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VITA AVVENTUROSA E MORTE VIOLENTA DI UN ANARCHICO MERIDIONALE: CARLO TRESCA
di Antonio Alosco
Carlo Alberto Tresca, nato a Sulmona (l’Aquila) il 9 marzo 1879 da una famiglia di proprietari terrieri poi decaduta, frequentò le scuole tecniche senza conseguire il diploma. Venne attratto giovanissimo dalle tematiche sociali e dalle lotte operaie di fine Ottocento della sua terra, soprattutto dei contadini e dei ferrovieri, del cui sindacato divenne in seguito segretario, aderendo alla locale sezione socialista nel 1901. Partecipò quindi alle prime battaglie elettorali a fianco di un suo autorevole conterraneo, Arnaldo Lucci, anch’egli di Sulmona, di otto anni più anziano di lui.
Già nel periodo 1903-1904 subì arresti e condanne lievi per reati politici, quali quelli per grida sediziose o diffamazione a mezzo di stampa del capitano dei carabinieri dell’Aquila per una campagna antimilitarista del 1903. Aveva iniziato infatti la collaborazione al giornale «Il Germe», divenendone ben presto editore e direttore e indirizzando il foglio soprattutto in senso violentemente anticlericale. In seguito ad un’altra campagna ritenuta diffamatoria, Tresca venne condannato a due anni, sei mesi e dieci giorni nel mese di maggio 1904.
Per evitarla preferì di riparare all’estero, raggiungendo Chiasso e poi Ginevra nel luglio successivo.Qui ebbe l’occasione di incontrarsi con un altro esule socialista, destinato a ben più larga fama, Benito Mussolini, col quale discusse un’intera notte, al termine della quale, all’atto dei saluti alla stazione, il futuro duce disse a Tresca di considerarlo “poco rivoluzionario.”. A sua volta quest’ultimo giudicava Mussolini di carattere debolmente temperato ed inconsistente.
Alcuni giorni dopo, esattamente il 26 luglio 1904, Tresca giunse a New York, dove viveva con suo fratello, Ettore, medico, cittadino americano, anch’egli socialista e poi dedicatosi esclusivamente alla professione e pertanto successivamente radiato dallo schedario dei sovversivi.
All’inizio del secolo scorso l’America era considerata una terra giovane, libera, dalle possibilità smisurate, non a caso in quello stesso periodo lo stesso Mussolini aveva pensato di trasferirvisi.
L’anno seguente Tresca veniva raggiunto dalla figlia e dalla moglie Helda Guerra, di Forlì dalla quale in seguito divorzio, anche a causa del suo legame con Elisabeth Gurley Flynn, la giovane irlandese ribelle dagli occhi cerulei. Tresca, contrariamente alla forte aspirazione della maggior parte degli immigrati anelanti alla naturalizzazione, non chiese mai la cittadinanza americana, ritenendosi sempre cittadino del mondo. A Filadelfia continuò la militanza socialista nella Federazione Italiana, a cui dette un dinamico impulso (le sezioni passarono in breve tempo da sei a novantuno) dirigendo l’organo, «Il Proletario». Se ne distaccò però qualche anno dopo, aderendo al comunismo libertario di Enrico Malatesta, che costituì da allora un suo preciso riferimento di carattere ideologico e ancor più di azione, in contrapposizione anche feroce (come avviene fra parenti) con le concezioni individualiste rappresentate negli USA dal nucleo del giornale «L’Adunata dei Refrattari». A questo si collegò inaspettatamente, considerata tutta la sua precedente attività di malatestiano e di sindacalista dell’ USI, Armando Borghi, durante il suo periodo di permanenza in America.
L’anarco-comunismo, di marcato contenuto sociale non portava certamente all’isolamento e al rifiuto totale di ogni organizzazione, ma spingeva all’azione diretta per il miglioramento delle condizioni di vita delle classi subalterne, le cui agitazioni fino allo sciopero generale - a differenza dei sindacalisti rivoluzionari - costituivano il mezzo e non il fine.
