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Sulla chiusura del semestre europeo a presidenza italiana
di G. G.
Si chiude in questi giorni il semestre europeo a presidenza italiana. Per molti lo si chiude con un esito modesto: il che è non è del tutto vero, e anche se chi sostiene il contrario (alcuni temono, anzi, che non solo in Europa, ma in generale la posizione internazionale dell’Italia si sia indebolita) non riesce molto persuasivo. Molti ne traggono spunto per altri motivi di critica al governo Renzi, che trovano un appiglio nell’esaltazione fatta a suo tempo della presidenza italiana.
Ci si sforzerà – si disse – di ottenere che dalla “politica del rigore” l’Unione passi a una “politica della crescita”; e si pensava pure a una qualche opportuna modifica per rendere più funzionali le procedure dell’Unione; e di tutto ciò, a conti fatti, ben poco o nulla si è visto.
Per la crescita si sono avuto i 300 miliardi annunciati da Juncker per gli investimenti nei paesi dell’Unione, che non sono una bazzecola, ma sono ben lontani dal corrispondere alle attese di una “politica della crescita”. E, malgrado un certo successo sulla flessibilità nel giudizio sulle finanze degli Stati membri, la Merkel e altri hanno ribadito che quanto a debito pubblico e rigore finanziario nulla vada innovato nell’Unione.
Di procedure sembra che non si sia nemmeno parlato. Né si è approfondito il discorso sulla parte dell’Unione rispetto alle grandi immigrazioni attraverso il Mediterraneo dopo la fine dell’operazione italiana “Mare Nostrum”, mentre l’impegno europeo con l’operazione “Frontex plus” non appare in grado di supplirvi. Ora, con l’inverno, le migrazioni, ovviamente, decrescono, ma col ritorno della bella stagione riprenderanno vigore, e vedremo.
Per di più problemi preesistenti hanno preso maggiore rilievo, tra i quali, in particolare, quello dei rapporti con la Russia. Come è noto, alcuni paesi europei propendono per una netta chiusura nei confronti di Mosca a proposito dell’Ucraina, e seguono la linea americana (così la Germania). Altri paesi europei propendono, invece, per una linea più morbida (come Francia e Italia). È una diversità di opinioni che non si presta a giudizi semplicistici, anche se resta sempre valida l’opportunità di far capire alla Russia che il suo ruolo di grande potenza è al di fuori di ogni discussione, ma non le consente più gli arbitri e le prepotenze dell’era sovietica.
Si sono, poi, da ultimo aggiunti l’ulteriore aggravamento della crisi greca e, soprattutto, i fatti di Parigi, e anche in questi casi la parte dell’Unione è apparsa evanescente.
Il bilancio del semestre di presidenza italiana è, quindi, effettivamente modesto, ma neppure il più prevenuto avversario può addebitare questa modestia al governo italiano. La modestia è dell’Unione Europea, che non riesce a decollare quale grande e reale organismo unitario neppure su problemi importanti come quello della crescita o dei rapporti con la Russia, delle immigrazioni e del terrorismo islamico. Alla fine si può dire che il maggiore guadagno italiano del semestre sia stato quello di aver fatto prolungare di sei mesi l’incarico presidenziale di Napolitano.
Tutte vanterie inopportune allora quelle di Renzi sul nostro semestre europeo? Non diremmo. Diremmo, anzi, che qualsiasi capo del governo di paese europeo dovrebbe esprimersi allo stesso modo all’inizio del proprio semestre di presidenza dell’Unione.
Piuttosto, trarremmo anche da questa esperienza l’ammonimento a considerare l’Unione nello stato effettivo in cui si trova, e si troverà ancora non si sa per quanto altro tempo. L’Unione è praticamente irrevocabile. Le sceneggiate che si fanno in Italia sul ritiro, quanto meno, dall’euro sono meschine speculazioni politiche senza domani, che possono magari attrarre un elettorato stanco e deluso per tanti motivi, ma non portano da nessuna parte. Ma ciò non significa che all’interno dell’attuale Unione non si possa cambiare nulla. Si può cambiare molto anche restando le cose così come stanno. A patto, però, che l’impegno europeo sia preso con la serietà totale che esso richiede; e richiede a Roma come a ogni livello politico-amministrativo, dalle Regioni ai Comuni. Agli esami severi a cui sottoponiamo l’Unione Europea dobbiamo sottoporre anche noi stessi, e, come si sa, la materia discutibile (a cominciare dalla utilizzazione dei fondi europei) è davvero molta (e molta, in particolare, nel Mezzogiorno).
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