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I dintorni di Croce. Tra figure e corrispondenze
di Emma Giammattei
Avvertenza

Nel lessico critico degli ultimi vent’anni, la metafora spaziale dei dintorni è ormai, dopo Genette, attribuzione convenuta del testo, a indicare quella rete di pratiche discorsive e visive che imposta ed orienta l’itinerario del lettore verso il libro, dal titolo alla quarta di copertina, dalla dedica alla prefazione. Sotto questa cifra si può parimenti seguire, dalla parte dello scrittore, il dispiegarsi del libro, come forma materiale e modo di circolazione della parola scritta, dentro l’istituzione letteraria e nel mercato, all’interno di quello che fin qui è stato, per dirla con Roger Chartier, un «etnocentrismo della lettura».
La metafora degli environs, applicata ad una figura di «Logoteta» quale è stato indiscutibilmente Benedetto Croce, cioè, alla lettera, fondatore di un mondo discorsivo, vuole recuperare, in questo libro, il senso più ampio e flessibile dell’idea originaria che le sta alle spalle, di environment, messa a frutto precedentemente dalla critica dell’architettura a partire dagli anni Sessanta. Non si tratta, com’è ovvio, di evocare l’ambiente costruito o naturale, ma di tenere conto delle tante accezioni che il termine anglosassone, intraducibile, ha acquisito via via nelle discipline più varie. Difatti, proprio il complesso intreccio geo-storico che connota la definizione di partenza, poi variamente articolata, si presta ad un uso esteso, rispetto alla biografia intellettuale, come ambito di plausibilità, di volta in volta habitat più o meno vasto, fisico o immateriale, luogo di relazione, di interazione e di reciprocità, dove i termini si condizionano e modificano a vicenda. Attagliata all’autore, insomma, la nozione di dintorni suggerisce un’idea di contesto multiplo, disposto a raggiera, dagli ambiti prossimi a quelli via via più lontani nel tempo e nello spazio. E importa individuare una gerarchia di queste dimensioni contestuali e co-testuali. Si pensi ad esempio alla rete di relazioni, personali, concettuali, politiche, che si raddensano in modo più e meno fitto intorno alla «memoria» letta al Congresso filosofico di Oxford nel 1930, Antistoricismo, in un moto di andirivieni verso e a partire da quel testo. È uno snodo di riscontri quale risulta dalla ricostruzione fattane in un saggio centrale, anche sotto il rispetto metodologico, fra storia del testo e della sua circolazione, critica letteraria e storia della cultura europea.
Lo storico Y.-Ch. Zarka, in polemica con gli automatismi della idéologie du contexte secondo lui operanti nella storia della filosofia, si è provato a definire qualche anno fa [L’idéologie du contexte. Usage et abus du contexte dans l’historiographie de la philosophie, «Rivista di Storia della filosofia», 55 (2003), fasc.2] il contesto di un’opera e di un pensiero nei termini dialettici di una interazione reciproca e sempre in progress, dal momento che lo stesso contesto è a sua volta da decifrare e ricostruire, non esiste di per sé. Zarka ha distinto, ad esempio, le condizioni dell’enunciazione, storicamente determinata, e la vita dell’enunciato, sfuggente e non riducibile alla determinatezza originaria. Sullo sfondo c’è l’anti-determinismo teorizzato da Popper, vale a dire l’autonomia del cosiddetto Mondo 3 – il mondo dello spirito oggettivo, delle idee che una volta prodotte interagiscono e modificano non solo il sistema culturale, ma l’Io il quale le ha espresse. In tal senso, la relazione essenziale Io-Opera-Io si realizza in un circuito aperto di stazioni e passaggi, dove il contesto è ciò che, in quel movimento, viene contessuto ed attratto: al pari dell’Autore, il contesto diviene.
