancor più al mio ruolo di testimone. La mia esperienza e la mia attività risalgono infatti sino al 1949, al periodo del mio studio universitario, per giungere fino all’iniziativa del «discorso storico» di Bielefeld (Bielefelder «Geschichtsdiskurs»), un’impresa compiuta tra il 1993 ed il 19972. Inoltre, negli ultimi anni ho seguito con grande interesse il lavoro di giovani storici sulla storia della storiografia. L’interesse in questo campo non è sempre stato così forte. Allorché Hermann Heimpel, il fondatore e primo direttore del Max-Planck-Institut für Geschichte, nel 1958 decise di dare alle stampe, come prima pubblicazione dell’Istituto, la mia dissertazione su La concezione storico-universale dell’Oriente in Hegel e Ranke3 , Gerhard Ritter espresse, solo verbalmente, la propria disapprovazione sul modo scelto, a suo giudizio discutibile, per dare inizio all’attività dell’Istituto. Era suo parere, infatti, che gli storici avrebbero dovuto scrivere di storia, non su altri storici e sulle loro opinioni, ormai superate. E, in effetti, allora solo pochi scrivevano di storia della storiografia. Io stesso me ne occupai solo ogni tanto, ma continuativamente. Soltanto dopo il 1968 si accrebbe l’interesse generale, soprattutto quello volto allo studio critico della scienza storica tedesca dei secoli XIX e XX, così legata al tema della nazione4.
Nel 1985 Georg G. Iggers ed io organizzammo quello che fu probabilmente il primo convegno di storia della storiografia, dedicato al tema Vecchi e nuovi indirizzi della storiografia tedesca (1918-1933)5. Per mancanza di un aiuto finanziario gli atti di questo convegno non furono stampati. Ciò riuscì solo in occasione del successivo convegno sulla Storiografia tedesca dopo la seconda guerra mondiale (1945-1965), che ebbe luogo nel 1986 a Monaco, nella sede dello Historisches Kolleg. I due convegni avrebbero dovuto permettere di fare un confronto tra la diversa evoluzione verificatasi dopo la Prima Guerra Mondiale e dopo la Seconda, per dimostrare che quella dopo il 1945 fu decisamente più favorevole. Grazie agli impulsi ricevuti dal secondo convegno, Winfried Schulze pubblicò nel 1989 un volume sulla storiografia tedesca dopo il 19456, cioè proprio nel momento della grande svolta politica in Europa orientale, con la quale cominciò anche a levarsi un nuovo interesse di storiografia scientifica. L’impronta di quest’ultimo è chiaramente percepibile anche nell’iniziativa del Geschichtsdiskurs di Bielefeld, sopra ricordata, che peraltro era stata programmata ancora al tempo della Repubblica Democratica Tedesca, e che, dopo la svolta del 1989, oltre alla varietà dei nuovi metodi e campi di ricerca storici, si trovò a dover affrontare anche il problema della fine di una storiografia ampiamente controllata dall’ideologia.
Nell’ultimo decennio erano scomparsi quegli storici che avevano esercitato una grande influenza durante i primi anni di vita della Repubblica Federale, mentre quelli che potrebbero definirsi come gli storici della generazione giovane durante la guerra e subito dopo di essa, sono giunti all’età della pensione e sono stati collocati a riposo. Allora – molti direbbero: solo allora – furono compiuti studi molto più critici sugli storici tedeschi del periodo nazionalsocialista, soprattutto su quelli che, poi, ebbero ruoli di primo piano nella Repubblica Federale. In questo senso si registra un legame tra le ricerche sul periodo nazista e quelle sugli anni iniziali della Repubblica Federale. Accanto a esposizioni innovative dei relativi «reticolati» e degli «intrecci di rapporti» strategici degli storici tra di loro (con i loro «nuovi intrecci» dopo il 1945), abbiamo la forma sperimentata della biografia, realizzata per lo più in forma molto ampia. Vi sono alcune autobiografie di storici (anche della Repubblica Democratica), inchieste («quesiti mancati»), contributi alla cultura della memoria – nel complesso un numero straordinariamente copioso di lavori7. Nel 2003 Lutz Raphael ha pubblicato uno studio globale sulla storiografia del secolo XX. E infatti «la storiografia scientifica dialoga continuamente con se stessa»8. Wolfgang Reinhard lo ha constatato in generale per l’interesse attuale per la storia: «Non ci interroghiamo più sulla storia reale, che si dissolve a sua volta in storie, ma sulle idee (sulle invenzioni) di storia, che ai nostri occhi sono divenute la realtà vera e propria»9.
