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Mario Draghi ed una “Unione più perfetta”. Una prospettiva americana in Europa?
di Massimo Lo Cicero
Sommario e contenuti

Il 6 ottobre del 2011 Claude Trichet dirige per l’ultima volta, della sua carriera nella Banca Centrale Europea, i lavori del Comitato Direttivo, ai quali, per tradizione, segue una conferenza stampa, che anticipa all’opinione pubblica gli indirizzi e le politiche che si sono formati nella riunione. La conclusione del mandato si affianca ad una location almeno simbolica: ci troviamo a Berlino nella sede della Banca Centrale Tedesca ed è presente Jens Weidmann, President della Deutsche Bundesbank, che introduce Trichet con un breve indirizzo di saluto, ringraziandolo per il lavoro svolto1. Il 3 novembre 2011 la scena si svolge a Francoforte nei medesimi termini: dibattito al mattino tra i componenti del Comitato Direttivo della BCE e successiva discussione tra il presidente della banca ed i giornalisti. Questa volta il presidente è Mario Draghi ed è al suo debutto nel ruolo di responsabile della politica monetaria in Europa.
In questo articolo cerchiamo di mettere a fuoco due fasi circoscritte della stagione di Draghi alla BCE: la prima fase si colloca dal cambio di testimone, alla fine del 2011, tra Draghi e Trichet fino alla singolare iniziativa di Draghi, il 24 febbraio 2012, di rilasciare, nel medesimo giorno, una intervista al «Wall Street Journal» ed al «Frankfurter Allgemeine Zeitung». Un modo per spiegare, nel pieno della seconda fase della crisi europea, dopo il trauma finanziario del 2008, sia i problemi che si aprono all’interno dell’Europa che quelli che si incontrano sulla scena mondiale. Possiamo considerare concluso, nelle due interviste, il primo impianto del disegno generale relativo alla politica economica che Draghi intende realizzare e che ripropone sistematicamente in un serrato calendario di riunioni ufficiali, del Comitato Direttivo della BCE ed in una serie di incontri, seminari e conferenze distribuiti alla scala dei mercati finanziari europei ed internazionali.
La seconda fase, che prendiamo in considerazione, si colloca tra il 2 maggio ed il 22 novembre del 2013. Nella prima data Draghi annuncia una ulteriore riduzione dei tassi di interesse monetari2. Il 6 maggio, Draghi riceve alla LUISS una laurea honoris causa in Scienze Politiche. In quella occasione Draghi espone sia l’impianto delle politiche adottate dalla BCE che le riforme necessarie perché quell’impianto si completi, e non solo sul terreno delle politiche monetarie, ma anche sul terreno delle politiche fiscali dei Governi europei, per fare avanzare il progetto dell’Unione nel suo complesso e non solo sul terreno della moneta e della sua utilizzazione come leva della politica economica3. Il 22 novembre, a Francoforte, in occasione del Congresso bancario europeo, dedicato al tema “Il futuro dell’Europa”, Draghi interviene sintetizzando nelle prime battute il punto che intende affrontare:

«La situazione dell’area dell’euro è migliorata notevolmente nell’ultimo anno, ma ci troviamo ancora ad affrontare grandi sfide. Dobbiamo assicurare la ripresa economica, ridurre la frammentazione nell’area dell’euro e portare avanti il processo di riforme istituzionali e strutturali. Per conseguire questi obiettivi è essenziale non trincerarsi su posizioni puramente nazionali, nella prospettiva ristretta del proprio interesse particolare. Dobbiamo mantenere una prospettiva europea e far valere i nostri interessi comuni. Quest’oggi vorrei richiamare l’attenzione su due ambiti in cui è cruciale una prospettiva europea. Il primo è la politica monetaria. Una politica monetaria con un’unica valuta avrà sempre effetti diversi in luoghi diversi. Tuttavia è essenziale comprendere che la BCE, in virtù del suo mandato, deve agire per l’insieme dell’area dell’euro. In tal modo la BCE fornisce il miglior contributo alla prosperità di tutta la società europea. Il secondo ambito è la creazione dell’unione bancaria, in particolare del Meccanismo di vigilanza unico (MVU). L’MVU darà vita alla prima vigilanza autenticamente europea mai realizzata e noi dobbiamo cogliere le opportunità che ci presenta. Alle banche offre l’occasione unica di ripristinare la fiducia e attrarre gli investitori privati, grazie anche alla valutazione approfondita della BCE. A tutta l’area dell’euro dà la possibilità di rafforzare l’integrazione finanziaria e ridurre la frammentazione. Perché questo processo sia efficace è fondamentale disporre di un forte Meccanismo unico di risoluzione delle crisi»4.


Il 7 novembre Draghi aveva anche, nell’incontro mensile che segue la riunione del Comitato Direttivo della BCE e precede l’incontro con la stampa internazionale, affrontato radicalmente il problema dei tassi di interesse nelle sue prime battute:
«Ladies and gentlemen, I am very pleased to welcome you to our press conference. I will now report on the outcome of today’s meeting of the Governing Council, during which we took a number of decisions on key ECB interest rates, forward guidance and liquidity provision. First, based on our regular economic andmonetary analyses, we decided to lower the interest rate on themain refinancing operations of the Eurosystemby 25 basis points to 0.25% and the rate on the marginal lending facility by 25 basis points to 0.75%. The rate on the deposit facility will remain unchanged at 0.00%. These decisions are in line with our forward guidance of July 2013, given the latest indications of further diminishing underlying price pressures in the euro area over the medium term, starting from currently low annual inflation rates of below 1%»5.

Le due fasi, quella iniziale, il debutto, e questa ulteriore messa fuoco dei termini nei quali Draghi si accinge a gestire la politica monetaria europea, in una dimensione di medio termine, vengono analizzate nel terzo e nel quarto paragrafo di questo testo. Mentre, nel primo e nel secondo paragrafo, proponiamo una descrizione dello stato dell’Unione Europea ed una prospettiva Europea che si colloca ben oltre la dimensione ed i contenuti della politica monetaria.
Draghi ha presentato questa ultima ipotesi di lavoro negli Stati Uniti il 9 di ottobre del 2013. Poco prima di annunciare, il 7 novembre 2013, la nuova riduzione dei tassi europei, rendendoli quasi prossimi a zero.
Questa descrizione strategica ed originale, sul futuro possibile dell’Unione Europea, ha un carattere ed una veste tipicamente accademica, come era avvenuto in occasione della laurea conferitagli honoris causa alla LUISS, pochi mesi prima. Si tratta, infatti della MalcolmWiener Lecture tenuta da Mario Draghi presso la Harvard Kennedy School, a Cambridge USA6.
Alla tipologia retorica di uno stile da testo accademico l’impianto di Draghi aggiunge anche una sorta di deriva culturale americana, che potrebbe aprire un nuovo e diverso percorso e contribuire, in questo modo, ad un superamento dei problemi, accusati dagli effetti della interazione tra mercato unico e moneta unica: problemi che, dal 2000 ad oggi, hanno rappresentato il tema con il quale deve fare i conti la futura costruzione europea. In definitiva, e per questo motivo, anticipiamo ed isoliamo nei primi due paragrafi dell’articolo lo stato dell’Unione e questa sorta di “lezione americana” di Draghi.
Una lezione che descrive molto puntualmente alcuni dei limiti, con i quali si procedette alla moneta unica come leva del processo di unificazione.
Nel terzo e nel quarto paragrafo, infine, cerchiamo di descrivere come era partito l’impianto strategico di Draghi e quali innovazioni sia stato necessario includere nella nuova ipotesi che, a partire dall’Unione Bancaria nel 2015, va prendendo corpo. Senza trascurare i vincoli ed i problemi ai quali la stessa nuova “lezione americana” finisce per trovarsi di fronte.
In definitiva partiamo dallo stato attuale dell’Unione e da un evento recente, ed abbastanza eterogeneo, rispetto all’impianto precedente della strategia di Draghi, per confrontare, nella seconda parte di questo testo, la differenza tra il primo ed il secondo ciclo di quella strategia. Una eterogeneità che si configura come uno sviluppo delle base concettuale adottata da Draghi al suo debutto, alla fine del 2011. Bisogna anche ricordare la successione che dette corso a quel debutto. In breve, la crisi finanziaria globale si concentra nel biennio 2008/2009. Nel 2010 si nota un rimbalzo, nella dimensione dei tassi di crescita mondiali, dopo il picco decrescente. Ma nel 2001, nella seconda metà dell’anno, i problemi derivanti dalla crisi del debito sovrano si collegano con le criticità patrimoniali delle banche europee e si genera una ricaduta che si traduce, progressivamente, in un profilo recessivo dell’economia. Draghi affronta il suo nuovo incarico, presidente della BCE, proprio nel punto di crisi acuta: quando il collegamento tra i problemi del debito sovrano e quelli delle banche europee si manifestano. Il trapasso tra il 2012 ed il 2013, attenuati ma non ancora risolti i nodi tra i due problemi, viene incrementata la natura degli obiettivi da raggiungere: si allarga lo spettro delle riforme necessarie all’Unione aggiungendo una maggiore responsabilità dei Governi nazionali nella politica fiscale, cioè il governo delle spese e delle imposte nell’ambito dei mercati nazionali; l’attribuzione alla BCE della vigilanza bancaria che prelude ad un progetto di Unione Bancaria che superi la mera dimensione dell’Unione Monetaria. Nella primavera del 2013, infine, si afferma un terzo strumento, la forward guidance. Una modalità di comportamento che accompagna i processi di realizzazione delle strategie attese di politica monetaria, per costruire, anche con una esplicita conversazione con gli attori del sistema una nuova forma di comunicazione da parte delle banche centrali7. La letteratura economica propone due tipologia di questo genere di comunicazione pubblica: Odissean Forward Guidance che impegna la politica monetaria su azioni future da realizzare e Delphic Forward Guidance, che si limita a prevedere gli effetti macroeconomici di quella politica. Ma il caso Odissean Forward Guidance realizza la previsione se esiste una diffusa fiducia nel pubblico che ritenga accettabile la strategia annunciata come leva di realizzazione del risultato. Draghi, che sceglie la versione Odissean, insomma, risulta essere un banchiere centrale che “ci mette la faccia” e, con l’autorevolezza del suo comportamento, riesce ad ottenere il risultato. Alla fine del 2013 l’impegno di Draghi è esplicito sia sulle operazioni di politica monetaria dichiaratamente espansiva, fino a quando l’inflazione sarà nell’intorno del 2%, che sulla realizzazione, entro il 2105, di una Unione Bancaria Europea nell’ambito della quale la vigilanza sul sistema bancario europeo sia affidata alla BCE.