Fondò e diresse quindi a Pittsburgh, dove Tresca si era trasferito in seguito ad una condanna per aver diffamato il console italiano di Filadelfia un nuovo settimanale, «La Plebe», di cui poi venne revocato il permesso di pubblicazione in seguito ad una denuncia per diffamazione da parte di un prete, tale rev. Falconi, colto in flagranza e fotografato in atteggiamento troppo affettuoso con una sua parrocchiana. Si dovette pertanto trasferire a New Kensington ( Pensylvania ), stampando nel 1909 un altro giornale, «L’Avvenire».
Il foglio però che maggiormente esprimeva in modo autentico la visione politica Tresca, fu sicuramente «Il Martello», settimanale di battaglia. Il sottotitolo era significativo e rappresentava quasi un programma: si dimostrò tale in tutta la sua lunga esistenza. Esso, cosi come i giornali precedenti, non di rado dovette interrompere le pubblicazioni per mancanza di fondi.
Tresca, già subito dopo il suo arrivo in America, s’impegno in modo frenetico nell’attività sindacale sotto l’egida degli I.W.W. (Industrial Worchers of the World), alla cui fondazione aveva partecipato a Chigaco nel 1905, un’organizzazione radicale legata all’ estrema sinistra di quel paese. Tresca fu tra i promotori di innumerevoli agitazioni, nel corso delle quali quasi sempre si verificavano scontri cruenti con le forze dell’ordine. Si citano qui quelle più significative. Nel 1912 egli organizzò insieme a John Reed uno sciopero dei tessili a Lawrence (Massachusetts), dove vi furono prolungati disordini; l’anno seguente, a New York, egli fu il principale promotore, insieme ad Elisabeth Guerley Flynn, dello sciopero dei lavoratori degli alberghi, che ebbe molta risonanza sulla stampa anche perché vi furono scontri e tafferugli con la polizia. Particolarmente gravi quelli scoppiati nello stesso 1913, nei setifici Paterson, New Jersey, che era una roccaforte dell’emigrazione anarchica negli USA, dove si stampava già dalla fine dell’Ottocento «La Questione sociale». A Paterson, aveva soggiornato dirigendo per un certo periodo il foglio lo stesso Malatesta e da qui era partito Arnaldo Bresci. Durante lo sciopero venne ucciso un dimostrante; Tresca denunciò il comportamento della polizia in termini molto duri venendo accusato di discorso sedizioso e di avere sobillato i manifestanti, ma successivamente assolto. Egli peraltro non era alieno dall’uso della violenza, ma solo di quella - come dichiarò in un’intervista – che faceva progredire la causa del lavoro. Era decisamente contrario a quella individuale sfociante in atti terroristici. Quando egli si procurò una pistola, il cui possesso era autorizzato da un porto d’armi, concesso per minacce ricevute, nel funzionamento fu talmente maldestro da ferirsi a un piede.
Una situazione quasi identica a Patterson si presentò nello sciopero del 1916 delle miniere di giacimento di ferro nel Minnesota, dove uno dei manifestanti venne ammazzato dalla polizia. Al funerale Tresca invitò i presenti ad aderire ad un solenne giuramento di fede rivoluzionaria. Nel luglio dello stesso anno Tresca si reco nel Nord Minessota, a Masaba Renge, per organizzare in quel distretto minerario uno sciopero che, nelle intenzioni dei promotori, era finalizzato a paralizzare l’intera industria dell’acciaio. Lo sciopero assunse in tutta la zona caratteri di estrema violenza, tanto che uno degli agenti, certo James Myron (“deputy sceriff”) venne ucciso. Tresca venne arrestato insieme ad altri otto compagni e rinchiuso nel carcere di Duluth per istigazione all’omicidio. La vicenda ebbe molta risonanza sulla stampa americana e rimbalzò in modo eclatante in Italia. Qui vennero promosse manifestazioni in tutte le principali città e nella terra d’origine (Sulmona e l’Aquila) in sostegno di Tresca, che si pensava rischiasse la pena di morte, cosi come avvenuto qualche anno primo, per l’identica accusa rivolta a Ettor e Giovannitti, poi prosciolti. Vi furono interpellanze parlamentari, firmate dai più autorevoli deputati socialisti: Turati, Rigola, Serrati, quest’ultimo direttore dell’Avanti !che aveva conosciuto Tresca in America all’inizio del secolo, e venne costituito un comitato centrale di agitazione in suo favore. Per la verità, le notizie di cui si disponeva in Italia non erano molto precise e risultavano ancor più allarmanti, in quanto nel Minnesota la pena di morte era stata abolita già nell’ aprile del 1911.