Il tema, «l’impostazione storico-scientifica» di questo volume di atti è la storiografia tedesca «dopo il 1945» – cioè tra il 1945 ed il 1960/65 – nel suo lento rinnovamento, specialmente grazie al nuovo rapporto storico-ideale e istituzionale, e, gradualmente, anche metodico, con la storiografia internazionale. In primo piano è il rapporto tra continuità e trasformazione nella corporazione degli storici della Germania occidentale, il cui personale subì, allora, solo pochi cambiamenti.
Il riferimento allo Stato nazionale, cioè la limitazione alla storia tedesca, rimase forte anche dopo che la scienza storica tedesca venne riaccolta nella storiografia europea, come è stato evidenziato da molti contributi in questo convegno. Ma, a tale proposito, occorre fare qualche distinzione. Innanzitutto si deve constatare che Lutz Raphael è giunto a questa conclusione per l’intero secolo XX e per tutti gli Stati, e ciò perfino in maniera più palese e ininterrotta che nel secolo XIX. In questo senso non è stato affatto notato, né criticato questo raccoglimento della storiografia tedesca sulla storia nazionale. Benché lo Stato nazionale abbia rappresentato un fenomeno comune soprattutto a quei due secoli, si registra in generale una tendenza a orientare verso di esso anche l’età precedente. Vi è poi da distinguere se si tratta della tradizionale predilezione nazional-pedagogica per la propria storia, cioè per la storia tedesca, oppure del riconoscimento di un’esigenza nuova di ripensare criticamente la storia contemporanea tedesca. Come è stato osservato, l’estensione dell’interesse all’Occidente e all’Europa poteva rappresentare anche, invece, una fuga da questa esigenza. In taluni contributi il riferimento allo Stato nazionale è stato messo anche in rapporto con il metodo tedesco tradizionale, vale a dire con l’insistenza a preferire la storia politica e la Geistesgeschichte. Si deplora poi l’atteggiamento riservato, durato troppo a lungo, nei confronti dei metodi socio-economici, soprattutto quelli delle Annales. Certamente questo è giusto; questa tradizione fu ancor più rafforzata dal rifiuto della storiografia marxista della Repubblica Democratica Tedesca. Come ho già fatto in passato, mi limiterei qui a un semplice riferimento alla circostanza che la storiografia tedesco-occidentale nei primi quindici-venti anni dopo il 1945 non avrebbe certamente potuto avere un’efficacia così positiva, quale indubbiamente ebbe, se non avesse mantenuto la propria posizione conservatrice nei confronti del metodo10.
È comunque importante che il riferimento allo Stato nazionale, pur permanendo, sia stato però fortemente rivisto in quanto ai suoi criteri di valutazione. Esso ha acquistato inoltre problematicità a causa della presenza di due Stati tedeschi. Ciò è stato oggetto di numerosi contributi. (Per inciso desidero far notare che la storia critica della storiografia tedesca, come è stata fatta in questa sede, fu in un primo momento coltivata nella Repubblica Democratica Tedesca e, solo dopo, si è diffusa nella Germania occidentale in maniera adeguatamente moderata). È inoltre importante il fatto che quel riferimento è stato travalicato in direzione dell’Europa, o dell’“Occidente”: grazie agli incontri internazionali tra gli storici a Spira, all’Istituto per la Storia Europea di Magonza, alle proficue conferenze sui libri scolastici, ai congressi storici internazionali, ad altri convegni, e agli Istituti Storici tedeschi di Roma (prima) e di Parigi (poi).
Volgiamoci ora alle “prospettive”. Per il tema del “ritorno”, o, forse meglio, della “riaccettazione” nella ecumene è sicuramente giusto dirigere l’attenzione verso la prima fase della storiografia tedesca dopo il 1945, cioè fino al 1965 circa. Tale fase è ora in genere di attualità essendo connessa allo studio della storiografia tedesca nel periodo nazista. Perciò mi sono un po’ meravigliato che Sebastian Conrad, nel suo interessante studio comparativo tra la Germania occidentale e il Giappone11, la ritenga una figliastra della storia della storiografia, sebbene proprio per essa, e non per il periodo successivo, esista già dal 1989 un’esposizione generale alla quale tutti ricorrono, quella di Winfried Schulze12. A me sembra che, nel frattempo, questa prima fase sia stata ampiamente analizzata. Sarei, invece, desideroso di leggere un lavoro analogo sul periodo seguente, a partire dal 1965 circa, quello, cioè, degli storici, allora giovani, della «lunga generazione», come li ha definiti Paul Nolte13 .