Come è evidente, un simile discorso travalica i limiti imposti da un tranquillo ragionamento introduttivo, poiché tocca il rapporto fra storia e produzione delle idee. Può essere utile però ricordare che nell’ambito specifico della considerazione della parola letteraria, acquisizioni critiche che oggi appaiono lontane, quali il concetto di omologia – ovvero la relazione fra struttura dell’opera e rappresentazione mentale di un gruppo intellettuale – dovuto a L. Goldmann, si formarono negli anni Sessanta intorno al medesimo nodo, nel tentativo di tenere insieme le due partite, dell’autonomia del senso e della realtà sociale. Ma il gioco si rivela insoddisfacente proprio dinanzi alle figure plenarie e portanti di una cultura, quelle che ne esprimono il carattere modellizzante e perciò assoluto, tale da presentarsi già atteggiato meta-teoricamente (così nella misteriosa quanto incontrovertibile formula Spirito del Tempo). E dunque, nei nostri termini: «Il problema, per il Croce, è di ridiventare un problema», come aveva profetizzato nel 1913 Emilio Cecchi, per indicare l’impasse di una visione talmente dispiegata a fornire risposte, da rimanere, essa poi, inspiegabile. Lungo il crinale del rapporto fra le parole e le cose si finisce allora per mettersi sulle tracce di quel punto profondo in cui si enuclea, forse, il nesso fra ciò che si è e ciò che si pensa. Ben al di qua di così impegnativa e rischiosa ricerca, ecco allora l’utilità di schemi operativi che permettano di dettagliare e costeggiare il proprio oggetto.
Per una personalità dai tanti versanti come Croce, i dintorni costituiscono l’insieme dei molti contesti, geografici e storici, sentimentali e ideali, in cui egli è entrato in azione. All’inizio ci sono i primi passi, i primi incontri nello spazio della Biblioteca dietro l’ispirazione materna. «In tutta la mia fanciullezza ebbi sempre come un cuore nel cuore; e quel cuore, quella mia intima e accarezzata tendenza, era la letteratura o piuttosto la storia», scrive Croce nel 1915, nel Contributo, a registrare ex-post il privilegio da assegnare alla Storia, come aveva appena annunciato nell’Avvertenza Ai lettori, messa a chiusura della prima fase della «Critica».
A partire dalle Memorie della mia vita, del 1907, e dal Contributo alla critica di me stesso, viene impostata quindi la biografia come opera filosofica primaria, generatrice e garante dei testi pubblicati. Ad essa corrisponde il contesto descritto dalla ricezione, prima lui vivente e con quella in ulteriore dialogo, e in seguito storicamente realizzato nelle forme d’attenzione intorno ai suoi testi. In questa specifica dimensione, i testi crociani sono divenuti a loro volta terreno d’incontro e di scontro di una variegatissima comunità di lettori, ovvero alveo di letture settoriali separate e concorrenti, soprattutto tese ad estrapolare e isolare l’esperienza del critico della letteratura.
Nel laborioso itinerario di auto-costruzione delineato dall’opera crociana, risultano assai rilevanti, com’è noto, i Taccuini di lavoro. Oggi possiamo leggere questo cospicuo rendiconto quotidiano nella sua classica densità, a patto di tenere ben presente che esso è il risultato di una trascrizione e riscrittura, di un decisivo ri-orientamento relazionale, implicante espunzioni e correzioni, secondo quella pratica di continuo adeguamento della scrittura alla temporalità che concerne la modalità e la sostanza profonda del pensare crociano. Altrettanto importanti sono i 92 volumi della Miscellanea di recensioni e discussioni concernenti gli scritti di B. Croce, da considerarsi come una sorta di rubrica parallela organizzata dal filosofo, il quale segue, di giorno in giorno, ritagliando da quotidiani e riviste, il farsi della storia della ricezione della sua opera dal 1897 agli anni Quaranta: dalle critiche proficue al fatale delinearsi degli stereotipi, dall’affermarsi dei fraintendimenti e delle polemiche di carattere politico alla sintonia con lettori spregiudicati, sparsi nella provincia italiana e in ogni parte d’Europa. Tra sottolineature e commenti dell’interessato, l’«eco della stampa» si materializza in autobiografia e storia, nonché come imponente strumento di indagine e ricostruzione per Croce stesso.
