Rubbettino Editore
Rubbettino
Torna alla Pagina Principale  
Redazione: Fausto Cozzetto, Piero Craveri, Emma Giammattei, Massimo Lo Cicero, Luigi Mascilli Migliorini, Maurizio Torrini
Vai
Guida al sito
Chi siamo
Blog
Storia e dintorni
a cura di Aurelio Musi
Lettere
a cura di Emma Giammattei
Periscopio occidentale
a cura di Eugenio Capozzi
Micro e macro
a cura di Massimo Lo Cicero
Indici
Archivio
Norme Editoriali
Vendite e
abbonamenti
Informazioni e
corrispondenza
Commenti, Osservazioni e Richieste
L'Acropoli
rivista bimestrale


Direttore:
Giuseppe Galasso

Responsabile:
Fulvio Mazza

Redazione:
Fausto Cozzetto
Piero Craveri
Emma Giammattei
Massimo Lo Cicero
Luigi Mascilli Migliorini
Maurizio Torrini

Progetto grafico
del sito:
Fulvio Mazza

Collaboratrice per l'edizione online:
Rosa Ciacco


Registrazione del
Tribunale di Cosenza
n.645 del
22 febbraio 2000

Copyright:
Giuseppe Galasso
 
Cookie Policy
  Sei in Homepage > Anno XVII - n. 6 > Saggi > Pag. 539
 
 
Più Europa, meno paura. Una Costituzione per l’Unione europea
di Claudio Consalvo Corduas
Condizione attuale

Flussi migratori, deindustrializzazione, emarginazione, terrorismo internazionale, concorrenza estera, crisi economica, decisioni adottate altrove, lavoro e tenore di vita a rischio, fondamentalismi religiosi, fragilità delle posizioni acquisite, frontiere esterne colabrodo, e soprattutto una diffusa insicurezza sono tutti “demoni” che generano paura indistinta e fluttuante tra le attuali generazioni europee e ne fiaccano la disponibilità ai cambiamenti, se non addirittura alla lotta1.
Sono venute meno molte certezze. Ma quali le alternative?
Da un lato l’incertezza del futuro angoscia gli europei, soprattutto la generazione con più di 40 anni. Su altro fronte la classe politica più avveduta non riesce né a delineare, né a rendere accettabili nuove prospettive di sviluppo. Molto si parla di riforme nazionali ed europee, ma ogni risultato è frutto di uno sforzo abnorme di compromesso e spesso a consuntivo il risultato si presenta inadeguato se non distorto.
L’originaria Comunità economica europea non configurava discontinuità culturali, univa la reciproca esperienza storica. Le comuni radici agevolavano il compromesso.
Le Storie degli attuali 27 Stati membri della UE, per non parlare dell’autoesclusosi Regno Unito, sono molto diverse se non divergenti. Tra di essi si sono certamente attenuate le ragioni di conflitto, ma non le reciproche diffidenze. In Europa la Storia ancora pesa. In alcuni dei recenti Stati membri non è ancora avvenuta la piena metabolizzazione dei diritti fondamentali dell’uomo e dei cittadini, sanciti sia dalla “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione”, sia dalla “Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”.
Con queste premesse, attualmente, il legame tra alcuni Stati membri e la UE non si è evoluto molto oltre la tutela di vantaggi specifici sotto la pressione di interessi locali.
Neppure l’attuale crisi economica globale ha smontato l’impalcatura dei consolidati comportamenti della classe politica e la sua resistenza alle riforme strutturali. Evidentemente questa crisi non ha ancora travolto lo zoccolo duro delle nostre sicurezze e quindi non ha messo tutti, cittadini e politici, con le spalle al muro e quindi di fronte al quesito ultimo, di leniniana memoria: “Che fare?”.
La mia generazione, quella europea nata nell’immediato secondo dopoguerra, ha vissuto con un quadro di vita precostituito dal pensiero e dall’impegno della precedente generazione maturata nella lotta al fascismo ed al nazismo. Inoltre, c’era da rifare un’Europa distrutta. C’era spazio per ogni intervento e per l’alta politica. Nell’Europa occidentale si puntò sull’espansione dei diritti e sul benessere generale e poi sulla società dei consumi. Nell’Europa orientale istituzioni, diritti e sviluppo furono a lungo eterodiretti.
Gli europei attuali appaiono adagiati se non sclerotizzati sui valori così ereditati. Valori che negli Stati membri occidentali hanno determinato un benessere vigoroso che ha anche consentito l’isolamento e poi la dissoluzione delle frange rivoluzionarie, escludendone la saldatura con le correnti operaie più contestatrici.
Poi tutto è stato messo in discussione dalla globalizzazione dell’informazione e del terrorismo e dalla facilità delle migrazioni. La crisi economica ha poi reso enormemente evidenti nell’area euro le insufficienze del sistema del welfare e della solidarietà quando privato dell’inflazione competitiva e dell’incremento dell’indebitamento.
Siamo ancora poco abituati a comprendere gli elementi portanti del nuovo assetto internazionale. A dare un nuovo e diverso impulso alla funzione della società occidentale nel mondo globalizzato.
Invidio i nostri figli. Vivono in un periodo di modificazioni epocali e potrebbero cogliere l’occasione per rimeditare il futuro comune che vogliono e quindi che li aspetta. Moderni cittadini globali di un mondo interconnesso, da affrontare con approccio integrato e mentalità nuova.
Oggi tutto è messo in discussione. Il consumismo ha fatto il suo tempo per molti paesi. Le risorse del pianeta si rivelano insufficienti per l’alto grado di sfruttamento operato dalla crescente popolazione mondiale. L’economia circolare ha ancora poco spazio e peso. Le nazioni che si affacciano oggi al benessere lo interpretano come in precedenza lo hanno fatto i paesi occidentali.
È il senso della responsabilità collettiva e globale che scarseggia non solo in Europa ma nel mondo. Alcuni la sostengono, altri la ostacolano. Molti tendono a voler giocare in casa. In un mondo generatore di ponti, costruire muri o castelli è diventato lo sport politico di numerosi leader. Ignorare il vicino è la loro miopia. Isolarsi è la loro aspirazione.
Conservare è poi l’aspirazione di tutti i popoli “benestanti” ed il loro slogan occulto.
Questa tendenza conservatrice neppure tanto sotterranea oggi coinvolge trasversalmente tutti gli schieramenti politici europei. La cosiddetta destra sa ciò che vorrebbe conservare, ma non sa come garantirlo efficacemente senza modificare il sistema produttivo. La cosiddetta sinistra non sa come mantenere i livelli di benessere diffuso finora conquistato, individuando nel contempo nuove forme di riconversione industriale e di governance politica ed amministrativa.
L’immediato assilla tutti. Ci sta rendendo ciechi sui princìpi base che hanno unito e tuttora uniscono gruppi sociali dalle comuni radici. Princìpi sui quali è stato possibile fondare l’espansione del benessere generale. In questo periodo di crisi, i “conti” hanno preso il totale sopravvento sui princìpi di libertà, democrazia e sicurezza comune che dovrebbero informare le scelte concrete degli ormai 27 Stati dell’Unione e ridurre l’identificazione nazionale dei rispettivi cittadini. Proprio quei princìpi presenti nel progetto di Costituzione europea2 che dopo la bocciatura non sono stati riversati nel trattato di Lisbona3, né resi prevalenti sui singoli indirizzi nazionali.
I princìpi fondanti dell’Unione europea hanno quindi perso lo smalto di fronte alla crisi del quotidiano. Da molti vengono considerati un ostacolo e non una garanzia. Non è che questo quotidiano non debba aver peso, ma è chiaro che in una società globalizzata il quotidiano lo si risolve su un tavolo comune tra soggetti che condividono gli stessi valori e sono concordi nel codificarli.
Oggi questi valori garantiscono il pane quotidiano? Ovvero, è forse dalla diaspora, dell’ognuno per sé che può mai nascere la sopravvivenza competitiva delle singole comunità?
Il primo e decisivo passo verso la crisi politica dell’Europa nacque con la detta bocciatura della Costituzione europea da parte dell’elettorato francese ed olandese nel 2005. Sebbene il relativo trattato che la adottava fosse stato firmato il 29 ottobre 2004 dai rappresentanti di tutti i 25 Stati allora membri della UE, compresi il Presidente della Repubblica francese, Jacques Chirac, ed il Primo Ministro olandese, Jan Peter Balkenende.
Forse oggi è necessario rimeditare quel veto e rilanciare una Costituzione europea che non solo confermi i princìpi ispiratori dell’Unione europea, ma anche estenda e rafforzi su basi più avanzate le competenze, la governance e il processo decisionale della stessa Unione e vincoli gli Stati che la adottano a non discostarsene.