Inoltre si sosteneva l’uccisione di un dimostrante e non, come era in realtà, di un agente.
Costantino Lazzari, segretario del PSI, in quel contesto di mobilitazione, in una intervista all’«Avanti!» del 15 dicembre 1916 definì Tresca «non aderente al nostro partito, ma mai schieratosi contro il nostro movimento». La qualificazione, al di là dell’aspetto emotivo, era vera e rappresentava in modo corretto l’azione politica di Tresca allora ed anche in futuro verso il suo ex partito. Egli era in sintonia con le posizioni antinterventiste ed antimilitariste dei socialisti italiani e per questo l’episodio di cui era protagonista fece riaccendere le polemiche e le contrapposizioni tra le opposte fazioni e assunse i caratteri relativi alla guerra in atto.
Tresca venne accusato, anche perché più d’uno degli imputati aveva un nome tedesco, come Schimdt, di avere provocato i disordini in sostegno all’Austria e alla Germania. In realtà, Tresca aveva avuto sempre, coerentemente, una posizione antimilitarista sia in riferimento alla guerra libica, sia alla prima guerra mondiale, sia successivamente in relazione a quella etiopica. Solo durante il secondo conflitto mondiale, per le sue radicate convinzioni anti-fasciste ed antinaziste, appoggiò lo schieramento delle democrazie alleate, collaborandoanzi con gli organismi creati a tale scopo come la Lega antinazista ed anche con l’ FBI, dacui era stato per tutta la sua vita sorvegliato e perseguitato, per scoprire eventuali agenti del nemico nella comunità italo-americana.
Nei giorni seguenti comunque l’accusa venne ritirata perché insostenibile in quanto Tresca, al momento dell’omicidio avvenuto a Biwabik (MI) si trovava a 30 Km. di distanza da tale località.Nel dopoguerra si impegnò molto attivamente nel comitato di difesa di Sacco eVanzetti, gli anarchici italiani arrestati nell’ aprile del 1920 e poi giustiziati.
Nell’estate del 1923 Tresca venne arrestato per avere distribuito attraverso le poste dello Stato materiale pornografico. In realtà l’accusa, promossa su istigazione dell’ambasciata italiana turbata dalla violenza degli attacchi di Tresca al fascismo, alla monarchia e al clero, riguardava la stampa e la pubblicità sul «Martello» di opuscoli sul controllo delle nascite di matrice neo-maltusiana. L’imputato venne condannato nel novembre successivo ad una pena molto dura (un anno ed un giorno) ma Fiorello La Guardia, che lo aveva difeso in tribunale, allora deputato alla Camera dei Rappresentanti, chiese in pieno Congresso clemenza al Presidente degli Stati Uniti. Il presidente Coolidge, dopo quattro mesi di carcere, concesse a Tresca l’indulto anche perché le pressioni diplomatiche italiane erano divenute di pubblico dominio e ciò aveva provocato una risentita reazione della stampa e dell’opinione pubblica.
Il rapporto con La Guardia, futuro Sindaco di New York, non fu occasionale e negli anni successivi Tresca si dichiarò disposto a collaborare con lui, che rappresentava una di quelle autorevoli autorità schierate in difesa del Sindacato nel suo complesso e che veniva attaccato dai Fascisti per il suo atteggiamento ostile alla dittatura.
Tresca era radicalmente avverso al Fascismo; avversione che si dispiegò in tutti i modi possibili: sul piano teorico e dell’azione implacabile conseguente. Egli divenne Presidente del Comitato Antifascista del Nord America, scrisse delle satire rappresentate in teatro su Mussolini, conosciuto, come abbiamo visto, in gioventù in Svizzera, che Tresca considerava il più grande clown italiano. Venne anche coinvolto in un episodio di violenza, in collaborazione con i comunisti Italiani Vittorio Vidali e Mario Giletti, (quest’ultimo un giovane napoletano in veste di sicario poi vittima egli stesso in Siberia nei lager staliniani), da cui era scaturita l’uccisione di due esponenti fascisti, Joseph Carisi e Nicolas Amoruso (il cui vero nome era Nicola D’Ambrosoli). Si tentò si accusare Tresca perché questi pubblicò per l’occasione un articolo sul «Martello» dal titolo “Non Mollare” di apologia del duplice omicidio senza mezzi termini, come era nel suo stile.