Lo stato dell’Unione Europea

La nascita dell’insieme dei paesi che daranno vita all’area euro si realizza progressivamente nel corso degli anni Novanta. Con l’ingresso di Grecia, Spagna e Portogallo, che si aggiungono agli altri stati europei da tempo impegnati nel processo di unificazione del mercato, si definisce un insieme di quindici paesi che potrà – creando una Banca Centrale Europea che rappresenti, in una dimensione consortile e cooperativa, le banche centrali nazionali – avviare una moneta unica per l’unico grande mercato europeo8.
Un grande mercato unico che dovrebbe assumere una dimensione economica rilevante di scambi e relazioni, finanziarie e commerciali, che aumenterebbe la intensità potenziale della crescita e dello sviluppo in Europa9.
L’allargamento dell’Unione accelera dopo il 2004, quando la progressiva estinzione dell’impero sovietico e la centralità della Russia, che lo sostituisce, ma ridimensionato nelle sue dimensioni, renderà necessario offrire una sponda democratica alle nazioni periferiche dell’ex impero sovietico. Questa accelerazione sarà la base dello squilibrio progressivo nelle relazioni tra Area euro ed Unione Europea, ed in particolare degli squilibri che si manifesteranno in seguito alle integrazioni asimmetriche tra Regioni, interne agli Stati, e gli stessi Stati che appartengano ai due club, monetario e commerciale, che si sono creati nel vecchio continente10.
Il regime dell’area euro, cioè l’insieme dei paesi che includono le economie nazionali in un contesto macroeconomico di rigore fiscale e monetario, potrebbe, in effetti, aver generato, nel corso degli anni successivi alla creazione dell’euro, una inerzia, una sorta di attrito che abbia penalizzato la crescita di una parte dei paesi dell’Unione Europea inclusi negli obblighi di rispetto per questa disciplina macroeconomica11. Non si tratta solo dei problemi collegati alla disparità delle conoscenze tecnologiche disponibili, alle frizioni dovute alle regole del mercato del lavoro od alla fiscalità eterogenea nelle singole aree: cioè delle principali obiezioni che intervengono nel confronto tra costi e benefici della creazione di una optimum currency area12. Si tratta dello sviluppo che, negli anni successivi all’allargamento del 2004, ma per i paesi della sponda mediterranea europea (Grecia, Portogallo, Spagna, Italia) anche negli anni precedenti, ha generato una moneta unica che ha interagito con l’emissione del debito pubblico, da parte degli stati Sovrani, e la relazione tra sistemi bancari e debito pubblico, emesso da diversi e distinti Stati Sovrani.
La moneta unica, infatti, non consente oggi la possibilità – non essendo la BCE un lender of last resort e non disponendo della possibilità di agire mediante operazioni di mercato aperto – di supportare la gestione del debito pubblico da parte della banca centrale nazionale.
La separazione tra banca centrale e Stato emittente del debito pubblico genera una asimmetria, che si legge nel rischio diverso, nonostante la unicità della denominazione monetaria dei titoli emessi da Stati sovrani: un rischio che viene associato dai mercati alle condizioni finanziare ed organizzative della struttura funzionale ed operativa della pubblica amministrazione nel singolo Stato emittente.
Questa asimmetria si allarga, e la dilatazione viene misurata dai mercati finanziari grazie agli spread (scarti) tra emissioni della medesima durata ma di Stati diversi, per i quali, non sussisteva un omogeneo regime di condizioni economiche reali oltre che quella omogeneità del regime macroeconomico, che era stata il dato preliminare per essere selezionati nell’insieme dei paesi che avrebbero creato ed utilizzato la moneta unica13.
Una notevole attenzione, ed una qualificata discussione, rimasta purtroppo in secondo piano, si erano sviluppate, alla nascita della moneta unica, per definire anche quali fossero le politiche necessarie ad evitare polarizzazioni eccessive su alcune delle economie regionali e, di conseguenza, una divaricazione nel ritmo della crescita tra economie regionali ed economie nazionali che includevano le prime14. Analisi di carattere microeconomico, territoriale e certamente collegate ai dati ed alle politiche dell’economia reale.
Un punto particolarmente importante riguardava, infine, i caratteri del commercio internazionale nell’ambito dell’Unione Europea e tra l’Unione Europea ed il resto del mondo. Si tratta delle filiere cross border, delle quali abbiamo già segnalato la presenza nel paragrafo precedente. Le filiere cross border sono sistemi di imprese che si collegano attraversando i perimetri degli stati nazionali. Questi sistemi di filiera hanno due caratteristiche.
La prima caratteristica è quella della classica filiera marshalliana: una integrazione verticale che conduce alla creazione di un impresa mediante un processo di hold up, che rimane nel perimetro complessivo di una entità statale o regionale. Diverso è, al contrario, il caso dell’inter – trade, dove segmenti parziali di processi industriali complessi si collegano cross border anche solo in alcuni tratti particolari dell’intero processo di filiera15. Ed, infine, nella geopolitica degli interessi economici, si formano anche processi gravitazionali: analizzabili con le categorie di massa, distanza e forze reciproche di attrazione. Fenomeni che si possono ridefinire, modificando il lessico della Fisica, come la dimensione delle singole economie (la massa); la distanza tra le stesse, e la intensità dei flussi commerciali in essere, cioè la forza di attrazione reciproca16.
Ma riprendiamo la misura della intensità della crescita in Europa e degli squilibri tra economie, generati degli ultimi dodici anni.
Le 28 economie nazionali, cioè l’insieme del “club commerciale” e del “club monetario”, presentano una media del reddito procapite, nelle singole nazioni, pari a 19.000 euro nel 2000 contro una media di 24.500 euro nel 2010. Calcolando la media in termini di numeri indici, che segnalano la dinamica, e dunque la intensità della crescita nel decennio, fatta pari ad 1 la media delle 28 nazioni nel 2000, essa passa da 1, nel 2000, a 128,9 nel 2010. Si collocano sopra l’indice di 128,9 le seguenti nazioni: Lussemburgo, Germania, Cipro, Malta, Grecia, Slovenia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia, Polonia, Estonia, Lituania, Lettonia, Bulgaria.
Si collocano sotto l’indice, che segnala l’intensità relativa della crescita rispetto alla media dei 27 paesi, le seguenti nazioni: Olanda, Danimarca, Irlanda, Austria, Svezia, Belgio, UK, Italia, Finlandia, Francia, Spagna, Portogallo, Romania.
Colpisce l’asimmetria tra i due gruppi: nel gruppo che cresce troppo poco, rispetto alla media dell’Unione Europea, ci sono alcune delle principali economie dell’area euro. Nel gruppo che cresce ben oltre la media dell’Unione, toccando indici anche superiori a 1,600 ed arrivando a valori come 1,981 e 1,884 (Bulgaria e Slovacchia) si nota una significativa concentrazione di importanti paesi dell’area commerciale che non utilizzano la moneta unica ma sono collegati ai cicli commerciali che si stabiliscono all’interno dei paesi dell’Unione17. Paesi nei quali le industrie, operanti all’interno del paese stesso, alimentano, in alcuni casi, processi di esportazione congiunta tra paesi dell’area commerciale e paesi aderenti anche all’area dell’euro. Flussi commerciali, questi ultimi, che si configurano come filiere segmentate tra i due club, commerciale e monetario, ma impegnate nel collocare prodotti intermedi ed assemblati tra loro per essere consegnati a paesi extra UE.