Da dove partire

Quale è il prius di ogni assetto istituzionale e convivenza civile? Il presupposto di ogni rapporto economico, di ogni rapporto interpersonale, di ogni diritto o dovere o solidarietà? Indubbiamente il patto costituzionale.
L’elemento caratterizzante di una particolare convivenza civile si rivela nella Costituzione di cui una comunità di individui si dota ed in cui si identifica.
Questo è l’elemento che manca all’Unione europea, o meglio al popolo europeo, e da cui è necessario partire per ritrovare la convinta adesione degli europei nella lotta contro i “demoni” che oggi insidiano la loro società ed ispirano paura ed insicurezza sociale. “Demoni” che sotto altre forme hanno insidiato ripetutamente le società occidentali, a cui dopo il secondo conflitto mondiale si è risposto con l’istituzione delle Comunità europee.
Il “Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa” del 2004 avrebbe dovuto sostituire i trattati istitutivi delle Comunità europee e dell’Unione europea con una Costituzione europea, politica ed istituzionale. Il nuovo trattato sarebbe entrato in vigore solo dopo la ratifica da parte di tutti gli Stati membri, conformemente alle loro previsioni costituzionali e come regolato dallo stesso trattato4.
Gran parte degli Stati dell’UE escludono che le leggi relative agli accordi o ai trattati internazionali vengano sottoposte a referendum. L’Italia è uno di questi5. Pertanto, i relativi organi parlamentari hanno liberamente ratificato il trattato sulla Costituzione europea6. Confortava tale orientamento anche la considerazione che dopo l’adesione alla Comunità europea e più ancora all’Unione europea anche la novazione dei trattati o accordi sui rapporti tra gli Stati membri non rivestirebbe più il carattere di internazionalità, ma quello di statualità. Naturale sviluppo, questo, del consolidato principio della preminenza del diritto comunitario su quello nazionale, insito nella natura specifica dell’Unione europea, dotata di una propria e compiuta struttura giuridico-istituzionale7.
AltriGoverni della UE, invece, hanno ritenuto di sottoporre a referendum consultivo o confermativo anche questo tipo di accordi ed in particolare il trattato sulla Costituzione europea. La conflittualità politica interna ha richiesto che la responsabilità della scelta fosse addossata all’opinione pubblica del momento8.
Pertanto, diversi Stati dell’UE hanno sottoposto a referendum questo tipo di trattato – esaltando la democrazia diretta – ed altri lo hanno sottoposto a procedura parlamentare – affidandosi alla democrazia rappresentativa.
La difformità delle norme costituzionali e ordinarie tra i diversi Stati dell’Unione ed i conflitti politici interni hanno determinato una eterogeneità di reazioni e comportamenti che hanno causato il blocco nell’adozione della Costituzione europea.
L’adozione della Costituzione europea conteneva quindi un difetto di origine che ne decretò il rigetto: da una parte come detto, la necessità della ratifica da parte di tutti gli Stati membri per consentirne l’entrata in vigore e, dall’altra parte, la disomogeneità delle normative e delle politiche nazionali che presiedevano alla stessa ratifica.
Al dunque, nel 2005 si schierò per l’adozione della Costituzione europea la maggioranza degli Stati della UE, pari al 64%della popolazione europea – senza contare l’odierno autoesclusosi UK – consultata in soli due casi tramite referendum favorevoli, in Spagna ed in Lussemburgo. La minoranza francoolandese, pari a circa il 18% della popolazione europea, sempre senza contare l’UK, ne bloccò l’adozione per effetto dei rispettivi referendum contrari. Una parte degli Stati europei, pari anch’essa a circa il 18% della detta popolazione europea, senza l’UK, non si è pronunciata, anche a causa del blocco congiunto franco-olandese9.
La marcia verso nuovi orizzonti di unità e di governabilità dell’Unione tramite una Costituzione europea fu sospesa, quindi, dal 18%della popolazione europea.
Se spostiamo questo rapporto percentuale sul piano degli aventi diritto al voto nella UE nel 2005, l’incidenza franco-olandese si riduce viepiù. Il 58,23% medio del corpo elettorale franco-olandese, che nel 2005 si è espresso negativamente, corrisponde in cifra assoluta a circa 20 milioni di votanti. Indicativamente 20 milioni su circa 306 (353-46) milioni di aventi diritto al voto nell’intera UE, senza contare l’UK10: circa il 6,5%dell’intero corpo elettorale che vota per il Parlamento europeo. Questo 6,5%ha imposto una battuta d’arresto alla costituzionalizzazione dei trattati. Un grande sforzo comune e sistematico è stato vanificato dal voto di circa 20 milioni di elettori francesi ed olandesi assieme. Con tale voto si è anche vanificato il carattere di progetto costituzionale di portata internazionale, quale elemento di riferimento anche per altre aggregazioni politiche nel mondo.
Questo risultato evidenzia una anomalia sociale.
Allorché sulle complesse questioni europee la classe politica deve rispondere al suo elettorato solo alle scadenze elettorali, essa assume posizioni più adeguate ai tempi correnti e più avanzate rispetto alla società civile. Per converso, quando sulle stesse complesse questioni europee la classe politica è chiamata a governare le opzioni referendarie molta parte di essa cavalca, spesso con successo, le scelte dell’opinione pubblica più territoriali o retrive. In ciò aiutata da una strumentale informazione, tramite media compiacenti, e dai “demoni” del momento che oggi alimentano nella società civile il revanscismo nazionalistico, il corporativismo locale e l’isolazionismo. Pertanto, la società civile, se consultata direttamente tramite referendum e poco o malamente informata, risponde assumendo posizioni mediamente più arretrate rispetto a quelle della sua classe politica quando quest’ultima è libera dalle scadenze referendarie o lontana da quelle elettorali.
L’Europa degli Stati regionali e non più delle nazioni non riesce quindi a decollare pienamente nel sentimento comune di molti europei.
Il risultato è una posizione di doppio stallo. Da un lato si blocca lo sviluppo dell’omogeneità normativa se non dell’integrazione europea, che dovrebbero procedere in parallelo. Dall’altro si blocca la motivazione per una piena governance europea. Con l’inizio della crisi economica, dal 2007 ad oggi la paura di affrontare nuove sfide sembra attanagliare gli europei. D’altro canto la stessa UE si rivela un cattivo esempio, ancora debole e divisa com’è di fronte alle nuove sfide globali, siano esse economiche, ambientali, sociali o geopolitiche. I dubbi e le paure bloccano le azioni. Ne è stata l’espressione palese il referendum che il 23 giugno 2016 ha sancito l’uscita del Regno Unito dalla UE. Il dopo Brexit, dilatato dal biennio previsto dall’articolo 50 del trattato sull’Unione europea11, potrebbe implicare che a lungo gli Stati membri discuteranno dei sui effetti e di come governarli. Tutti i problemi fondamentali del futuro dell’UE potrebbero passare in secondo piano, come il cambiamento climatico, l’integrazione dei migranti, la tutela dell’ambiente, la transizione energetica12 e la sfida della sostenibilità13. Obiettivi sofisticati di un’Europa che oggi rischia di evolvere verso una forma più elementare. Ci si dovrà preoccupare di reinventare un sistema comune di rapporti commerciali ed economici o di studiare accordi bilaterali tutti da negoziare, usando tempo ed energie che, proprio in questo periodo storico, avrebbero dovuto sollecitamente indirizzarsi verso obiettivi di più ampio respiro14.
Dal trattato che proponeva una Costituzione per l’Europa si passò quindi ad un trattato per la sua semplificazione o riforma, tramite il “ripiego funzionale” del trattato di Lisbona. Con Lisbona furono recepiti, infatti, soprattutto gli elementi funzionali dell’originario progetto costituzionale. Dopo soli quattro anni dai negativi referendum francese ed olandese del 2005, il trattato di Lisbona fu ratificato definitivamente nel 2009 da tutti gli allora 27 Stati membri. Per la Francia firmò nel 2007 il Presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy con il Primo Ministro e senza indire referendum. Per i Paesi Bassi firmò nel 2007 sempre il Primo Ministro Jan Peter Balkenende, anche in questo caso senza indire referendum.
Con Lisbona si è superato il veto popolare franco-olandese e sono stati parzialmente innovati sia il “Trattato sull’Unione europea” (con 61 modifiche cumulative), sia soprattutto il “Trattato che istituisce la Comunità europea” (con 295 modifiche cumulative), ridenominato “Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”.
Si è giunti, quindi, ad un complesso di norme che donerebbero informalmente una struttura costituzionale all’Unione europea. Alla stessa si è però negato il crisma di Costituzione, ritenuto propedeutico ad un patto federativo. Sono stati esclusi alcuni princìpi basilari, nonché depennati diversi elementi formali ed altri più prettamente politici, che avrebbero motivato il veto referendario franco-olandese.
In conclusione, il trattato di Lisbona assunse la parte strutturale più rappresentativa del trattato sulla Costituzione per l’Europa. La negativa esperienza franco-olandese spinse i Governi degli Stati membri a non sottoporre a referendum il trattato di Lisbona, salvo in Irlanda per previsione della sua giurisprudenza costituzionale. Peraltro, la Corte di Giustizia delle Comunità europee, ora Corte di Giustizia dell’Unione europea, in numerose sue pronunce15 avrebbe dedotto dal complesso dei trattati un implicito assetto costituzionale europeo16. Avrebbe, cioè, ritenuto che dai trattati emergano princìpi con dignità e qualificazione indirettamente “costituzionale”. Ciò vale sul piano giuridico, ma non sul piano politico.