Perché si vuole attrarre l’attenzione del lettore su questi sistemi testuali complementari? Perché essi ci mostrano concretamente il nesso intimo che si instaura fra pensiero, scrittura e presenza dell’altro, e perciò illuminano bene quell’idea di dintorni, dall’apparenza pleonastica, dalla quale il discorso ha preso l’abbrivo. Da un punto di vista generale della ricerca si tratta sempre di storia. Nient’altro che storia – direbbe Croce e, con lui, il suo più convinto prosecutore, Giuseppe Galasso: nella fattispecie, geografia e storia della cultura. Di più, non vanno dimenticate le nitide e ancor oggi orientative argomentazioni crociane – del 1895, poi riprese nel 1909 – a proposito delle possibili derive centrifughe e, nello stesso tempo, delle pretese totalizzanti della Kulturgeschichte, rispetto alla unità ed integralità della storia-storia. Alle spalle vige un sentimento potente della realtà, la quale si dà tutta d’un getto, «senza nocciolo né corteccia», dirà Croce con Goethe e con Hegel: «[…] come la realtà non ha né nocciolo né corteccia ed è di un sol getto, come l’interno e l’esterno sono tutt’uno (ed Hegel ce lo ha insegnato) così la massa dei fatti è una massa compatta […]» (Saggio sullo Hegel).
Pure, nella prospettiva peculiare che qui interessa, dell’analisi del discorso e dei testi, l’environment comprende l’interno e l’esterno, vale a dire il campo d’esperienza di un autore, ciò che da lui è percepito come passato e già-dato, e l’orizzonte d’attesa, che è poi il futuro del passato, la dimensione che non si svolge mai compiutamente. Riprendo le due nozioni, anch’esse metafore spaziali, dal teorico Reinhart Koselleck: queste vogliono contribuire ad una semantica dei tempi storici verificata attraverso le strutture linguistiche – ecco il dato pertinente – dei diversi modi di una cultura di rappresentarsi il tempo, dei differenti «regimi di storicità». È la chiave conoscitiva, come si sa, concretamente saggiata da uno dei rappresentanti di maggior rilievo, insieme con Jauss, della scuola di Costanza, e particolarmente utile quando si considerino i periodi di crisi, di smantellamento e di ridefinizione delle categorie temporali.
Ora, accade che Croce sia stato colui che nel Novecento ha ripensato e rovesciato, in una certa idea di storia, le articolazioni della temporalità, con implicazioni e ricadute sulla storia della cultura europea degli ultimi decenni ancora da valutare pienamente e inequivocabilmente (intanto, perché il nucleo più vitale della teoria storiografica di Croce ha avuto una circolazione carsica e adespota, soprattutto in area francese). Accade che questa rivoluzione storiografica sia connessa ad una antropologia intellettuale, attestata nella scrittura, nel modo stesso di pensarsi dentro il tempo. E che il pensiero teorico si converta continuamente, su questo punto, in narrazioni, esempi ed apologhi. Nell’ultimo di questi, sullo «Spettatore italiano» del novembre 1952, Croce immagina di ascoltare le battute del dialogo fra due giovani. L’uno, fiducioso e simpatico, dice: «Io credo nel mio avvenire». E l’altro, malinconico e pensoso: «E io ho creduto sempre nel mio passato». Dove la tesi e l’antitesi convergono agevolmente nell’ascolto del vecchio filosofo, il quale crede nel «futuro del proprio passato», in quello che oggi appunto si suole definire come «orizzonte d’attesa».
Ai fini di una biografia integrale e capace – perché di questo si tratterà – non sono da trascurare, inoltre, le sollecitazioni e i risultati provenienti dalla storiografia scientifica al cospetto delle autobiografie degli scienziati. In particolare, l’idea sviluppata sul campo da Fernando Vidal nell’ambito della ricerca su J. Piaget, della biografia contestuale, incrocia con guadagno i criteri della storia sociale degli intellettuali e le leggi narratologiche – ergo letterarie e per questo verso connesse alla storia della letteratura - che sovrintendono ad ogni forma di auto-interpretazione.
