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«La Sera», il quotidiano che sfidò il fascismo
di Nicola Fanizza
Pochi conoscono Gian Luca Zanetti, una singolare figura di intellettuale mazziniano, vissuto dal 1872 al 1926; eppure il quotidiano milanese «La Sera», di cui fu direttore e animatore dal 1917 al 1924 e la casa editrice Unitas, da lui fondata nel medesimo anno, occupano un posto di rilievo nel panorama del primo dopoguerra. Ha fatto bene, pertanto, Barbara Boneschi a dedicargli un attento e documentato saggio [Gian Luca Zanetti, dall’avvocatura al giornalismo e all’editoria, Milano, Franco Angeli, 2012].
Il volume ricostruisce la sua biografia intellettuale a partire dagli anni della sua formazione presso l’università di Pavia, in cui si era trasferito nel 1892 per frequentare il corso di laurea in giurisprudenza.
La lettura delle opere di Giuseppe Mazzini – mediata dai suoi insegnanti che avevano partecipato all’epopea risorgimentale – diventa in questi anni il fuoco da cui si originano gli ideali che rivendicherà nel corso della sua vita.
Da qui il suo patriottismo che comporta il culto degli eroi del Risorgimento e il suo interventismo del 1914/15. La guerra del nostro Paese contro gli Imperi centrali per conquistare le province di Trento e Trieste gli appare come la continuazione delle guerre di Indipendenza.
Da qui la sua religione del dovere che lo spinge a rivendicare la responsabilità individuale e, insieme, il suo anticlericalismo mitigato. Zanetti rivendica, accanto alla libertà di pensiero, quella religione senza dogmi degli antichi teosofi, che Mazzini aveva individuato anche nella religiosità di Dante.
Da qui la sua partecipazione al movimento cooperativo. Le forze vere, vive e sane che alimentano la vita di una nazione e che perpetuamente la rinnovano per lui venivano dal mondo del lavoro. Diventa, nel 1901, segretario dell’Unione cooperativa di Milano e si attiva per aiutare le cooperative con prestiti a basso interesse e lunga scadenza.
Da qui il suo liberismo economico. Zanetti ingaggia una battaglia giuridica e diplomatica in materia agroalimentare contro il protezionismo del governo dell’Impero germanico, che era giunto a invocare la tutela della salute pubblica del popolo tedesco per impedire la penetrazione delle merci italiane.
Dopo aver conseguito la laurea, Zanetti si trasferisce a Milano, dove diventa avvocato dei grandi rappresentanti dell’industria lombarda. Qui riesce a conciliare la sua attività di avvocato commercialista con la passione di scrivere sui giornali. Il primo articolo lo scrive nel 1898 sulla rivista La vita internazionale di Teodoro Moneta. Quest’ultimo è il solo italiano a cui è stato attribuito il premio Nobel per la pace. Aveva partecipato alle Cinque giornate di Milano, all’impresa dei Mille e, infine, alla guerra del 1866. Tuttavia l’attività in cui si prodigò con tutte le sue forze fu quella, per l’appunto, di propagatore della pace mondiale.
L’approccio di Zanetti alla politica – quale si evince sin dai suoi primi articoli – è tipico dei liberali di sinistra che si richiamano a Zanardelli.
C’è un filo che lega le diverse stagioni del suo impegno politico e civile fino alla sua morte, avvenuta nel 1926. E tuttavia gli anni che vanno dal 1917 al 1924 si configurano come la stagione più intensa della sua vita. Si tratta degli anni in cui l’Italia, dopo aver vinto la guerra, viene investita dalle dinamiche preinsurrezionali che di solito troviamo nei paesi che sono stati sconfitti e si avvia, inesorabilmente, verso il totalitarismo fascista.
Nel 1917 – lo stesso anno della disfatta di Caporetto –, Zanetti diventa direttore de «La Sera», quotidiano che usciva a Milano in edizione pomeridiana fin dal 1892. La responsabilità morale e civile, assunta con il nuovo ruolo di direttore di coscienze, lo spinge a utilizzare tutte le sue energie intellettuali per creare una coscienza nazionale unitaria, nuovi spazi di democrazia e un’opinione pubblica consapevole.
