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Nietzsche, Hillebrand e l’attualità della Seconda Inattuale
di Anna Maria Voci
In un recente articolo Ernst Schulin ha esaminato la Seconda Inattuale1, soffermandosi in buona parte anche (e finalmente!, dopo tanto dibattere su Historismus e Historismuskritik, le origini della quale si fanno risalire, appunto, alla comparsa dello scritto nietzscheano) su qualche aspetto finora, per quanto ho potuto vedere, meno esaminato di questo studiatissimo pamphlet, uno dei «testi critici più famosi sulla formazione storica e la scienza della storia»2, e, assieme alla Nascita della Tragedia, il più importante tra gli scritti giovanili di Nietzsche3.
Come rilevò subito l’unico recensore tedesco di questo scritto, Karl Hillebrand, il saggio di Nietzsche si muove, in sostanza, tra i due poli connessi allo studio della storia, da un lato lo historisches Wissen, la scienza, l’erudizione storica, e, dall’altro, lo historischer Sinn, il senso storico4, quello cioè che, in seguito, verrà chiamato Historismus. Schulin, pur dedicando qualche riflessione al secondo di questi due poli, al quale il dibattito filosofico-storico ha decisamente dato la preferenza, vale a dire alla critica di Nietzsche allo historischer Sinn, ha volto però la sua attenzione anche all’altro polo, che mi sembra sia stato un po’ trascurato, quello della critica allo historisches Wissen, in particolare alla questione, di carattere più storico, dell’identità degli storici tedeschi attaccati da Nietzsche, e, di conseguenza, anche all’altro aspetto, strettamente connesso, circa la effettiva attualità della Seconda Inattuale. E siccome tra historisches Wissen e historischer Sinn vi è un nesso causale, nel senso che è l’ipertrofia del primo a comportare, secondo Nietzsche, una corruzione, una degenerazione, una patologia, una Krankheit del secondo, ha dunque, credo, un senso soffermarsi un po’ sul primo di questi termini, per cercare di capire, per prima cosa, a quale tipo di ipertrofico historisches Wissen Nietzsche si volle effettivamente riferire, e per vedere, poi, se il suo scritto sia stato veramente “inattuale”. Poiché la lettura dello scritto di Nietzsche sulla storia mi ha suscitato qualche riflessione, e indotto a qualche conclusione su questi due aspetti o questioni, che sono diverse da quelle esposte da Schulin nel suo interessante saggio, mi proverò qui di seguito a esporle.
La prima questione riguarda, come ho appena detto, l’oggetto della polemica di Nietzsche, intendo l’oggetto vivente, la categoria di persone contro cui egli scrive. A mio avviso, la veemenza dei suoi attacchi e la precisione, in alcuni punti, nella formulazione delle sue critiche sono tali che occorre supporre che egli abbia avuto in mente una determinata categoria di storici.
Certo è vero che, circa quindici anni dopo, in Götzen-Dämmerung (1888) egli ricorda come nel corso di diciassette anni (cioè a partire dal 1871, l’anno di composizione della Nascita della Tragedia) egli non si fosse stancato di mettere in luce l’influenza deleteria, anzi distruttiva per lo “spirito” dell’attività scientifica, così potentemente promossa in Germania5. Ed è altrettanto vero che, quando, sempre nel 1888, nello scritto autobiografico Ecce homo ricorda in particolare le sue Quattro Inattuali, egli dichiara che la Seconda «pone in risalto tutto quanto vi è di pericoloso, di erosivo e di velenoso nel nostro modo di fare attività scientifica», e che, dunque, egli vi abbia polemizzato in genere contro l’eccesso di scientificità, aggiungendo che in quello scritto egli per primo affermo’ che il “senso storico”, del quale il suo secolo andava così fiero, era in realtà una malattia, un «typisches Zeichen des Verfalls»6, e, pertanto, rivendicando orgogliosamente la priorità della sua critica allo storicismo. Ma, proprio per fare questo, per spiegare come mai quello historischer Sinn fosse degenerato in un tipico segno di decadenza, cioè per dare una qualche forma concreta ai suoi attacchi in modo da spiegarsi con il lettore, nello scrivere tra l’ottobre e il dicembre del 1873 la Seconda Inattuale, egli dovette rifarsi polemicamente ai caratteri peculiari di quella corrente storiografica tedesca che più delle altre aveva aspirato a perfezionare scientificamente lo historisches Wissen, aveva trasformato la storia in “scienza”, aveva, secondo Nietzsche, “imbarbarito” la cultura tedesca. Altrimenti egli rischiava di perdersi in invettive generiche e fiacche. Con questa corrente storiografica il giovane filologo classico, quasi trentenne, decise a un certo punto, e, secondo me, non proprio del tutto improvvisamente, o senza alcuna occasione o una causa scatenante7, di fare un generale rendimento dei conti.
Come è noto, la Seconda Inattuale non ebbe quasi efficacia o risonanza al tempo in cui visse il suo autore, o, se ne ebbe qualcuna, essa fu molto minore rispetto agli altri suoi scritti. La Seconda Inattuale, infatti, per Schulin sarebbe stata «wirklich sehr unzeitgemäß», perché non avrebbe riflettuto la situazione di allora della scienza storica tedesca e non avrebbe risposto ad esigenze e necessità del suo tempo8. Infatti, gli storici tedeschi di allora avrebbero prodotto i loro lavori storici (ma Schulin intende forse proprio tutti gli storici tedeschi, attivi negli anni Settanta in Germania?) con gli occhi rivolti al presente, alla vita, all’azione del governo e all’azione e alla coscienza storico-politica della borghesia. La scienza storica tedesca non sarebbe stata, in quel tempo, ancora così istituzionalizzata da dovere temere un eccesso di specializzazione avulsa dalla realtà e quello che egli chiama un «Leerlauf», cioè uno girare a vuoto. Alle università da lui frequentate, da studente di teologia e di filologia classica, Nietzsche non avrebbe quasi potuto acquistare grande confidenza con lavori propriamente storici, e, a Basilea, la sua esperienza dell’insegnamento storico tenuto da Jakob Burckhardt non avrebbe certo potuto contribuire ad alimentare i suoi timori circa la “malattia storica” da lui denunciata nel suo scritto. Infine, secondo Schulin, intorno al 1873, non ci si sentiva ancora “epigoni” né dal punto di vista scientifico, né da quello politico, quindi né come storico, né come cittadino colto. Inoltre, di uno storicismo relativizzante i valori si iniziò a parlare solo venti anni dopo, e solo al di fuori della scienza storica9.
Un paio di queste conclusioni non mi paiono persuasive. Mi lasciano infatti perplessa le due affermazioni secondo le quali la Seconda fosse allora veramente inattuale, e fosse rivolta alla categoria di storici (perché si tratta, appunto, solo di una corrente nel panorama della scienza storica tedesca, e non di tutti gli storici tedeschi) che di solito vengono definiti liberal-nazionali. I tratti peculiari della produzione scientifica di questi ultimi sono noti e sono rapidamente ricordati anche da Schulin. Si tratta di personalità come Friedrich Christoph Schlosser, Friedrich Christoph Dahlmann, Johann Gustav Droysen, Georg Gottfried Gervinus, Heinrich von Sybel, Heinrich von Treitschke, e altri, gran parte dei quali già negli anni Quaranta scrissero le loro opere con l’intento di educare politicamente i loro connazionali e di illustrare loro l’idea germanica di libertà; presero poi parte ai lavori dell’assemblea nazionale di Francoforte (1848/49) difendendo i principii del liberalismo costituzionale e dell’unità nazionale; quindi, dopo il fallimento di quell’esperienza, si ritirarono a coltivare i loro studi storici, non però perché segnati da uno stato d’animo pessimista, bensì, al contrario, perché desiderosi di occuparsi proprio di quelle materie che stavano in un rapporto vivo e diretto con la vita del loro presente, e per esercitare in questo modo influenza sugli ambienti governativi prussiani e sull’opinione pubblica affinché assumessero un atteggiamento favorevole alla costituzione di uno Stato nazionale tedesco10.
A ragione Schulin sostiene che, contrariamente a quanto affermato polemicamente da Nietzsche, il loro rifiuto della dimensione “antiquaria” della storia, il loro rapporto con la “vita”, i loro intenti di educazione politica dei connazionali siano «überdeutlich», più che chiari11. Secondo Schulin, dunque, pur conoscendo ben poco le loro opere12, Nietzsche avrebbe avuto in mente proprio questi storici scrivendo la sua Seconda Inattuale. Veramente Schulin a questo proposito è costretto ad ammettere che Nietzsche nel suo scritto sulla storia praticamente non si pronuncia quasi sull’unità politica tedesca, verso la quale, come è noto, egli si espresse altrove in modo molto critico, né sul liberalismo politico o sul movimento nazionale. Schulin constata meravigliato il ruolo marginale che l’elemento “tedesco” svolge nella Seconda Inattuale, ed esprime il parere che Nietzsche abbia di proposito preferito tacere sui successi avuti dalla storiografia nazionale liberale tedesca13.
