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Garantismo. Un accostamento all’opera di Luigi Ferrajoli
di Dario Ippolito
1. La parola “garantismo” si afferma nel lessico del diritto e della politica negli ultimi decenni del XX secolo, anche se le sue prime occorrenze sono assai più risalenti. Nel 1970 il Grande Dizionario della Lingua Italiana di Salvatore Battaglia attribuisce alla parola due significati strettamente congiunti. Garantismo è, in primo luogo, il «carattere proprio delle più evolute costituzioni democratico-liberali, consistente nel fatto che esse predispongono congegni giuridici sempre più sicuri ed efficienti (come il controllo di costituzionalità delle leggi ordinarie) al fine di assicurare l’osservanza delle norme e dell’ordinamento da parte del potere politico (governo e parlamento)». In secondo luogo, è la «dottrina politico-costituzionale che propugna una sempre più ampia elaborazione e introduzione nell’ordinamento di tali congegni». Garantismo come dimensione specifica del costituzionalismo rigido, si potrebbe parafrasare, e garantismo come teoria normativa del costituzionalismo rigido. Non è attestato, invece, nella sede indicata, il significato comune e corrente con cui il termine garantismo è usato (e spesso abusato) nel linguaggio politico e giornalistico in riferimento ai canoni di legittimità dell’amministrazione della giustizia penale. Tale mancanza si spiega facilmente sulla base del dato storico-cronologico che la compilazione della voce del Grande Dizionario precede l’assunzione del termine “garantismo” come denominazione della teoria liberale del diritto penale, elaborata, sulla base dell’eredità giusfilosofica dell’illuminismo, negli ambienti progressisti della cultura giuridica italiana a partire dalla seconda metà degli anni ’70.
    La fortuna del termine “garantismo” e la diffusione delle dottrine giuridico-politiche con esso designate si legano strettamente all’attività scientifica, culturale e civile di Luigi Ferrajoli, teorico e filosofo del diritto, autore dell’opera Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale1, che ha suscitato un vasto e durevole dibattito internazionale, non soltanto nei circoli accademici, ma anche tra gli operatori del diritto e a livello politico-legislativo, influenzando profondamente, in particolare, la cultura giuspenalistica iberica e sudamericana. Oltre alla più compiuta e sistematica concezione del garantismo come filosofia della giustizia penale, a Ferrajoli si deve il maggiore contributo analitico alla definizione del garantismo come teoria dello Stato, rispetto alla quale il garantismo penale si presenta come una specifica declinazione, storicamente più antica (ma comunque piuttosto recente), giuridicamente più radicata (ma comunque sempre fragile), culturalmente più condivisa (ma comunque ancora minoritaria).
    
2. Nella sua portata globale di teoria dello Stato, il garantismo tematizza il mutamento di paradigma giuspolitico generato, nella configurazione dell’ordinamento giuridico e nella struttura della democrazia, dall’evoluzione dello “Stato legislativo di diritto” in “Stato costituzionale di diritto”: due modelli distinti di organizzazione politica, tendenti, in misura diversa, alla realizzazione dell’antico ideale del “governo della legge”, ovvero alla costituzione di una forma statuale in cui i poteri pubblici sono regolati e limitati dal diritto in funzione della tutela degli individui.
Lo Stato legislativo di diritto rappresenta la prima approssimazione a questa meta politica. La sua nascita coincide infatti con l’affermazione del principio di legalità come norma di riconoscimento del diritto esistente/valido. In base ad esso, è “diritto” tutto e solo l’insieme delle norme prodotte dagli organi competenti in conformità alle norme sulla loro produzione. Lo Stato acquisisce così il monopolio della produzione giuridica, ponendo fine all’epoca del diritto giurisprudenziale, caratterizzata dalla centralità della dottrina e della giurisdizione come fonti del diritto e dalla prevalenza di un criterio di individuazione delle norme giuridiche di tipo sostanzialistico, improntato alla concezione etico-cognitivistica per cui “veritas non auctoritas facit legem”. Benché tale principio giusnaturalistico possa apparire intuitivamente più giusto e più razionale del postulato giuspositivistico “auctoritas non veritas facit legem”, soltanto quest’ultimo, ossia il principio di legalità alla base dello Stato di diritto, è in grado di assicurare, insieme alla sovranità della legge, quella precondizione della libertà e dell’uguaglianza che è la certezza del diritto, laddove il criterio dell’intrinseca razionalità e della giustizia tende a risolversi, come mostra l’esperienza giuridica premoderna, nel caos normativo e nell’arbitrio potestativo, non essendo il ius deducibile dalla iustitia, né la iustitia predicabile di veritas.