Tutto ciò si concretizza attraverso: l’attenzione verso i problemi del Mezzogiorno, su cui farà intervenire firme prestigiose come quella di Napoleone Colajanni; la lotta per l’estensione del voto alle donne, ribadito con gli articoli firmati da Innocenza Cappa e Fabio Luzzato; l’invito rivolto agli industriali a non cercare lo scontro con gli operai, ma, piuttosto, ad attivarsi per ristrutturare le loro industrie con nuovi macchinari; lo spazio riservato per le rubriche scientifiche e mediche nonché per le novelle.
La linea che il nuovo direttore imprime al giornale è quella della «democrazia operosa» e dell’indipendenza da ogni potere politico ed economico.
Zanetti assume un atteggiamento oltremodo critico nei confronti del governo guidato dal meridionalista Saverio Francesco Nitti. Pur riconoscendo il disegno liberale del suo programma e le intenzioni di aprire alle forze popolari, stigmatizza i suoi tatticismi spiccioli, le ambiguità e le contraddizioni della sua azione di governo.
Viceversa sosterrà i governi prima di Giolitti e poi di Bonomi. Condivide il programma esposto da Giolitti nel discorso di Dronero dell’ottobre 1919 e, in particolare, il suo progetto di coinvolgere i socialisti di Turati nell’azione di governo. Il deputato di Dronero spera che a Livorno, al congresso socialista, avvenga il miracolo che attende da una vita: ossia che i socialisti riformisti accettino di collaborare con lui. Da qui l’azione di supporto svolta dal direttore de «La Sera» al suo governo: sollecitato da Giolitti che voleva risolvere la questione dell’occupazione delle fabbriche senza ricorrere all’uso della forza, Zanetti entrò in contatto con gli industriali lombardi per convincerli ad accettare l’accordo contrattuale approntato dal governo con il consenso dei sindacati.
Tuttavia, tramontata nei primi mesi del 1921 la possibilità dell’accordo con Turati, Giolitti decide di andare alle elezioni anticipate, poiché ritiene che le elezioni avrebbero ridotto la forza dei socialisti, rendendoli più malleabili.
Giolitti si rende conto che con l’introduzione del sistema proporzionale era diventato difficile utilizzare i suoi prefetti per ridimensionare il peso elettorale dei socialisti e dei popolari. Cerca, pertanto, soluzioni di più ampio raggio, poiché ritiene che solo una coalizione di forze avverse al movimento operaio e contadino possa recuperare il consenso elettorale perduto nelle elezioni del novembre del 1919. Ed è in questa nuova cornice che i fascisti entrano a pieno titolo nel suo orizzonte di governo.
Di fatto Giolitti con la politica dei «blocchi nazionali» apre ai fascisti, regalando a questi ultimi una patente di credibilità che nella sensibilità dei prefetti e delle forze dell’ordine diventa il salvacondotto dalla loro impunità.
La linea dei «blocchi nazionali» non è tuttavia condivisa dal direttore de «La Sera», che entra in conflitto con il prefetto di Milano Alfredo Lusignoli. Mentre quest’ultimo – insieme agli altri prefetti di orientamento giolittiano – si adopera per favorire la costituzione dei «blocchi nazionali», Zanetti manifesta la sua ostilità. Ritiene, infatti, che la coalizione dei liberali con i fascisti si configuri come la «tomba della democrazia».
Tale conflitto è destinato ad acuirsi dopo l’avvento del fascismo al potere. Zanetti stigmatizza in più occasioni l’arroganza del prefetto Lusignoli, che aveva, tra l’altro, favorito l’ascesa di Mussolini al potere. Viene più volte minacciato dai fascisti e tuttavia non si arrende: auspica, in occasione delle elezioni amministrative che si tennero a Milano agli inizi del 1923, l’alleanza fra i liberali di sinistra e i democratici; denuncia le intimidazioni e le violenze messe in atto dai fascisti contro i loro oppositori; e, infine, ingaggia una dura battaglia contro la «legge Acerbo».