In questo gruppo, eterogeneo ed in crescita sostenuta, in termini relativi rispetto alle altre economie nazionali, sono inclusi anche alcuni paesi marginali dell’area euro (Cipro, Malta, Grecia). Per i quali la dimensione dell’indice dipende significativamente dal denominatore, cioè dalla bassa quota del reddito pro capite del 2000. Una quota bassa proprio come quella del Mezzogiorno d’Italia – che rappresenta una macroregione, più grande di un certo numero di stati europei – ma che si trova inclusa in una economia dell’area euro. Una macroregione, il Mezzogiorno d’Italia, che sconta una chiara inefficacia del mercato del lavoro; dispone di una insufficiente base economica rispetto alla base demografica; subisce un progressivo ridimensionamento, nel decennio considerato, della base industriale in senso stretto; accusa una povertà di risorse tecnologiche; viene penalizzata da una carenza di infrastrutture, in particolare di reti tecnologiche, che, in presenza di notevoli difficoltà orografiche, impediscono ad una popolazione di oltre venti milioni di abitanti, di essere inclusi nelle potenzialità che il mercato domestico meridionale potrebbe ottenere grazie ad una migliore circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali finanziari. La frammentazione del mercato domestico meridionale, essendo esso parte dell’economia italiana che si presenta come attore dell’area euro e protagonista del mercato unico europeo, è francamente paradossale. Di fronte a questi evidenti fattori di eterogeneità, rispetto allo standard atteso di una regione che possa e debba sostenere l’impatto dell’euro, e le sue conseguenze sulla propria struttura economica, e le opportunità di crescita ad essa collegate, sembra esistere una ragionevole evidenza di un fattore ostativo alla crescita, che abbia la sua ragion d’essere proprio nei caratteri, intrinseci ed originari della politica macroeconomica, cioè delle politiche, fiscali e monetarie, dell’area euro18.
Esistono, viceversa, chiari processi di aggregazione ed integrazione reciproca nelle economie, regionali o nazionali, che interagiscono tra Area euro ed Unione europea ma anche tra paesi dell’Unione e paesi ad essa limitrofi. Una evidente circostanza evidente di questo genere di partnership, e di forte integrazione commerciale, si osserva nel triangolo tra Germania, Russia e paesi dell’area baltica e dell’area intermedia tra Russia e Germania. Questo insieme di circostanze, così come le ipotesi avanzate nella citazione precedente del volume di Padoan, confermano che, anche grazie al trauma della crisi finanziaria del 2008 ed alle sue successive conseguenze recessive, si stia manifestando un futuro possibile dove il club monetario e quello commerciale possano divaricarsi e non trovare un equilibrio ragionevole per includere contemporaneamente il Nord, il Sud e l’Est, dell’Europa. Argomento, questo, che impone la ricerca di politiche adeguate per evitare un simile esito ma che non può e non deve essere giudicato solo come una deformazione del progetto originario dell’euro area. Un progetto nel quale era data per scontata la presenza di mercati del lavoro omogenei e flessibili; di tecnologie adeguate alla possibilità di ridimensionare i costi per unità di prodotto del lavoro per rendere competitive le economie europee ed assicurare un margine adeguato di esportazioni; una capacità diffusa ed integrata dei sistemi bancari e dei mercati finanziari per favorire lo sviluppo della crescita. Una serie di traguardi necessari che, anche senza scontare gli effetti pur significativi della crisi del 2008 e le sue conseguenze, erano assolutamente non raggiungibili solo mediante l’allargamento degli scambi, date le condizioni di squilibrio relativo e di mancata capacità di integrazione reciproca, in cui versavano le economie europee quando dettero vita alla creazione della moneta unica. Una moneta unica, in definitiva, avrebbe potuto sviluppare effetti positivi sulla capacità espansiva del mercato unico solo a due condizioni: che le economie presenti in quel mercato avessero manifestato, contemporaneamente, una forte coesione reciproca ed una grande capacità di flessibilità nei propri ordinamenti.
La presenza di coesione e flessibilità, nel mercato del lavoro come nella organizzazione del Welfare od ancora nella creazione ed utilizzazione di nuove tecnologie capaci di ridefinire la struttura dei costi di lavoro per unità di prodotto, avrebbe generato la convergenza necessaria all’espansione dei volumi che quel mercato unico avrebbe potuto produrre. Governi, che non siano stati orientati alla coesione reciproca, ed un dialogo tra apparati pubblici e corporazioni lavorative, che non sia riuscito a generare le condizioni di flessibilità, che avrebbero compensato eventuali traumi dovuti ad asimmetrie nello sviluppo delle singole economie, nazionali o regionali, hanno generato gli squilibri in atto ed il prolungamento, diversamente da quanto è avvenuto nel resto del mondo, della stagione recessiva che ha fatto seguito alla prima crisi finanziaria globale, quella del 2008.


La lezione americana di Mario Draghi

Il 9 ottobre del 2013, Mario Draghi si presenta in questi termini a Cambridge (USA) e nella Harvard Kennedy School:

Signore e Signori,
ho accolto con grande piacere l’invito a pronunciare la Malcolm Wiener lecture on international political economy di quest’anno. Sono sempre molto lieto di fare ritorno in questo paese, soprattutto qui a Cambridge, dove ho studiato per il PhD negli anni ’70. Gli Stati Uniti sono stati sovente descritti come una giovane nazione, ma l’istituzione che ho l’onore di guidare è considerevolmente più giovane. La Banca centrale europea (BCE) e la moneta unica hanno iniziato a operare quasi 15 anni fa, al principio del 1999. Oggi vi vorrei dare un’idea sia delle circostanze dei nostri esordi, sia delle sfide della nostra “adolescenza”. Come tutti ben saprete, l’Europa è attualmente impegnata in un ampio processo di riforma. Molte delle riforme sono portate avanti nell’ambito degli Stati membri dell’Unione europea (UE), allo scopo di rendere più sostenibili le finanze pubbliche, conferire maggiore competitività alle economie e rafforzare i bilanci delle banche interne. Ma un importante filone di riforme si dipana anche sul piano europeo, quello che corrisponde al livello federale qui negli Stati Uniti. Stanno nascendo nuove norme e istituzioni che cambieranno la relazione tra l’Unione e gli Stati membri. È su questo progetto e sulle sue implicazioni che desidero incentrare l’intervento di oggi. Il preambolo del trattato europeo pone come obiettivo dell’UE “un’unione sempre più stretta”. Per alcuni ciò è fonte di preoccupazione: sembra la promessa di un inesorabile percorso verso un futuro Superstato. Molti europei, con storie e culture nazionali diverse, non si sentono pronti a questo passo. È quindi importante capire che l’espressione “unione sempre più stretta” non rende adeguatamente la sostanza del programma con cui si confronta oggi l’Europa. A mio parere si prestano meglio come definizione le parole mutuate dalla Costituzione degli Stati Uniti: l’istituzione di un’unione più perfetta, “a more perfect union”. Con ciò intendo dire che stiamo “perfezionando” qualcosa che è già iniziato: l’unione economica e monetaria varata nel 1999. I responsabili delle politiche stanno concretizzando le conseguenze della decisione di creare un autentico mercato unico che si vale di una moneta unica. Nel prosieguo del mio intervento desidero descrivere una serie di queste conseguenze esplorando due tematiche di ampio respiro: in primo luogo, argomenterò che un mercato unico comporta necessariamente implicazioni politiche, nel cui ambito la parziale condivisione di sovranità individuale e nazionale può rappresentare il migliore strumento per preservare tale sovranità; in secondo luogo, esporrò come i concetti di unione bancaria e assetto rafforzato per le politiche di bilancio sostengano il mercato unico e la moneta unica19.