Verso dove andare

La formale approvazione di una Costituzione non è solo un atto giuridico è soprattutto un atto politico. Con un tale atto si porrebbe la Costituzione europea al di sopra di quelle nazionali. Queste ultime dovrebbero adeguarsi completamente e definitivamente alla prima, escludendo eventuali difformità specifiche. Ciò rappresenterebbe una decisa riforma strutturale della UE. Com’è ben noto, nel corso del tempo negli ordinamenti nazionali si è comunque avviato un adeguamento settoriale anche a livello costituzionale. Si è quindi innescato, fra l’altro, un processo di costituzionalizzazione di alcuni princìpi dell’Unione europea, introducendoli nelle Costituzioni nazionali17.
È tempo che questo adeguamento sia più accelerato e avvenga in modo coordinato e complessivo. Va considerato, infatti, che nel complesso dei trattati europei mancano alcuni elementi fondamentali. Soprattutto manca l’esplicito atto fondativo di una nuova entità organicamente e complessivamente sovranazionale.
Non si risolve altrimenti il problema, prima politico e poi istituzionale, della definizione di più avanzati princìpi ispiratori della UE, quindi della governance e del processo decisionale europei. In molti Stati membri il problema della governabilità è questione prioritaria. Non altrettanto sul piano europeo.
Insomma, la Brexit pone gli europei di fronte ad un bivio: seguirne l’esempio o effettuare un salto di qualità, valorizzando gli elementi di fondo che possono legare gli europei ed identificarli come popolo unitario. Quest’ultima opzione ha come prospettiva un benessere diffuso ed un mutuo vantaggio. Restare inerti al bivio coltivando una realpolitik nazionale, non appare né utile né consigliabile: degno solo di «coloro che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo».
Va riconosciuto che con Lisbona un consistente passo in avanti è stato effettuato. Sia l’articolo I-7 del progetto di Costituzione europea, sia l’articolo 1, paragrafo 55, del trattato di Lisbona18 attribuiscono personalità giuridica all’Unione, con i relativi effetti sul piano internazionale. Su questo punto, però, non vanno sottaciuti i rigidi limiti ribaditi nel trattato di Lisbona19 che negano ogni carattere di sopranazionalità all’Unione europea. Inoltre, con il trattato di Lisbona il termine “Unione” sostituisce “Comunità”, “Comunità europea” o “Comunità europee”20.
Molte sono le divergenze, le coincidenze e le carenze riscontrabili dal raffronto tra il trattato che proponeva una Costituzione per l’Europa ed il trattato di Lisbona. Fra di esse si possono rilevare le seguenti.
I princìpi derivanti dal preambolo e dagli articoli da I-1 a I-5 della Costituzione non sono stati esplicitamente recepiti dal trattato di Lisbona. In particolare, con quest’ultimo trattato è stato stabilito il principio che “la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascun stato membro”21. Principio assente nel progetto di Costituzione europea nel quale compariva solo che l’Unione “rispetta” le funzioni essenziali dello Stato membro fra cui quella di tutela della sicurezza nazionale22.
Aspetti simbolici come inno, bandiera e motto comune23 sono stati recepiti solo da 16 Stati membri24.
Risultano soppressi i riferimenti a denominazioni di carattere costituzionale, quali Costituzione, Ministro degli Esteri, legge europea25. Con Lisbona si è inserito l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri26, in sostituzione del Ministro degli Esteri europeo27, previsto dal progetto di Costituzione.
Vengono abbandonate con Lisbona le espressioni “legge” e “legge quadro” europee, presenti nel progetto di Costituzione28.
Alla prevista costituzionalizzazione della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione”29 Lisbona sostituisce la semplice sua omologazione agli altri trattati, in senso ampiamente restrittivo, senza estensioni delle competenze dell’Unione30.
Sono difformi le determinazioni in materia di democrazia partecipativa31, in pratica sull’iniziativa popolare.
Nel trattato per la Costituzione ed in quello di Lisbona, sono del tutto analoghe le disposizioni relative all’adesione alla “Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, per la quale si applicano solo i suoi princìpi generali32.
Risulta uguale nel progetto di Costituzione e nel trattato di Lisbona la delimitazione delle competenze esclusive e concorrenti comunitarie33. Uguale la “leale cooperazione” tra gli Stati membri e la UE e tra le Istituzioni europee34, tenendo presente che nel primo caso si tratterebbe di “lealtà” anche sul piano costituzionale, nel secondo su quello meramente normativo ordinario e comportamentale.
È carente, invero in ambedue i trattati (Costituzione e Lisbona), sia il coordinamento efficace e regolare tra il ruolo del Parlamento europeo e quelli nazionali, sia la valorizzazione del ruolo delle singole assemblee nazionali e non solo di gruppi di Stati membri nel processo legislativo europeo35, sia il superamento dell’unanimità36 degli Stati membri, soprattutto nel campo della politica estera37, della sicurezza e difesa comune38 e della fiscalità indiretta39. La fiscalità diretta è di competenza esclusiva degli Stati membri: principio quest’ultimo compatibile anche con l’autonomia finanziaria di future entità federate.
Nessun cenno in ambedue i trattati circa un uniforme regime per i referendum nazionali su provvedimenti europei. Nessuna previsione sul referendum europeo.
Manca ancora, in ambedue i trattati, la piena definizione della cooperazione giudiziaria penale e di polizia, con lo scambio di informazioni40.
Manca ancora, come sopra, la piena conferma della piattaforma comune di Schengen41.
Sono prematuri i tempi per un ulteriore salto di qualità? O è solo l’impreparazione della classe politica europea a far maturare l’opinione pubblica su nuovi e complessi temi, fra cui il superamento della sovranità residuale degli Stati membri? Premia la politica dei piccoli passi? È l’unica via percorribile? O forse è necessario un “richiamo alle armi” per conquistare cuori e menti degli europei su un progetto di più ampia portata.