Mi risulta, infatti, difficile rievocare i rapporti con l’estero limitatamente a quei primi venti anni e, allo stesso tempo, limitatamente alla generazione degli storici di allora. Naturalmente i più giovani, con la loro posizione per lo più antinazionalista e molto più internazionale, erano, allora, ancora studenti e assistenti. Tuttavia essi erano in grado, già allora, di operare attivamente. Non si dovrebbe sottovalutare quanto i più anziani, che erano molto più insicuri rispetto ai precedenti professori ordinari, cercassero di averli in riguardo. Se mi è consentito, ricorderò la mia esperienza a Gottinga: nel 1952 Percy Ernst Schramm procurò a due studenti (uno dei quali ero io) una borsa di studio di più mesi che permise loro di recarsi in Spagna, cioè di andare per la prima volta all’estero. A Gottinga l’associazione studentesca detta Historisches Colloquium, che si era costruita un pensionato, allacciò nel 1954, addirittura senza l’aiuto di alcun professore, contatti con l’Institut d’études politiques di Parigi al fine di uno scambio reciproco di studenti. L’Istituto per la Storia Europea di Magonza fu sin dall’inizio soprattutto un luogo d’incontro delle giovani generazioni. Lì furono principalmente i collaboratori scientifici a far sì che fossero invitati non solo studenti dell’Europa occidentale e americani, bensì anche dei paesi del blocco orientale.
I contributi in questo volume di atti sono concentrati soprattutto sul nuovo rapporto stretto con la Francia. Ciò ebbe inizio nel 1950, a Parigi, quando gli storici tedeschi furono riaccolti nella comunità storica internazionale, perché quest’ultima dal periodo posteriore al 1918 aveva tratto la lezione che un’ulteriore emarginazione poteva avere effetti solo negativi. Pertanto i tedeschi vennero invitati, e ciò avvenne cinque anni prima degli storici russi, polacchi, cèchi e degli altri Stati del blocco orientale. In effetti in un primo momento i contatti più intensi furono quelli con i francesi, grazie agli incontri internazionali di Spira e all’Istituto di Magonza, e grazie anche alla politica culturale francese. Oltre a questi – e oltre all’ambito italiano, trattato durante questo convegno – occorrerebbe considerare con maggiore attenzione anche l’ambito anglo-americano. Di quest’ultimo si è occupata qui solo Astrid Eckert nel suo contributo sulla storia contemporanea e sul problema della restituzione della documentazione tedesca. Già questo mostra che si tratta di un rapporto del tutto diverso. Esso era forte, ma non solo concentrato sulla storia tedesca. L’elemento specifico è che il rapporto con l’Inghilterra, e, ancor più, con gli Stati Uniti d’America si creò soprattutto grazie agli emigrati tedeschi e austriaci, ben presto anche grazie alla generazione più giovane dei figli di immigrati, come Klaus Epstein e Georg G. Iggers. Di questo si è occupata nel 2006 una sezione del convegno degli storici tedeschi riuniti a Costanza14. Poco tempo prima Gerhard A. Ritter aveva pubblicato un’ampia raccolta di lettere scritte da numerosi allievi emigrati di Meinecke al loro maestro 15. Non così precocemente, tuttavia a partire dal 1962 circa, l’Istituto Leo Baeck di Londra cominciò a prendere contatti con giovani storici tedeschi (ad esempio con Werner Jochmann)16. Oggetto di questi contatti fu naturalmente in primo luogo la storia tedesca e la sua revisione, e non tanto temi sovranazionali, ma, come già rilevato, questo vale anche per molti altri rapporti internazionali, se non per la maggior parte. I borsisti stranieri dell’Istituto di Magonza lavoravano quasi soltanto su temi tedeschi. Lo stesso Martin Göhring, che era uno specialista riconosciuto di storia francese, quando divenne direttore dell’Istituto passò alla storia tedesca, come apprendiamo dal contributo di Heinz Duchhardt pubblicato in questo volume. E, inoltre, Astrid Eckert ha potuto dimostrare che il rapporto con storici inglesi e americani consistette soprattutto nell’interesse di questi ultimi per la storia contemporanea tedesca. Alan Bullock scrisse la prima biografia seria di Hitler, e vi sono stati molti altri libri ben scritti, inglesi e americani, sul periodo nazista. Se è possibile constatare che, nel 1949, l’affermazione della ricerca tedesca di storia contemporanea nel contesto internazionale era qualcosa di eccezionale, occorre però anche aggiungere che sin dall’inizio parteciparono ad essa storici anglo-americani17. Una manifestazione di questo interesse inglese fu anche, in seguito, il circolo di storici britannico-tedeschi, che, poi, fondò l’Istituto Storico Germanico di Londra. Si è sempre sottolineato che gli storici britannici, sin dall’inizio, mostrarono un attivo interesse a quella ricerca, palesemente più pronunciato che quelli italiani e francesi a Roma e a Parigi.