A questo punto viene spontaneo chiedersi: ma l’obiettivo di Nietzsche erano veramente gli storici come Droysen o Sybel? Io non lo credo. Secondo me il tenore della Seconda Inattuale induce ad altre conclusioni, alla cui luce i silenzi di Nietzsche rilevati da Schulin acquistano un senso.
Cosa auspica Nietzsche nel suo pamphlet? Quali argomenti e quali formulazioni usa per definire il concetto positivo di storia utile, utile cioè alla vita? Leggiamo allora che egli non nega l’utilità della storia, anzi afferma che ne abbiamo bisogno, «ma ne abbiamo bisogno in modo diverso da come ne ha bisogno l’ozioso raffinato nel giardino del sapere […] ossia ne abbiamo bisogno per la vita e per l’azione», e pertanto «solo in quanto la storia serva la vita vogliamo servire la storia»14; che «solo per la forza di usare il passato per la vita e di trasformare la storia passata in storia presente, l’uomo diventa uomo»15; che «ogni uomo e ogni popolo ha bisogno, secondo le sue mete, forze e necessità, di una certa conoscenza del passato […]; ma non è il bisogno di una schiera di pensatori puri che soltanto stiano a guardare la vita, oppure di individui avidi di sapere, che si appagano solo del sapere, e per i quali l’accrescimento della conoscenza sia il fine stesso, bensì si tratta sempre di un bisogno che ha come scopo la vita e quindi anche rimane sotto la signoria e suprema guida di questo scopo», e ciò perché la conoscenza del passato può essere «desiderata in tutti i tempi solo per servire il futuro e il presente, non per indebolire il presente, non per sradicare il futuro»16; che gli storici potevano interpretare il passato «solo con la massima forza del presente» e indovinare «ciò che del passato è degno di essere conosciuto e preservato ed è grande» solo «nella più forte tensione» delle loro qualità più nobili17.
Ma queste erano proprio le motivazioni ideali che spingevano un Droysen o un Sybel a scrivere le loro opere storiche: lo stesso Schulin cita le parole scritte da Heinrich von Sybel nella premessa al primo fascicolo della Historische Zeitschrift (1859), secondo il quale la rivista appena fondata non si proponeva di essere «antiquarisch», e voleva, al contrario, soprattutto trattare materie «welche mit dem Leben der Gegenwart einen noch lebenden Zusammenhang haben»: Schulin commenta che è evidente come il rifiuto della dimensione “antiquaria” della storia e il riferimento alla “vita” siano qui «überdeutlich», più che chiari18. Insomma, a me pare che l’obiettivo della critica irruente di Nietzsche non possano essere stati gli storici tedeschi della corrente nazional-liberale, nonostante egli, proprio per la sua natura ribelle e incapace di allinearsi, provi estremo fastidio verso una certa esuberanza di quella retorica nazionale divenuta, dopo il 1870, tanto comune e baldanzosa perché inebriata dai brillanti successi militari allora appena compiuti: «Ancora non è finita la guerra, e già essa è convertita in carta stampata in centomila copie, già viene presentata come nuovissimo stimolante al palato estenuato dei bramosi di storia»19.
Quali argomenti usa, poi, Nietzsche per descrivere il modo di studiare e di scrivere la storia che, ai suoi occhi, era dannoso per la vita? E qui, a me sembra, anch’egli si esprime, proprio come Sybel, in una maniera «überdeutlich», più che chiara. Secondo lui, a fronte del modo di coltivare la storia in maniera vivificante, servendo cioè la vita e formando l’uomo ad una “vera” cultura, che egli vede come una “unità” della sua vita interna ed esterna, dello spirito e della vita, cioè come un rapporto armonioso nell’uomo tra scienza e conoscenza, da un lato, e azione e sentimenti dall’altro, ve ne era un altro, adottato da una «potente corrente [sic!] storica che […] si può osservare nelle due ultime generazioni, specialmente fra i Tedeschi», e per il quale «la vita intristisce e degenera» finisce per soffrire di «una febbre storica divorante», di «una virtù ipertrofica»20; e, infatti, se la «la storia, pensata come pura scienza» divenisse «sovrana, sarebbe una specie di chiusura e liquidazione della vita per l’umanità»21; essa, «in quanto sia al servizio della vita, è al servizio di una forza non storica, e perciò non potrà né dovrà diventare mai, in questa subordinazione, pura scienza, come per esempio è la matematica»22; ma, gettando uno sguardo al suo tempo, egli afferma di inorridire, ed esclama: «dov’è andata tutta la chiarezza, tutta la naturalezza e purezza di quel rapporto tra vita e storia […]! È colpa di noi che guardiamo? O la costellazione di vita e storia è realmente cambiata, per il fatto che un astro fortemente ostile si è inserito fra loro? [...] Un tale astro, un astro fulgido e magnifico si è veramente frapposto, la costellazione è realmente mutata – a causa della scienza, a causa dell’esigenza che la storia sia scienza»23; egli vede nella sua epoca una «saturazione di storia […] ostile e pericolosa per la vita»24, animata dal solo ideale della “obiettività”, della “oggettività”, parola con la quale si intende «uno stato dello storico, in cui egli contempla un avvenimento in tutti i suoi motivi e in tutte le sue conseguenze in modo così puro, che esso non fa nessun effetto sul suo soggetto»; Nietzsche giudica questa “obiettività” una illusione25, solo una «espressione verbale» utile a esprimere la supposizione che «colui, cui non importa nulla del passato, sia destinato a rappresentarlo»26; e gli sembra, anzi, che proprio dove «ciò che è più alto e raro deve essere rappresentato, là l’intenzionale e ostentata estraneità, la ricercata, fredda e superficiale arte della motivazione è addirittura rivoltante – quando cioè è la vanità dello storico che spinge a questa indifferenza atteggiantesi a oggettività. Del resto riguardo a tali autori» – egli sentenzia – «bisogna motivare il proprio giudizio […] in base al principio che ogni uomo ha esattamente tanta vanità quanto gli manca di intelligenza»27.
Se il lettore volesse dare, per così dire, un volto allo storico ritratto da Nietzsche con tanta foga polemica (il puro scienziato specializzato nel metodo, che affetta una serenità olimpica e, col suo lavoro, ricerca solo la verità dei fatti storici, si arrocca nella torre d’avorio dell’obiettività, disinteressandosi a tutto il resto, alla “vita”) vi è, mi pare, solo un tipo che presenta riuniti in sé questi tratti caratteristici così veementemente aggrediti: è lo storico-filologo, l’erudito che ha appreso ai seminari di un Leopold Ranke (1795-1886), di un Georg Heinrich Pertz (1795-1876) o di un Georg Waitz (1813-1886) il metodo scientifico di studio ed edizione delle fonti storiche e ha consacrato la sua vita al “servizio della scienza”, il collaboratore alle varie imprese editoriali, allora pullulanti nel panorama complessivo di quell’imponente opificio di edizioni critiche, scientifiche, di fonti che era diventata la Germania in quegli anni: alludo ai progetti editoriali promossi dalla Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde, cioè ai Monumenta Germaniae Historica (con le loro edizioni di testi divise nelle sezioni: Scriptores, Diplomata, Leges, Epistolae, Antiquitates), alle iniziative editoriali promosse dalla Bayerische Akademie der Wissenschaften (i Jahrbücher der deutschen Geschichte28, le Chroniken der deutschen Städte, gli Hanserezesse29), a quelle finanziate dalla Preußische Akademie der Wissenschaften (in quel tempo le edizioni di iscrizioni provenienti dal mondo latino, da quello greco, dall’Egitto, da alcune provincie dell’Asia Minore), a tutte le minori iniziative dei vari e operosi Geschichtsvereine locali, con le loro edizioni di fonti locali.
Tra tutte queste, l’impresa di maggior prestigio nazionale e internazionale, quella che aveva dato lustro alla scienza storica tedesca in Europa e di cui la nazione poteva andare orgogliosa, era quella dei Monumenta Germaniae Historica. Questa fu la grandiosa impresa editoriale perseguita dalla Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde, chiamata in vita nel 1819 proprio allo scopo di approntare una edizione scientifica completa delle fonti relative alla storia tedesca medievale e di pubblicarle, appunto, come monumenti della storia tedesca. Nel corso degli anni tale impresa, mutuando sempre più il suo metodo critico-filologico di indagine delle fonti da quello della filologia classica, la disciplina che Nietzsche insegnava a Basilea, aveva perfezionato i suoi criteri di ricerca, di indagine e pubblicazione di dette fonti portandoli ad un grado di perfezione scientifica effettivamente mai raggiunto prima e che fece scuola, assurse a modello in Europa. È noto altresì che uno degli esponenti certamente più autorevoli di questa corrente storiografica tedesca, quella cioè che si proponeva in primo luogo lo studio critico-filologico delle fonti storiche, fu Leopold Ranke. Non è pertanto un puro caso che l’unico storico menzionato indirettamente e solo una volta da Nietzsche nella Seconda Inattuale sia proprio Ranke, il «celebre specialista della storia»30.
