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Uno squilibrio informativo
di Adolfo Battaglia
Il sistema informativo italiano è vittima delle strategie comunicative che da molto tempo lo improntano. Le conseguenze sono manifeste: i quotidiani hanno perduto sia autorevolezza che copie; l’informazione radio-televisiva non fa più che alimentare l’immagine del disordine italiano; il web diffonde una grande quantità di semplificazioni, oltre che di nonsense, che nella loro elementarità diventano pericolose come la benzina sul fuoco. Il fatto è che i problemi della politica e della società arrivano solo a sprazzi all’opinione pubblica: il sistema informativo, invece di aiutare la crescita civile del paese, contribuisce ad allargare il gap in cui si innestano il populismo e l’antipolitica.
In particolare, i media disconoscono i cambiamenti istituzionali in atto nelle democrazie occidentali - un leaderismo più accentuato e un parlamentarismo più sbiadito. Diffidano, così, dei modelli di governo che ne conseguono: il presidenziale, il premierato, il cancellierato forte, i sistemi maggioritari. Sono novità che pongono con maggiore urgenza uno dei problemi più cruciali della democrazia: conciliare decisioni più rapide dell’Esecutivo con la penetrazione nella pubblica opinione del loro senso e delle loro ragioni. Il radicamento della democrazia si fonda anzitutto su questo scambio. Ma i partiti, purtroppo, non sembrano oggi in grado di rispondere al compito. E il sistema della comunicazione rilutta ad assumere la funzione nuova che gli spetterebbe, e che potrebbe dirsi “mediatrice”: tra le esigenze e i temi della politica e della società, da una parte, e la necessità di superare l’approssimazione delle conoscenze dell’opinione pubblica, dall’altra.
Un flusso equilibrato di notizie assume una importanza ancora più alta in periodi di accentuate trasformazioni come l’attuale. I periodici interventi dei leader maggiori, diretti a puntualizzare contenuti e senso degli atti e delle leggi, restano fondamentali: riempiono la tela programmatica dominante e definiscono il disegno complessivo che si persegue. È noto però che l’affollamento radio-televisivo delle presenze politiche crea alla lunga nel pubblico un effetto-stanchezza. E dunque per realizzare l’obbiettivo di “arrivare” con continuità all’opinione pubblica, diviene decisivo il supporto del giornalismo come interprete della complessità dei fenomeni e delle soluzioni. Servirebbe a tutti una informazione più capace di fornire l’inquadramento delle notizie, di coglierne i nessi, di darne il senso. Un’informazione meno dispersa dietro le polemiche di giornata e più attenta ai movimenti di fondo. Capace di approfondire e spiegare. Più autonoma, non solo dal potere politico ed economico ma anche da quell’enorme “flusso di coscienza” oggi convulsamente fornito dai social media, e dalle gerarchie che essi aspirerebbero ad imporre.
Per modificare gli elementi negativi della realtà attuale, occorrerebbe che un nuovo modello di comunicazione fosse anzitutto adottato dalle strutture radiotelevisive pubbliche. Per la loro stessa forza, esse costituiscono un punto inevitabile di riferimento per tutto il sistema. Una loro nuova impostazione servirebbe in certo senso da traino. E ne potrebbe seguire un adeguamento, sia pure differenziato o parziale, dell’impostazione comunicativa di tutto il sistema dei media.
Servirebbe, peraltro, superare i punti di criticità esistenti nella radio-televisione pubblica. È diminuito, forse, il gioco della lottizzazione politica. Ma si assiste ancora alla sconnessione fra i fatti e il loro contesto, tra il contenuto delle notizie e la validità delle loro fonti; mentre l’uso continuato degli scoop e l’obbligo della brevità deformano spesso le cose e fanno anche perdere di vista gli interessi in gioco, a cominciare da quelli del paese. Sempre viva, poi, è la propensione ad una sorta di giornalismo militante, devoto ad una missione pedagogica o purificatrice, che alla lettura ideologica fuori corso ha sostituito grida moralistiche, come passando dalla lotta di classe alla lotta di casta.
Oggi, buona parte del giornalismo - quello stampato come quello radio-televisivo - continua a vivere di schemi consumati. Si dà maggiore peso alle curiosità dei personaggi che alle loro ragioni; ai loro menu che ai loro scritti. Si mescola continuamente alto e basso, livello istituzionale e società civile, notizia e gossip, quanto è rappresentativo e quanto non lo è. Molto spesso ci si limita a collocare una dietro l’altra le voci più diverse, tutte sullo stesso piano: una tecnica illusoria, che mirerebbe ad assicurare parità e imparzialità e invece non le garantirebbe, affatto perché trattare in modo eguale cose differenti significa, com’è noto, trattarle in modo differente. Se si tende a far apparire tutto egualmente significativo, del resto, nulla risulta veramente importante: e si rinunzia così a dare quell’aiuto alla comprensione delle cose che ascoltatori e lettori continuano a cercare.
La riconosciuta crisi dei talk show televisivi e delle tavole rotonde della carta stampata conferma questa analisi della situazione. Nel mondo del giornalismo italiano si è più volte tentato di aggredire questi problemi nuovi della professione, che sono anche problemi dei regimi di democrazia liberale. Ma si continua ad essere in presenza di distorsioni di base; di vere e proprie rinunzie all’impegno e all’assunzione di responsabilità nella valutazione, nella scelta e nella presentazione delle notizie: che è il primo e decisivo punto di un nuovo tipo di giornalismo. Sarebbe un gran bel giorno se la nascita del grande gruppo editoriale “Stampa” - “Repubblica” significasse anche un mutamento di ottica rispetto al passato. Altrimenti, si avrebbe certamente un importante fatto industriale ma la deficitaria condizione del giornalismo italiano, ahinoi, non cambierebbe.
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