Cosa fare

Lanciare l’idea di una nuova Costituzione europea è forse il modo migliore per porre al centro dell’attenzione degli europei i vantaggi di più forti legami comuni per combattere i “demoni” che attualmente insidiano le conquiste civili in Europa42. Occorre una nuova stagione “costituente” in Europa che coinvolga gli europei come popolo unitario.
La Gran Bretagna è stata un paese da sempre recalcitrante ad una effettiva integrazione con il resto dell’Europa. Emerge quindi dalla Brexit un elemento positivo: l’UE si è liberata di una forte remora ad ulteriori progressi sul piano dell’integrazione. Pertanto, l’idonea risposta dell’Europa al dopo Brexit potrebbe essere quella di rilanciare l’idea di un patto costituzionale per raggiungere nuovi traguardi.
Riproporre oggi il vecchio testo di Costituzione europea, bocciato da francesi ed olandesi, non ha più senso, visto che gran parte dei suoi elementi sono stati adottati ed introdotti nella normativa UE dal trattato di Lisbona. Di fronte alle nuove paure e psicosi che attanagliano gli europei e troppo spesso degenerano in demagogica paranoia politica, occorre un salto di qualità, una riforma strutturale della UE. Dall’attuale ibrida Confederazione di Stati43 si dovrebbe passare ad un coerente Stato federale d’Europa. Solo con un forte potere centrale si potranno creare i presupposti per superare le insicurezze alimentate dalla scarsa capacità di reazione delle istituzioni europee. I “demoni” che incutono paura agli europei non possono essere affrontati e sconfitti da un unico paese europeo – per tutti o per se stesso – fosse anche la forte Germania. Sono “demoni” troppo globali per gravare sulle spalle di un solo Stato europeo. Per quanto queste spalle possano essere robuste, risulteranno sempre inadeguate a fronteggiare le grandi sfide mondiali.
Molti i problemi in sospeso che una nuova Costituzione potrebbe risolvere. Proviamo a delinearne alcuni.
Attualmente la governance ed il processo decisionale dell’Unione sono particolarmente complessi ed inadeguati ai tempi. Il Consiglio europeo dei Capi di Stato o di Governo non esercita funzioni legislative44. La funzione legislativa del Consiglio dei Ministri della UE è prevista congiuntamente a quella del Parlamento europeo45. Per ottenere una nuova governance della UE, in questo campo, occorrerebbe una riforma strutturale del Consiglio dei Ministri della UE con la creazione di ministri europei. Agli stessi, nei settori di competenza, ed al Presidente del Consiglio europeo dovrebbe essere delegata la rappresentanza congiunta di UE e Stati membri nelle assise internazionali, nonché assegnata una autonoma funzione normativa.
Occorrerebbe, anche, riconsiderare l’ipotesi dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio europeo46 che a suo tempo fu esclusa. Attualmente si è solo portato a due anni e mezzo il suo mandato, rinnovabile una sola volta47, con poteri di carattere propositivo e non decisionale, come previsto dal trattato sulla UE48. Occorrerebbe definire nuovi poteri da affidare ad un Presidente del Consiglio europeo eletto direttamente, rimodulando le competenze del Consiglio europeo dei Capi di Stato o di Governo.
Inoltre, sarebbe auspicabile una Commissione europea più agile. I Commissari europei oggi sono giunti al numero di 28 per soddisfare l’esigenza di partecipazione di ogni Stato membro49. Tuttavia, il conseguente frazionamento delle loro originarie competenze ha ampliato a dismisura le procedure burocratiche del sistema di governo europeo. Inoltre, l’incremento dei suoi membri innalza il numero dei voti necessari alla formazione della maggioranza per le decisioni50.
Restano ancora da definire le modalità per l’esercizio e la validità dell’iniziativa popolare su proposte di interesse comunitario. I limiti da assegnare a questo diritto sono stati indicati sia dal trattato che adottava una Costituzione per l’Europa51, sia dal vigente trattato di Lisbona52. Il progetto di Costituzione prevedeva che fosse la legge europea a determinare le procedure della democrazia partecipativa53. Il trattato di Lisbona, con l’articolo 1, paragrafo 12 (art. 8 B, par. 4, co. 2), rinvia sulla questione all’articolo 21, co. 1, del trattato sul funzionamento della UE54. Quest’ultimo rinvia all’articolo 11 del trattato sulla UE. Alla fine, l’attuazione viene affidata non solo al Parlamento europeo, ma anche al Consiglio, con un meccanismo più complesso e controllabile dagli interessi nazionali.
Andrebbe poi riesaminata la possibilità di una federazione europea. Finora è stato frustrato lo sforzo di assegnare alla struttura dell’Unione un carattere di costituzionalità e sopranazionalità per farla evolvere verso la fondazione di uno Stato federale europeo. Composto da Stati federati a diversa struttura istituzionale, repubblicana e monarchico-parlamentare. Uno Stato federale temperato da un intenso raccordo tra Parlamento europeo e singoli Parlamenti statali. Ciò consentirebbe di adeguare con prontezza le risposte della UE soprattutto alle contingenze internazionali. Di fronte alle grandi potenze della terra – Cina, Russia e USA – che sono caratterizzate da un forte potere centrale.
Nella UE gli Stati membri hanno già rinunciato alla competenza nazionale in molte materie, in primis nella politica monetaria per i paesi dell’area euro, altre sono soggette a competenza concorrente con la UE, altre infine a sostegno, completamento e coordinamento da parte della UE55.