Il primo punto che Draghi affronta riguarda la natura del mercato unico. Un mercato unico non è una zona di libero scambio. «Una zona di libero scambio è il frutto di un accordo parziale e reversibile; un mercato unico è invece un’unione universale permanente. Questa distinzione ha implicazioni fondamentali» spiega Draghi.
Le implicazioni sono due: la prima sono le modalità di interazione tra i Governi dei paesi che entrano nel mercato unico; la seconda riguarda la relazione tra l’economia ed il diritto come dato costituente della legittimità dei comportamenti imprenditoriali rispetto alla loro manifestazione come mera attività predatoria, frutto della “legge del più forte”20. Evidentemente le modalità di interazione nei rapporti reciproci tra i Governi, degli Stati partecipanti al mercato unico, definiscono la libertà di far transitare beni, servizi, titoli e persone attraverso le frontiere endogene al mercato unico, evitando, grazie alla moneta unica, i costi di transazione, eventuali, riferiti allo scarto tra i tassi di cambio di una eventuale soluzione che non sia legata ad una moneta unica ma ad un serpente di monete coordinate tra loro entro un certo canale di dispersione dei cambi relativi. L’abolizione di frontiere e dogane, unitamente al superamento del “serpente monetario” in favore della moneta unica, definisce una soglia forte di irreversibilità per quanto riguarda l’eventuale recesso alla situazione precedente quella del mercato unico, che assuma l’insieme delle differenze appena citate come alternativa radicale a quella di un accordo di libero scambio. Resta aperto un problema di sovranità: che riguarda i modi e la intensità con cui quella sovranità andrà esercitata lungo il perimetro esterno all’insieme degli Stati che governano le relazioni interne al mercato unico.
Mario Draghi espone ma non condivide una definizione tradizionale di sovranità:
La questione più difficile in Europa è definire quale sia il grado di poteri da trasferire al livello sovranazionale per sostenere il mercato unico, ossia quanta sovranità occorra condividere. A mio parere un modo di affrontare la questione è riflettere più attentamente su cosa intendiamo per sovranità. Una possibile angolatura da cui trattare il tema della sovranità è di tipo normativo; questa è stata l’impostazione storicamente privilegiata da assolutisti quali Jean Bodin nel XVI secolo. In questo contesto la sovranità è definita in relazione ai diritti: il diritto di dichiarare guerra e negoziare le condizioni della pace, di imporre tasse, di battere moneta e di fungere da giudice di ultima istanza.


In alternativa propone una versione “americana” della interpretazione del problema:

John Locke, nel secondo trattato sul governo, sostiene che il sovrano esiste solo in quanto potere fiduciario inteso a certi fini. È la capacità di raggiungere tali fini che definisce, e legittima, la sovranità. La stessa argomentazione viene esposta da James Madison nel saggio n. 45 del Federalista, in cui dichiara che nessuna forma di governo ha altro valore se non quello di essere idonea a conseguire il bene pubblico. Io ritengo che questa impostazione positiva sia essenzialmente la giusta maniera di pensare alla sovranità. E sono del parere che debba costituire il principio guida nella decisione dei poteri da attribuire rispettivamente al livello nazionale e a quello europeo. Dobbiamo guardare all’efficacia, non a principi astratti che si possono dimostrare vacui nella realtà di oggi. Un approccio di questo tipo ci allontana da una concezione a somma zero della sovranità in termini di potere, laddove un soggetto perde sovranità e un altro ne guadagna. Al contrario, ponendo al centro le esigenze dei cittadini, ci consente di inquadrare la sovranità in termini di risultati, e la somma può essere positiva.


Concludendo che, nel caso Europeo, l’impianto del Trattato UE definisce questa complementarietà, che non esclude reciprocamente la sovranità di alcuno, come accade nello schema “io vinco tu perdi”, grazie allo strumento della sussidiarietà tra gli Stati ma anche nell’ambito delle loro singole strutture e norme nazionali. Questa soluzione richiama la natura iperadditiva dell’insieme dei mercati rispetto alla mera somma degli stessi: condizione espansiva che stava alla base del processo di unificazione del mercato unico nella stagione immediatamente precedente, gli anni Novanta, a quella che ha visto l’ingresso della moneta unica come lo strumento esclusivo della circolazione monetaria in Europa.
La scena è pronta per completare la strategia del prossimo decennio.
Se il sistema che combina tra loro mercato unico e moneta unica è ormai, e definitivamente, irreversibile gli Stati possono cooperare e condividere la politica monetaria come ogni altra forma di sovranità21.
E sono due le new entry che possono effettivamente espandere la portata dell’esperimento, ormai maturo, della Unione Europea come mercato unico servito da una moneta unica. Facendo spostare la frontiera dei problemi che hanno, fino ad ora, condizionato il suo funzionamento o generato squilibri e contraddizioni al suo interno.
La prima è la così detta Unione Bancaria, che si estende alla relativa supervisione e controllo dell’andamento dei sistemi bancari in Europa.
La seconda è la capacità che devono maturare i governi dei singoli Stati nazionali per utilizzare la normalizzazione ed il riordino della propria finanza pubblica, sia sul fronte della dimensione per lo stock del debito che su quello della fiscalità e del deficit corrente, per trasformare radicalmente i mercati del lavoro, il regime di competizione, l’innovazione tecnologica, la organizzazione delle politiche per la salute e l’educazione.
Ma l’Unione Bancaria non comporta solo la possibilità di rendere più uniformi i criteri della vigilanza sui sistemi bancari. La moneta unica è una moneta esogena mentre la moneta bancaria è una moneta fiduciaria e fa parte della base monetaria complessiva perché include depositi e sistemi di pagamento digitali. Si tratta di una moneta interna al sistema dei mercati.
A questo profilo monetario se ne deve aggiungere un secondo, che riguarda il mercato del credito, e la relazione tra rischio e rendimento, ma anche la modalità con cui il debitore ed il creditore possano valutare la dimensione di entrambi. Parafrasando i teoremi di Modigliani e Miller, Draghi precisa che
non vi è in sé alcuna ragione per la quale un’impresa spagnola debba potersi indebitare esattamente allo stesso prezzo di un’impresa olandese. Se il contesto in cui operano le due imprese è diverso, ciò può ragionevolmente influenzare il loro rischio di credito e quindi il tasso al quale assumono un prestito. Ma in un mercato unico un’impresa spagnola dovrebbe potersi indebitare presso una banca spagnola allo stesso prezzo che applicherebbe una banca olandese. Se questa condizione non si verifica, se il premio per il rischio corrisposto da un cliente bancario in un paese non è idiosincratico ma sistemico, di fatto non vi è più un autentico mercato unico dei capitali. Il luogo in cui si risiede avrebbe importanza. Ed è proprio questa situazione che l’unione bancaria vuole ribaltare22.


