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Gli Stati Uniti e il dibattito sugli aiuti militari all’Ucraina
di Alessandro Roth
1. Introduzione

Questo breve saggio si propone di discutere la questione se le forniture di armi all’Ucraina da parte degli Stati Uniti, effettuate o unilateralmente o assieme ad i loro partners della NATO e della UE, potrebbero essere considerate funzionali a fermare la guerra nell’Ucraina orientale. Esso non contiene una discussione dei fondamenti teoretici della questione, ma è piuttosto inteso come un’analisi empirica. Pertanto qui di seguito verranno forniti concisi resoconti circa gli interessi delle diverse parti coinvolte negli USA, nella UE, in Ucraina ed in Russia.
Negli Stati Uniti, sin dall’annessione della Crimea da parte della Russia nel marzo 2014 e a seguito dell’inizio delle ostilità negli oblast di Donetsk e Luhansk nell’Ucraina orientale, non si è cessato di dibattere sui modi di misurarsi con la Russia sull’Ucraina. Dalle trattative tra l’Ucraina, le repubbliche secessioniste di Luhansk e Donetsk, e la Russia su una tregua tra le forze ucraine e le milizie separatiste dell’Ucraina orientale è scaturito il primo Accordo di Minsk, che fu sottoscritto nel settembre 2014, ma non diede luogo a risultati apprezzabili, come non li ha prodotti il successivo accordo tra la Francia, la Germania e la Russia del febbraio 2015, chiamato Minsk II (Prudnyk, 2016); Morelli, 2017, p. 42). Pur se il presidente Barack Obama dichiarò nel febbraio 2015 che un fallimento del summit Minsk II lo avrebbe indotto a considerare altre opzioni tese a dissuadere la Russia, comprese possibili forniture di armi all’Ucraina (Rettman, 2015), tuttavia fino al gennaio 2016 non sembra che tali consegne siano avvenute.
Gli esperti della politica estera americana sono divisi su quale sia la strategia più opportuna e più suscettibile di ottenere risultati positivi per porre termine al conflitto. Da un lato troviamo un certo numero di preminenti ex-diplomatici americani, ufficiali militari, membri del Congresso e commentatori che sostengono la necessità di fornire alle autorità ucraine arme avanzate (Daalder, et al., 2015, p. 5; Wong, 2015; Mankoff e Kuchins, 2015, p. 8). Secondo costoro, le sanzioni economiche imposte alla Russia dalla UE e dagli USA non sono state un deterrente sufficiente, e pertanto dovrebbero essere rafforzate da armi (Daalder, et al., 2015, p. 1). Dall’altro lato, sono state formulate una serie di critiche nei confronti di coloro che potremmo chiamare falchi, nel senso che si è messo in guardia contro l’opzione di armare l’Ucraina, dato che, secondo costoro, ciò porterà ad un ulteriore e pericoloso deterioramento delle relazioni USA-Russia e non consentirà a Kiev di battere la rivolta appoggiata dalla Russia (Mearsheimer, 2015; Rumer, 2015; Walt, 2015). Si è chiaramente aperto un dissidio negli USA a seguito della crisi ucraina con conseguenze potenzialmente di vasta portata sia per la politica estera USA sia per l’Europa orientale.