L’Unione è ora a metà del guado. Resterebbe da fare l’ultimo passo, in alcune materie residuali di competenza nazionale (fiscalità, difesa, sicurezza, esteri), per completare le rinunce al principio di nazionalità ed a quello dell’unanimità, temperate da nuove norme di salvaguardia. Scelta rivoluzionaria. I parlamenti nazionali ridotti a parlamenti di Stati “regionali”. I capi dei governi ridimensionati a Governatori di Stati federati. Dimensioni e costi delle rappresentanze politiche nazionali ridotti drasticamente, e via dicendo.
In una fase transitoria o iniziale, nulla vieta che la costituzione di uno Stato federale sia limitata solo ad alcuni degli Stati membri della UE, tra quelli già aderenti alla moneta unica e possibilmente con continuità di confini territoriali.
Comunque, qualsiasi sia la struttura istituzionale proposta, il progetto di trattato che adotta una nuova Costituzione per l’Europa dovrebbe essere agile ed essenziale, di facile lettura e comprensione, limitato ai principi informatori. Alla nuova Costituzione sarebbero annessi gli attuali trattati, rielaborati e riadattati. Ciò agevolerebbe la comprensione e l’eventuale adesione degli europei.
In questa prospettiva, andrebbe anche introdotto l’istituto del referendum europeo, prevalente su quelli nazionali. Tale istituto dovrebbe essere accompagnato da normative omogenee tra gli Stati dell’Unione europea in materia di approvazione dei diversi trattati europei che li riguardano. La creazione dell’istituto del referendum europeo potrebbe prevedere una distinzione tra questioni complesse, come l’adesione a trattati europei, e questioni semplici, come interventi specifici nel campo sociale o economico. Affidare le prime solo alla democrazia rappresentativa, affidare le seconde anche alla democrazia diretta56.
In particolare, occorrerebbe stabilire esplicitamente le modalità per l’approvazione o ratifica del trattato sulla nuova Costituzione: tramite referendum nazionali, o procedure parlamentari nazionali, o infine tramite un plebiscito europeo.
Potrebbe essere affidata a referendum nazionali, per esempio, solo l’eventuale forma federale dello Stato europeo, se ciò fosse previsto dalle norme costituzionali degli Stati membri, trattandosi di questione attinente la rinuncia definitiva ad una residua sovranità nazionale.
In alternativa, l’approvazione del nuovo trattato sulla Costituzione federale della UE potrebbe essere affidata ad un plebiscito europeo, a carico del bilancio dell’Unione se d’interesse generale. La maggioranza degli europei cioè del popolo europeo, indipendentemente dalle rispettive originarie nazionalità, deciderebbe l’assetto istituzionale dell’Unione europea o di parte di essa. Per effetto del quale, in caso di esito positivo, l’Unione evoluta in tutto o in parte come Stato federale diverrebbe irreversibile in questa forma. Sarebbe quindi da escludere la facoltà di recesso regolata dal citato articolo 50 del vigente trattato sull’Unione europea.
Oppure, come già praticato dagli Stati membri (tranne che dall’Irlanda) nel caso del trattato di Lisbona, la relativa ratifica potrebbe essere affidata solo alle procedure parlamentari, con esclusione del referendum sulla forma federale.
L’istituto del referendum europeo, in generale, e quelli nazionali su questioni comunitarie dovrebbero comprendere l’obbligo di una necessaria preventiva e ben documentata politica di informazione di massa, sempre a carico del bilancio dell’Unione, sui media operanti in Europa ed utilizzando anche i servizi di rete sociale.
L’esercizio di questo diritto, con nuove modalità, alimenterebbe sensibilità e partecipazione degli europei, identificandoli come popolo unitario. Rappresenterebbe anche una sfida sul piano europeo per l’aggiornamento anche linguistico delle classi politiche dell’intera UE.
Rappresenta, infatti, un problema anche la molteplicità di lingue degli Stati membri che alimenta l’identificazione nazionale. La scarsa attrezzatura linguistica dei leader europei e degli stessi europei rallenta la circolazione del consenso e fa sì che ogni scelta sul piano europeo venga mediata dalla classe politica locale. Solo dalla fucina delle università europee proviene un autonomo messaggio comune. Aspettiamo dalla tecnologia la soluzione di questa impasse. Esiste una imprecisa traduzione automatica in forma scritta e vocale in diverse lingue. Fra non molto la tecnologia proporrà più efficienti traduttori automatici vocali in tempo reale delle diverse lingue. Ciò avverrà tramite apposite applicazioni, con modalità “conversazione”, agli attuali smartphone o a dispositivi del prossimo futuro di cui tutti saremo dotati. Con il dono delle lingue e quindi privi di limiti linguistici, l’Europa ed il mondo conosceranno nuova integrazione e nuova permeabilità.
Utopie? Una nuova ed unica Costituzione per un unico popolo europeo è ancora solo utopia? Anche l’attuale Europa unita è il frutto dell’utopia condivisa da alcuni grandi leader del passato, carismatici e promotori di opinione pubblica, perché capaci di conquistare, non sedurre, cuori e menti dei cittadini.
Non dimentichiamo che il sogno di molti di loro, fra cui i nostri Altiero Spinelli Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni57, fu proprio uno stato federale europeo. Questa nuova realtà potrebbe configurarsi alla fine del percorso iniziato con l’istituzione delle Comunità europee. Ed oggi, forse, questo risultato potrebbe essere proprio dietro l’angolo.
Parafrasando una frase di quasi duemila anni fa: la mèsse è molta ma gli operai sono pochi, si potrebbe dire oggi: le opportunità sono tante ma i responsabili delle nazioni non sono pronti a coglierle.