La Seconda Inattuale, uscita a stampa intorno al 20 febbraio 187431, non solo fu un fallimento editoriale32, ma non provocò nemmeno, allora, alcuna reazione visibile tra gli intellettuali tedeschi. In Germania non fu degnata di alcuna recensione, tranne quella, già ricordata, del pubblicista e storico delle letterature Karl Hillebrand33, che l’anno precedente aveva già recensito anche la Prima Inattuale34. La recensione alla Seconda apparve nel luglio di quello stesso 1874 nella «Neue Freie Presse» di Vienna, che la stampò aggiungendo però una nota redazionale per informare il lettore che essa veniva pubblicata solo per rispetto verso Hillebrand, essendosi Nietzsche totalmente compromesso con il suo scritto contro Strauss (cioè con la Prima Inattuale)35. Questa recensione mi appare importante soprattutto perché contiene un giudizio ed una interpretazione dello scritto di Nietzsche che possono ritenersi affidabili, in un certo senso “autentici”, cioè veritieri, dato che lo stesso Nietzsche, esprimendosi qualche anno dopo positivamente al riguardo36, fornisce al lettore moderno la sensazione che egli ne abbia pertanto approvato il contenuto.
Hillebrand aveva quindici anni più di Nietzsche e, nell’esprimersi sul saggio di quest’ultimo, poteva assumere nei suoi confronti un tono di sereno e bonario paternalismo. Egli infatti ritiene che la critica di Nietzsche, da lui chiamato uno dei capi più coraggiosi e dotati di spirito di una schiera di nuovi “Stürmer und Dränger”, sia troppo distruttiva e pessimista, e si limiti, per il momento, solo alla demolizione37. In tutto il saggio di Hillebrand si irradia, al contrario, una luce ottimista, positiva, costruttiva sulle potenzialità che egli riteneva ancora presenti, allora, nella cultura e nella società tedesche. Ciò però non vuol dire che egli giudichi effettivamente “inattuali” i due ultimi scritti di quel novello, impetuoso e tempestoso demolitore, pur essendo stati chiamati così dal loro autore. Al contrario, Hillebrand li giudica ben attuali, costituendo essi con tutta evidenza una reazione al loro tempo, al quale proprio essi sono rivolti.
Il fatto è, egli prosegue, che le guerre del 1866 e del 1870 hanno avuto il singolare effetto da un lato di instillare nel filisteo tedesco un comodo senso di autocompiacimento e di far crescere fino al parossismo la superbia presuntuosa degli eruditi, dall’altro di indurre invece numerosi intellettuali a ripiegarsi su se stessi, a riflettere sulla propria attività e sul valore della stessa38. Nel corso degli ultimi venti anni, egli nota, la superiorità della scienza tedesca, sia su quella di altri popoli e tempi sia su tutte le altre attività della loro epoca, era diventata uno slogan monotono, anzi un articolo di fede inoppugnabile. Al pari dell’autore da lui recensito, anche Hillebrand non ha dubbi: «Die Sache ist: Deutschland hat die Bedeutung der Wissenschaft überschätzt». I rappresentanti della scienza storica si sono sentiti come i rappresentanti della nazione intera; lo Stato, la religione, l’arte, la società sono stati subordinati alla scienza39. E, continua, se si confronta l’arroganza chiassosa e la relativa sterilità della moderna erudizione tedesca con la genialità della generazione precedente di dotti, o con la modestia e gli immani successi preparati in silenzio e conseguiti dalle forze operose della società tedesca, il ceto dei funzionari, dei commercianti, i membri dell’esercito, si deve effettivamente concludere «daß die Wissenschaft ihre bildende Kraft verloren zu haben scheint».
Rispetto ai grandissimi successi ottenuti dalla scienza storica tedesca tra la fine del secolo precedente e i primi decenni di quello in cui egli scrive, egli dichiara che, effettivamente, negli ultimi trenta anni circa gli storici non hanno fatto invece altro che continuare a scavare nei pozzi aperti dai loro padri, perfezionando sempre più gli strumenti e i metodi ereditati da questi ultimi. Alla fine la cosa principale per loro era diventato il metodo. Essi hanno continuato a scavare e a scavare senza accorgersi che, nel frattempo, la nazione portava con calma, e senza accampare pretese, a compimento il nuovo edificio nazionale, le cui basi erano state gettate dal possente pensiero di quei padri40.
L’errore di Nietzsche, a parere di Hillebrand, è però proprio quello di credere che tutta la Germania sia una sola università, che ogni tedesco sia un Privatdocent o un professore di storia o di filologia41. A differenza di Nietzsche, egli pertanto non ritiene affatto che la “ipertrofia” dello historisches Wissen abbia veramente attaccato l’intera nazione: esistono ancora anche troppi «unhistorische Deutsche», cioè i ceti attivi e produttivi della nazione sopra ricordati, che hanno un contatto diretto con la vita e vi influiscono.
D’altra parte almeno un merito Hillebrand crede occorra riconoscere alla scienza storica tedesca degli ultimi trenta anni, e cioè quello di essere stata nazionale e protestante. Ed è interessante vedere come egli motiva questa affermazione:
I signori professori possono pure indulgere a tutte le illusioni circa la loro obiettività, la loro incorruttibilità e coscienziosità, l’infallibilità del loro meraviglioso metodo – e io credo veramente che se si presentasse oggi Tucidide, un qualche Privatdocent di Lipsia o di Gottinga ne esporrebbe con ogni desiderabile accuratezza in un qualche «literarisches Centralblatt» le carenze metodiche, non provenendo egli dal seminario di un Ranke o di un Waitz – […] senza volerlo e senza saperlo, essi hanno però servito la causa protestante e nazionale […]. I funzionari che, un giorno, si sono applicati a questi studi all’università, si sono ben presto scrollati di dosso la farragine della scienza, e se ne sono dimenticati, mentre l’unica cosa che è rimasta viva nelle loro menti sono i sentimenti nazionali e protestanti lì appresi. I cittadini e gli ufficiali che hanno studiato le opere di quegli eruditi […] si preoccupano ben poco dello studio delle fonti, del quale i signori professori sono così orgogliosi; essi si adeguano alla tendenza che lo scrittore scopre nell’evoluzione storica, e questa è quella nazionale e protestante […]. Così, e solo così, i nostri eruditi hanno influito sul corso delle cose tedesche42.

Occorre dunque dedurre da queste parole che Hillebrand credeva che Nietzsche, con la sua critica alla ipertrofia dello historisches Wissen, si fosse proprio rivolto alla scuola di un Leopold Ranke o di un Georg Waitz, allievo di Ranke, alla scuola cioè che faceva capo ai Monumenta Germaniae Historica, e che per Nietzsche, tra i tanti, era evidentemente il massimo esempio di quel connubio tra scienza storica e scienza filologica dal quale era scaturito in Germania quell’eccesso di historisches Wissen e di specialismo fine a se stesso, deleterio alla vita e da lui così aspramente criticato.
Hillebrand prosegue poi osservando che, a differenza che, ad esempio, in Francia o in Inghilterra, in Germania erano stati i professori a preparare il cibo storico per la nazione. Pertanto secondo lui non c’è da meravigliarsi che esso possa avere un sapore un po’ asciutto, se gli insegnanti e gli scrittori di storia, che erano così lontani dalla vera vita pubblica, non erano in grado di distinguere le cose importanti dalle inezie, le cose necessarie dalle superflue. Ciò nonostante la nazione era stata in grado di individuare ciò che era conveniente per essa e di trarne vantaggio. Certamente, per la vita pratica non aveva potuto imparare da essi niente di ciò che un greco, un romano, un francese o un inglese avevano potuto imparare dai loro storici. «La Historik tedesca è come la filosofia tedesca e come la gran parte della letteratura tedesca: essa è stata prevalentemente scritta da dotti per i dotti»43. In altre parole la scienza storica aveva impedito alla Germania di avere una cultura nazionale, spaccando la personalità dell’uomo in un essere che o solo sa o solo agisce e, dunque, indebolendola: la scienza storica «ha dato così tanta importanza all’obiettività che il soggetto, il vero protagonista della storia, che è anche l’unico a essere chiamato a scrivere di essa, si è dissolto, o crede di essersi dissolto»44. Queste parole non possono certo riferirsi a un Droysen, che, come si vedrà, semmai condivideva molte delle critiche di Nietzsche all’ideale e irreale “obiettività” della storia, ma, appunto, solo a un Ranke o a un Waitz, a un monumentista, o, più in generale, a uno storico-filologo convinto cultore solo e soltanto del rigoroso metodo critico.
Come si è visto, Hillebrand, scrivendo nello stesso anno di pubblicazione della Seconda Inattuale, nel 1874, giudica “attuale” la denuncia di Nietzsche di ipertrofia della scienza storica tedesca e, per addurne una prova, evoca i nomi di Ranke e di Waitz. Avevano entrambi ragione? Io credo di sì. Intendo con questo dire che Nietzsche, aiutato molto dal suo contatto con Burckhardt, captò un effettivo disagio esistente all’interno della corporazione degli storici tedeschi, avvertito e fortemente espresso anche da taluni suoi esponenti autorevoli, i quali proprio in quel torno di tempo si posero qualche interrogativo sulla qualità e il senso del lavoro troppo specialistico condotto dai collaboratori dei Monumenta, dunque dagli storici-filologi. Qui di seguito farò qualche nome e qualche esempio, dai quali risulterà la convergenza di giudizi e sentimenti con quanto esposto così polemicamente da Nietzsche.