Un altro ambito importante, e molto più complesso da trattare, è quello dell’Europa orientale. Grazie a Ingo Haar, Thomas Etzemüller, Kai Arne Linnemann e altri disponiamo di buone ricerche sugli intrecci di scienza e politica nel periodo nazista e sulla generazione di storici anziani agli inizi della Repubblica Federale18. Qui la differenza, la distanza rispetto ai più giovani, quali Dietrich Geyer, Gottfried Schramm e Klaus Zernack fu più forte che nel caso dell’Europa occidentale, pur se taluno dei più anziani, come Werner Conze, si distanziò dagli obiettivi ad esempio dell’Istituto Herder o di Hermann Aubin. I contatti dei più giovani con storici polacchi e russi dovrebbero essere esaminati a fondo nel loro significato scientifico e politico, naturalmente anche nel rapporto problematico con storici della Repubblica Democratica Tedesca, dai quali ad esempio Zernack fu definito “demagogo della riconciliazione” per i suoi rapporti con colleghi polacchi19.
Vorrei aggiungere un’altra prospettiva di carattere generale. È molto encomiabile fuoriuscire dai confini nazionali della storiografia, e ritenere una cosa ovvia di allargare lo sguardo a tutti gli Stati europei, all’intera Europa o all’Occidente. Così vuole fare adesso, ad esempio, Heinrich August Winkler, il quale, dopo il suo libro sulla storia tedesca, ha intenzione di scrivere un lavoro sulla comunità di valori in Occidente20. Ma la maggior parte degli storici dei secoli XIX e XX in tutta Europa rimasero, come già ho detto, entro i confini della loro nazione. Poco tempo fa mi sono imbattuto in una figura che fa eccezione, Karl Hillebrand, che nel secolo XIX scriveva con facilità in tedesco, francese, inglese e italiano sulla politica e la letteratura di questi paesi. È molto caratteristico della storia della storiografia che fino ad oggi nessuno sia riuscito a darne un quadro d’insieme ed una valutazione complessiva21.
È altrettanto lodevole fuoriuscire anche dalla storiografia europea, “occidentale”, e dunque includere in modo veramente paritario nella ecumene degli storici gli asiatici e gli africani con le loro ricerche sul loro passato, come ha fatto Lutz Raphael nella sua panoramica globale per il XX secolo22. In questo modo si riesce a confrontare molto bene ristrettezze nazionali, costruzioni di miti, influssi dello Stato, strategie di ricerca e intrecci. Inoltre si può studiare a fondo la rispettiva “alterità” al fine di promuoverne la conoscenza.
Sussiste tuttavia il pericolo del livellamento. Non si deve sopravvalutare la qualità specifica e la diversificazione della storiografia occidentale, ma non la si deve neanche sottovalutare a danno della conoscenza. In tutto questo studio sugli storici, sulle loro dipendenze e ambizioni vi è il rischio che la storia stessa si riduca a qualcosa di marginale e di indifferente. Di solito ciò non avviene per la storia contemporanea e il suo studio, con il suo peso particolare, il suo carico specifico, almeno per quella tedesca. Ma per tutte quelle precedenti con i loro molteplici problemi?