NOTE
1 Vedi di Zygmunt Bauman, “Paura liquida”, 2008; e intervista allo stesso Zygmunt Bauman, “Le radici dell’insicurezza”, di Daniele Casati, Corriere della Sera, 26 luglio 2016, p. 7.^
2 Il relativo trattato è stato firmato il 29 ottobre 2004 dai rappresentanti di tutti i 25 Stati allora membri della UE, ma mai completamente ratificato e quindi mai entrato in vigore. Detto trattato conteneva 448 articoli, 36 protocolli con 442 articoli, 2 allegati e 50 dichiarazioni.^
3 Firmato il 13 dicembre 2007 dai rappresentanti di tutti i 27 Stati allora membri della UE ed entrato in vigore il 1º dicembre 2009. Detto trattato contiene 2 articoli, recanti rispettivamente 61 paragrafi di modifica del trattato sull’Unione europea e 295 paragrafi di modifica del trattato che istituisce la Comunità europea, inoltre, reca come allegati 2 protocolli con 43 articoli e 33 paragrafi, nonché 65 dichiarazioni.^
4 Così recitava l‘articolo IV-447 del trattato sulla Costituzione europea:
“Articolo IV-447 - Ratifica e entrata in vigore
1. Il presente trattato è ratificato dalle Alte Parti Contraenti conformemente alle rispettive norme costituzionali. Gli strumenti di ratifica sono depositati presso il governo della Repubblica italiana.
2. Il presente trattato entra in vigore il 1° novembre 2006, se tutti gli strumenti di ratifica sono stati depositati; altrimenti, il primo giorno del secondo mese successivo all’avvenuto deposito dello strumento di ratifica da parte dello Stato firmatario che procede per ultimo a tale formalità.”
^
5 L’art. 75, co. 2, Cost. it., così recita: “Non è ammesso il referendum per le leggi (omissis) di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.”^
6 Gli Stati della UE che non hanno sottoposto a referendum, ma a procedura parlamentare, gli accordi relativi alla Costituzione europea sono stati: Lituania (11/11/2004, favorevole alla Cost. eur.), Ungheria (20/12/2004, favorevole alla Cost. eur.), Slovenia (1/2/2005, favorevole alla Cost. eur.), Italia (25/1/2005 e 6/4/2005, favorevole alla Cost. eur.), Austria (11 e 25/5/2005, favorevole alla Cost. eur.), Grecia (19/4/2005, favorevole alla Cost. eur.), Malta (6/7/2005, favorevole alla Cost. eur.), Cipro (30/6/2005, favorevole alla Cost. eur.), Lettonia (2/6/2005, favorevole alla Cost. eur.), Belgio (tra il 28/4/2005 ed il 6/2/2006, favorevole alla Cost. eur.), Estonia (9/5/2006, favorevole alla Cost. eur.), Bulgaria (1/1/2007, favorevole alla Cost. eur.), Romania (1/1/2007, favorevole alla Cost. eur.), Slovacchia (11/5/2005, favorevole alla Cost. eur.), Germania (12 e 27/5/2005, favorevole alla Cost. eur.), Finlandia (5/12/2006, favorevole alla Cost. eur.), Svezia (risultato non definito), Croazia (risultato non definito, per adesione successiva alla UE).^
7 Contrariamente a tale linea interpretativa, la Corte Suprema irlandese nel 1987 stabilì che la ratifica di qualsiasi cambiamento significativo dei trattati sulla CE/UE necessitava di una modifica della Costituzione irlandese tramite referendum, ai sensi del relativo art. 46. Per tale ragione l’art. 29.4 della Costituzione di questo paese contiene una sequela di emendamenti che costituzionalizzano tutti i trattati relativi prima alla CE e poi alla UE. Da ultimo, il 28° emendamento alla Costituzione irlandese, promulgato il 15 ottobre 2009, si è svolto in forma di referendum il 2 ottobre 2009 per modificare la Costituzione irlandese permettendo la ratifica del trattato di Lisbona della UE. Dopo il responso negativo dell’analogo referendum del 12 giugno 2008. Allo stato l’Irlanda è l’unico Stato membro che è obbligato a sottoporre a referendum i trattati europei. Per gli altri Stati membri questo tipo di referendum rappresenta un’opzione politica,^
8 I paesi interessati dai referendum sugli accordi relativi alla Costituzione europea sono stati: Spagna (20/2/2005, favorevole alla Cost. eur.), Lussemburgo (10/7/2005, favorevole alla Cost. eur.), Francia (29/5/2005, contrario alla Cost. eur.), Paesi Bassi (1/6/2005, contrario alla Cost. eur.), Repubblica Ceca (cancellato sulla Cost. eur.), Danimarca (cancellato sulla Cost. eur.), Irlanda (cancellato sulla Cost. eur.), Polonia (cancellato sulla Cost. eur.), Portogallo (cancellato sulla Cost. eur.), Regno Unito (cancellato sulla Cost. eur.; poi 23/6/2016, contrario all’integrazione con la UE).^
9 La popolazione europea, senza contare l’UK ora fuori dalla UE, secondo i dati Eurostat del 2005, era pari a poco più di 430 milioni di abitanti. Ammontava a circa 278 milioni di abitanti la popolazione che ratificò la Costituzione europea (Lituania, Ungheria, Slovenia, Italia, Austria, Grecia, Malta, Cipro, Lettonia, Belgio, Estonia, Bulgaria, Romania, Slovacchia, Germania, Finlandia, Spagna, Lussemburgo), quindi pari a circa il 64%della detta popolazione europea. Ammontava nel 2005 a poco più di 78 milioni di abitanti la popolazione dei due paesi (Francia e Paesi Bassi) che si è espressa contro l’adozione della Costituzione europea, quindi pari a circa il 18%della popolazione europea nel suo complesso. Gli aventi diritto al voto franco-olandesi, che tramite i referendum espressero contro la Costituzione europea, sono stati 15.422.659 in Francia e 4.705.625 nei Paesi Bassi. In cifra assoluta pari a circa 20 milioni di votanti. Infine, ammontava, sempre nel 2005, a poco più di 77 milioni di abitanti la popolazione dei paesi (Repubblica Ceca, Danimarca, Irlanda, Polonia, Portogallo e Svezia) che non assunse decisioni in merito, quindi pari a circa un analogo 18%della detta popolazione europea. Fonte: Eurostat 2005-2016. http://ec.europa.eu/eurostat/tgm/table.do?tab=table&plugin=1&language=en&pcode=tps00001; https://europa.eu/european-union/about-eu/figures/living_it#superficie-e-popolazione.^
10 La dimensione del complessivo corpo elettorale europeo, pari a 353.460.958 di aventi diritto al voto, è stato ricavato da quello risultante nelle elezioni del Parlamento europeo del 2004. Non è stato possibile reperire il numero degli aventi diritto al voto nell’UK nelle dette elezioni del 2004. Pertanto, abbiamo utilizzato nel calcolo il dato relativo al 2016 (Brexit) di 46.499.537 di inglesi aventi diritto al voto. Il rapporto percentuale sui voti contrari alla Cost. eur., come riportato sopra nel testo, depurato dagli aventi diritto inglesi, non è perfettamente corrispondente alla effettiva realtà del 2005, ma le risulta comunque molto vicino.^
