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Kroton, Cotrone, Crotone
di Matteo Campagnolo
Questo volume (Le voyage à Crotone: découvrir la Calabre de l’Antiquité à nos jours, Actes du Colloque international organisé par l’Unité d’archéologie classique du Département des sciences de l’Antiquité, Université de Genève, 11 mai 2012, a cura di Lorenz E. Baumer, Patrizia Birchler Emery, Matteo Campagnolo, Berna-Berlino ecc., Peter Lang, 2015, nella serie “Etudes genevoises sur l’Antiquité classique”, 1)1 dimostra che la scelta fatta dal dottor Domenico Marino, allora direttore del Museo archeologico di Crotone e responsabile territoriale della Sovrintendenza archeologica della Calabria di collaborare con gli Svizzeri aveva un vantaggio. Gli Svizzeri godono fama di essere dei grandi montanari e dei camminatori instancabili e di aver portato ai più alti livelli la scienza della cartografia di montagna, da quando il generale Dufour, uno dei fondatori della Svizzera moderna, diresse la produzione della prima carta geografica del suo paese, basata su rilievi perfetti per l’epoca (1845-1865). Questa carta topografica, rilevata al 25.000, è oggi costantemente aggiornata e pubblicata dal Servizio topografico federale.
Come ha voluto ricordare Virginie Nobs all’inizio del suo intervento su «Paolo Orsi, l’inventore della Magna Grecia», questo Trentino, exsuddito austro-ungarico, dava sempre un’importanza decisiva a «l’osservazione diretta dell’ambiente circostante nell’approccio di un sito». Soltanto basandosi su «l’esame minuzioso della topografia, che favorisce la comprensione del contesto» archeologico, principiava a rilevare il terreno e dava inizio agli scavi.
Effettivamente, chiunque veda coi propri occhi Crotone e il suo entroterra si convince che vadano affrontati dall’archeologo come un tutto, e che Crotone non può essere considerata come uno scalo marittimo, che i Greci si sarebbero assicurati per navigare in terre più lontane. Così, il professor Lorenz Baumer, titolare della cattedra di archeologia classica dell’Università di Ginevra, e il dottor Marino, con l’appoggio dell’allora sindaco di Cerenzia, il signor Stanislao Dima, decisero di riprendere il rilevamento dell’antica Akerentia, nella valle del Lese, dove lo aveva lasciato, nel 1911, Paolo Orsi. Questi aveva pienamente colto l’importanza del sito, città murata sulla strada che, attraverso il gruppo della Sila, portava alle colonie greche sulla costa tirrenica. Durante il mese di febbraio 2010, l’altopiano di Akerentia fu sottoposto a prospezioni archeologiche sistematiche, condotte dagli studenti della sezione di Archeologia dell’Università di Ginevra, diretti dai loro docenti.
Seguì il paziente lavoro di inventariazione dei reperti locali, conservati in grandi casse nel municipio di Cerenzia. Lo scopo era quello di ospitare i più interessanti in un museo locale, rendendo agli abitanti del luogo la fierezza del loro passato e la coscienza del valore, anche economico, di una sua degna presentazione. Di ciò offriva la possibilità la donazione di un bel villino al margine della cittadina, il cui giardino confina con un valloncello di grande valore botanico. Sicché un progetto di studio e di presentazione della flora locale venne studiato con i conservatori dell’Orto botanico di Ginevra.
Nel febbraio 2014, il Museo di Cerenzia, che collega l’antichità al mondo rurale di oggi, il sito di Akerentia con la Cerenzia nuova, è stato inaugurato. E il 25 febbraio 2015, all’Università di Ginevra, si è tenuta la vernice di una mostra documentaria sulla creazione del Museo da parte degli studenti del Seminario avanzato in archeologia, che ha riunito le autorità accademiche e di un nutrito pubblico formato dai membri delle associazioni di amici dell’archeologia e filelleniche.
Il sottile, ma non esile volume Le voyage à Crotone apre la serie «Kroton» della collana di «Studi ginevrini sull’antichità» (EGeA), diretta dai professori Lorenz Baumer et Philippe Collombert, per i tipi di Peter Lang a Berna. Raccoglie undici articoli, frutto di altrettanti interventi al «Colloquio internazionale organizzato dalla Sezione di Archeologia classica del dipartimento di scienza dell’Antichità dell’Università di Ginevra, tenuto l’11 maggio 2011». Si trattava di saggiare ed esemplificare un aspetto del progetto globale «Kroton, Cotrone, Crotone», quello proposto da chi scrive, di riunire tutta la documentazione relativa ai viaggiatori e ai «non-viaggi» a Crotone (cioè quelli non avvenuti – fossero essi stati pianificati o no – per un gran numero di motivi diversi fra loro), dall’Antichità ad oggi, dalle notizie trasmesse dagli storici e dai geografi antichi sui primi coloni greci, ai diari dei «turisti» tedeschi, inglesi e francesi del Settecento – di cui il Winckelmann può considerarsi il sommo rappresentante – alle note degli archeologi, disperse negli archivi d’Europa e forse d’America.