Nei confronti dei comunisti la posizione di Tresca era più articolata e va circostanziata, soprattutto in riferimento alla rivoluzione russa. All’inizio, così come i rivoluzionari di tutto il mondo, Tresca salutò con favore l’avvento del regime sovietico, considerando la dittatura del proletariato una necessità storica transitoria verso l’instaurazione di un comunismo libertario. Deluso per l’instaurarsi invece in quel Paese di un regime burocratico egemonizzato non dal proletariato ma dal partito unico, quello bolscevico, persecutorio verso ogni dissidenza anche di matrice anarchica, che si accentuarono dalla metà degli anni Trenta con le criminali ‘purghe’ staliniane, Tresca, anche in seguito ai massacri avvenuti a Barcellona si antifascisti italiani e di anarchici tra i quali Camillo Berneri, si schierò decisamente contro l’Unione Sovietica e il comunismo internazionale di diretta derivazione.
Anzi, fece parte nel 1937 del Comitato presieduto da John Dewey, il noto filosofo e pedagogista americano teorico del pragmatismo, che assolse da ogni colpa Leone Trotskij dalle accuse mossegli da Stalin. Testimoniò poi presso le autorità giudiziarie sull’assassinio
dell’ex agente russo Julia Stuart Pointz, denunciando le attività del GPU in America.
Negli anni seguenti sposò Margaret De Silver, una ricca vedova troschista. Ciò lo rese nemico implacabile dei comunisti e provocò la definitiva rottura con Vidali.
Negli anni del secondo conflitto mondiale si impegnò attivamente negli organismi operanti negli USA contro il fascismo e il nazismo, e aderì alla più prestigiosa associazione avente tale finalità, la Mazzini Society, nel cui interno però fu fermamente ostile all’immissione degli ex fascisti italo- americani (tra i quali il potente editore Generoso Pope del «Progresso»,giornale che aveva orientato la grande maggioranza dei compatrioti in favore del regime) e dei comunisti, da escludere - secondo la sua opinione - anche dal costituendo consiglio della Vittoria.
L’11 Gennaio 1943, Tresca, dopo una infruttuosa attesa nella sede del suo giornale di altri dirigenti per iniziare una riunione sulla Mazzini, sceso sulla via, mentre si recava al ristorante dove l’aspettava la moglie, venne ucciso all’angolo della Quinta Strada. Egli era in compagnia di Giuseppe Calabi, un avvocato antifascista ebreo, padre di Tullia e suocero di Bruno Zevi, il quale aderiva alla società mazziniana e in tale veste si era instaurata la collaborazione con Tresca, pur essendo egli un fervente liberale molto lontano quindi dalle idee dell’anarchico. Firmava, infatti, i suoi articoli con lo pseudonimo di Old Liberal, secondo la testimonianza di Tullia Zevi. Calabi non fu in grado di riconoscere il killer anche per la scarsa illuminazione delle strade americane nel periodo bellico.
Venne individuata subito la matrice politica dell’omicidio e vennero privilegiate due strade: una portava a Roma, l’altra a Mosca. Quella fascista o ex fascista è poco convincente.
Propendiamo per la seconda anche perché indicata dallo stesso Tresca poco prima della morte. Egli infatti riferì a più persone di avere visto aggirarsi per New York Vittorio Vidali, alias Enea Sormenti, alias Carlos Contreras, agente internazionale del GPU, che aveva già partecipato attivamente ai massacri in terra spagnola e all’assassinio di Trotskij in Messico, per cui , alla sua vista Tresca, che già temeva per la sua vita per mano comunista, aveva già avvertito “puzza di omicidio”.
La pista comunista venne individuata dalla stampa e da molti dirigenti politici dell’epoca,quantunque Vidali mostrasse nei giorni seguenti una foto che lo ritraeva l’11 gennaio in Città del Messico. La giustificazione appare inconsistente. Comunque il delitto restò impunito nonostante la pressione di autorevoli personalità sulle autorità per fare chiarezza, tra i quali il famoso romanziere roosveltiano John Dos Passos e Norman Thomas, leader socialista americano sette volte candidato alla presidenza degli Stati Uniti, che capeggiò un comitato costituito a tal fine.
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