11 Così recita l’art. 50 (ex art. 1, par. 58, del trattato di Lisbona) della versione consolidata del trattato sull’Unione europea:
“1. Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione.
2. Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio europeo. Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l’Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione. L’accordo è negoziato conformemente all’articolo 218, paragrafo 3 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Esso è concluso a nome dell’Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo.
3. I trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica di cui al paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo, d’intesa con lo Stato membro interessato, decida all’unanimità di prorogare tale termine.
4. Ai fini dei paragrafi 2 e 3, il membro del Consiglio europeo e del Consiglio che rappresenta lo Stato membro che recede non partecipa né alle deliberazioni né alle decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio che lo riguardano.
Per maggioranza qualificata s’intende quella definita conformemente all’articolo 238, paragrafo 3, lettera b) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
5. Se lo Stato che ha receduto dall’Unione chiede di aderirvi nuovamente, tale richiesta è oggetto della procedura di cui all’articolo 49.”
L’argomento del recesso di un paese membro era regolato analogamente dall’art. I-60 del trattato che adotta una Costituzione per l’Europa.^
12 Vedi di Christophe Bouneau e Jean-Baptiste Vila, “Transition énergétique et réforme territoriale: les enjeux d’un dialogue complexe”, studio presentato nel colloquio del 17 e 18 giugno 2015 a Parigi, in Les Revues Lexisnexis, Énergie-Environnement-Infrastructures, n. 1, gennaio 2016, p. 15 e ss.^
13 Vedi di Claudio C. Corduas, “Sostenibilità ambientale e qualità dello sviluppo”, 2013.^
14 Peraltro, sull’esempio della precedente esperienza irlandese con il trattato di Lisbona,
non è da escludere che un doppio referendum potrebbe rappresentare per il Governo inglese una possibile soluzione alternativa alla Brexit. Ciò dilaterebbe ulteriormente i tempi e gli impegni comunitari sulla questione inglese.^
15 Giurisprudenza inaugurata dalle sentenze 12 novembre 1969, causa 29/69, Stauder, in Racc. Uff., 1969, p. 419 e ss.; e 17 dicembre 1970, causa 11/70, Internationale Handellsgesellschaft, in Racc. Uff., 1970, p. 1124 e ss., dove si afferma che “il rispetto dei diritti fondamentali fa parte integrante dei principi generali del diritto di cui la Corte di giustizia assicura il rispetto”, in “I rapporti fra Corte di giustizia delle comunità europee e Corte europea dei diritti dell’uomo”, relazione di Gianmario Demuro al Convegno su “La Corte costituzionale e le Corti d’Europa”, tenutosi a Catanzaro, 31 maggio -1 giugno 2002, p. 3. Conformi, ex plurimis, vedi: sent. 18 giugno 1991, causa C-260/89, ERT, in Racc. I, p. 2925 e ss.; sent. 6 marzo 2001, causa C-274/99, P.Connolly/Commissione, in Racc. I, p. 1611 e ss.; e sent. 22 ottobre 2002, causa C-94/00, Roquette Frères, in Racc. I, p. 9011 e ss., in “Codice dell’Unione europea”, di Luigi Ferrari Bravo e Alfredo Rizzo, 2008, p. 9.^
16 Roberto Adam e Antonio Tizzano, “Manuale di diritto dell’Unione europea”, 2014, p. 10.^
17 Per esempio l’art. 81della Costituzione italiana, come sostituito dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, rubricata “Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale”. Vedi in proposito Gian Luigi Tosato, “La riforma costituzionale del 2012 alla luce della normativa dell’Unione: l’interazione fra i livelli europeo e interno”, intervento nel seminario su “Il principio dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012”, Roma 22 novembre 2013. Sulle problematiche della costituzionalizzazione dei principi economici vedi di Bertand du Marais, “Préface”, in Francesco Martucci e Claire Mongouachon (coordinatori), “La constitution économique”, 2015, pp. 3-18.^
18 Ora art. 47, versione consolidata del trattato sull’Unione europea.^
19 La conferenza intergovernativa che ha adottato il trattato di Lisbona ha allegato all’atto finale la dichiarazione n. 24, in cui si afferma: “La conferenza conferma che il fatto che l’Unione europea abbia personalità giuridica non autorizzerà in alcun modo l’Unione a legiferare o ad agire al di là delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati.”^
20 Art. 2, par. 2a, trattato di Lisbona, nonché nella relativa sezione B “Protocolli da allegare al trattato di Lisbona”, Protocollo n. 1, art. 1, par. 3, lett. “b”.^
21 Art. 1, par. 5 (art. 3bis, par. 2) trattato di Lisbona e art. 4, par. 2, versione consolidata del trattato sull’Unione europea.^
22 Vedi art. I-5, par. 1, Cost. eur.^
23 Indicati nell’art. I-8 Cost. eur.^
24 Firmatari della dichiarazione n. 52 relativa ai simboli dell’Unione europea, allegata sia al trattato di Lisbona, sia alla versione consolidata del trattato sull’Unione europea.^
25 Presenti fra l’altro negli artt. I-9 e ss., I-27, I-28 e I-40 Cost. eur.^
26 Art. 1, par. 19, tr. Lisbona.^
27 Presente negli artt. I-21, par. 2, I-28 e I-40 Cost. eur.^
28 Artt. I-33, I-34, I-36, I-37, I-39 I-47, I-50 e ss. Cost. eur.^
29 Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, parte II, artt. da II-61 a II-114.^
30 Art. 6, par. 1, vers. consolidata del trattato sull’Unione europea.^
31 Art. I-47, par. 4, Cost. eur.; e art. 11, par. 4, vers. consolidata del trattato sull’Unione europea.^
32 Art. I-9, par. 2 e 3, Cost. eur.; e art. 6, par. 2 e 3, versione consolidata del trattato sull’Unione europea.^
33 Artt. I-12, I-13 e I-14 Cost. eur.; e art. 1, par. 12, (artt. 2 B e 2 C) tr. Lisbona.^
34 Artt. I-5, par. 2, e I-19, par. 2, Cost. eur.; e artt. 4, par. 3, e 13, par. 2, del trattato sull’Unione europea.^