Recentemente, alla morte del grande medievista Arno Borst, questa riflessione mi è di nuovo tornata in mente con chiarezza. Mediante il suo primo lavoro sui Catari egli riuscì a stringere presto rapporti con storici francesi. Poi, con la Costruzione della Torre di Babele, scrisse la lunga storia delle opinioni sull’origine e la varietà delle lingue e dei popoli. La maggiore diffusione ha avuto però il suo lavoro sulle Forme di vita nel Medioevo, molto vicino allo studio delle mentalità diffuso nella storiografia francese. Egli ricostruì poi forme di sapere e di gioco del primo Medioevo fino alla riforma carolingia del calendario, in relazione alla quale lamentò amaramente la mancanza di comprensione dei suoi colleghi francesi e inglesi23. Nel complesso un lavoro gigantesco che questo storico straordinariamente dotato e non facile da capire ha ricavato dalle fonti. Il lavoro interpretativo su questi ambiti storici, una volta che siano stati dischiusi da uno storico eccezionale, non dovrebbe cedere il passo ai nostri temi di storiografia scientifica, oggi preferiti. La particolare capacità della storiografia europeo-americana verrebbe così meglio riconosciuta, e le sue possibilità per il futuro sarebbero colte più chiaramente.
Questo è il mio sguardo verso il futuro, che forse a qualcuno apparirà più come uno sguardo retrospettivo su temi un tempo favoriti e che oggi stanno passando in secondo piano. Ma si può evitare che uno storico ormai anziano tenti di gettare uno sguardo sul futuro?




NOTE
1 Versione italiana del saggio conclusivo, intitolato Zusammenfassung und Ausblick, degli atti di un convegno tenuto presso la sede dell’Istituto Storico Germanico di Parigi, tra il 5 e il 6 luglio 2007, poi pubblicati nel volume: Die Rückkehr der deutschen Geschichtswissenschaft in die «Ökumene der Historiker». Ein wissenschaftsgeschichtlicher Ansatz, herausgegeben von Ulrich Pfeil, München, R. Oldenbourg Verlag, 2008, pp. 327-334. La traduzione è di Anna Maria Voci.^
2 Geschichtsdiskurs, 5 voll. a cura di W. Küttler-J. Rüsen-E. Schulin, Frankfurt am Main, Fischer, 1993-1999.^
3 E. Schulin, Die weltgeschichtliche Erfassung des Orients bei Hegel und Ranke, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1958.^
4 Uno tra i maggiori esempi è la serie Deutsche Historiker, 9 voll., a cura di H.-U. Wehler, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1971-1982.^
5 Alte und neue Richtungen der deutschen Geschichtswissenschaft (1918-1933).^
6 Deutsche Geschichtswissenschaft nach dem zweiten Weltkrieg (1945-1965), a cura di E. Schulin, con la collaborazione di E. Müller-Luckner, München, Oldenbourg, 1989; W. Schulze, Deutsche Geschichtswissenschaft nach 1945, München, Oldenbourg, 1989.^
7 Per citare solo alcuni esempi: Deutsche Historiker im Nationalsozialismus, a cura di W. Schulze e O.G. Oexle, Frankfurt am Main, Fischer, 1999; A.C. Nagel, Im Schatten des dritten Reiches. Mittelalterforschung in der Bundesrepublik 1945-1970, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2005; C. Cornelissen, Gerhard Ritter. Geschichtswissenschaft und Politik im 20. Jahrhundert, Düsseldorf, Droste, 2001; D. Geyer, Reußenkrone, Hakenkreuz und Roter Stern. Ein autobiographischer Bericht, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1999; F. Klein, Drinnen und Draußen. Ein Historiker in der DDR. Erinnerungen, Frankfurt am Main, Fischer, 2001; Versäumte Fragen. Deutsche Historiker im Schatten des Nationalsozialismus, a cura di R. Hohls con la collaborazione di T. Bathmann, Stuttgart, Deutsche Verl.-Anstalt, 2000; Verletztes Gedächtnis. Erinnerungskultur und Zeitgeschichte im Konflikt, a cura di K.H. Jarausch e M. Sabrow, Frankfurt am Main, Campus Verlag, 2002.^