Jakob Burckhardt (1818-1897), che indubbiamente, come è notissimo, esercitò una notevole influenza sul suo collega molto più giovane45, disapprovava il corso che con sempre maggiore evidenza aveva preso e, negli anni Settanta, perseverava a privilegiare quell’indirizzo della scienza storica tedesca che, per comodità, potremo dire riassumersi negli obiettivi perseguiti dall’impresa dei Monumenta. Il lavoro degli storici al servizio di quest’ultima, in origine ispirato ad una forte esigenza morale di ricerca della “verità” storica, era infatti indubbiamente degenerato in un culto smodato del “metodo” criticofilologico. Verso di esso e verso quelli che lo svolgevano, i «viri doctissimi», come li chiamava Burckhardt, questi provava un senso di fastidio, di superiore, ironico e scettico disprezzo, manifestato peraltro solo in lettere private, mai pubblicamente, come invece decise di fare Nietzsche, e platealmente.
Troviamo così Burckhardt che già nel 1847 (il 17 aprile) scrive allo storico dell’arte Gottfried Kinkel, riferendosi ad alcuni esponenti della scuola storico-critica di Ranke, ambiziosi di fare carriera: «Il buon Dio vuole talvolta anche divertirsi e allora crea filologi e storici di un certo tipo, che si credono superiori a tutto il mondo quando hanno accertato scientificamente che l’imperatore Corrado II il 7 maggio 1030, a Goslar, abdicava, e altre cose che hanno un simile interesse cosmico […]»46. E, oltre venti anni dopo, il 2 luglio 1871, scrivendo allo storico di Tubinga Bernhard Kugler, osservava che in Germania vivevano allora
una dozzina di persone, per le quali il progresso scientifico consiste soltanto nell’accumulare singoli fatti ricavati dalle ricerche d’archivio. Si può anche pensare che questa dozzina di persone potranno un giorno danneggiarci o aiutarci nella nostra vita terrena. Chi però descrive la vita e ha idee, non degna questi signori di attenzione47.

Nessun dubbio che questa dozzina di persone, del tutto avulse dalla “vita”, studiosi di una storia che non serviva alla vita, puri eruditi che, come dice Nietzsche sia nella Seconda Inattuale, sia in altri suoi scritti, sanno solo ingoiare la polvere delle quisquilie, erano tutti monumentisti, storici-filologi.
In Germania vi erano però anche altri storici che, come Burckhardt, espressero forti perplessità sulla china lungo la quale si era incamminata la scienza storica tedesca proprio nel campo in cui aveva raggiunto in Europa una indubbia posizione di preminenza e di riconosciuto prestigio, quello della scuola storico-filologica, che faceva capo ai Monumenta e aveva il compito di pubblicare le fonti della storia medievale della nazione. In questi altri casi si tratta di personalità che, come Burckhardt, erano ben più anziane di Nietzsche e che egli non conosceva, se non, forse, per averne occasionalmente letto qualche lavoro. Mi riferisco, ad esempio, al caso molto interessante di Johann Gustav Droysen (1808-1884).
Nella sua Historik, un testo che contiene una teoria sistematica della conoscenza storica, Droysen espresse l’opinione, influenzata dal criticismo kantiano, che la conoscenza storica non può essere una rappresentazione obiettiva dei fatti passati basata sullo studio delle fonti, perché il passato è semplicemente passato: la conoscenza storica può essere pertanto sempre e solo un prodotto dello spirito conoscente, basato sull’empiria, cioè sullo studio dei materiali storici a noi pervenuti. Pertanto per Droysen l’ideale rankiano della “obiettività” storica era una semplice velleità, poteva configurarsi solo come una “obiettività da eunuchi”48. L’interesse del caso di Droysen nel nostro contesto sta proprio nel fatto che Nietzsche, senza conoscere Droysen, e senza, almeno apparentemente, conoscere la Historik49, la cui stesura risale al 185750, ma, ai tempi del suo autore, girò solo in ambienti accademici sotto forma di dispense (ma, allora, Nietzsche non potrebbe esservisi imbattuto mentre studiava a Bonn o a Lipsia?), e fu pubblicata per la prima volta soltanto nel 1937, riprende anch’egli nella Seconda Inattuale sia il tema della impossibile obiettività, sia l’immagine altamente efficace dell’obiettività che si addice magnificamente agli eunuchi51, per i quali «una donna vale l’altra, è soltanto donna, la donna in sé, l’eternamente inavvicinabile – e così è indifferente che cosa facciate, purché la storia stessa rimanga custodita in modo bellamente ‘oggettivo’, ossia da coloro che non potranno mai fare essi stessi storia»52. Quanto all’obiettività, egli la definisce una “illusione” e spiega che «con questa parola si intende […] uno stato dello storico in cui egli contempla un avvenimento in tutti i suoi motivi e in tutte le sue conseguenze in modo così puro, che esso non fa alcun effetto al suo soggetto […]», cosa che è una “superstizione”: a tale proposito ricorda le parole di Grillparzer, che si era chiesto: «che cos’altro è mai la storia se non il modo in cui lo spirito dell’uomo accoglie gli avvenimenti per lui impenetrabili?», che è un modo di esprimere, letterariamente, il medesimo concetto che Droysen aveva trattato elaborando, ai suoi fini di metodologia storica, una categoria di pensiero kantiana53.
Non solo. Droysen condivideva la forte perplessità verso gli eccessi dannosi del “metodo” critico-filologico ai quali indulgevano gli storici provenienti dai seminari di Ranke, Pertz o Waitz, verso una specializzazione spinta a tal punto da uccidere lo spirito e da impedire la comprensione profonda dei processi storici, e, come Burckhardt, egli non risparmiò loro il sarcasmo. Sin dal 1857 Droysen si lamentava del fatto che
in Germania, a causa della scuola di Ranke e dei lavori di Pertz, siamo sprofondati nella cosiddetta “critica”, e tutta la bravura di tale “critica” consiste nell’accertare se un povero diavolo di cronista ha copiato dall’altro […]. Già più volte mi è capitato di vedere qualcuno scrollare la testa […] perché ho sostenuto che compito dello storico fosse quello di capire […]54.
Nel 1873 scriveva a Treitschke che la “historische Schule”, formatasi sullo studio del Medioevo, o piuttosto delle fonti di storia medievale, era ben lontana dal soddisfare quell’esigenza spirituale che la storia doveva impegnarsi ad appagare, e che essa si era ridotta in fondo a dare e a insegnare solo filologia, ma senza riuscire a trasmettere i grandi contenuti di pensiero, e di una potente forza spirituale, dell’Antichità55. Nel 1879 derideva il metodo di Waitz descrivendolo come quel metodo per il quale la ricerca consisteva nel «tirare fuori la sporcizia dalle dita dei piedi», cosa che, aggiunge, andava comunque rispettata in quanto lavoro manuale: a suo avviso, però, quei signori avrebbero fatto meglio a non dire di essere artisti: «Dies anch’io sono pittore bringt unsere Historiographie herunter»56. Nel 1881, poi, osservava preoccupato «come la nostra gioventù si istupidisce con tutto questo addestramento e perde la capacità di pensare con tutto questo “metodo”, ed è già tanto se qualcuno riesce a diventare uno specialista e a produrre lavori in serie per i Monumenta»57, dove è interessante notare la somiglianza della metafora del «lavoro in serie» («Fabrikarbeit») adoperata da Droysen con quella usata da Nietzsche nella Seconda Inattuale, quando, ironizzando sullo «studente di storia», che per prima cosa si impadronisce saldamente del “metodo”, assume poi col tempo «il giusto piglio e il tono nobile alla maniera del maestro» e diventa «servitore della verità», esclama:
Credete a me: quando gli uomini devono lavorare e diventare utili nella fabbrica della scienza prima di essere maturi, la scienza è in breve tanto rovinata quanto lo sono gli schiavi impiegati troppo per tempo in questa fabbrica […] involontariamente vengono in bocca le parole “fabbrica”, “mercato del lavoro”, “offerta”, “utilizzazione” […] quando si vuol descrivere la generazione di dotti più recente58.

Su questa metafora tornerò tra poco.
Oltre ai nomi di Burckhardt, Droysen, o di Heinrich von Treitschke, che, anch’egli (pur se solo qualche anno dopo, nel 1885) si lamentava del fatto che «tra i nostri giovani storici si è quasi perduta l’idea che la storia serva a descrivere la vita, e ciò a causa del loro lambiccarsi sullo studio delle fonti»59, vorrei menzionare i due casi del kulturhistoriker Wilhelm Heinrich Riehl (1823-1897) e dell’antichista e medievista Karl Wilhelm Nitzsch (1818-1880). Nel 1876 Riehl osservava che, mentre i maestri della grande storiografia tedesca appartenevano tutti alla vecchia generazione giunta alla storia attraverso gli studi di filosofia, nella maggior parte dei giovani storici a lui contemporanei prevaleva invece «der kritische und forschende Spezialismus» e stigmatizzava il fatto che, essendosi rivolta prevalentemente alla ricerca metodica e allo sfruttamento delle fonti, la scienza storica dei suoi giorni, pur avendo acquisito meriti tutti particolari, si trovava però esposta al pericolo «di uno specialismo che con tutti i suoi contributi alla storia finisce col perdere la storia, e che, per essere tutto intento alle fonti, finisce per dimenticare il fiume»60.