E veniamo al punto conclusivo: utilizzare la contingente necessità di riordinare la finanza pubblica in Europa per definire sistemi più efficienti e più efficaci negli ordinamenti organizzativi e nella struttura dei mercati per i singoli Stati nazionali europei.
Nella prima parte del suo mandato Mario Draghi aveva individuato la stabilizzazione della finanza pubblica come uno strumento capace di riportare sotto controllo la crescita del debito pubblico e, di conseguenza, avere ulteriori spazi di risanamento nelle vicende dell’economia reale dei singoli paesi.
In questa occasione emerge un’ambizione più articolata nelle parole di Draghi. È una domanda che egli rivolge ai Governi per capire se e come essi abbiano la consapevolezza della necessità di un cambiamento di regime, economico e sociale, negli Stati Europei.
Ma si tratta di un cambiamento che deve alterare sistemi domestici che presentano sacche di arretratezza ed inefficacia, oltre che molte situazioni nelle quali la distorsione fiscale si presenta con il doppio volto della inefficienza, generata dagli effetti distorsivi delle imposte, o della redistribuzione tra gruppi corporativi di vantaggi che, altrimenti, potrebbero generare un clima di maggiore equità e giustizia sociale. Si pensi al mercato del lavoro ed alla contrapposizione tra lavoratori e tempo indeterminato e lavoratori giovani e temporanei.
Insomma, e per concludere sulla natura di questa interessante ipotesi tracciata da Draghi, è la prima volta che il presidente della BCE propone una sequenza strategica di azioni che parte dalla sovranità; passa per la dimensione economica, creditizia e finanziaria della moneta, lasciando intravedere effetti positivi sia sulla dimensione degli intermediari finanziari che sulla possibilità di realizzare, anche attraverso i mercati finanziari, il trasferimento del risparmio all’investimento e la ripresa della crescita; indica una vera e propria rigenerazione dei compiti, delle funzioni e delle modalità di governo per gli Stati nazionali che partecipano all’Unione Europea. Questa sembra davvero una ipotesi ambiziosa che potrebbe condurre al superamento del pluridecennale, ma povero di risultati, esperimento che ha visto collegare tra loro il mercato unico e la moneta unica. Ma che ha anche subito attriti e ritardi rispetto alle aspettative, forse troppo ottimistiche, che avevano coltivato i promotori dell’esperimento ed i gestori dello stesso nella sua fase di avvio.
Questo nuovo “approccio americano”, considerando che si tratta di ridefinire in maniera abbastanza radicale la originaria impostazione della relazione tra moneta unica e mercato unico, si presenta come una trasformazione radicale che esclude la soluzione di uno Stato Europeo, unitario o federale che sia. Questa trasformazione si fonda su istituzioni capaci di governare il mercato unico e su Stati nazionali che debbano rivedere l’impianto della propria organizzazione e delle modalità con le quali erogare servizi di carattere collettivo, dalla previdenza alla sanità, dall’educazione alla tutela dell’ambiente o dei beni culturali, secondo processi e tecnologie che sono disponibili e che consentono di ottenere risultati migliori: perché sono più dirette nel collegamento tra produzione e consumo, costano meno e danno risultati migliori. Questa trasformazione del modo di essere e di funzionare dello Stato nazionale, quale che sia in ogni paese dell’Unione Europea, è la scommessa impegnativa che il ceto politico dei singoli Stati deve affrontare, ribaltando la propria attenzione in direzione degli interessi della popolazione e creando una nuova e diversa configurazione dell’insieme delle organizzazioni e delle procedure che danno corpo ai sistemi, più o meno obsoleti, che si collocano nella pubblica amministrazione ed a valle delle istituzioni parlamentari e governative.
Descrivendo, nel paragrafo precedente, lo stato dell’Unione abbiamo constatato l’esistenza di due punti critici, che dovrebbero essere tempestivamente affrontati: adottare strumenti che siano in grado di ridurre gli squilibri strutturali tra le economie regionali e nazionali in Europa; ridefinire i compiti e le pratiche della politica fiscale.
In una parola i Governi nazionali devono darsi una politica economica che sia capace di riorganizzare e tonificare l’efficienza dei mercati, del lavoro e dei servizi. Governi e Parlamenti, del resto, esistono in relazione alla politica fiscale ed ai suoi effetti sul tono dell’economia e la qualità della vita nell’ambito dei propri sistemi nazionali.
Ne segue che ci sono tre snodi che vanno considerati necessari ma che vanno affrontati e superati in maniera adeguata e coerente con la morfologia dei comportamenti e delle tradizioni di ogni nazione:
– Il fisco non deve generare distorsioni nella distribuzione della ricchezza e deve mantenere una soglia di tolleranza tra la dimensione della pressione fiscale e la qualità dell’offerta dei servizi collettivi;
– Occorre riconoscere che il debito pubblico sia, e non possa essere altro, che una imposta differita;
– Ma occorre anche riconoscere che il problema del debito pubblico non è solo la sua dimensione oggettiva, rispetto al flusso del prodotto interno lordo in ogni paese. Il problema del debito non esiste in quanto tale, perché è la qualità della spesa – finanziata da quel debito, che viene comunque sottratto alla spesa dei consumatori e degli imprenditori – la variabile decisiva per realizzare la strada del buon governo e non quella del default fiscale.

La soluzione di Draghi, insomma, sembra configurare un sistema dove gli Stati nazionali riprendano il controllo e la responsabilità verso le popolazioni che governano mentre la Banca Centrale Europea definisce la politica monetaria ed estende la circolazione monetaria anche oltre il perimetro della moneta esogena, l’euro, nel nostro caso, attraverso una articolazione unitaria ed efficiente del sistema bancario e delle sue relazioni con le imprese ed i mercati finanziari.



La campagna di insediamento di Mario Draghi: dal 2011 alla doppia intervista del 2012