Dopo l’intervento programmatico sui vari approcci da usare nel riunire e analizzare le fonti, Ana Camelia Chisu parla di viaggi mitici e del viaggio inscenato da Petronio nel Satirikon, nonché dell’imbarco a Crotone ipotizzato da Cicerone come estremo ricorso sulla via della fuga dall’Italia.
Salvatore Medaglia legge in filigrana, attraverso una meticolosa indagine condotta nell’epigrafia delfica e epidaurica, il rilievo che aveva Crotone nel panorama della Grecia sacra, nel IV e nel II secolo av. C.
Il resoconto del suo viaggio in Magna Grecia, che il barone von Riedesel (1740-1784) scriveva al suo tutore Johann Winckelmann, fu preso a guida dai viaggiatori che seguirono le sue tracce, e da Goethe, in particolare, durante il suo celebre viaggio in Italia. Lorenz Baumer mostra l’influenza che l’(erronea) lettura data dal nobile tedesco dei monumenti visibili al Capo Colonna esercitò fino al XX secolo sugli archeologi. E individua nel resoconto del Riedesel l’origine dell’immagine negativa di Crotone e della Calabria tutta, come di un luogo che non si visita.
In ciò, Riedesel non faceva che seguire una raccomandazione che gli stessi Napoletani prodigavano ai loro ospiti, come si evince da altre fonti, a cominciare dallo Swinburne, di cui si occupa Stefano Condorelli nelle pagine che seguono. Quel nobile inglese pensava a far fortuna scrivendo pagine di alto valore letterario su regioni sconosciute. Sentendosi preceduto, rinunciò in larga misura al suo progetto, ma gli ozi napoletani non gli impedirono di correggere l’immagine esclusivamente negativa che il tedesco aveva data di Crotone.
Ambigua la visione di Crotone nel Voyage... firmato dall’abate di Saint-Non, che – come ricorda Patrizia Birchler Emery, si basa in realtà sui quaderni trasmessigli nel 1777-1778 dal giovane, e non ancora famoso, o famigerato, Vincent Denon, e mai rinvenuti.
Sulla base dei ricordi di sir William Hamilton, ambasciatore della Gran Bretagna a Napoli, Jan Blanc ricostruisce l’effetto dei violenti terremoti che si successero tra il 1783 e 84. In particolare, il rendiconto del sopralluogo condotto dal «diplomatico, antiquario, archeologo e vulcanologo inglese», pubblicato subito in italiano e in francese, suscitò improvvisamente un interesse quasi morboso per la Calabria, e spinse numerosi viaggiatori a spingersi fino a Crotone e la sua regione.
Emmanuelle Champion-Hindy crea una visione simmetrica di Crotone e Pompei. A Pompei, la dovizie della documentazione archeologica rendeva superflue le testimonianze letterarie antiche. Al caso di Pompei si contrappone quello di Crotone, che, non avendo quasi nulla da offrire, secondo i viaggiatori, in fatto di rovine e di reperti, viveva nella memoria degli scrittori antichi. Come scriveva Saint-Non, al seguito di Vivant Denon: «Nous quittâmes Crotone, en regrettant Crotone», «partimmo da Crotone [la città moderna, «borgo fangoso»], rimpiangendo Crotone [la città antica, celebre per i suoi medici, monumenti e santuarii]».
Anne-Virginie Droz segue con finezza un viaggiatore solitario, che visita Crotone dopo il periodo napoleonico (1825). Ormai bisognava fare i conti con i briganti. Questo personaggio modesto passa per una spia del governo borbonico, e così usufruisce della protezione che gli esibisce la polizia... Rinuncia a confrontare i ricordi letterari con le rovine che si offrono ai suoi occhi, per concentrarsi su alcuni incontri che gli rivelano lo stato delle popolazioni locali, tra saggezza popolare e superstizione.
Con Tatiana Forte scopriamo un viaggiatore che viene a Crotone alla fine dell’Ottocento, non più come «turista», ma in cerca di un clima propizio alla sua cagionevole salute e materia allo scrivere. Il solo incontro che susciterà la sua simpatia sarà quello con il custode del Cimitero, uomo semplice, buono e senza malizia...
Con l’articolo su Paolo Orsi, citato all’inizio, si conclude questo breve ma denso sorvolo dell’archeologia e della storia di una città, che si trova, auspicatamente, alla vigilia di una profonda riscoperta.






NOTE
1 Abbiamo invitato il dr. Matteo Campagnolo, conservatore del Cabinet de Numismatique di Ginevra e docente incaricato all’Università di quella città, di dar conto di questo importante volume, di cui egli è tra i curatori, e lo ringraziamo di aver cortesemente accettato (g.g.).^
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