Anche Karl Wilhelm Nitzsch61, che dal 1872 ebbe la cattedra di storia a Berlino come successore di Ranke, sin dagli anni Cinquanta ebbe un chiaro sentore del pericolo di impoverimento spirituale che incombeva su un mondo di studiosi incapace di produrre lavori in grado di insegnare all’uomo «nicht nur Exaktheit, sondern auch Leben und Wahrheit»62. Negli stessi anni a cui risale la Seconda Inattuale anche Nitzsch, ricorrendo alla medesima metafora delle “fonti” usata da Riehl, si chiedeva «come riusciremo a uscire da questo “metodo”, che è così utile alle fonti, ma così inefficace a dissetare gli assetati»63, e inoltre, per esprimere la propria disapprovazione di fronte al trionfo di un metodo critico-filologico di ricerca delle e sulle fonti teso tutto alla sicurezza ed esattezza dei risultati, ammoniva che, perseverando su quella strada, si sarebbe solo continuato a produrre «lavoratori tutti uguali l’uno all’altro»64, servendosi quindi anch’egli della stessa immagine del lavoro in serie usata anche da Droysen e da Nietzsche, un’immagine che, evidentemente, poteva facilmente venire in mente vivendo in una società in cui l’industria aveva già fatto grandi progressi. Mi pare, però, abbia un certo interesse notare che questa metafora del lavoro industriale applicata ai collaboratori dei Monumenta sembra proprio sia stata come un cliché attaccato ai Monumenta, e non solo in quegli anni Settanta. Già nei tardi anni Venti, infatti, quando più di una dozzina di giovani storici “copisti” lavoravano per i Monumenta nelle biblioteche parigine a trascrivere dai manoscritti o a collazionare trascrizioni, si parlava della «fabbrica delle collazioni» di Parigi65. Che cosa è, allora, lecito dedurne? Che Nietzsche, servendosi nella Seconda Inattuale di quella metafora, allora corrente e ben attuale, abbia proprio voluto intendere quel tipo di erudito storico-filologo, ad esempio collaboratore dei Monumenta, il cui lavoro risultava del tutto inutile alla vita, e del quale, anche in altri scritti giovanili parla come di un «lavoratore di fabbrica»66.
Constatando i pericoli cui lentamente stava andando incontro la scienza storica tedesca, schiacciata come era dall’obbedienza a un “metodo” critico-filologico nel quale, in origine, si erano riconosciuti gli storici tedeschi più insigni e che le aveva dato lustro in Europa, ma che aveva ormai assunto negli anni Settanta tratti dispotici in grado di isterilire la cultura tedesca e il pensiero, coloro che avvertirono la necessità di cambiare strada per districarsi da quel metodo, per sottrarsi alla sua “tirannia”, si limitarono a osservazioni ironiche o sarcastiche disseminate in lettere private. Il giovane e sensibilissimo Nietzsche captò questa insoddisfazione latente, la elaborò e la arricchì delle ben note, ampie riflessioni sui modi utili di studiare la storia (monumentale, antiquario, critico), sulle tre categorie di percezione umana della storia (historisch, unhistorisch e überhistorisch), nonché delle critiche alla concezione hegeliana della storia, e al libro di Eduard von Hartmann sulla Filosofia dell’inconscio67, e pubblicò un lungo saggio per denunciare a tutti i rischi per la cultura tedesca provenienti da un eccesso di historisches Wissen, e dal conseguente predominio sullo spirito della nazione di un historischer Sinn incontrollato.
Molto importante è la critica alla filosofia della storia di Hegel, perché è proprio questa che consente a Nietzsche di fornire un fondamento speculativo, teoretico, alla sua polemica contro l’eccesso di historisches Wissen e di historischer Sinn, e offre anche, mi pare, un interessante spiraglio per capire l’occasione o la costellazione che può aver spinto Nietzsche ad uno scritto sulla historische Krankheit che egli osservava dilagare nel suo tempo. Secondo lui la filosofia della storia hegeliana
ha abituato i Tedeschi a parlare del “processo del mondo” e a giustificare il proprio tempo come il risultato necessario di questo processo del mondo; una tale maniera di considerare ha messo la storia al posto delle altre forze spirituali, l’arte e la religione, come unicamente sovrana, in quanto essa è “il concetto che realizza se stesso”, in quanto essa è “la dialettica degli spiriti dei popoli” e il “giudizio universale” Questa storia hegelianamente intesa la si è chiamata con scherno il cammino di Dio sulla terra […] ha istillato nelle generazioni da lui [cioè: da Hegel] lievitate quell’ammirazione di fronte alla “potenza della storia”, che praticamente si trasforma a ogni istante in nuda ammirazione del successo e conduce all’idolatria del fatto: per tale idolatria ci si è oggi generalmente esercitati nell’espressione molto mitologica e inoltre davvero ottimamente tedesca “tener conto dei fatti”. Ma chi ha imparato a incurvare la schiena e a piegare la testa davanti alla “potenza della storia”, in guisa cinesemente meccanica fa da ultimo cenno di “sì” a ogni potenza, sia poi questa un governo o un’opinione pubblica o una maggioranza numerica, e muove le sue membra esattamente al ritmo in cui una qualsiasi “potenza” tira il filo. Se ogni successo contiene in sé una necessità razionale, se ogni avvenimento è la vittoria di ciò che è logico o dell’“idea” – allora ci si metta subito giù in ginocchio e si percorra poi inginocchiati l’intera scala dei “successi”! […]68.

Qui egli colpiva nel segno, colpiva alla radice speculativa della scienza storica empirica, della scuola di Ranke, assertore dell’esistenza di una razionalità superiore a guida della storia dell’umanità, dalla quale scaturiva, per lo storico, l’obbligo dell’“obiettività”, perseguibile solo attraverso il metodo storicofilologico di analisi delle fonti e di accertamento dei “fatti”. Ma, colpendo gli storici-filologi, colpiva anche i filologi. In particolare egli colpiva la base teoretica (appunto hegeliana) sulla quale i suoi colleghi filologi classici avevano costruito la loro attività scientifica, e la conseguente contaminazione o il rapporto causale che essi avevano posto in essere tra concezione storicistica e applicazione del metodo empirico di ricerca. Basta infatti giustapporre a questo testo le orgogliose parole usate (nel 1872 e nel 1873) da Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff per demolire l’impianto concettuale de La Nascita della Tragedia, nelle quali Wilamowitz riassume anche la motivazione ideale della sua scienza filologica, per rendersi conto, credo, che Nietzsche, con il suo attacco alla filosofia della storia hegeliana, causa prima della historische Krankheit del suo tempo, regolava anche un conto con colui che, anche a nome della sua corporazione, pochi mesi prima, tanto lo aveva attaccato:
Che questo [il metodo seguito da Nietzsche nella composizione della Nascita della Tragedia] sia proprio il contrario del sentiero della ricerca percorso dagli eroi della nostra scienza, e, in fondo, di tutte le vere scienze, i quali non si fanno fuorviare da una presunzione circa il risultato finale, ma, facendo onore solo alla verità, procedono fermamente di conoscenza in conoscenza a comprendere ogni fenomeno storico, nel suo svolgersi, solo dalle circostanze del tempo in cui si manifestò, e a giustificarlo considerandone la necessità storica: che, dico, questo metodo storico-critico, divenuto almeno in linea di principio un bene comune della scienza, sia l’esatto opposto di un modo di vedere che è legato a dogmi, dei quali deve sempre trovare la conferma, ciò non poteva sfuggire neanche al signor Nietzsche. Il suo espediente è quello di denigrare il metodo storico-critico69.

Per me l’idea più alta è l’evoluzione del mondo conforme ad una sua legge interiore, piena di vita e di razionalità; grato, alzo il mio sguardo verso quei grandi spiriti che, procedendo di gradino in gradino lungo questo cammino, ne hanno strappato i segreti; ammirato, cerco di avvicinarmi alla luce dell’eterna bellezza, una luce che l’arte e ogni fenomeno a suo modo irradiano; e nella scienza, che riempie la mia vita, mi sforzo, sottomettendomi docilmente, di seguire le orme di coloro che hanno liberato la mia capacità di giudizio: qui [cioè nella Nascita della Tragedia] io ho visto rinnegata l’evoluzione di millenni; qui è stata cancellata la rivelazione della filosofia e della religione così da consentire ad un pessimismo slavato di fare una smorfia agrodolce nella sua desolata solitudine; qui si sono fatte a pezzi le immagini degli dei, con i quali la poesia e l’arte figurativa popolano il nostro cielo, per adorare, nella loro polvere, l’idolo Richard Wagner; qui è stato abbattuto l’edificio costruito da uno zelo grandissimo, da un genio splendente, per consentire a un sognatore ebbro di penetrare col suo sguardo strampalato negli abissi dionisiaci70.