Si intende dar conto, con queste sparse considerazioni, della oggettiva problematicità di molte pagine, come quelle su Croce e Prezzolini, dove ci si accosta, certo con cautela, alla formazione di alcune parole chiave del primo Croce, ad esempio pseudo-concetto, in parte riconducendole all’alveo co-testuale dei pragmatisti del «Leonardo». Sono, per la più parte, esemplificazioni empiriche di quel progetto di biografia ormai da affrontare, dopo gli accrescimenti bibliografici e filologici degli ultimi trent’anni: così, nel saggio puntato sui rapporti di Croce con Gentile si porta il riflettore critico-filologico su di un testo autobiografico, da Croce lasciato inedito, ma già pronto, con le debite istruzioni, all’uso postumo. In esso l’autore riafferma l’intenzione di fare la storia di se stesso e, nel contempo, di sperimentare al vivo il racconto storiografico «di quel recente passato che si chiama il presente», riprendendo documenti e lettere dall’archivio personale. A tal fine, vi adotta la tecnica narrativa del «caso», di una drammatica inchiesta alla Wassermann (questo intellettuale ebreo tedesco fu una voce importante dell’entre-deux-guerres, conosciuta e apprezzata da Croce), per restituire il senso di una vicenda di vent’anni prima, particolarissima ma esemplare, riguardante la distruzione, anzi «l’assassinio», come egli dice, di un individuo, appunto dello Spinazzola.
Il riferimento costante alla dimora autobiografica di Croce, nella sua innovativa curvatura storicistica, tale da configurare uno spazio peculiare, oltre i generi, della scrittura del Novecento, fra letteratura, critica, storiografia, filosofia, risponde insomma ad una ragione essenziale. Le relazioni illustrate, narrate e raccolte in questo volume passano naturalmente attraverso il foro della scrittura di Croce, sotto forma di lettera, o di memoria, o di riflessione critica, e non solo perché nella maggior parte dei casi si tratta di relazioni intellettuali, e quindi testuali. Croce affida al registro epistolare, vale a dire autobiografico, la tensione oggettivante della scrittura storica, persino, come il lettore potrà in parte controllare, nelle lettere alla fidanzata Adele Rossi! Vi ricostruisce, ad esempio, con puntualità simultanea il conflitto filosofico con Gentile, venuto alla luce in quel drammatico scorcio finale del 1913. E all’impressionismo descrittivo-sentimentale delle lettere di Adele, risponde con un affettuoso ma imperioso consiglio metodologico e terapeutico, davvero rivelatore nell’intonazione privata che lo accompagna: NARRATE! L’autobiografismo trascendentale – come ebbe a definirlo Gianfranco Contini – così come emerge dall’opera di questo grande scrittore e grande moralista risulta, peraltro, organico ad un pensiero dialogico, impegnato nella questione dell’«essere-insieme», della cooperazione antagonistica delle idee necessaria al progredire delle società.
Nel segno di siffatta dialettica, mi sono provata a illuminare situazioni e vicende non soltanto «dalla parte» di Croce. Un caso limite è rappresentato dalle pagine dedicate al maestro caro alla mia generazione, Salvatore Battaglia, professore dell’Università di Napoli dal 1938 al 1971, maestro dell’italianistica e di una moderna comparatistica intesa quale omogeneo approdo della filologia romanza. Estraneo alla frequentazione di Palazzo Filomarino, ma non allergico alla visione estetica di Croce, come era stato invece il suo predecessore sulla cattedra di letteratura italiana, Giuseppe Toffanin, Battaglia fu certo, come collaboratore dell’Enciclopedia, vicino a Gentile. E però nella sua pagina il senso della gerarchia estetica, l’autonomia e centralità della dimensione testuale, il significato totalizzante dell’esperienza critica, la discussione non refrattaria bensì interlocutoria, com’è stato sottolineato, delle tesi crociane a proposito di Dante, attestano una singolare, quasi data per scontata, consentaneità, di natura già post-crociana. Si tenga conto inoltre, al fine di commisurare una posizione così equilibrata, che la cultura napoletana è stata invece tempestiva produttrice di anti-crocianesimo, così come lo era stata di crocianesimo inerte e, in quanto tale, dannoso e controproducente.