L’arrivo di Draghi alla BCE era stato preparato nel corso del 2011: un anno molto delicato, perché si avvertiva l’allargamento delle crepe nelle economie nazionali europee, dopo i colpi della crisi del 2008 e dopo la trasformazione, in chiave recessiva e stagnante, del rimbalzo intervenuto dopo la crisi finanziaria del 2008. Ma, nonostante la preparazione di questo cambio del testimone, nel giro di un mese, dal 6 ottobre al 3 novembre, si avverte un cambio di passo rilevante nella politica monetaria, e nel giudizio sull’analisi monetaria che guida quella politica.
Il 6 ottobre 2011 Trichet espone un quadro abbastanza convenzionale dell’analisi del sistema. Ci sono problemi relativi al sistema bancario ed alle politiche fiscali. I prezzi si mantengono abbastanza stabili ed intorno al 2% ma la banca centrale non decide di abbassare i tassi di interesse. Conferma, tuttavia, manovre di rifinanziamento del sistema23.
Non mancano accenni alla politica dei redditi ed alla normalizzazione dei conti pubblici nei paesi dell’area euro. Sembrerebbe, od almeno appare quasi scontato, che ci troviamo in un percorso di routine che non dovrebbe subire salti o fratture. La parola molto citata è “incertezza”: una condizione oggettiva che, quando si presenta al contorno del sistema economico, conviene non sfidare, proprio per la numerosità delle incognite che si celano dietro la sua presenza. Il quadro cambia nel giro di un mese. La presentazione alla stampa del giudizio e dell’analisi della situazione che Draghi espone il 3 novembre è radicalmente diversa. Anche sul piano della localizzazione geografica. Trichet parla a Berlino nella sede della banca centrale tedesca24. Draghi prende la parola a Francoforte, nella sede della Banca Centrale Europea. Draghi annuncia la decisione di ridurre di 25 punti base i tassi di interesse nonostante la inflazione sia ancora elevata. Ma le previsioni economiche, che si mostreranno in futuro adeguatamente realistiche, dicono che l’inflazione è in fase decrescente.
Draghi conferma il tratto espansivo delle operazioni di rifinanziamento e non manca di riconoscere che rispetterà il vincolo di mandato della BCE: tenere l’inflazione sotto controllo e soprattutto vicina alla soglia del 2% per dare un ancora monetaria al sistema economico. Draghi affronta i problemi delle banche in maniera molto diretta. Le dimensioni complessive dei bilanci delle istituzioni finanziarie rimangono sostanzialmente invariate negli ultimi mesi. La solidità dei bilanci bancari deve essere la chiave per ridurre i potenziali effetti negativi del circuito di retroazione relativi alle tensioni nei mercati finanziari. Condivide l’incremento della posizione di capitale delle banche al 9% di Core Tier 1 entro la fine di giugno 2012. Sostiene l’invito alle autorità di vigilanza nazionali per garantire che i piani di ricapitalizzazione delle banche non comportino un’eccessiva riduzione della leva finanziaria.
Giudica che il consolidamento fiscale e le riforme strutturali vadano di pari passo per rafforzare la fiducia, le prospettive di crescita e la creazione di posti di lavoro. Ed esorta, anche a nome del Comitato direttivo, del quale è ormai presidente, tutti i governi dell’area dell’euro ad accelerare, urgentemente, l’attuazione di riforme strutturali. Per rafforzare la competitività, aumentare la flessibilità delle loro economie e migliorare il loro potenziale di crescita a più lungo termine. Torna l’eco della politica dei redditi25, evocata da Trichet nella riunione precedente e la spinta verso riforme strutturali che aumentino la concorrenza nei mercati dei prodotti, in particolare nei mercati dei servizi
– promuovendo la liberalizzazione delle professioni chiuse alla competizione
– e la privatizzazione dei servizi attualmente forniti dal settore pubblico.
Emerge, insomma, ed in futuro apparirà ancora con maggiore nettezza, una spinta espansiva, una più netta sottolineatura della volontà di comunicare le politiche e le strategie che si vogliono perseguire ma anche l’assunzione di una responsabilità personale, che progressivamente si consoliderà anche per gli effetti che questo nuovo stile di comunicazione e di appropriazione della responsabilità che ne consegue manifesteranno pienamente.
Comincia a definirsi, insomma, la chiara indicazione di una politica monetaria che resti espansiva fino a quando non ci saranno minacce di inflazione ma anche fino a quando non si presenti una inversione di tendenza, una possibile ripresa della crescita. Ai temi di politica monetaria, ed all’analisi macroeconomica tradizionale, si affianca l’attenzione a tre questioni che saranno i driver dei successivi discorsi di Draghi: la gestione del rapporto tra debito sovrano e banche; la solidità del sistema bancario, la necessità che i Governi nazionali realizzino, mediante le proprie autonome politiche fiscali, una radicale riforma del modo di essere degli apparati pubblici che sono deputati a governare. Ovviamente è facile riconoscere oggi, dopo che questi temi sono stati decisamente al centro degli ultimi due anni dell’attività di Draghi, che, seppure in embrione, erano già presenti i loro tratti somatici.
Questa sottolineatura mostra come lo stile con il quale Draghi abbia assunto il comando sia, e sia stato, dichiaratamente aperto all’innovazione e che la comunicazione di questo stile sarà un tratto determinante del suo modo di gestire la politica monetaria e la banca centrale. Come verrà dichiarato nel luglio 2013 annunciando esplicitamente, e come avevamo già detto nelle premesse di questo testo, la utilizzazione di una Forward Guidance. Ma torniamo agli anni del debutto di Draghi.
Il primo appuntamento, nel quale il cambiamento di approccio assume un contorno sistematico, è il convegno Bancario Europeo del 18 novembre 201126.

Let me use this occasion to dwell a bit further on monetary policy in the current environment. Three principles are of the essence: continuity, consistency and credibility. Continuity first and foremost refers to our primary objective of maintaining price stability over the medium term.
Consistency means to act in line with our primary objective and with our strategy both in time and over time. Credibility implies that our monetary policy is successful in anchoring inflation expectations over the medium and longer term. This is the major contribution we can make in support of sustainable growth, employment creation and financial stability. And we are making this contribution in full independence. Gaining credibility is a long and laborious process. Maintaining it is a permanent challenge. But losing credibility can happen quickly – and history shows that regaining it has huge economic and social costs. These three principles – continuity, consistency and credibility – are at the root of the Governing Council’s outstanding record during the past 13 years in terms of price stability and anchoring inflation expectations.