2. La situazione interna in Ucraina

Le diffuse proteste pubbliche seguite alla decisione dell’ex-presidente Viktor Yanukovych di non firmare l’Accordo di Associazione alla UE portarono infine alla sua fuga in Russia ed alla sua rimozione da parte del Parlamento nel febbraio 2014. A seguito di tali eventi, il Governo provvisorio ed il successore di quest’ultimo sotto il presidente Petro Poroshenko adottarono un cambio di corso verso una maggiore collaborazione con la UE e gli USA (Morelli, 2017, pp. 2-4). La Russia reagì all’incertezza creata dalla fuga di Yanukovych nel febbraio 2014 con l’occupazione militare e, infine, con l’annessione della penisola di Crimea, seguita dalla fornitura di aiuti militari e uomini a organizzazioni sorte negli oblast di Donetsk e di Luhansk nell’Ucraina orientale, in opposizione alle autorità centrali di Kiev (Morelli, 2017, pp. 3, 21-24).
Il conflitto armato scoppiato nella regione del bacino del Donets nell’Ucraina orientale continua a sussistere, dato che l’Ucraina sta vivendo un periodo di significativo declino economico, che peraltro precede il periodo di agitazione politica iniziato con le proteste di Euromaidan contro Yanukovych. Secondo alcune stime della Banca Mondiale, l’economia ucraina ebbe un incremento del prodotto interno lordo solo di uno 0.2% nel 2012 e non ebbe alcun incremento nel 2013, cui seguì una completa recessione che vide il PIL dell’Ucraina ridursi del 6.6% e del 9.9% rispettivamente nel 2014 e nel 2015 (World Bank, 2016). Allorché la valuta ucraina, la hryvnia, perdette valore nel 2014-2015, l’inflazione crebbe fino a raggiungere il 43.3% alla fine del 2015, contribuendo così ad una significativa caduta del valore d’acquisto dei salari e ad un aumento della disoccupazione (World Bank, 2016). Le difficoltà economiche che il paese sta affrontando sono ulteriormente aggravate dalla perdita di controllo su buona parte del bacino del Donets, una regione economicamente rilevante per via delle sue ampie riserve carbonifere e del loro importante ruolo come fonte energetica (Parson, 2014).
Le ampie misure di riforma adottate prima dal Governo Yatsenyuk e, poi, da quello di Groysman, rappresentano il prerequisito per un aiuto di miliardi di dollari da parte del Fondo Monetario Internazionale e della UE (Morelli, 2017, pp. 6-10; Baker, 2014).
Sebbene l’Ucraina abbia sperimentato nel corso dei ultimi anni una fase di sostanziale crisi economica, nei prossimi anni ci si aspetta tuttavia un miglioramento delle prospettive dell’economia (Morelli, 2017, pp. 14-16).
In aggiunta alle difficoltà economiche, l’Ucraina deve anche misurarsi con una forte dipendenza dai rifornimenti di gas russo, una circostanza che negli anni passati è stata spesso fonte di frizione tra i due paesi (Morelli, 2017, p. 17). Nonostante questa iniziale asimmetria, l’Ucraina è tuttavia riuscita a diversificare le sue forniture di energia e a diminuire sostanzialmente la sua dipendenza dalla Russia mediante crescenti importazioni da paesi della UE (Morelli, 2017, p. 18).
L’annessione della Crimea da parte della Federazione Russa ha senza dubbio inferto un colpo significativo alle capacità militari ucraine, dato che virtualmente tutta la sua flotta militare ed alcuni elementi delle forze aeree erano stazionati su quella penisola (IISS, 2016, p. 174). La crisi ha inoltre mostrato lo stato carente delle forze armate ucraine, causato dai tagli apportati al bilancio militare nel corso di più di due decenni dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica (IISS, 2016, p. 173). Nonostante questa situazione sfavorevole, le autorità ucraine sono riuscite ad incrementare le forze armate ed a migliorare la loro prontezza a combattere mediante un miglior addestramento e l’utilizzo di dotazioni militari esistenti, nonché l’approvvigionamento di nuove (IISS, 2016, pp. 173-177).
In aggiunta, l’industria difensiva ucraina, che storicamente ha goduto di stretti legami con la Russia, è stata gravemente colpita dalla decisione del presidente Poroshenko di ridurre le esportazioni di apparecchiature militari in quel paese (Morelli, 2017, p. 20).