Altrettanto significativa, per ragioni affatto diverse, mi è apparsa la traiettoria esistenziale e letteraria di Gustaw Herling, dalla Polonia al Mondo a parte del Gulag, fino a Napoli. Dall’ammirata lettura giovanile della crociana Storia d’Europa, che segna il suo itinerario di perseguitato e di esule, alla condizione di prossimità parentale col filosofo, lo scrittore dispiega presto una serie di originali interpretazioni dell’immaginario e della topografia metaforica siglati dall’autore delle Storie e leggende napoletane.
In tal senso, l’idea di questo libro venuto su negli anni per progressive addizioni e giunte, testimonia innanzi tutto la ricerca di chi, nel riflettere sul testo crociano nella sua mobilitazione permanente (secondo una pratica critica che negli anni Ottanta non incontrò immediato consenso), è attratto da quegli spazi relazionali e connettivi, così consustanziali ad un filosofo socievole se mai ve ne furono: un vero individuo-mondo, come egli stesso ebbe a definirsi in una lettera a Vossler, citando Bergson. L’attenzione all’altro, alla situazione, è appunto costitutiva, secondo Croce, della parola filosofica, quando sia intesa nei termini di risposta a domande e a bisogni, in una visione opposta a quella del personaggio del «Filosofo dell’Essere» (che egli si illuse di aver fatto perire). In ragione del carattere dialogico della parola crociana, la mia analisi si è spesso concentrata sulla dimensione epistolare, implicita o esplicita.
Come mostrano le Appendici, i testi editi e inediti presi in esame implicano, nel rovescio della trama, gruppi di lettere (ad esempio i carteggi con gli scrittori da lui considerati nella Letteratura della nuova Italia) o di pagine modificate o espunte (quelle su Antonio Labriola, rivelatrici del complesso rapporto intrattenuto con il più incisivo dei suoi maestri prossimi). La ricerca si è perciò svolta sempre all’insegna di una considerazione ampia, di tipo intertestuale, del resto consentita dal modo di lavorare di Croce. L’opera crociana configura, infatti, dal primo Novecento fino al secondo dopoguerra, un sistema in movimento, aperto da tutti i lati e dove si entra da tutte le porte, proprio perché il suo autore si realizza in esso totalmente e processualmente, riprendendo di continuo tra le mani le carte, per rileggerle e riordinarle e bene spesso riscriverle, tenendo in riparazione e tornando ognora ad interrogare i suoi oggetti. Alla corrispondenza interna tra le parti fa riscontro la consapevolezza dinamica della situazione nella quale e verso la quale il testo è orientato e prende senso. E dunque, giova sempre ricordare che l’ultimo libro pubblicato da Croce nell’edizione laterziana delle Opere è costituito dal carteggio con Vossler – che ora si legge con profitto nell’edizione critica realizzata da E. Cutinelli Rendina – a testimoniare il privilegio attribuito alla forma epistolare da parte di questo ultimo grande umanista europeo. Di siffatta condizione estrema di «sentinella nella notte», il filosofo ricavò, come emerge con evidenza proprio da quel carteggio, una ideologia militante di riparazione e contro-misura, rispetto a quanto, ai suoi occhi, si deteriorava e veniva meno.