    Lo Stato legislativo di diritto, tuttavia, non costituisce la compiuta istituzionalizzazione del paradigma ideale dello Stato di diritto, nel quale l’ordinamento giuridico impone ai pubblici poteri lo scopo di salvaguardare i diritti soggettivi. La sua incompiutezza rispetto a un simile modello statuale consiste nel fatto che il carattere meramente formale del principio di legalità non vincola la legge a nessun fine determinato e non ne circoscrive in nessuna maniera il raggio d’intervento. La legge, che condiziona gli atti giuridici ad essa subordinati, assoggettando i poteri giurisdizionali, amministrativi, esecutivi e di autonomia privata di cui quegli atti sono esercizio, non subisce condizionamento alcuno: il potere da cui essa promana, dunque, resta un potere assoluto, dalla cui discrezionale volontà imperativa viene a dipendere l’esistenza e la tutela dei diritti soggettivi. Lo Stato legislativo di diritto, pertanto, può definirsi uno “Stato legale” più che uno Stato di diritto in senso stretto, in quanto formalizza un sistema di governo per leges, ma non sub lege2.
    
3. L’assoggettamento di tutti i poteri al diritto (potestà legislativa compresa) si compie solo con il passaggio allo Stato costituzionale di diritto (o Stato di diritto in senso stretto) caratterizzato dall’ordinamento giuridico a costituzione rigida. La rigidità e la superiorità gerarchica delle norme costituzionali, assicurate dalla predisposizione di un procedimento aggravato di revisione costituzionale e soprattutto dall’istituzione di un sindacato giurisdizionale di costituzionalità, condizionano la legge alla coerenza con i significati delle norme di grado sopraordinato, introducendo un principio di legalità sostanziale che integra il principio di legalità procedurale relativo alle competenze e alle forme della produzione legislativa. Questa duplice dimensione della legalità crea una dissociazione tra esistenza e validità delle norme di legge, venendo quest’ultima a dipendere non più soltanto, come la prima (con cui nello Stato legale coincideva), dall’osservanza delle norme formali sulla creazione del diritto, bensì anche dall’adeguatezza dei contenuti normativi delle leggi ai contenuti normativi della costituzione. Così, la positivizzazione di principi e valori di rango sopraordinato alla legge, e specificamente dei diritti fondamentali, stabilisce, all’interno dell’ordinamento, un dover esser costituzionale che riconduce sub lege anche il potere legislativo.
    Al completamento dello Stato di diritto, mercé l’espansione del principio di legalità e la giuridicizzazione della summa potestas (ancora legibus soluta nello Stato legale), corrisponde un mutamento nella natura della democrazia, che cessa di identificarsi con la sola dimensione politica del suffragio universale, della rappresentanza e del principio di maggioranza, cioè con le modalità, le procedure e i soggetti delle decisioni, e acquista una dimensione costituzionale di determinazione giuridica del potere, relativa al contenuto delle decisioni politiche, sottoposte all’osservanza dei diritti fondamentali, i quali, con il principio di uguaglianza, costituiscono le fondamenta assiologiche positive della democrazia costituzionale, ovvero di quella forma di democrazia che incorpora i principi e gli scopi dello Stato di diritto come elementi costitutivi del proprio ordinamento.
    I diritti fondamentali attribuiti dalle norme costituzionali (alle persone e/o ai cittadini e/o ai soggetti capaci d’agire), e, in particolare, i diritti di libertà, consistenti in aspettative giuridiche negative (di non lesioni), e i diritti sociali, consistenti in aspettative giuridiche positive (a prestazioni), sono sottratti, in virtù della loro posizione al vertice della gerarchia delle fonti, alla disponibilità (non solo dei loro titolari, ma anche) del potere politico, rispetto al quale si impongono come altrettanti limiti e vincoli, le cui violazioni e le cui inottemperanze si manifestano come antinomie e come lacune dell’essere legislativo del diritto rispetto al suo dover essere costituzionale. È dunque evidente che, dato il carattere nomodinamico dell’ordinamento giuridico, il grado di effettività dei principi e dei diritti stipulati a livello costituzionale dipende, in larga misura, dalle correlative garanzie e dalla loro attitudine a costringere i poteri pubblici all’osservanza dei diritti.