Il collega di Nietzsche a Basilea, Jakob Burckhardt, fu certamente tra i primi a ricevere un esemplare della Seconda Inattuale appena stampata. Al termine della sua lettera di ringraziamento (per la verità non calorosissima) all’autore (25 febbraio 1874) egli prevedeva che quello scritto avrebbe “toccato” numerosi lettori, in quanto Nietzsche sarebbe riuscito «a porre sotto i loro occhi una sproporzione veramente tragica: l’antagonismo tra il sapere storico e la capacità dell’uomo, ovvero il suo essere, e, ancora, quello tra la raccolta di un enorme ammasso di sapere e le spinte materiali del nostro tempo»71.
Questa previsione si rivelò, per quel momento, sbagliata. Con ogni probabilità furono la violenza dello stile e la radicalità delle critiche a far sì che l’accoglienza al pamphlet di Nietzsche fosse gelida. Oltre a ciò può darsi che a lui non abbia giovato la cattiva fama che si era già guadagnato agli occhi della opinione pubblica colta tedesca sia con la precedente Inattuale sia con il clamoroso insuccesso della Nascita della Tragedia. Persino lo stesso, riservatissimo, Jakob Burckhardt, suo amico paterno, reagì perplesso ad una prima lettura veloce dello scritto sulla storia (come è attestato dalla sua lettera appena menzionata72), forse anch’egli sconcertato dalla foga della prosa irrequieta, ribelle e polemica di Nietzsche, così ricca di forza sarcastica, di iperboli provocatorie, di ammonizioni talvolta oscure al lettore, ma anche animata da una sensibilissima e prolifica fantasia che si scatena e dà corpo a una serie di immagini estrose, di paragoni ironicamente provocanti, e anche di giudizi taglienti, di aforismi fulminanti. Già, però, alla fine del secolo XIX, e poi molto di più nel corso del seguente, la Seconda Inattuale conobbe una ricezione che superò di gran lunga quella delle altre tre Inattuali: si può dire, anzi, che nessuno tra i suoi scritti giovanili, tranne la Nascita della Tragedia, sia stato tanto studiato quanto lo è stato appunto la Seconda Inattuale73.









NOTE
1 E. Schulin, Zeitgemäße Historie um 1870. Zu Nietzsche, Burckhardt und zum “Historismus”, in «Historische Zeitschrift», 281 (2005), pp. 33-58.^
2 Ivi, p. 33.^
3 W. Kaufmann, Nietzsche. Philosoph – Psychologe – Antichrist, trad. ted., Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1982, p. 142.^
4 Queste sono le due coordinate, riassuntive del contenuto della Seconda Inattuale, che costituiscono il titolo della recensione scritta da Hillebrand nel giugno 1874 e intitolata, appunto, Ueber historisches Wissen und historischen Sinn. Su tale recensione mi soffermerò più avanti.^
5 Was den Deutschen abgeht, 3, in Götzen-Dämmerung oder Wie man mit dem Hammer philosophiert (in Friedrich Nietzsche, Werke, ed. Karl Schlechta, II, München, Hanser Verlag, 1969, p. 985): «Ich bin seit siebzehn Jahren nicht müde geworden, den entgeistigenden Einfluß unsres jetzigen Wissenschafts-Betriebs ans Licht zu stellen».^
6 Ecce homo. Wie man wird, was man ist, ed. Schlechta (cit. in nt. preced.), II, p. 1.113. La traduzione è mia.^
7 In genere si sostiene invece così. Cfr. ad es. J. Salaquarda, Studien zur zweiten Unzeitgemäßen Betrachtung, in «Nietzsche-Studien», 13 (1984), pp. 1-45, e K. Meyer, Ästhetik der Historie. Friedrich Nietzsches “Vom Nutzen und Nachteil der Historie für das Leben“, Würzburg, Königshausen & Neumann, 1998 (Epistemata. Würzburger wissenschaftliche Schriften. Reihe Philosophie, Band 238), p. 1. Cfr. più avanti.^
8 Schulin, Zeitgemäße Historie (cit. in nt. 1), p. 33.^
9 Ivi, p. 34.^
10 Per la bibliografia al riguardo mi limito a rinviare agli scritti di Schulin, che egli cita in nt. 2 del suo saggio, ai quali aggiungerei: W.J. Mommsen, Deutsche Geschichtswissenschaft im 19. Jahrhundert, in Geschichte und Geschichtswissenschaft in der Kultur Italiens und Deutschlands. Wissenschaftliches Kolloquium zum hundertjährigen Bestehen des Deutschen Historischen Instituts in Rom (24-25. Mai 1988), hrsg. von Arnold Esch und Jens Petersen, Tübingen, Niemeyer, 1989, pp. 70-97: qui pp. 78-88, e U. Haltern, Geschichte und Bürgertum. Droysen-Sybel-Treitschke, in «Historische Zeitschrift», 259 (1994), pp. 59-107.^
11 Schulin, Zeitgemäße Historie (cit. in nt. 1), pp. 34-42: qui pp. 37 e 39.^
12 Per sostenere ciò adduce qualche passo da altri scritti di Nietzsche, dove è attestata la sua lettura di questo o quello scritto storico (di Ranke, di Niebuhr, di Treitschke e di qualche altro). Esiste un lavoro recente sulla consistenza della biblioteca di Nietzsche (Nietzsches persönliche Bibliothek, hrsg. von Giuliano Campioni, unter Mitarbeit von Renate Müller-Beck, Berlin, de Gruyter, 2003), e anche un elenco dei libri da lui presi in prestito dalla Biblioteca Universitaria di Basilea (L. Crescenzi, Verzeichnis der von Nietzsche aus der Universitätsbibliothek in Basel entliehenen Bücher (1869-1879), in «Nietzsche-Studien», 23 [1994] pp. 388-442). Da questi repertori si ricavano talune altre informazioni sulle letture storiche di Nietzsche. È chiaro, però, che l’assenza in essi del nome e dei libri di un determinato storico non è comunque sufficiente a negare in modo assoluto la lettura di suoi testi da parte di Nietzsche. È mai possibile, infatti, che, anche da studente di filologia classica, non abbia mai avuto in mano una delle edizioni di fonti dei Monumenta Germaniae Historica? Inoltre, nell’elenco della sua biblioteca personale mancano del tutto le opere di Kant. Può questo forse voler dire che non lesse nulla di Kant? Evidentemente no. Dello stesso Hegel, il cui scritto Die Vernunft in der Geschichte, l’introduzione alle Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, egli critica fortemente nella Seconda Inattuale, nella sua biblioteca personale è presente solo l’opera che serviva a Hegel per preparare le sue lezioni universitarie, la Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse. Zum Gebrauch seiner Vorlesungen..., Berlin 1870 (cfr. il catalogo pubbl. da Campioni, cit. sopra in questa nt., alla p. 281). Quanto alla scarsa conoscenza di opere storiche, segnalo che Nietzsche in Ecce homo, quando ricorda la composizione del suo Menschliches, allzumenschliches (1878), rammenta anche di avere interrotto, allora, in un momento di crisi, pure i suoi «studi propriamente storici» (ed. Schlechta, II, [cit. in nt. 5], p. 1120).^
13 Schulin, Zeitgemäße Historie (cit. in nt. 1), pp. 39-40.^
14 F. Nietzsche, Considerazioni inattuali II: Sull’utilità e il danno della storia per la vita, versione di Sossio Giametta, in Idem, La nascita della tragedia. Considerazioni inattuali I-III, versioni di Sossio Giametta e Mazzino Montanari, Milano2, Adelphi, 1976 (Opere di Friedrich Nietzsche, vol. III, tomo I), pp. 257-355: p. 259.^
15 Ivi, p. 267.^
16 Ivi, pp. 286-287.^
17 Ivi, p. 311.^
18 Schulin, Zeitgemäße Historie (cit. in nt. 1), pp. 36-37. Su Sybel fondatore della «Historische Zeitschrift» rinvio al saggio, scritto in occasione del centenario di fondazione della rivista, da T. Schieder, Die deutsche Geschichtswissenschaft im Spiegel der Historischen Zeitschrift, in «Historische Zeitschrift», 189 (1959), pp. 1-124. Quanto alla figura dello storico Sybel mi limito a ricordare il lavoro di V. Dotterweich, Heinrich von Sybel. Geschichtswissenschaft in politischer Absicht (1817-1861), Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1978 (Schriftenreihe der Historischen Kommission bei der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, 16).^
19 Considerazioni inattuali II (cit. in nt. 14), pp. 295-296.^
20 Ivi, pp. 259-260.^