In modo analogo, si deve considerare l’attività intellettuale del filosofo, oltre che nella sua diretta tensione catalizzatrice, in quanto presenza che di fatto modifica, per il solo esserci, gli ambiti culturali e i profili delle personalità, di quelle più estranee come di quelle dichiaratamente oppositrici, le quali si trovarono ad operare all’interno o nei paraggi della sua orbita. Intellettuali rilevantissimi nella storia della cultura italiana, come Papini e Borgese, dopo una prima fase di adesione, per tutta la vita giocarono la propria pagina e immagine contro Croce; ma anche tante personalità maggiori e minori, in misure differenti, e a volte con movenze insospettabili, si trovarono comunque a «dover fare i conti» talora con l’Opera, ma più spesso – e sempre più spesso nell’ultimo cinquantennio – con lo stereotipo o con l’estrinseco formulario attribuito al filosofo divenuto icona.
Il primo Novecento rimane, per questo verso, la stagione fondativa e assoluta della storia che costituisce il paesaggio con figure qui tracciato. È l’epoca della «lotta delle idee», del primato della cultura, di rapporti intellettuali non pacifici ma, nell’accezione letterale, edificanti – resta esemplare quello tra Croce e Giuseppe Prezzolini – che restituiscono la pluralità feconda di un modello culturale complessivo, egemone ed agonistico, non più realizzato in seguito, dopo la prima guerra mondiale. Ci sono da registrare, è vero, le inquietudini e le esperienze drammatiche che poi segnano il contesto europeo tra le due guerre. Nello stesso tempo, però, si consuma il capitale assiologico, vale a dire la centralità della cultura come punto dominante rispetto al fare, il residuo del sogno primonovecentesco del «partito degli intellettuali», nulla di meno che di determinare la realtà mentale e politica della nuova Italia. La parabola di Croce offre, per l’alta definizione del suo programma, una prospettiva privilegiata allo storico di tale processo. Esiste sempre, naturalmente – ce lo ricorda la semiotica storica di Lotman – una «inevitabilità della cultura». Pure, se è lecito, in via conclusiva, fermare per un momento lo sguardo sulla condizione contemporanea, appare oggi profondamente modificata la dinamica tra produzione di informazioni-valori e produzione di caos, e soprattutto la funzione di quest’ultima come progressiva alimentazione del modello culturale, al quale forniva, per dir così, materiali linguistici da ordinare e regolare. Il risultato, per ora, è l’ossificazione della cosiddetta civiltà, che si limita a restituire i significati anteriori in clichè, in nomi svuotati di senso e, proprio in quanto leggeri, velocemente e largamente trasmissibili. La descrizione si attaglia in particolare all’ultimo scorcio del secolo scorso, particolarmente in Italia, secondo una immagine che nella coscienza comune configura un non-processo, tra polarizzazioni bloccate, falsi movimenti, fermo indistinto delle ideologie in assenza di vere antitesi, diffuso stand-by della mozione etica.
In questo percorso novecentesco, verificato nel diverso articolarsi dei dintorni e dei gruppi intellettuali, la presenza polarizzante e perciò regolatrice di Croce sembra non essersi realizzata che nella sindrome del «ritorno» e dunque nella forma della discontinuità, proprio com’era accaduto, con medesimo dispositivo intermittente – fra solitudine e storia – a Francesco De Sanctis.


Appendice

Indice ragionato e storia del libro

Questo libro è nato, come idea, dai corsi di storia della critica letteraria tenuti negli ultimi due anni presso l’Istituto Italiano per gli studi storici: ai question time con borsisti provenienti dalle università d’Italia, d’Europa e non solo, debbo gli approfondimenti e le utili digressioni che ne hanno determinato l’orientamento didascalico.
I saggi raccolti sono stati scritti nell’arco di un ventennio, come anticipazione o svolgimento o corollario delle questioni affrontate nei libri sulla scrittura critica e sul modello culturale rappresentato da Croce - da Retorica e idealismo. Croce nel primo Novecento (1987) a La Biblioteca e il Dragone. Croce, Gentile e la letteratura (2001) - e intrattengono un rapporto di complementarità con il volume più recente pubblicato da Marsilio La lingua laica. Una tradizione italiana. Il più antico, Papini, Borgese, Crémieux e l’année-pivot risale al 1984, anno del convegno siciliano dedicato a Borgese: con molte modifiche, ma senza aggiornamento bibliografico, è stato incluso perché illustra uno dei retroscena della vicenda raccontata nel saggio più recente, Croce Oxford, 1930 [«Intersezioni», 27(2007), n.2].