La prospettiva teorica del garantismo è una concezione dello Stato di diritto e della democrazia costituzionale che, prendendo i diritti sul serio, pone al centro della riflessione giuridica e della progettazione politica il tema delle garanzie, cioè di quelle tecniche normative finalizzate alla salvaguardia dei diritti soggettivi e consistenti in obblighi positivi (a commissioni) o negativi (ad omissioni) corrispondenti rispettivamente ad aspettative giuridiche positive o negative, le quali, se non soddisfatte o violate, legittimano l’aspettativa di riparazione, cui (a sua volta) corrisponde un obbligo giurisdizionale di riparazione, che rappresenta una garanzia di secondo grado rispetto a quelle di primo grado integrate dagli obblighi e dai divieti correlativi ai diritti. Rovesciando la tradizionale concezione imperativistica del diritto, che afferma l’inesistenza giuridica di diritti soggettivi privi di garanzie, la teoria del garantismo, nel riconoscimento del carattere normativo e sovraordinato dei diritti costituzionali, postula il nesso di implicazione deontica tra diritti e garanzie. Le quali, allorché non sono previste, devono essere introdotte: perché i diritti, che le esigono, in tanto esistono in quanto sono stati posti. Il garantismo, pertanto, si configura come la teoria del sistema delle garanzie dei diritti fondamentali, che analizza, valorizza ed elabora i dispositivi giuridici necessari alla tutela dei diritti civili, politici, sociali e di libertà3.

4. L’ambito giuridico in cui nasce il paradigma garantista è quello del diritto penale, la cui configurazione ha un impatto immediato sui diritti fondamentali, rispetto ai quali si pone da un lato come garanzia e dall’altro come minaccia. Garanzia della vita, dell’integrità e della libertà personale, per mezzo delle proibizioni e delle punizioni dei comportamenti lesivi di tali diritti, e minaccia dei medesimi diritti, attraverso le punizioni che sanzionano l’inosservanza delle proibizioni. Pertanto, se i diritti fondamentali necessitano della potestà punitiva dello Stato in funzione di garanzia, necessitano altresì di garanzie verso la potestà punitiva dello Stato. Il garantismo è, appunto, la teoria del diritto penale inteso come strumento di protezione dei diritti fondamentali tanto dai delitti quanto dalle pene arbitrarie, ovvero come sistema di garanzie idoneo a minimizzare la violenza nella società: quella criminale dei singoli individui e quella istituzionale degli apparati repressivi.
Ciò che distingue il paradigma garantista da altri paradigmi penalistici è, evidentemente, l’introduzione del secondo scopo (accanto a quello della dissuasione dal compimento di azioni proibite) assegnato al diritto penale, ossia la limitazione della reazione ai delitti. Limitazione che vuol dire regolazione della potestà punitiva dello Stato attraverso limiti e vincoli, imposti tanto alla legislazione penale quanto alla giurisdizione penale, al fine di restringere la prima alla tutela dei diritti e di ridurre la seconda a un’attività tendenzialmente cognitiva, finalizzata al corretto accertamento di dati giuridici e fattuali, come condizione di legittimità dell’esercizio del potere sanzionatorio. Il carattere distintivo delle decisioni giurisdizionali rispetto ad ogni altra specie di decisione giuridica (legislativa, amministrativa o negoziale) sta infatti nella sua dimensione teoretica, oltre che normativa. La giurisdizione ha come oggetto della sua attività fatti empirici e norme giuridiche, la cui verifica e la cui connessione formano il presupposto dell’atto giuridico in cui si esplica la sua dimensione normativa. Ciò significa che il legittimo esercizio del potere giudiziario, a differenza degli altri poteri (basati sul consenso o sull’interesse), trova fondamento esclusivamente nella “verità giudiziale”: quella giuridica, che richiede la soggezione del giudice alla legge, e quella fattuale, che richiede la formalizzazione di un adeguato metodo cognitivo. L’inquadramento della giurisdizione penale come sapere-potere e l’ancoraggio della legge penale alla difesa dei diritti dipendono da un insieme di garanzie sostanziali e processuali che la teoria del garantismo penale pone come parametri di giustificazione del potere di punire.
