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Modello svizzero
di Giuseppe Galasso
Non si può fare a meno di notare come tra la fine del XX e gli inizi del XXI secolo sia sfiorito il riferimento alla Svizzera come un caso esemplare, istruttivo e da seguire di paese federale. Da quando già due secoli fa si cominciò a parlare di federazione europea, la Svizzera fu sempre indicata come un modello istituzionale e civile a cui la costruzione di un’Europa federata avrebbe dovuto ispirarsi, se si voleva avere successo nel superare i profondi fossati che non solo le ideologie nazionalistiche del XIX e XX secolo, ma tutta la loro storia aveva scavato fra i paesi europei. Molto di più degli States negli Stati Uniti, i cantoni svizzeri offrivano il modello di identità e culture di sedimentazione millenaria quali, appunto, quelle dei singoli paesi europei. A sua volta, l’indubbio e vigoroso sentimento della nazione e dell’identità svizzera, che caratterizza la Confederazione Elvetica, appare improntato a un modulo molto più simile a quello europeo che non a quello americano, che pure è di certo altrettanto, se non più, vigoroso.
Un mito di regime ideale c’è sempre nell’attualità storica. Nel Rinascimento fu Venezia il modello di regime saggio, solido e durevole. Poi in Europa il mito olandese scalzò quello veneziano. In seguito, fra i molti che sono stati operosi nella vita morale e civile dei paesi europei, rifulse in particolare il mito dell’Inghilterra quale paese della libertà e modello di regime liberale, e ad esso si affiancò quello della Francia come Stato nazionale precoce ed esemplare e come macchina statale moderna e potente.
Sarebbe interessante chiedersi se nell’eclisse del modello svizzero abbiano giocato anche elementi dei più recenti sviluppi storici di quel paese (si veda Peter von Matt su Agi e disagi del federalismo nel suo La Svizzera tra origini e progressi, ed. Dadò, Lugano). Ancor più interessante è, tuttavia, chiedersi se qualche mito lo abbia sostituito. Rispondere non è facile. Certo appare, però, che a eclissarsi non è stato solo il modello svizzero per la costituenda, e poi costituita, Unione Europea, bensì, in un modo o nell’altro, e un po’in ogni parte del mondo, tutti i modelli, anche nelle aree in cui l’omogeneità culturale o religiosa o socio-economica o di altro tipo farebbe ritenere più facile l’individuazione e adozione di un qualche modello. Nessun mito nuovo sembra essersi affacciato negli ultimi anni, sullo scenario europeo o altrove nel globo, a fornire l’ancoraggio prospettico e la direzione tendenziale dei travagli politici contemporanei. Ovunque non solo non si va in una qualche chiara direzione, ma neppure si vedono alternative opposte a questo non-andare.
Nel caso europeo lo si vede meglio che altrove. È stato costruito un edificio istituzionale alquanto barocco, sospeso tra una solida base di sovranità e poteri nazionali e un livello mal definito e poco consistente di sovranità e poteri dell’Unione, che si va rivelando sempre meno funzionale a un vigoroso rafforzamento e sviluppo del vincolo unitario, esteso, per di più, con una rapidità che ha sollevato molti dubbi, alla massima parte dei paesi europei. Le vicende di queste settimane sui modi di affrontare il gigantesco problema delle grandi immigrazioni nell’Unione lo dimostrano con evidenza fin troppo eloquente.
Si aggiunga che a una struttura istituzionale vaga e precariamente definita si accompagna la più volte deplorata carenza di una spinta etico-politica adeguata alla vastità e difficoltà della promozione e costruzione di un’Europa unita: l’Europa, ossia quella che ancora nella prima metà del Novecento appariva la Heartland, la terra-cuore del mondo e della storia dell’uomo.
Di questa dimensione ineludibile della costruzione europea non si può dire che le classi politiche e dirigenti che al centro o nei singoli paesi dell’Unione hanno condotto e conducono l’azione europeistica si dimostrino davvero consapevoli. L’Unione quale finora è stata realizzata non è poi molto diversa e di più di quel che era il vecchio Reich germanico, quel millenario Sacrum Romanum Imperium, che nel suo ultimo secolo e mezzo, dopo il 1648, era ridotto a un’impalcatura istituzionale con pochissimi poteri all’interno del Reich e con un più che evanescente profilo di potenza europea fra le altre.
Il precedente, considerato anche come finì quel Sacrum Imperium, non è incoraggiante. Errato e ingeneroso sarebbe sottovalutare o non apprezzare al giusto punto lo sforzo che è costato costruire l’Europa quale oggi è, o la storica, eccezionale importanza di quel che finora si è fatto. Bisogna, però, anche e sempre avere il senso della dimensione dei problemi che affrontiamo, il senso della grande storia dalla quale deriva e nella quale, elevando costantemente i motivi e il livello del nostro agire, dobbiamo sempre sforzarci di inserire la difficile e tormentosa piccola storia quotidiana che viviamo, e ciò anche quando andiamo per vie nuove di rottura e di contrapposizione alla precedente grande storia.
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