Ho voluto delineare una sequenza significativa, dove la prima parte è focalizzata sul primo Novecento, salvo il saggio Il ritorno di Croce. Gli anni Novanta, sintesi introduttiva e polemica, pubblicato nella rivista di Gaetano Macchiaroli «La città nuova», 5 (1990, n. 1; il cap. su Dalle memorie di un critico riprende l’introduzione e l’appendice di lettere inedite che accompagnavano il testo crociano nell’edizione a mia cura pubblicata dalla casa editrice napoletana Fiorentino, nel 1994; i due capp. intorno al rapporto Croce-Prezzolini provengono rispettivamente dal Convegno fiorentino organizzato da Cosimo Ceccuti nel 2002 Prezzolini e il suo tempo (gli Atti sono stati pubblicati dalla casa editrice Le Lettere nel 2003) e dal convegno newyorkese tenutosi, grazie alla collaborazione fra l’Italian Academy e il Gabinetto Vieusseux, alla Columbia University nel marzo 1993 (Prezzolini in the American Years, Vanni, Firenze-New York 1994).
La Parte II circoscrive i rapporti con gli intellettuali-professori,rapporti peraltro così centrali nelle pagine polemiche di Croce, illustrati a differenti livelli di prossimità e in differenti soglie cronologiche: il saggio su Labriola fu presentato in forma di relazione all’Università di Mosca nel 2002, nella giornata di studi su Croce e il liberalismo, organizzata da Dario Antiseri e pubblicato nel volume Croce a Mosca nelle edizioni della LUISS nel 2004; il cap. dedicato a Zingarelli ed alla scuola storica meridionale riprende la relazione al Convegno foggiano del 1996, Nicola Zingarelli: umanità e scrittura; i due ritratti di Luigi Russo e di Salvatore Battaglia sono stati scritti per il volume VIII della Storia della Sicilia. Pensiero e cultura letteraria (Editalia, Roma 2000). Il saggio su Croce, Gentile e il caso Spinazzola è stato pubblicato su «L’Acropoli», a. VI (2005), fasc. 6, pp. 662-81.
La Parte III, dedicata alla cerchia familiare, si articola a comprendere figure di amici di famiglia quali furono senz’altro Ricciardi e Flora, il primo saggio costituisce l’introduzione al Carteggio Croce-Flora, a cura di E. Mezzetta, pubblicato nella collana dell’Istituto italiano per gli studi storici, presso la casa ed. Il Mulino nel 2008.
Le pagine sull’epistolario di Riccardo Ricciardi ripropongono il testo che introduceva la plaquette pubblicata in occasione della donazione del fondo Ricciardi alla Biblioteca Nazionale di Napoli, da parte della famiglia Mattioli, nel 2000.
Le pagine su Gustaw Herling, riprendono la post-fazione al libro di Herling Conversazione sul male (l’ancora del mediterraneo, 2000) e la relazione, inedita in italiano, tenuta al Colloque international "Autour de la vie et de l'oeuvre de Gustaw Herling-Grudzinski", organizzato dal Centre de civilisation polonaise de l'Université de Paris – Sorbonne, Paris, Université de Sorbonne e Institut Polonais, 16 - 17 maggio 2003. Una cerimonia per una signora che “non fa cerimonie”, in Napoli per la difesa della cultura e dell’ambiente, è il discorso, a me assai caro, pronunciato in occasione del Premio Roberto Cortese 2004 conferito alla Dott.ssa Alda Croce, «Quaderni della Fondazione Guido e Roberto Cortese», Napoli, 2004, pp. 19-25. Infine, Qualche cosa di Adele Rossi, si trova in Croce in Piemonte. Atti del convegno di studi, Torino-Biella, 8-9-10 maggio 2003, a cura di Clara Allasia, prefazione di Marziano Guglielminetti, Napoli, Editoriale Scientifica, 2006.
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