Le garanzie penali sostanziali sono criteri normativi e limitativi della previsione legale dei reati: il principio di tassatività, i principi di materialità e di offensività dei comportamenti punibili, e il principio di colpevolezza. Le garanzie processuali regolano l’intervento punitivo statale nella fase cruciale dell’accertamento giudiziario e sono i principi della presunzione di innocenza, dell’onere accusatorio della prova, del contraddittorio, della parità tra accusa e difesa, della terzietà del giudice, dell’oralità e pubblicità del giudizio, della motivazione delle sentenze, del ricorso in appello e dell’indipendenza della magistratura. Tutte insieme formano un sistema fortemente coeso, rivolto alla salvaguardia della libertà e alla minimizzazione dell’arbitrio punitivo4.

5. L’architrave del paradigma garantista del diritto penale, sul quale si regge l’intero assetto della giurisdizione come attività cognitivo-normativa anziché valutativo-potestativa, è costituito dal principio di tassatività o di stretta legalità. In campo penale il principio di legalità equivale alla prescrizione della riserva di legge: nullum crimen et nulla poena sine lege. La giurisdizione, in base a questo principio, è limitata allo ius dicere, cioè all’affermazione della legge, alla sussunzione dei fatti accertati alle norme legislative. Il principio di tassatività esige un rafforzamento della legalità penale rispetto alla denotazione normativa dei reati, al fine di assicurare la certezza del diritto e insieme la libertà e l’uguaglianza giuridica. Mentre il principio di legalità (di mera legalità) è una norma rivolta ai giudici cui ordina l’applicazione della legge, il principio di tassatività (di stretta legalità) è una norma rivolta al legislatore cui prescrive l’uso di termini dotati di estensione determinata nella formulazione legale delle fattispecie criminali. Il linguaggio penale, in base a questa regola metalegislativa, dev’essere quindi improntato alla univocità semantica.
I principi di offensività, di materialità e di responsabilità personale definiscono le condizioni necessarie a giustificare le proibizioni penali, identificando gli elementi costitutivi del reato nell’evento, nell’azione e nella colpevolezza. Il principio di offensività prescrive la delimitazione del campo del proibibile alle sole azioni il cui effetto consiste in un danno a terzi. In base ad esso la legge non può qualificare come reato un comportamento non lesivo di diritti altrui, perché nella tutela dei diritti risiede appunto lo scopo del diritto penale. Gli atti moralmente riprovevoli di un qualunque soggetto non sono quindi penalmente rilevanti se non quando offendono la sfera giuridica di altri soggetti. È chiaro che un simile principio normativo di tanto restringe l’autorità punitiva dello Stato di quanto espande le libertà degli individui, limitate soltanto dalla reciproca compatibilità. Il principio di materialità è strettamente collegato al precedente nella determinazione della classe dei comportamenti suscettibili di proibizioni legittime, affermando che solo le azioni esterne sono in grado di produrre danni a terzi e che pertanto non può darsi offensività senza esteriorità. Si tratta, evidentemente, di un principio di laicità giuridica che sottrae al disciplinamento penale l’interiorità della persona, innalzando una barriera a difesa della libertà individuale di coscienza e di pensiero contro le pretese potestative dello Stato, la cui affermazione può riguardare soltanto i comportamenti materiali e non le identità soggettive. Il principio di responsabilità personale identifica nella colpevolezza l’elemento soggettivo necessario alla qualificazione giuridica di un’azione offensiva come reato, escludendo dall’orizzonte del diritto penale la responsabilità impersonale o oggettiva o incolpevole.
L’insieme delle garanzie sostanziali valgono a vincolare le proibizioni legali ai soli comportamenti empirici dannosi, esattamente determinati, ascrivibili alla colpevolezza di un soggetto. In particolare, tutte insieme convergono a interdire al legislatore penale la produzione di norme costitutive di status criminali, cioè di norme che, invece di regolare i comportamenti dei destinatari istituendo divieti di azioni, creano situazioni di devianza in riferimento a condizioni soggettive. I principi di tassatività e di materialità, inoltre, valgono ad assicurare le condizioni di verificabilità o falsificabilità in astratto delle ipotesi di reato, senza le quali la giurisdizione penale perde il suo carattere cognitivo e traligna in potere arbitrario. Fattispecie criminali che non consistono in azioni o che sono indeterminate sul piano estensionale non sono infatti né verificabili né falsificabili, e pertanto rendono vane le garanzie processuali, consegnando alla discrezionalità potestativa del giudice l’esito del processo e la sorte dell’imputato.
