Rubbettino Editore
Rubbettino
Torna alla Pagina Principale  
Redazione: Fausto Cozzetto, Piero Craveri, Emma Giammattei, Massimo Lo Cicero, Luigi Mascilli Migliorini, Maurizio Torrini
Vai
Guida al sito
Chi siamo
Blog
Storia e dintorni
a cura di Aurelio Musi
Lettere
a cura di Emma Giammattei
Periscopio occidentale
a cura di Eugenio Capozzi
Micro e macro
a cura di Massimo Lo Cicero
Indici
Archivio
Norme Editoriali
Vendite e
abbonamenti
Informazioni e
corrispondenza
Commenti, Osservazioni e Richieste
L'Acropoli
rivista bimestrale


Direttore:
Giuseppe Galasso

Responsabile:
Fulvio Mazza

Redazione:
Fausto Cozzetto
Piero Craveri
Emma Giammattei
Massimo Lo Cicero
Luigi Mascilli Migliorini
Maurizio Torrini

Progetto grafico
del sito:
Fulvio Mazza

Collaboratrice per l'edizione online:
Rosa Ciacco


Registrazione del
Tribunale di Cosenza
n.645 del
22 febbraio 2000

Copyright:
Giuseppe Galasso
 
Cookie Policy
  Sei in Homepage > Anno VII - n. 6 > Editoriale > Pag. 619
 
 
Novembre italiano, 2006
di G. G.
Abbiamo sempre espresso, direttamente o indirettamente, la nostra convinzione che nello schieramento politico italiano una svolta significativa, positiva, costruttiva può derivare solo da una sua riarticolazione che segni una duplice acquisizione.
Si tratta, da un lato, di arrivare a un superamento definitivo di vecchie o nuove (queste ultime ancora più pervicaci e dannose) aggregazioni politiche che hanno perpetuato, nelle nuove forme e condizioni della lotta politica in Italia nell’ultimo quindicennio, i condizionamenti particolaristici, corporativi, personalistici, clientelari e peggio del sistema che si è proclamato di voler superare con l’avvio della cosiddetta «Seconda Repubblica», dopo l’altrettanto conclamata fine della cosiddetta «Prima Repubblica». Dall’altro lato, si tratta di riuscire a fondare un sistema dualistico di maggioranza e opposizione, che diventi una norma sentita e vissuta del comportamento e della mentalità politica del paese; una norma che non solo (e non tanto) lo allinei al modello politico prevalso (sia pure con notevoli variazioni) nelle altre grandi liberaldemocrazie del mondo occidentale, ma soprattutto dia la possibilità di un gioco politico chiaro e moderno, che consenta alla politica di tornare ad essere un fattore di avanzamento del paese innanzitutto orientando e guidando la società non meno di quanto cerchi di capirla, interpretarla e seguirla.
La via per meglio conseguire questi scopi è sembrata sia a destra che a sinistra – con significativa coincidenza di vedute – la formazione di un partito unico nel rispettivo ambito dell’uno e dell’altro settore. A destra questo progetto sembra essere stato messo, se non in crisi definitiva, certo di fronte a una difficoltà non facilmente superabile con gli ultimi atteggiamenti assunti dalla UDC, accentuatisi dopo l’uscita di Follini dal partito. A sinistra sembra, invece, proseguire la marcia verso il partito democratico, che dovrebbe riunire essenzialmente la formazione della Margherita e quella dell’Ulivo, ma con l’ambizione di non limitarsi solo a queste due formazioni. Ma sul come questa marcia prosegua è lecito manifestare i più fieri dubbi.
All’interno della Margherita è chiaramente visibile una progredente difficoltà nell’ambito dei Popolari ad accettare senza riserve una nuova trasformazione della loro identità politica, dopo quella che, con la Margherita, li ha condotti a una spersonalizzazione notevole della loro storica fisionomia di espressione eminente del cattolicesimo politico in Italia. È vero che a impersonare la causa del partito democratico si industria soprattutto Prodi, e dunque un esponente non proprio di secondo piano del mondo politico cattolico italiano. Non è detto, però, che questo sia un elemento del tutto positivo. Sono in molti, a quanto pare, a essere preoccupati della tendenza che credono di ravvisare nello stesso Prodi a presentare il nuovo partito come il partito suo, il partito personale, appunto, di Prodi.
Quanto all’Ulivo, la vicenda del partito democratico prova, innanzitutto, una volta di più la sostanziale inconsistenza di questa formazione, sulla quale, come nella Margherita i popolari, i DS mostrano riserve e incertezze che definire perplessità è molto eufemistico. Sembra, anzi, che le difficoltà identitarie avvertite dai popolari siano cosa alquanto minore al confronto di quelle che manifestano i DS. Il centro della questione appare costituito sempre da quella che convenzionalmente viene definita come la sinistra dei DS. Ed è un nodo fondamentale non solo e non tanto per l’incidenza che rivela sulle sorti e sugli atteggiamenti degli attuali DS, a dispetto della sicurezza ostentata dagli attuali vertici del partito, quanto per gli sviluppi ulteriori che una dissidenza DS spinta fino a giungere a una scissione o separazione pur di non accettare una perdita di identità che alla loro sinistra appare intollerabile immancabilmente avrebbe sulla fisionomia e la consistenza della sinistra che in ogni caso rimarrà fuori del partito democratico. È chiaro, infatti, che una tale evenienza produrrebbe, più o meno subito, un’aggregazione che – comprendendo sinistra DS, Comunisti italiani e Rifondazione, più altri gruppi e gruppetti di varia coloritura di sinistra social-comunista – è facile immaginare che rappresenterebbe un raggruppamento di una consistenza politica ed elettorale tale da rendere molto improbabile (a dir poco) che il futuro partito democratico possa acquistare, nascendo, quel peso risolutivo che dovrebbe essere indispensabile affinché si dia luogo a un vero sistema dualistico della politica italiana, se non del tipo anglo-sassone, almeno del tipo tedesco o, ed è già meno, di quello francese.