35 Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali nell’Unione europea, Protocollo n.. 1, art. 2, co. 2 e 5, e art. 3, co. 2, sia della Cost. eur., sia della vers. consolidata del trattato sul funzionamento della UE.^
36 Sotto un profilo meramente statistico la parola “unanimità” compare 20 volte nel TUE, composto da 55 articoli, e 72 volte nel TFUE, composto da 358 articoli; la parola “maggioranza” compare 33 volte nel TUE (di cui 27 a maggioranza qualificata e 6 a maggioranza semplice) e 61 volte nel TFUE (di cui 31 a maggioranza qualificata e 30 a maggioranza semplice). Di norma la maggioranza semplice concerne decisioni procedurali. Le decisioni della Commissione UE sono assunte a maggioranza, ai sensi dell’art.250 del TFUE.^
37 Art. 22, par. 1, co. 3; art. 24, par. 1, co. 2; e art. 31, par. 1, co. 1, del trattato sull’Unione europea.^
38 Art. 42, par. 2,del trattato sull’Unione europea, nonché art. 46, par. 6, regolante la cooperazione strutturata permanente nel settore della difesa comune, introdotta dal trattato di Lisbona con il par. 50, recante l’art. 28 E. Va considerato che il cit. art. 42, par. 2, nell’ottica dei “piccoli passi”, prevede fra l’altro che ”La politica di sicurezza e di difesa comune comprende la graduale definizione di una politica di difesa comune dell’Unione”. Ciò dovrebbe spianare la strada alla istituzionalizzazione di una difesa comune, svincolata da decisioni unanimi.^
39 Vedi art. 113 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. https://europa.eu/european-union/topics/taxation_it.^
40 Artt. I-42 e I-43 Cost. eur.; nonché artt. 82-88 vers. consolidata del trattato sul funzionamento della UE.^
41 Art. I-4, par. 1, e art. I-10, par. 2, lett.”a”, Cost. eur.^
42 Richiamo assente nel vertice di Ventotene del 22 agosto 2016 tra François Hollande, Angela Merkel e Matteo Renzi.Nonostante il loro omaggio alla tomba di Altiero Spinelli, sono prevalse solo le priorità immediate delle agende nazionali: flessibilità, difesa, migranti e crescita. Preludio del riscontro decisionale nel prossimo incontro del 16 settembre 2016 a Bratislava tra i Capi di Stato o di Governo.^
43 Negli ultimi dieci anni questa ibrida condizione ha privilegiato un “direttorio” intergovernativo, piuttosto che quello comunitario. Alberto Vespaziani, “L’Unione europea: federazione o confederazione?”, in ApertaContrada, 22 marzo 2014. http://www.apertacontrada.it/2014/03/22/lunione-europea-federazione-o-confederazione/.^
44 Art. 1, par. 34, lett. “a”, trattato di Lisbona, e art. 15, par. 1, vers. consolidata del trattato sull’Unione europea. L’argomento veniva regolato analogamente dall’art. I-21, par. 1, Cost. eur.^
45 Art. 16, par. 1, vers. consolidata del trattato sull’Unione europea. L’argomento veniva regolato analogamente dall’art. I-23, par. 1, Cost. eur.^
46 Jo Leinen (Chairman of the European Parliament’s Constitutional Affairs Committee), “A President of Europe is not Utopian, it’s practical politics”, Europe’s World, 1 giugno 2007. http://europesworld.org/2007/06/01/president-of-europe-is-not-utopian-its-practicalpolitics/#.V82J3tKsWpE.^
47 Art. 15, par. 5, vers. consolidata del trattato sull’Unione europea; e art. I-22, par. 1, Cost. eur.^
48 Così recita l’articolo 15, par. 6, del trattato sulla UE:
“6. Il presidente del Consiglio europeo:
a) presiede e anima i lavori del Consiglio europeo;
b) assicura la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio europeo, in cooperazione con il presidente della Commissione e in base ai lavori del Consiglio «Affari generali»;
c) si adopera per facilitare la coesione e il consenso in seno al Consiglio europeo;
d) presenta al Parlamento europeo una relazione dopo ciascuna delle riunioni del Consiglio europeo.
Il presidente del Consiglio europeo assicura, al suo livello e in tale veste, la rappresentanza esterna dell’Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune, fatte salve le attribuzioni dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
Il presidente del Consiglio europeo non può esercitare un mandato nazionale.
”
L’argomento dei poteri del presidente del Consiglio europeo veniva regolato analogamente dall’art. I-22 del trattato che adotta una Costituzione per l’Europa.^
49 L’art. 244, par. 1, lett. “b”, vers. consolidata del trattato sul funzionamento della UE, non prevede un numero fisso di componenti, ma prevede che ciascuna Commissione “è costituita in modo da riflettere in maniera soddisfacente la molteplicità demografica e geografica degli Stati membri”. Il trattato di Nizza si proponeva la riduzione dei componenti della Commissione; impegno originariamente assunto anche tra gli obiettivi del trattato di Lisbona, tramite la formula “in maniera soddisfacente”. Con decisione successiva dei Capi di Stato o di Governo si è stabilito che la Commissione continui a comprendere un cittadino di ogni Stato membro, v. R. Adam e A. Tizzano, cit., p. 24. L’attuale Commissione scadrà il 31 ottobre 2019.^
50 Art. 250 del trattato sul funzionamento della UE.^
51 Cit. art. I-47, par. 4, Cost. eur.^
52 Art. 1, par. 12, (art. 8 B, par. 4), tr. Lisbona; e art. 11, par. 4, vers. consolidata del trattato sull’Unione europea.^
53 Cit. art. I-47, par. 4, Cost. eur.^
54 Ora art. 24, co. 1, vers. consolidata del trattato sul funzionamento della UE.^
55 Artt. da 3 a 6 del trattato sul funzionamento della UE e annesso Protocollo n. 25. Resta la riserva per gli Stati membri di potersi riappropriare delle loro competenze concorrenti, alle condizioni previste dall’art. 2, par. 2, del trattato sul funzionamento della UE. Ugo Draetta, “Elementi di diritto dell’Unione Europea”, 2009, pp. 57-67. Per una generica informativa sul punto vedi: http://ec.europa.eu/citizens-initiative/public/competences/faq?lg=it.^
56 Angelo Panebianco, “Le scelte del popolo sovrano”, Corriere della Sera, 6 luglio 2016, pp. 1 e 29.^
57 Estensori del c.d. Manifesto di Ventotene, “Per un’Europa libera e unita“ del 1941-44.^
  Cosa ne pensi? Invia il tuo commento
 
Realizzazione a cura di: VinSoft di Coopyleft