3. Gli interessi e le capacità della Russia

Le principali preoccupazioni della leadership russa in relazione agli sviluppi politici ed economici occorsi nelle vicinanze della Russia sono essenzialmente di due tipi. La dottrina militare ufficiale aggiornata del 2014 intravede un’evoluzione minacciosa nell’espansione della NATO e nel dispiegamento di truppe NATO in prossimità dei confini occidentali russi (IISS, 2016, p. 164). Inoltre, la Conferenza di Mosca sulla Sicurezza Internazionale (maggio 2014) ha dimostrato che il Cremlino considera eventi preoccupanti le “rivoluzioni dei colori” in paesi confinanti, come anche nell’Africa settentrionale e nel Medio Oriente, ritenendole espressioni di ciò che esso avverte come una strategia perseguita dagli USA e dalla UE per salvaguardare i loro interessi mediante destabilizzazione (Cordesman, 2014). Una eco di questo modo di vedere le relazioni internazionali, che è essenzialmente stato-centrico, si avverte anche in un’osservazione dell’attuale Chief of the General Staff delle forze armate russe, Valery Gerasimov, il quale nel 2013 asserì che l’ambiente internazionale sarà sempre più caratterizzato da una feroce competizione, e, forse, dal ricorso alle armi tra gli Stati per il controllo sulle fonti di energia ed i mercati (Monaghan, 2016, p. 6). Nel contesto di quella che viene percepita come una multi-polarità del sistema internazionale contemporaneo, vista come una forza trainante dietro il conflitto acrimonioso di politiche di potenza, il comportamento degli Stati Uniti è interpretato come un tentativo di espandere il loro dominio globale e di isolare la Russia (Monaghan, 2016, pp. 8-9). In relazione al rapporto tra la Federazione Russa e la UE si dovrebbe osservare che l’Accordo di Associazione tra Ucraina e UE, firmato nel giugno del 2014, non si limita ad istituire maggiori legami economici tra le due parti; esso contiene indubbiamente anche alcune clausole che affermano in modo alquanto esplicito l’intenzione di entrambe le parti di “rafforzare cooperazione e dialogo tra le due parti sulla sicurezza internazionale e la gestione della crisi, in particolare al fine di affrontare le sfide globali e regionali e minacce-chiave” e “di sviluppare il dialogo e di aumentare la cooperazione tra le parti nel campo della sicurezza e della difesa” (Association Agreement between the European Union and Ukraine, 2014, art. 4, 2 (c), (f)). Questo aspetto particolare dell’Accordo di Associazione non è certo sfuggito all’attenzione della leadership russa, e vi è ragione di credere che essa potrebbe avere interpretato la clausole rilevanti come potenzialmente minacciose agli interessi russi nell’Europa orientale. La leadership russa ha risposto a queste minacce percepite elaborando una cornice dottrinale che pone l’accento sul mutamento in corso del carattere della guerra, in quanto l’imprevedibilità e l’asimmetria dei conflitti ne sono divenute le caratteristiche tipiche (Klein, 2016, p. 7). I conflitti non si conducono necessariamente mediante mezzi militari, ma possono comprendere anche misure non militari in ciò che è chiamato “guerra ibrida”, i cui principî, oltre ad essere stati attuati dalla Russia in Ucraina, sono stati implementati, agli occhi della leadership russa, anche dall’Occidente nelle “rivoluzioni dei colori” (Klein, 2016, p. 8).
A seguito di un marcato calo dei prezzi del petrolio e dell’imposizione di sanzioni economiche da parte della UE e degli USA, l’economia russa ha sperimentato una vasta fuga di capitali ed una crescita del tasso di inflazione (IISS, 2016, p. 169). Questa situazione difficile ha portato ad una revisione al ribasso del bilancio della difesa, che, assieme alle sanzioni ed al declino del commercio con l’Ucraina, ha interferito con l’implementazione di un ambizioso programma di modernizzazione militare previsto per il periodo 2011-2020, secondo il quale la parte di armamenti avanzati nelle forze armate si sarebbe dovuto accrescere del 30% nel 2015 per arrivare all’80% nel 2020 (IISS, 2016, p. 170). Complessivamente la Russia ha speso circa 91 miliardi di dollari nel 2015, molto meno che i circa 108 miliardi di dollari dei bilanci militari sommati insieme di Francia e Germania per il medesimo anno (SIPRI, 2016).
Le forze armate russe stanno parimenti affrontando ostacoli significativi nei loro sforzi di professionalizzazione. A differenza della maggior parte delle forze armate europee ed americane, le forze armate della Russia traggono ancora una porzione cospicua del loro personale da un bacino di coscritti, e il ciclo coscrizione-demobilizzazione ha chiaramente un impatto negativo sulla preparazione e la volontà di combattere (IISS, 2016, p. 165). I fattori delineati fino ad ora gettano qualche dubbio sulle capacità militari della Russia in relazione alla sua abilità a rendere più solido il suo controllo su ogni acquisto territoriale da essa ipoteticamente perseguito, o in Ucraina, o in Bielorussia, oppure negli Stati Baltici.