Una questione, poi, che sta rimanendo ancora sullo sfondo, ma che non si potrà fare a meno di porsi e affrontare nell’eventuale partito democratico, il giorno in cui nascesse, è quella dell’aggregazione europea del nuovo partito. Si confrontano su questo punto le tre anime che stanno concorrendo alla sua formazione: la liberal-democratica, la cattolica e la socialista o comunista che dir si voglia. Le opzioni possibili corrispondono a questa tripla radice anche a livello europeo. Come sarà risolto il problema? Non crediamo che sia possibile fare previsioni al riguardo. Osiamo soltanto osservare che sarebbe auspicabile non trovarsi, alla fine, dinanzi a una soluzione come sarebbe quella che lasciasse alle singole frazioni e persone del nuovo partito la libertà di scelta tra l’appartenenza all’uno o all’altro gruppo dello schieramento politico; e non crediamo sia necessario esporre distesamente le ragioni dell’auspicio che così esprimiamo.
Si tratta – come si vede – di questioni e di considerazioni sulle quali non per la prima volta ci intratteniamo qui. Ritornarvi è una necessità nel momento in cui coloro che ne erano sostenitori e percorrevano la strada del «partito unico» (la terminologia non è, davvero, di quelle più felici) del centro-destra e del centro-sinistra denunciano essi stessi difficoltà alquanto superiori al previsto; e, mentre fino a qualche tempo fa su quella strada apparivano sempre in affanno, ma non lontanissimi dalla meta, oggi appaiono meno fiduciosi, ma soprattutto molto più generici di prima nell’indicare i tratti fisionomici e la contestualità di riferimento del nuovo partito. Si sente ripetere da più parti, ad esempio, che non si tratterà di una aggregazione indifferenziata e che le specifiche identità delle molte componenti che concorrono allo sforzo di costruzione dell’auspicato partito democratico saranno, comunque, conservate e salvaguardate nel nuovo soggetto politico. Ma qui, appunto, viene fatto di chiedersi: con tante premure di specificità, si tratterà di un soggetto politico o di un contenitore più elettorale che politico? Una cosa, infatti, è l’esclusione – necessaria ancor più che comprensibile o auspicabile – di un carattere monolitico e indifferenziato dell’eventuale nuovo partito, un’altra cosa è tendere a una pluralità senza una caratterizzazione determinante in partenza della qualità di un autentico soggetto, non contenitore o cartello politico.
Importante oltremodo, come è facile intendere, di per se stessa, la questione della quale accenniamo qui lo è ancora di più per la coincidenza temporale, imminente o meno imminente che sia, di due nodi ineludibili dell’agenda politico-parlamentare: la riforma elettorale, che viene di continuo riaffermata fra i propositi della maggioranza, e le condizioni in cui si ritroverà il governo all’indomani del passaggio della legge finanziaria ora in discussione. Si tratterà di due collaudi decisivi per tante cose e per tanti aspetti, ma ancor più, certamente, per il futuro delle prospettive di «partito unico» del centro-destra e del centro-sinistra. Il centro-sinistra appare al momento più avanti nel suo itinerario al riguardo: in proposito si è già addirittura adombrato un calendario, e già questo potrebbe non essere poco. Attendiamo, dunque, gli eventi.
Non abbiamo – sia detto anche questo – nessuna idea mitologizzante dell’eventuale nuovo soggetto, il cui fantasma viene agitato sulla scena politica italiana ormai già da un bel po’. Che, tuttavia, esso possa rappresentare una svolta importantissima nel sistema politica nazionale era ed è una possibilità che appare auspicabile per numerose e più che consistenti ragioni. Una svolta che potrebbe anche segnare una vera e propria promozione moderna e funzionale di questo sistema; e soprattutto, poi, una svolta che consentirebbe un «naturale» percorso di superamento delle identità – solo in parte davvero spontaneamente convergenti, e in altra parte innegabilmente confliggenti – delle molte anime da cui i nuovi «partiti unici» dovrebbero trarre vita (il che, detto per inciso, è per il centro-sinistra ancor più vero che per il centro-destra).
Non avendo una tale idea mitologizzante della soluzione adombrata, è anche il caso di aggiungere, infine, che – se l’impresa finisce col prospettarsi di ardua o impossibile o troppo remota realizzabilità – allora si prenda tempestivamente atto della necessità di continuare a giocare con le carte che attualmente sono sul tappeto, e tanto più in quanto, anche al di fuori delle prospettive unitarie di cui si è detto, vi possono essere aggregazioni o riaggregazioni di molto peso (rispunta periodicamente l’idea del «grande centro») e, d’altro lato, continua a farsi sentire la tendenza a nuove frammentazioni dei soggetti (e «soggettini») politici attuali (l’iniziativa di Follini della formazione di una «Italia di Mezzo» esprime sia quella idea che questa tendenza).
Fino a quando sarà possibile continuare a subire passivamente l’onda di questo andare o, meglio, andazzo della vita politica italiana, senza che se ne facciano sentire conseguenze ancora meno positive e deterioranti di quelle che già se ne avvertono? E siamo sicuri di non essere i soli a porsi – non senza trepidazione – questa non peregrina domanda.
  Cosa ne pensi? Invia il tuo commento
 
Realizzazione a cura di: VinSoft di Coopyleft