Al contrario, in presenza di ipotesi di reato verificabili o falsificabili in astratto, il processo penale può consistere nella loro verificazione o falsificazione in concreto, dando luogo a un giudizio fondato sull’accertamento della verità processuale. Tale accertamento, riguardando fatti del passato, basa la sua attendibilità sul rispetto di un procedimento euristico di tipo induttivo, per prove e controprove. Le garanzie processuali richieste dal garantismo penale quali condizioni della corretta verificazione del fatto denotato come reato nell’ipotesi accusatoria consistono appunto in regole giuridiche che corrispondono ai criteri epistemici del ragionamento induttivo. La presunzione di innocenza equivale alla presunzione di falsità di una tesi non provata; l’onere della prova in capo all’accusa è l’onere di produrre conferme empiriche dell’ipotesi accusatoria idonee a suffragarne l’accettazione come vera; il contraddittorio nella parità delle parti antagonistiche rappresenta la messa alla prova dell’ipotesi dell’accusa attraverso la sua esposizione alle confutazioni e alle controprove prodotte dalla difesa; la terzietà e l’indipendenza del giudice, l’oralità e la pubblicità del procedimento, l’obbligo di motivazione delle sentenze e il diritto d’appello sono le regole che assicurano la correttezza del giudizio e la possibilità di un controllo su di esso. Nel loro complesso, queste garanzie compongono il modello cognitivo del processo penale orientato alla ricerca della verità e tendono quindi a proteggere l’innocente da ingiuste punizioni5.
    
6. La riduzione della giurisdizione alla sua funzione intrinseca di accertamento delle violazioni di legge, attraverso la cognizione del fatto e la ricognizione del diritto, è anche la condizione della sua legittimità, il cui unico fondamento risiede nella verità delle decisioni giudiziali, assicurata dalle garanzie penali (quali condizioni di verificabilità e falsificabilità) e dalle garanzie processuali (quali regole di verificazione e falsificazione). Da questo specifico fondamento di legittimità, del tutto distinto da quello di tipo consensuale espresso nel circuito istituzionale della rappresentanza politica, deriva la necessità dell’indipendenza degli organi giurisdizionali dagli organi deputati alle funzioni di governo. Il paradigma garantista, tendendo a neutralizzare l’arbitrio potestativo dei giudici, soggetti soltanto alla legge, edifica la giurisdizione come istituzione di garanzia, estranea alla logica democratico-maggioritaria del potere politico, ma ugualmente e profondamente democratica, in quanto finalizzata alla protezione dei “diritti di tutti”. In questo senso, e non come espressione della volontà generale, la giustizia è amministrata in nome del popolo, cioè nell’interesse di ciascuno dei singoli individui che empiricamente costituiscono il popolo6.




NOTE
1 L. Ferrajoli, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Roma-Bari, Laterza, 1989. Un’importante discussione su questo libro è raccolta in L. Gianformaggio (a cura di), Le ragioni del garantismo. Discutendo con Luigi Ferrajoli, Torino, Giappichelli, 1993. Di Ferrajoli si veda ora Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia, Roma-Bari, Laterza, 2007, 3 vols.^
2 Cfr. L. Ferrajoli, Lo Stato di diritto tra passato e futuro, in P. Costa e D. Zolo (a cura di), Lo Stato di diritto. Storia, teoria, critica, Feltrinelli, Milano, 2002, pp. 349-386.^
3 Cfr. Idem, Il diritto come sistema di garanzie, in «Ragion pratica», 1993, 1, pp. 143-161; Idem, Garanzie, in «Parolechiave», 1999, 19, pp. 15-32; Idem, Derechos y garantías. La ley del más debil, prefazione di P.A. Ibañez, Madrid, Trotta, 1999; Idem, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, a cura di E. Vitale, Roma-Bari, Laterza, 2001; e, da ultimo, Idem, Garantismo. Debate sobre el derecho y la democracia, Madrid, Trotta, 2006 (in risposta ai saggi raccolti in M. Carbonell e P. Salazar, Garantismo. Estudios sobre el pensamiento jurídico de Luigi Ferrajoli).^
4 Oltre a Diritto e ragione cit., si veda Idem, Garantismo e diritto penale, in «Dei delitti e delle pene», 1998, 3, pp. 107-123.^
5 Oltre a Diritto e ragione cit., si vedano Idem, Derecho penal mínimo y otros ensayos, Mexico, CEDH, 2006 e Idem, Garantismo penal, Mexico, Universidad Nacional Autonoma de Mexico, 2006.^
6 Cfr. Idem, Giurisdizione e democrazia, in «Democrazia e diritto», 1997, 1, pp. 284-304.^
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