4. Il fronte domestico

L’Ukraine FreedomSupportAct del 2014 fu approvato da entrambe le Camere del Congresso americano e firmato da Barack Obama nel dicembre di quell’anno (The White House, Office of the Press Secretary, 2014). Mentre questa legge destina una somma di 350 milioni di dollari alla fornitura di equipaggiamenti militari e di servizi di addestramento, incluse armi, all’Ucraina per gli anni fiscali 2015, 2016, 2017, il suo esborso rimane tuttavia riservato alla discrezione del Presidente (Ukraine FreedomSupportActof 2014, s. 6). Inoltre, 300 milioni di dollari furono destinati allo stesso scopo mediante il National Defense AuthorizationAct for Fiscal Year 2016 (NDAA 2016, s. 1250), seguiti da 350 milioni di dollari destinati dallo NDAA per l’anno 2017 (NDAA 2017, s. 1237). Queste spese possono apparire considerevoli a prima vista, e tuttavia occorre porle nella giusta prospettiva. Nel 2014 il bilancio della difesa dell’Ucraina ammontava a circa 4 miliardi di dollari. Nel 2015 esso crebbe a 4,4 miliardi di dollari (SIPRI, 2016). Anche se supponiamo che le somme previste dagli atti legislativi sopra menzionati siano state o saranno usate nella loro interezza, il fatto che esse rappresentano molto di meno del 10% delle spese militari dell’Ucraina per i due anni in questione suggerisce un impatto potenziale alquanto limitato sulle capacità militari del paese.
Mentre un certo numero di membri democratici e repubblicani del Congresso americano si sono associati nell’appoggiare l’invio di armamenti all’Ucraina (Wong, 2015), l’opinione pubblica sembra essere divisa. Un sondaggio a tale proposito condotto dal PewResearch Center indica che solo il 46% degli interrogati pensava che gli USA dovessero inviare armi in Ucraina (PewResearch Center, 2015, p. 21). Si dovrebbe far notare, però, che, nell’eventualità di un ulteriore coinvolgimento americano, la quota percentuale potrebbe ben assottigliarsi, dato che, sin dalle guerre in Afghanistan ed in Iraq, tra il pubblico americano è in crescita l’avversione agli interventi militari americani all’estero (PewResearch Center, 2015, pp. 7-8). Questo aspetto potrebbe ben avere contribuito all’esitazione mostrata da Obama in relazione all’opzione militare in Ucraina.
Tra gli esperti americani di politica estera un certo numero di voci preminenti, tra i quali è l’ex-vice segretario di Stato, StrobeTalbott, e James Stavridis, ex Supreme Allied Commander Europe della NATO, hanno dato il loro appoggio a coloro che propongono un approccio più aggressivo verso le azioni russe nell’Ucraina orientale (Daalder, et al., 2015). Dall’altro lato del dibattito, gli oppositori di una approccio militare offensivo alla crisi ucraina sembrano essere in minoranza, e tuttavia le loro preoccupazioni su un possibile declino delle relazioni tra USA e Russia (Posen, 2015; Walt, 2015; Mearsheimer, 2015) potrebbero ben rispecchiare le preoccupazioni dello stesso presidente Obama. Indubbiamente l’amministrazione Obama ha solo acconsentito al rifornimento di armamenti pesanti senza capacità offensiva, quali ad esempio radar di controbatteria (US Embassy Press Office, 2015) ed al dispiegamento limitato di poche centinaia di istruttori militari americani nell’Ucraina occidentale, che è avvenuto per un periodo di tempo piuttosto lungo (Mankoff, 2015).