Il modo in cui il fiero direttore de «La Sera» difende la linea antifascista del suo giornale è oltremodo risoluto. La Boneschi ci parla di uno Zanetti che diventa accentratore, controlla tutti gli articoli e non esita a emarginare i giornalisti che si rivelano sensibili alle sirene del fascismo.
Nondimeno i fascisti non tardano a fargli pagare il conto: nel febbraio 1924, Zanetti fu costretto a lasciare la direzione de «La Sera». Il direttore, nel suo ultimo articolo, si congedava dai lettori, denunciando le intimidazioni e le minacce subite. La Boneschi riporta la versione integrale dell’articolo in appendice. Le parole che leggiamo sono il manifesto del suo pensiero: la centralità del mondo del lavoro; il riconoscimento giuridico delle organizzazioni proletarie; il rifiuto della violenza come strumento della lotta politica; il rigetto dell’odio nei confronti di qualsiasi oppositore politico.
Benché fosse stato costretto ad abbandonare la direzione de «La Sera», Zanetti riuscì, comunque, a mantenere il controllo sulla casa editrice Unitas.
La scelta da parte di Zanetti di chiamare la casa editrice con la parola Unitas non era stata casuale: è un termine che per Zanetti evocava l’unità d’Italia, la cooperazione e, insieme, l’esigenza e, forse, anche l’obbligo di addomesticare la distanza fra gli individui, attivando nuove forme di sociabilità, caratterizzate da un senso nuovo e più largo di umanità. D’altra parte, non è in alcun modo casuale che anche Antonio Gramsci nel 1924 chiami con lo stesso nome – «l’Unità» – il giornale da lui fondato, poiché esprimeva l’essenza dei suoi ideali.
Zanetti si richiama alla grande tradizione illuministica e, in particolare, al «Politecnico» di Carlo Cattaneo. La fiducia nel progresso, nella valenza conoscitiva e, insieme, liberatoria della scienza, furono i motivi ispiratori della sua avventura editoriale. Gli intenti dell’Unitas sono: la diffusione del sapere scientifico; l’impulso all’economia e, infine, il riformismo nella pubblica amministrazione.
Fra i periodici pubblicati dall’editrice Unitas, «La Rivista d’Italia» e «L’Industria» erano quelli a cui Zanetti teneva di più. Si attivò per far convergere nelle due testate le energie intellettuali più rappresentative del tempo, conquistando la collaborazione delle firme più importanti: da Luigi Einaudi a Vilfredo Pareto, da Ada Negri a Luigi Pirandello, da Angelo Ghisleri a Gioacchino Volpe, da Guido Ludovico Luzzato a Corrado Barbagallo, da Giuseppe Prezzolini a Piero Gobetti, da Gaetano Salvemini a Piero Calamandrei.
Dopo aver abbandonato la direzione de «La Sera», Zanetti viene tenuto sotto controllo dalla polizia fascista che gli fa assaggiare il morso della censura. Nella lettera inviata a Pompeo Momenti in data 6 marzo 1924, Zanetti scrive: «Anche la corrispondenza che mi giunge da Salò e dal Gardone porta le tracce della censura; e la ragione è data dai miei rapporti con Gabriele d’Annunzio; rapporti che non si riferiscono ad argomenti di miserabile politica più o meno elettorale».
Dalla missiva si evince una prossimità fra i due che non deve in alcun modo meravigliare. Di fatto Zanetti, allo stesso modo di altri repubblicani, aveva guardato con simpatia all’impresa di Fiume. D’altra parte lo stesso Comandante, nel giugno del 1923 – come riporta la Boneschi –, disse di essere «soddisfatto in tutto dell’atteggiamento della “Sera” così nella politica estera come in quella interna». Ciò che allora li avvicinava – mancando il supporto della loro corrispondenza – lo si può solo intuire: era, tra l’altro, il comune orientamento repubblicano e, ancor più, la condivisa distanza da Mussolini!
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