21 Ivi, p. 271.^
22 Ivi, p. 272.^
23 Ivi, p. 287.^
24 Ivi, p. 295.^
25 Ivi, pp. 306-307.^
26 Ivi, p. 310.^
27 Ivi, p. 310.^
28 È l’opera che raccoglie e pubblica in forma annalistica tutto il materiale relativo alla storia tedesca, diviso in periodi di regno dei sovrani tedeschi.^
29 Sono le raccolte di Rezesse, le decisioni concordate e adottate dalle diete delle città anseatiche in merito a questioni (soprattutto fondiarie) locali.^
30 Ivi, p. 308. Veramente il testo tedesco lo chiama «berühmten historischen Virtuosen», usando il sostantivo “virtuoso” che ha una sua specificità non proprio coincidente con il termine “specialista”, soprattutto per l’uso che del primo si fa nel campo dell’estetica musicale, anzi della “tecnica” musicale, che è proprio quello che Nietzsche intendeva dire: gli storici come Ranke, i Monumentisti disponevano soltanto di una padronanza assoluta dei mezzi tecnici connessi all’esercizio della loro arte. Dell’ampia bibliografia su Leopold Ranke mi limito a ricordare i due volumi: Leopold von Ranke und die Geschichtswissenschaft, hrsg. von Wolfgang J. Mommsen, Stuttgart, Klett-Cotta, 1988, e Leopold von Ranke and the Shaping of the Historical Discipline, ed. Georg G. Iggers, Syracuse, N.Y., Syracuse University Press, 1990.^
31 Salaquarda, Studien zur zweiten Unzeitgemäßen Betrachtung (cit. in nt. 7), p. 5.^
32 All’inizio di novembre del 1874 ne risultavano venduti solamente 200 esemplari (Nietzsche Chronik. Daten zum Leben und Werk zusammengestellt von Karl Schlechta, München-Wien, Carl Hanser Verlag, 1975, p. 50).^
33 K. Hillebrand, Ueber historisches Wissen und historischen Sinn, in «Neue Freie Presse», Wien, Nr. 3542 e 3544 del 7 e 9 luglio 1874, ripubbl. in Idem, Zeiten, Völker und Menschen, II. Wälsches und Deutsches, Strassburg2, Karl J. Trübner, 1892, pp. 300-326. Sulla figura affascinante di questo intellettuale cosmopolita ricordo soltanto la monografia di W. Mauser, Karl Hillebrand. Leben,Werk, Wirkung, Dornbirn, Vorarlberger Verlag, 1960, il saggio di R. Vierhaus, Zeitgeschichte und Zeitkritik im essayistischen Werk Karl Hillebrands, in «Historische Zeitschrift», 221 (1975), pp. 304-325, il volume degli atti del convegno tenuto a Firenze nel 1984, per il centenario della sua morte, cit. qui di seguito, e le recenti note di J. Heinßen, Historismus und Kulturkritik. Studien zur deutschen Geschichtskultur im späten 19. Jahrhundert, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2003 (Veröffentlichungen des Max-Planck-Instituts für Geschichte, Band 195), pp. 288-301 e 489-560. Le lettere tra Hillebrand e Nietzsche furono stampate da O. Crusius, Friedrich Nietzsche und Karl Hillebrand. Unveröffentlichte Briefe, in «Süddeutsche Monatshefte», 6 (1909), n. 2, pp. 129-142, e sono natural mente state ristampate nell’edizione completa delle lettere di Nietzsche, che ha cominciato ad essere pubblicata nel 1975: F. Nietzsche, Briefwechsel. Kritische Gesamtausgabe. Begründet von Giorgio Colli und Mazzino Montanari. Weitergeführt von Norbert Miller und Annemarie Pieper, Berlin-New York, de Gruyter. Del rapporto tra Nietzsche e Hillebrand si è occupato M. Montanari, Nietzsche-Hillebrand, in Karl Hillebrand eretico d’Europa, Atti del seminario (1-2 novembre 1984), a cura di Lucia Borghese, Firenze, Olschki, 1986 (Gabinetto scientifico letterario G.P. Vieusseux. Studi, 3), pp. 197-205.^
34 K. Hillebrand, Einiges über den Verfall der deutschen Sprache und der deutschen Gesinnung (Bei Gelegenheit einer Schrift von Dr. Friedrich Nietzsche gegen David Strauß, in «Augsburger Allgemeine Zeitung», 22 e 23 settembre 1873, nn. 265 e 266; ripubbl. in Idem, Zeiten Völker und Menschen, II (cit. in nt. preced.), pp. 281-299.^
35 Questa nota redazionale è stata ripubbl. nella Kritische Gesamtausgabe del Briefwechsel di Nietzsche (cit. in nt. 33): II/7.2, 2000, p. 668.^
36 Cfr. la sua lettera allo stesso Hillebrand della metà aprile 1878: «[…] Dies erinnert mich daran, daß Sie auch über meine Schriften gesprochen haben: es ist bei weitem das Einzige, was mir von dem, was mir von Urtheilen über dieselben bekannt geworden ist, wirklich Freude gemacht hat. Denn hier urtheilt ersichtlich die Überlegenheit […] da ergreift der Beurtheilte, wenn er kein Narr ist, mit Vergnügen gegen sich selber Partei. Und wie gerne man von Ihnen lernt!» (ed. Crusius [cit. in nt. 33] p. 131; Briefwechsel. Kritische Gesamtausgabe [cit. in nt. 33]: II/5, 1980, pp. 318-319), e un’altra di Nietzsche a Karl Knortz del 21 giugno 1888 (Hillebrand era già morto): «[…] ‚Die Unzeitgemäßen Betrachtungen’, Jugendschriften in gewissem Sinne, verdienen die höchste Beachtung für meine Entwicklung. In ‚Völker, Zeiten und Menschen’ von Karl Hillebrand stehen ein paar sehr gute Aufsätze über die ersten ‚Unzeitgemäßen’» (Briefwechsel. Kritische Gesamtausgabe, III/5, 1984, pp. 339-341: qui p. 340).^
37 Hillebrand, Ueber historisches Wissen und historischen Sinn (cit. in nt. 33), pp. 303-304.^
38 Ivi, pp. 300-301.^
39 Ivi, p. 304.^
40 Ivi, p. 305.^
41 Ivi, p. 306.^
42 Ivi, pp. 306-307.^
43 Ivi, p. 308.^
44 Ivi, p. 313.^
45 La letteratura al riguardo è abbastanza ampia. Oltre ai due lavori di E. Salin, Jakob Burckhardt und Nietzsche, Basel, Verlag der Universitätsbibliothek, 1938; Heidelberg 2, L. Schneider, 1948, e di A. von Martin, Nietzsche und Burckhardt, 4.a ed. München, Erasmus-Verlag, 1947, mi limiterò a rinviare alle pagine dedicate a questo rapporto da Schulin, Zeitgemäße Historie (cit. in nt. 1), pp. 43-53. Ricordo inoltre qui l’articolo di H. Fuhrmann, Jakob Buckhardt und die Zunft der Historiker, in Das Andere wahrnehmen. Beiträge zur europäischen Geschichte. August Nitschke zum 65. Geburtstag gewidmet, hrsg. von M. Kintzinger, W. Stürner, J. Zahlten, Köln-Weimar-Wien, Böhlau Verlag, 1991, pp. 23-38, perché tratta proprio del tema cui si accenna qui nel testo.^
46 J. Burckhardt, Briefe, hrsg. von Max Burckhardt, Bd. 3, Basel, Benno Schwabe Verlag, 1955, n. 197, pp. 65-68: qui p. 68.^
47 J. Burckhardt, Briefe (cit. in nt. preced.), Bd. 5, 1963, n. 569, pp. 131-133: qui p. 133.^
48 J.G. Droysen, Historik, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1958, p. 287. Di questo testo esistono due edizioni in italiano: Istorica. Lezioni sulla enciclopedia e metodologia della storia, traduz. di Luigi Emery, Milano-Napoli, Ricciardi, 1966 (qui il passo sugli “eunuchi” è a p. 300); Istorica. Lezioni di enciclopedia e metodologia della storia, a cura di Silvia Caianiello, Napoli, Guida, 2003. Da vedere al riguardo il saggio di A. Seifert, Droysen und die Objektivität, in «Historisches Jahrbuch», 99 (1979), pp. 414-424, che mette in evidenza anche le aporie della critica droyseniana alla obiettività perseguita dalla scuola rankiana. Su Droysen mi limito a rinviare a G.G. Iggers, Deutsche Geschichtswissenschaft. Eine Kritik der Geschichtsauffassung von Herder bis zur Gegenwart, Köln-Wien-Weimar, Böhlau Verlag, 1997, pp. 120-162. Non ho potuto vedere il volume di C.-G. Schuppe, Der andere Droysen. Aspekte seiner Theorie der Geschichtswissenschaft, Stuttgart, Steiner, 1998 (Studien zur modernen Geschichte, 51).^
49 Schulin, Zeitgemäße Historie (cit. in nt. 1), p. 42 e nt. 18, notando anch’egli la concidenza del richiamo agli “eunuchi” in Droysen e Nietzsche, afferma appunto che Nietzsche non potè conoscere la Historik.^
50 Essa fu ricavata dalle lezioni tenute da Droysen a Jena.^
51 Considerazioni inattuali II (cit. in nt. 14), pp. 297, 300, 306-307.^
52 Ivi, p. 300.^