5. Il potenziale per un multilateralismo USA-Europa

La NATO, data la sua funzione di alleanza militare, può senza dubbio essere descritta come il principale forum intergovernativo per gli affari militari euro-atlantici. Nel corso degli ultimi due anni ha fornito a Kiev un certo numero di pacchetti d’aiuto destinati a rafforzare le capacità delle forze armate ucraine in alcuni importanti campi, quali la loro supervisione democratica e C 4 (Command Control, Communications and Computers), e ad avvicinarle agli standard della NATO (NATO – Public DiplomacyDivision (PDD) – Press & Media Section, 2016).
Tuttavia, queste misure di supporto sono molto carenti per ciò che riguarda l’approvvigionamento di armamenti. Si può ragionevolmente supporre che questo potrebbe essere il risultato della riluttanza di molti membri della NATO, soprattutto Francia, Germania, Italia e Regno Unito, a contemplare quest’opzione per la preoccupazione di una dinamica di escalation che potrebbe seguirne (Croft e Alexander, 2015; Riols, 2015). Inoltre, questi Stati membri possono replicare alle critiche osservando che la NATO non ha alcun obbligo di difendere l’Ucraina, non essendo quest’ultima membro dell’alleanza transatlantica. Berlino, in particolare, mediante la costituzione della cosiddetta Forza di Reazione Rapida Europea si è limitata a promuovere un rafforzamento della presenza della NATO negli Stati membri che si trovano lungo la sua frontiera orientale (Speck, 2015).
Influenti correnti politiche nel Governo tedesco sono disposte a rimuovere il regime, attualmente in vigore, di sanzioni della UE nei confronti della Russia e ad ampliare i legami tra i due paesi nel campo della fornitura energetica (Dempsey, 2015).
Comunque, molti Stati membri orientali della UE vedono un pericolo alla loro sicurezza energetica ed alla loro autonomia politica nel progetto Nord Stream 2 che è stato proposto e che consentirebbe alle compagnie energetiche russe di scavalcare l’Ucraina innalzando il profilo della Germania come centro di rifornimento energetico (Dempsey, 2015). Infatti, l’Estonia e la Lituania sono stati tra i primi membri UE a promuovere una risposta meno conciliatoria alle politiche russe, con la Lituania che ha già trasportato armamenti all’Ucraina, per quanto in quantità presumibilmente modeste (Baltic Times, 2015; Ringstrom, 2015).
D’altro canto, si è coagulata in Europa una maggioranza che respinge la fornitura di armi all’Ucraina, associata ad un numero crescente di Stati membri della UE che desiderano vedere rimosse le sanzioni contro la Russia (Emmott e Baczynska, 2016). Questo stato delle cose sta impedendo la formazione di un comune atteggiamento della UE e complica ogni tentativo di un’azione comune nel Consiglio della UE o Consiglio Europeo.




6. La questione dell’utilità militare di forniture di armi all’Ucraina

Coloro che propugnano una politica estera degli USA più energica nei confronti della Russia mediante la fornitura di armi all’Ucraina, suppongono che il conseguente incremento di vittime russe dissuaderà probabilmente il Cremlino dall’intraprendere ulteriori azioni militari nel Donbass (Brzezinski, 2014; Daalder, et al., 2015, p. 5). La presenza di una grande quantità di carri armati dalla parte degli insorti, compresi i Main Battle Tanks (Czuperski, et al., 2015, p. 32; Daalder, et al., 2015, p. 12), ha indotto Ivo Daalder ed i suoi co-autori a concludere che lo stato, apparentemente inadeguato, delle armi ucraine anticarro, dovrebbe essere bilanciato da forniture di sistemi analoghi da parte della NATO (Daalder, et al., 2015, pp. 5, 12). Più specificamente, il presidente ucraino Poroshenko ha richiesto 1.240 missili controcarro americani del tipo FGM-148 Javelin per contrastare gli insorti in maniera più efficace (Ahmari, 2015).
Vale la pena di far notare che, mentre il missile Javelin può, in teoria, essere in grado di neutralizzare la versione aggiornata e potenziata del carro T-72, il T-72B3, impiegati dai ribelli nell’Ucraina orientale (Czuperski, et al., 2015, p. 32; Kivimäki, 2015), il successo dell’impiego di tali missili dipende da una varietà di fattori, la pratica attuazione dei quali può essere oggetto di dubbio. In primo luogo, le dimensioni delle ostilità richiedono che si mettano in campo quantità sufficienti di quei missili, ed è tutt’altro che chiaro che il Presidente americano intenda trasferire i 1.240 missili, dato il loro costo molto alto per unità ed il fatto che lo stesso Dipartimento della Difesa americano ne richiede un numero molto inferiore ogni anno (Office of the Under Secretary of Defense, 2015, pp. 5-9). In secondo luogo, un ulteriore onere finanziario e logistico è rappresentato dall’ovvia necessità, una volta che le forze ucraine abbiano preso in consegna le forniture, di istruire dette forze ad usarle correttamente e di insegnare loro le tattiche. Infine, la fornitura diretta di armi americane potrebbe spingere Mosca a rispondere introducendo nel campo di battaglia sistemi ancora più prestanti, quali il recentissimo carro da combattimento T-14Armata, che, per via del suo sistema di contromisure di tipo attivo, denominato Afghanit, e presumibilmente altamente avanzato, potrebbe essere in grado di intercettare e distruggere i missili Javelin introdotti nel paese (Gorenburg, 2015; Majumdar, 2016; IISS, 2016, p. 167.