8 L. Raphael, Geschichtswissenschaft im Zeitalter der Extreme. Theorien, Methoden, Tendenzen von 1900 bis zur Gegenwart, München, Beck, 2003.^
9 W. Reinhard, Lebensformen Europas. Eine historische Kulturanthropologie, München, Beck, 2004, p. 602.^
10 E. Schulin, Traditionskritik und Rekonstruktionsversuch. Studien zur Entwicklung von Geschichtswissenschaft und historischem Denken, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1979, p. 140.^
11 S. Conrad, Auf der Suche nach der verlorenen Nation. Geschichtsschreibung in Westdeutschland und Japan 1945-1960, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1999, p. 36.^
12 Schulze, Deutsche Geschichtswissenschaft (cit. in nt. 6).^
13 P. Nolte, Die Historiker der Bundesrepublik. Rückblick auf eine ‘lange Generation’, in «Merkur», 53 (maggio 1999), pp. 413-432.^
14 GeschichtsBilder. 46. Deutscher Historikertag vom 19. bis 22. September [2006] in Konstanz. Berichtsband, a cura di C. Wischermann e altri, Konstanz, UVK-Verlag-Ges., 2007, pp. 219-221, con il titolo: (R)emigrierte deutsche Historiker und das Amerikabild im Nachkriegsdeutschland.^
15 Friedrich Meinecke. Akademischer Lehrer und emigrierte Schüler. Briefe und Aufzeichnungen, a cura di G.A. Ritter, München, Oldenbourg, 2006.^
16 S. Schüler-Springorum, The ‘German Question’. The Leo Baeck Institute in Germany, in Preserving the Legacy of German Jewry. A History of the Leo Baeck Institute 1955-2005, a cura di C. Hoffmann, Tübingen, Mohr Siebeck, 2005, pp. 201-236.^
17 Su questo tema cfr. lo studio comparativo Zeitgeschichte als Problem. Nationale Traditionen und Perspektiven der Forschung in Europa, a cura di A. Nützenadel e W. Schieder, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2004.^
18 I. Haar, Historiker im Nationalsozialismus. Deutsche Geschichtswissenschaft und der ‘Volkstumskampf’ im Osten, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2000; T. Etzemüller, Sozialgeschichte als politische Geschichte. Werner Conze und die Neuorientierung der westdeutschen Geschichtswissenschaft nach 1945, München, Oldenbourg, 2001; K.A. Linnemann, Das Erbe der Ostforschung. Zur Rolle Göttingens in der Geschichtswissenschaft der Nachkriegszeit, Marburg, Tectum-Verlag, 2002.^
19 Unbewältigte Vegangenheit. Handbuch zur Auseinandersetzung mit der westdeutschen bürgerlichen Geschichtsschreibung, a cura di W. Berthold e altri, Berlin (Ost), Akademie-Verlag, 1970; edizione nella Repubblica Federale con il titolo: Kritik der bürgerlichen Geschichtsschreibung, Köln, Pahl-Rugenstein, 1971, p. 283.^
20 H.A. Winkler, Was heißt Wertegemeinschaft?, in «Internationale Politik», 62 (aprile 2007) 4, pp. 66-85.^
21 Il tentativo principale è stato quello di W. Mauser, Karl Hillebrand. Leben, Werk, Wirkung, Dornbirn, Vorarlberger Verl. Anst., 1960. Ricordo inoltre la postfazione di H. Uhde-Bernays a Karl Hillebrand. Unbekannte Essays, Bern, Francke, 1955, pp. 283-396; R. Vierhaus, Zeitgeschichte und Zeitkritik im essayistischen Werk Karl Hillebrands, in «Historische Zeitschrift», 221 (1975), pp. 304-325; A.M. Voci, Prima di Meinecke. Karl Hillebrand e le origini dello storicismo, in «L’Acropoli», VIII (2007), pp. 566-588.^
22 Raphael, Geschichtswissenschaft im Zeitalter der Extreme (cit. in nt. 8). Per l’intero periodo di tremila anni, a partire dall’Antichità, vi è ora il saggio ampio, ma non molto produttivo, di M. Völkel, Geschichtsschreibung. Eine Einführung in globaler Perspektive, Köln, Böhlau, 2006.^
23 A. Borst, Der Streit um den karolingischen Kalender, Hannover, Hahn, 2004.^
  Cosa ne pensi? Invia il tuo commento
 
Realizzazione a cura di: VinSoft di Coopyleft