53 Già nei tardi anni Sessanta si trova tra gli scritti giovanili di Nietzsche l’osservazione per cui «das Medium, durch das der Historiker sieht» sarebbero «seine eigenen Vorstellungen (auch die seiner Zeit) und die seiner Quellen» e che l’obiettività era qualcosa di irraggiungibile (cfr. Gerrit Walther, Nietzsche liest Niebuhr. Die historischen Wurzeln der zweiten unzeitgemäßen Betrachtung, in Filosofia e storia della cultura. Studi in onore di Fulvio Tessitore, a cura di Giuseppe Cacciatore-Maurizio Martirano-Edoardo Massimilla, Napoli, Morano, 1997, pp. 799-810, qui p. 801).^
54 Passo cit. da Fuhrmann, Jakob Burckhardt und die Zunft der Historiker (cit. sopra, in nt. 45), p. 26.^
55 Lettera del 22 marzo 1873, in Johann Gustav Droysen, Briefwechsel, hrsg. von Rudolf Hübner, II, Berlin-Leipzig, Deutsche Verlags-Anstalt, 1929 (Deutsche Geschichtsquellen des 19. Jahrhunderts, Band 26), pp. 906-907.^
56 Lettera al figlio Gustav del 26 dicembre 1879: ivi, p. 935. L’anch’io sono pittore (in italiano nel testo) è una citazione, naturalmente piena di significati allusivi, dell’esclamazione attribuita a Correggio quando per la prima volta vide un dipinto di Raffaello.^
57 Lettera a Hermann Baumgarten dell’11 marzo 1881: ivi, pp. 941-942: qui p. 942. Cfr. anche le tre lettere al figlio Gustav del 6 luglio 1882 e del 16 febbraio e 8 marzo 1884 (ivi, pp. 952-953 e pp. 975-977).^
58 Considerazioni Inattuali II (cit. in nt. 14), pp. 318-319.^
59 Cit. in H. Grundmann, Monumenta Germaniae Historica 1819-1969, München 1969, p. 19, e in H. Fuhrmann, “Sind eben alles Menschen gewesen“. Gelehrtenleben im 19. und 20. Jahrhundert. Dargestellt am Beispiel der Monumenta Germaniae Historica und ihrer Mitarbeiter, München, Verlag Beck, 1996, p. 32.^
60 W.H. Riehl, Vorwort a Historisches Taschenbuch, ser. V, 6 (1876), pp. V-VI. Su di lui rinvio alla monografia di J. von Altenbockum, Wilhelm Heinrich Riehl (1823-1897). Sozialwissenschaft zwischen Kulturgeschichte und Ethnographie, Köln-Wien-Weimar, Böhlau Verlag, 1997 (Münstersche Historische Forschungen, 6).^
61 Su di lui cfr. il mio saggio: K.W. Nitzsch (1818-1880), una figura singolare e dimenticata della storiografia tedesca, in «Rivista Storica Italiana», 116 (2004), pp. 79-113.^
62 Lettera di Nitzsch a Droysen, 20 giugno 1853, pubbl. in Droysen, Briefwechsel, II (cit. in nt. 55), p. 162.^
63 Lettera di Nitzsch a Wilhelm Maurenbrecher, 24 marzo 1873, pubbl. in Briefe von K.W. Nitzsch an W. Maurenbrecher (1861-1880), hrsg. von Georg von Below und Marie Schulz, in «Archiv für Kulturgeschichte», 8 (1910), pp. 305-366; 437-468: qui p. 332.^
64 Lettera di Nitzsch a Maurenbrecher, 21 ottobre 1876, pubbl. da Below-Schulz (cit. in nt. preced.), p. 441.^
65 Horst Fuhrmann, Les premières décennies des “Monumenta Germaniae Historica” in «Francia. Forschungen zur westeuropäischen Geschichte», 21 (1994), n. 1 Mittelalter-Moyen Age, Sigmaringen, Jan Thorbecke Verlag, 1994, pp. 175-180: qui p. 178.^
66 Considerazioni Inattuali II (cit. in nt. 14), pp. 318-319. Ricordo che il medesimo termine “Fabrikarbeiter” si trova ad es. nel passo di Über die Zukunft unserer Bildungsanstalten. Erster Vortrag (tenuto il 16 gennaio 1872: ed. Schlechta [cit. in nt. 5], III, p. 193): «So ein exklusiver Fachgelehrter ist dann dem Fabrikarbeiter ähnlich, der sein Leben lang nichts anderes macht als eine bestimmte Schraube oder Handhabe zu einem bestimmten Werkzeuge oder zu einer Maschine, worin er dann freilich eine unglaubliche Virtuosität erlangt». Altri due esempi relativi ai filologi cit. in Meyer, Ästhetik der Historie (cit. in nt. 7), p. 79, e in Walther, Nietzsche liest Niebuhr (cit. in nt. 53), p. 800.^
67 Considerazioni inattuali II (cit. in nt. 14), pp. 332 e sgg. Sul ruolo di Hartmann nello scritto di Nietzsche cfr. Salaquarda, Studien zur zweiten Unzeitgemäßen Betrachtung (cit. in nt. 7), pp. 30-45.^
68 Considerazioni Inattuali II (cit. in nt. 14), pp. 327-328.^
69 U. von Wilamowitz-Moellendorff, Zukunftsphilologie! Eine erwiderung auf Friedrich Nietzsches ord. prof. der class. philologie zu Basel «geburt der tragödie», Berlin, Gebrüder Borntraeger, 1872, ripubbl. in Der Streit um Nietzsches “Geburt der Tragödie“. Die Schriften von E. Rohde, R. Wagner, U. von Wilamowitz-Möllendorff. Zusammengestellt und eingeleitet von Karlfried Gründer, Hildesheim, Olms, 1969 (Ibidem, 19892), pp. 27-55: qui p. 31: «[…] dass dies der grade gegensatz sei zu dem wege der forschung, welchen die heroen unserer und schliesslich jeder wirklichen wissenschaft gewandelt, unbeirrt von einer präsumption über das endresultat, der wahrheit allein die ehre gebend von erkenntniss zu erkenntniss fort zu schreiten, jede geschichtlich gewordene erscheinung allein aus den voraussetzungen der zeit, in der sie sich entwickelt zu begreifen, ihre rechtfertigung in ihrer geschichtlichen notwendigkeit zu sehen: dass, sag ich, diese wenigstens im princip wissenschaftliches gemeingut gewordne historisch-kritische methode der grade gegensatz einer betrachtungsweise sei, welche an dogmen gebunden die bestätigung derselben allzeit finden muss: das konnte auch hrn. N. nicht entgehen. sein ausweg ist, die historisch-kritische methode zu schmähn […]».^
70 U. von Wilamowitz-Moellendorff, Zukunftsphilologie! Zweites stück. Eine erwiderung auf die rettungsversuche für Fr. Nietzsches «geburt der tragödie», Berlin, Gebrüder Borntraeger,1873; ripubbl. in Der Streit um Nietzsches “Geburt der Tragödie“ (cit. in nt. preced.), pp. 113-135: qui p. 134: «mir ist die höchste idee die ge setzmässige, lebens- und vernunftvolle entwickelung der welt; dankbar blicke ich auf zu den grossen geistern, die derselben von stufe zu stufe schreitend ihre geheimnisse abgerungen haben; bewundernd suche ich mich dem lichte der ewigen schöne zu nahen, welches die kunst, jede erscheinung in ihrer weise, ausstrahlt; und in der wissenschaft, die mein leben füllt, bestrebe ich mich den spuren derer zu folgen, die mir mein urteil befreit, indem ich mich willig ergab; und hier sah ich die entwickelung der jahrtausende geleugnet; hier löschte man die offenbarungen der philosophie und religion aus, damit ein verwaschener pessimismus in der öde seine sauersüsse fratze schneide; hier schlug man die götterbilder in trümmer, mit denen poesie und bildende kunst unsern himmel bevölkert, um das götzenbild Richard Wagner in ihrem staube anzubeten; hier riss man den bau tausenfachen fleisses, glänzenden genies um, damit ein trunkener träumer einen befremdlich tiefen blick in die dionysischen abgründe tue». Questa è la replica alla risposta data da Erwin Rohde in difesa di Nietzsche al primo attacco di Wilamowitz, uscito con lo stesso titolo, Zukunftsphilologie!, nel maggio 1872. Questo secondo pamphlet di Wilamowitz uscì nel febbraio 1873, solo pochi mesi prima della stesura della Seconda Inattuale. Su questa celebre disputa, alla cui origine sono anche inimicizie e rancori personali risalenti agli anni universitari di Bonn e al passaggio di Nietzsche a Lipsia, al seguito di F.W. Ritschl, cfr. W.M. Calder, The Wilamowitz-Nietzsche Struggle. New Documents and a Reappraisal, in «Nietzsche-Studien», 12 (1983), pp. 214-254.^
71 Burckhardt a Nietzsche, 25 febbraio 1874 (cfr. nt. seg.).^
72 Si tratta della nota lettera di Burckhardt a Nietzsche del 25 febbraio 1874, pubbl. in Burckhardt, Briefe, 5 (cit. in nt. 47), n. 627, pp. 222-223. Cfr. anche Salin, Jakob Burckhardt und Nietzsche, ed. 1938 (cit. in nt. 45), pp. 111-115.^
73 Salaquarda, Studien zur zweiten Unzeitgemäßen Betrachtung (cit. in nt. 7), p. 1.^
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