7. Conclusione

Secondo la mia opinione è molto probabile che la variabile eventuale di forniture d’armi da parte degli USA o di ogni altro Stato membro importante della NATO influenzi il comportamento del Cremlino, che, in questa prospettiva, può essere visto come la variabile dipendente. In caso affermativo, le forniture saranno viste come una conferma dell’ostilità della NATO e, pertanto, saranno usate come la giustificazione strategica per il dispiego coperto di personale e materiale militare in quantità ancor maggiore lungo il confine con l’Ucraina, rinvigorendo, così, una spirale escalatoria con conseguenze potenzialmente imperscrutabili, data la minaccia nucleare sinora latente. Le varie forme di appoggio con mezzi non letali, qui presentate, quali servizi di addestramento a radar, hanno un potenziale molto inferiore di volatilità politica e hanno una probabilità molto minore di generare un sentimento di paura a Mosca, rendendo in tal modo più difficile la ricerca da parte di essa di un pretesto plausibile per adottare misure escalatorie. Allo stesso tempo, esse rivelano una sorta di volenterosità parsimoniosa ad aiutare, ed è pertanto poco probabile che consentano alle forze armate ucraine di conseguire vantaggi apprezzabili nei confronti dei separatisti del Donbass. E tuttavia, contributi finanziari da parte di paesi della UE e della NATO, compresi gli USA, volti ad aiutare l’Ucraina a ricostruire ed espandere la propria industria difensiva interna accrescerebbero senza dubbio la resistenza del paese all’attuale minaccia militare.
La questione di fondo che richiede una risposta precisa è se gli USA abbiano un interesse significativo nella crisi ucraina, in altre parole se l’Ucraina rappresenti per loro veramente una posta in gioco alta. La situazione turbolenta in quel paese ha rivelato un certo numero di fattori geostrategici che sono certamente di grande valore nel fornire una risposta. Senza dubbio l’Ucraina ha per Mosca un valore strategico maggiore che per Washington, se non altro per ragioni di prossimità geografica, associata all’estensione della sua superficie ed all’ampiezza della sua popolazione, in aggiunta alla presenza di importanti installazioni militari russe sulla penisola di Crimea. Inoltre, la leadership russa vede evidentemente come una minaccia l’allargamento della UE, e tanto più l’espansione della NATO, ed è senza dubbio pronta a pagare un prezzo alto per far sì che l’Ucraina rimanga parte della sfera d’influenza russa. Come abbiamo visto, i principali partners NATO degli USA non sono inclini ad appoggiare forniture di armi a Kiev, non da ultimo a causa dei loro legami economici con la Russia, che sono piuttosto estesi. Gli USA dovrebbero per ciò agire su una scala multilaterale ridotta, assieme ad un numero limitato di Stati membri NATO dell’Europa orientale. Una tale contingenza minerebbe comunque la legittimità politica di tale corso d’azione più energico.
Considerate le sue limitate capacità militari convenzionali, al momento la Russia non può quasi ritenersi una minaccia esistenziale, e impegnarsi in una escalation di minacce può dare luogo a serie distorsioni cognitive nel processo politico portando a decisioni contro-produttive che non riflettono a pieno le realtà sul terreno. John Ikenberry ha succintamente riassunto lo posizione della Russia nel sistema internazionale contemporaneo definendo Russia e Cina, come “poteri non completamente revisionisti, bensì al massimo elementi di disturbo part-time” (Ikenberry, 2014).



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Alessandro Ro
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