Come si nota Draghi non propone una rottura, cita tredici anni nei quali la stabilità dei prezzi è stata l’ancora delle aspettative monetarie. Propone un uso intelligente, e proficuo, della capacità di reggere i propri obiettivi, avere continuità nel tempo; avere continuità e flessibilità, agendo nel tempo, è il tratto della consistenza; ed infine credibilità se, grazie alla consistenza ed alla continuità, la nostra azione ha realizzato quello che aveva previsto di realizzare.
Si chiude, insomma, il cerchio della relazione tra comunicazione del proprio comportamento e responsabilità del comportamento medesimo, che diventerà il tratto dominante dello suo stile di governo.
Il primo dicembre 2011 Draghi presenta una diagnosi economica della situazione
monetaria internazionale27. Il discorso viene pronunciato nella sede del parlamento Europeo, in occasione della presentazione del bilancio della BCE per il 2010. E rappresenta una sorta di collegamento tra gli eventi principali che si sono svolti nel corso del 2010 e la fine del 2011.
Si parte da una politica monetaria costantemente guidata dall’obiettivo di mantenere la stabilità dei prezzi nell’area dell’euro ma si sottolinea la stabilità dei prezzi in entrambe le direzioni. La recessione, e la caduta dei prezzi, può essere altrettanto grave della inflazione. Draghi riporta anche il peggioramento dei mercati finanziari nell’autunno del 2011: le tensioni si sono intensificate di nuovo e con effetti molto negativi sulle condizioni di finanziamento e sulla fiducia. Ne segue che i rischi sono aumentati. In questo contesto la BCE ha deciso di ridurre i tassi di interesse di riferimento di 25 punti base all’inizio di novembre 2011. La eterogeneità del valore del rischio dei titoli di Stato, secondo la natura e le condizioni dei paesi emittenti, ostacola la gestione di una politica monetaria unica, perché il modo in cui questa politica viene trasmessa all’economia reale dipende anche dalle condizioni dei mercati obbligazionari nei vari paesi. Ed una politica monetaria alterata da questi scompensi nel mercato del debito sovrano ha un impatto dannoso sulla disponibilità e il prezzo del credito alle imprese e alle famiglie. Ecco anche una ragione per la innovazione che è stata introdotta di misure non convenzionali dalla BCE. Ma, naturalmente, tali interventi possono essere solo limitati. Sono i governi che devono ripristinare la loro credibilità nei confronti dei mercati finanziari. Le tensioni sui mercati obbligazionari sovrani sono state accompagnate da stress nel settore bancario proprio per le connessioni finanziarie tra governi e banche. La BCE ha adottato diverse misure nel 2010 e 2011 al fine di garantire che le banche possano avere accesso alle fonti di finanziamento ed in questo modo hanno potuto continuare a concedere prestiti alle imprese e alle famiglie.
Ma la cosa più importante che Draghi comunica è l’azione, coordinata a livello globale con la Federal Reserve, la Banca del Giappone, la Banca d’Inghilterra, la Banca del Canada e la Banca nazionale svizzera.
Una strategia coordinata e cooperativa che ha consentito di abbassare il prezzo sulla fornitura di dollari nei mercati internazionali, compresa l’area dell’euro. Le banche centrali del mondo hanno anche convenuto, come misura di emergenza, di stabilire accordi temporanei di swap di liquidità bilaterale in modo che la liquidità possa essere fornita in ogni giurisdizione in una qualsiasi delle valute. Un comportamento che le condizioni di mercato giustificano proprio per mantenere un adeguato clima di liquidità diffuso alla scala internazionale.
Il trapasso dal 2011 al 2012, insomma, non è stato indolore ed in questo trapasso che Draghi ha assunto la propria responsabilità, alla quale non si sottrae. Ed infatti afferma di essere consapevole delle difficoltà continue delle banche per le circostanze di stress sul mercato dei titoli sovrani.
Pochi giorni dopo, 8 dicembre 2011, Draghi riformula la natura dei problemi in atto alla riunione mensile periodica con la stampa internazionale28. Il 15 dicembre 2011 Draghi propone anche lo strumento del “fiscal compact” a Berlino in occasione della Ludwig Erhard Lecture: The euro, monetary policy and the design of a fiscal compact.
Il 9 febbraio 2012 mantiene fissi i tassi di interesse nell’incontro periodico con la stampa internazionale ed alla fine della riunione mensile del Comitato Direttivo della Banca.Una novità di rilievo, che consideriamo il punto terminale del suo debutto e la prima consistente rappresentazione degli obiettivi che intende perseguire, e delle modalità con cui vuole ottenere il loro conseguimento, è una doppia intervista cheMario Draghi rilascia al «Frankfurter Allgemeine Zeitung» e al «Wall Street Journal».
Nella prima spiega ai tedeschi la situazione della Grecia e nella seconda spiega agli americani L’Europa, che ai loro occhi resta un oggetto misterioso e forse non classificabile alla voce “Unione”.
«I segnali positivi sono aumentati nelle ultime due settimane?» chiede il suo intervistatore. «Direi di si» – risponde Draghi – «tuttavia l’incertezza resta elevata»: questa è la conclusione della intervista del «Frankfurter Allgemeine», il primo quotidiano tedesco.
Si può dire che il tono di Draghi sia positivo con riserva, prudente ma incoraggiante. La vera notizia, forse, è che un giornale tedesco dia tanta attenzione alla Grecia. Del resto, come lo stesso Draghi dichiara al «Wall Street Journal», nel medesimo giorno, la ripresa procede molto lentamente «io stesso mi sono sorpreso dell’assenza di euforia, dopo l’approvazione del pacchetto (di riforme) e questo probabilmente vuol dire che i mercati vogliono vedere l’applicazione delle misure politiche». Ma questa politiche sono comunque ambigue, nel senso che potrebbero essere degli interventi orientati ad una maggiore austerità nei comportamenti della finanza pubblica ma anche, ed invece, politiche capaci di ridisegnare il profilo del rapporto tra Governi, Parlamenti e pubblica amministrazione nei paesi europei. Draghi, a febbraio del 2012, avverte che le politiche di mera austerità non sarebbero la soluzione del problema che si cerca di aggredire: riordinare e riqualificare il progetto europeo rispetto al decennio alle sue spalle. Ma definisce quelle politiche comunque utili ed indispensabili: «non dovremmo negare che esse porteranno alla contrazione nel breve termine, ma nel futuro ci sarà il cosiddetto canale della fiducia che riattiverà la crescita; ma è qualcosa che non succederà nell’immediato, ed è per questo che le riforme strutturali sono così importanti, perché la contrazione di breve periodo sarà seguita da una crescita sostenibile di lungo periodo solo se queste riforme saranno manifeste». Insomma esiste uno scarto nella percezione di queste politiche: e lo scarto si vede nella distanza che separa una mera deflazione delle spese pubbliche dal riordino strutturale dei mercati europei delle merci, dei servizi e del lavoro, in una direzione che recuperi sia la flessibilità che la capacità di competere e rilanciare la crescita. Draghi spiega, in definitiva, che il contenuto delle politiche fiscali, in ogni Stato nazionale, deve avere come premessa logica la capacità – in paesi molto diversi gli uni dagli altri – che ciascuno sappia sapersela cavare da solo nel proprio mercato. Ma, parallelamente, anche guardando all’insieme dei paesi dell’Unione come una condizione di sovranità riportata in alto, rispetto all’estensione dell’Unione stessa, che, tuttavia, si manifesti una sussidiarietà che consenta all’Unione di produrre la sua capacità iperadditiva, effetto del grande mercato unico, come avevano sperato che accadesse i rifondatori degli anni Novanta29.
Mario Draghi, a questo punto, il febbraio del 2012, ha completato il primo giro di boa nell’impianto delle politica monetaria e della strategia di crescita che propone all’Unione Europea. Gli ingredienti di base son tutti sulla scena: riduzione dei tassi di interesse e monitoraggio dell’inflazione, perché sia ragionevolmente vicina alla soglia del 2%; nuovi strumenti di politica monetaria che consentano di tenere bassi i tassi di interesse; politiche fiscali promosse dai singoli governi nazionali che riportino sotto controllo la finanza pubblica; rendano più flessibili i mercati delle merci e del lavoro e creino forme di welfare meno costose e più efficaci.
Non è ancora il progetto più articolato che abbiamo trovato, e descritto nel paragrafo precedente: la Malcolm Wiener lecture on international political economy a Cambridge (USA) nella Harvard Kennedy School.
Il collegamento tra questo impianto originario, che ha dato la scossa al sistema, e le ipotesi proposte ad Harvard, meno di due anni dopo, si articola in una serie di eventi che si svolgono nella seconda metà del 2013, a partire da una riunione del Comitato Direttivo della BCE, a Bratislava, alla quale segue la tradizionale conferenza con la stampa internazionale.



Da maggio a dicembre del 2013: la strada accidentata della crescita

Bratislava è la capitale della Slovacchia. Alla presenza di Olli Ilmari Rehn – un uomo politico finlandese che, dal febbraio 2010, è commissario europeo per gli Affari economici e monetari e, dall’ottobre 2011, anche vicepresidente della Commissione europea –Mario Draghi presenta le decisioni che il Comitato Direttivo della BCE ha approvato nella sua riunione del maggio 201330.
La comunicazione è molto diretta ed è articolata in quattro punti.
L’analisi economica e monetaria è al primo punto della presentazione di Draghi: sulla base della analisi economica e monetaria della situazione, il Comitato Direttivo della BCE ha deciso di abbassare il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali dell’Eurosistema, di 25 punti base, allo 0,50%. Riducendo anche il tasso sulle operazioni di rifinanziamento marginale di 50 punti base, fino ad un tasso pari all’1%. Rimane invariato, invece, il tasso sui depositi presso la banca centrale, anche perché è uguale a 0. Come sempre queste scelte sono state realizzate grazie al fatto che le aspettative di inflazione per l’area euro continuano a essere saldamente ancorate su livelli inferiori ma prossimi al 2% nel medio periodo. Le dinamiche della moneta, in termini di quantità, e di crediti alle imprese, rimangono, purtroppo, sotto tono. La primavera non sembra alimentare la eventualità di una prima ripresa della crescitama il taglio dei tassi di interesse potrebbe sostenere le prospettive di una ripresa nel corso dell’anno, forse con una maggiore intensità nel 2014. Draghi afferma con nettezza che la politica monetaria «resterà accomodante per tutto il tempo necessario», monitorando puntualmente la dinamica economica e valutando con attenzione un eventuale impatto sulle prospettive per la stabilità dei prezzi. In secondo luogo, Draghi dichiara che il mercato monetario è sotto controllo e la struttura della Bce monitorizza molto attentamente il potenziale impatto sulla politicamonetaria e la trasmissione all’economia della dinamica delmercato. La BCE continua anche le operazioni di rifinanziamento principali (main refinancing operations, MROs) mediante aste a tasso fisso con piena aggiudicazione per tutto il tempo necessario, e almeno fino a luglio del 2014. Il tasso fisso di queste operazioni di rifinanziamento, con scadenza speciale, sarà lo stesso del tasso MRO vigente al momento. La BCE ha anche deciso di condurre le operazioni di rifinanziamento a più lungo termine (longer-term refinancing operations, LTROs) a tre mesi, da assegnare, fino alla fine del secondo trimestre del 2014, mediante aste a tasso fisso con piena aggiudicazione.
Le tariffe in queste operazioni a tre mesi saranno fissate al tasso medio degli MROs per tutta la durata del rispettivo LTRO. In terzo luogo, il Consiglio direttivo ha deciso di avviare consultazioni con le altre istituzioni europee su iniziative per promuovere un mercato efficiente per i titoli asset-backed (asset-backed securities, ABS) garantiti da prestiti, alle società non finanziarie. Nel quarto punto Draghi ritorna su temi che sono ormai noti alla stampa ed agli operatori della politica economica: i governi devono accelerare l’attuazione delle riforme strutturali a livello nazionale, consolidando i progressi compiuti nel risanamento dei bilanci pubblici. Bisogna, infine, realizzare la ricapitalizzazione delle banche, dove necessario. Bisogna arrivare ad una effettiva Unione economica e monetaria: attuando con rapidità una prima articolazione della Unione Bancaria già annunciata precedentemente. Pochi giorni dopo, il 6 maggio, Mario Draghi riceve una laurea Honoris Causa a Roma, nella Università voluta da Guido Carli, la LUISS31.
L’impianto del discorso di Draghi si articola in cinque capitoli:

    – Le origini della crisi nell’area dell’euro
    – La crisi e la politica monetaria della BCE
    – Premi al rischio e misure non convenzionali
    – La diversità delle condizioni finanziarie nell’area dell’euro
    – Riforme strutturali per ricominciare a crescere e per una società più solidale

Si tratta di un testo che espone sia le origine della crisi che i caratteri innovativi della politica monetaria, che ha contrastato gli effetti negativi della crisi. Segue un approfondimento sulla natura dei rischi finanziari e sulla relazione tra rischi e misure non convenzionali. Viene definita la struttura e la eterogeneità dei problemi finanziari dell’Europa ed, infine, si individuano le riforme strutturali che, parallelamente alla politica monetaria non convenzionale, rappresentano il secondo pilastro necessario per ritrovare la strada della crescita in Europa.
Draghi espone anche la situazione dei rapporti tra banche ed imprese in Europa: mettendo in evidenza sia la natura bancocentrica del sistema europeo che le conseguenze di questa sorta di esclusiva bancaria nell’offerta di capitali finanziari alle imprese. E cita una ricerca che ha censito le modalità che si manifestano quando sistemi di imprese, dalle piccole e medie dimensioni, si pongono in relazione con l’offerta di credito proposta dalle banche32.
Questo testo di Draghi merita di essere letto per intero, perché rappresenta una sorta di riepilogo delle ragioni che hanno portato il mercato finanziario globale alla crisi e dell’impatto che l’Europa ha dovuto sostenere.
La novità, e la profondità della crisi, secondo Draghi hanno anche messo in discussione una visione analitica, e una tecnica, di governo della politica monetaria che non erano adeguate alle condizioni, radicalmente diverse dal passato, che si sono manifestate nel decennio precedente la crisi. Anche perché la stessa percezione di quanto stava accadendo in Europa era diventata «obsoleta» ed andava rimessa in discussione.
Nell’area dell’euro, la straordinaria affermazione della moneta unica nascondeva per anni i rischi che venivano accumulandosi – afferma Draghi –. I governi dei paesi membri si sentivano liberati dai vincoli preesistenti: con l’eccezione della Germania e di pochi altri paesi, procrastinavano le riforme strutturali che avrebbero potuto adeguare la competitività di strutture economiche obsolete alle sfide di una globalizzazione incalzante; scardinavano i limiti introdotti dal Patto di Stabilità e Crescita, minando la loro stessa credibilità quali partner di un’Unionemonetaria. Tale Unione, già negli anni precedenti alla crisi, iniziava a dividersi tra paesi con saldi commerciali positivi e bilanci pubblici in ordine e paesi con deficit sull’estero e deficit di bilancio crescenti, finanziati con flussi di credito privato sempre più provenienti dal primo gruppo di paesi e utilizzati non per fare investimenti che accrescessero la competitività, ma per finanziare spese improduttive, o bolle immobiliari. Nessuno aveva immaginato che l’Unione Monetaria potesse divenire un’unione divisa tra creditori permanenti e debitori permanenti dove i primi avrebbero prestato per sempre ai secondi denaro e credibilità. Un profondo mutamento del governo dell’Unione si rendeva necessario, con nuove regole, in cui la solidarietà richiesta a gran voce trovasse una contropartita nella cessione di poteri nazionali. Ma anche questo veniva posposto e la sua urgenza veniva minimizzata di fronte alle esigenze di una sovranità nazionale in realtà indebolita dalla globalizzazione e dai crescenti livelli del debito pubblico. La crisi finanziaria mondiale, innalzando drammaticamente e rapidamente la percezione che i mercati avevano del rischio, ha risvegliato brutalmente tutti gli attori da questa lunga, compiaciuta amnesia. I deficit sull’estero, quelli di bilancio e i livelli del debito pubblico dei paesi del secondo gruppo divenivano rapidamente insostenibili, non più finanziati dall’estero e in particolare dal resto dell’Unione il cui governo appariva ormai in tutta la sua insufficienza. Questa breve disamina delle origini della crisi nell’area dell’euro mostra come la risposta della politica economica non può che essere composita: la politica monetaria svolge in essa un ruolo importante ma assolutamente non esclusivo.


Esiste una crisi, generata nei mercati finanziari americani, ma non esisteva, in Europa, la percezione di quanto l’Europa stessa non era stata capace di realizzare. La denuncia esplicita di Draghi sulle divergenze tra paesi e strutture di mercato nazionali rappresenta la descrizione macroeconomica delle conseguenze che sono state elencate, nella prima parte di questo testo, per mettere in evidenza lo stato dell’Unione Europea attraverso le dinamiche territoriali che hanno portato alla divaricazione progressiva dei mercati regionali e nazionali che in essa si collocavano.
Su questo piano esiste un doppio livello di responsabilità per gli Stati nazionali europei ed i loro Governi. Una sorta di corto circuito che ha impedito unamaggiore efficacia tra Governi e Commissione Europea ma anche una sorta di inefficienza nel funzionamento degli shareholder del sistema: il Consiglio dei Capi di Stato e di Governo.
Draghi analizza anche le due fasi in cui si manifesta la crisi.
In una fase iniziale, epicentro della crisi fu la liquidità, una quantità economica che la teoria aveva da molti anni trascurato, tanto improbabile appariva la sua mancanza. All’indomani del collasso di Lehman Brothers, i mercati monetari smisero di funzionare. La liquidità necessaria alle banche per rifinanziare gli attivi in scadenza era divenuta improvvisamente molto scarsa. In generale, le banche si indebitano a breve o brevissimo termine nei confronti di risparmiatori con forte preferenza per disponibilità finanziarie immediate: per la “liquidità”. Quando improvvisamente i risparmiatori si rifiutano di rinnovare i propri depositi presso le banche, queste cercano di interrompere il credito che danno all’economia. Se, ciò non è possibile a causa delle lunghe scadenze, per evitare l’insolvenza le banche cercano di liquidare per prime quelle attività nel proprio portafoglio che sono trattate sul mercato a prezzi di scambio noti e verificabili. Ma il disimpegno finanziario immediato da parte di molte istituzioni finanziarie non può avvenire simultaneamente, se non in condizioni di grande sofferenza finanziaria generalizzata e, per le banche, al costo di pesanti perdite in conto capitale. I prezzi delle attività cadono rapidamente. Si riduce il capitale bancario. Si prosciugano imercati interbancari. L’economia smarrisce il meccanismo indispensabile per la creazione del reddito e l’allocazione delle risorse: l’intermediazione del risparmio. In una seconda fase, a partire dal 2011, fu la mancanza di credito agli emittenti sovrani più vulnerabili che assunse un ruolo centrale nella crisi. Ad essa, i governi dell’area dell’euro risposero con azioni che, pur individualmente efficaci, rivelavano l’insostenibilità politica di un’Unione nella quale i paesi che pagano e quelli che ricevono sono sempre gli stessi: nell’area dell’euro, il debito sovrano non è più privo di rischio, ma dipende dal sovrano e dalla qualità delle sue politiche. Questo processo, di per sé auspicabile, rivoluzionava la struttura del rischio su cui per anni si era fondato il funzionamento dei mercati finanziari europei e, in assenza di un governo complessivo dell’Unione e della sua politica economica, si rifletteva in un’abnorme crescita dei premi al rischio che raggiungevano dimensioni sistemiche: non più fondate sul merito di credito di debitori pur fragili per le ragioni prima esposte, ma spiegabili solo con il manifestarsi di aspettative sulla fine dell’euro che si autoalimentavano.


A partire dal 2011, come avevamo anticipato, si genera l’ingorgo del debito sovrano, il rischio del quale ricade sulla qualità delle politiche espresse dal “Sovrano” che altro non è che l’insieme del Governo e del Parlamento di ogni paese.

Attraverso le due fasi della crisi – quella bancaria e quella del debito sovrano – il nostro sistema di provvista di liquidità si è aggiustato elasticamente per rispondere alla domanda di sostegno espressa dalle banche più intensamente sottoposte alla pressione dei mercati. Dapprima, tale domanda era diffusa in gran parte dell’area dell’euro. Nel 2008 e 2009 le banche individualmente più esposte a settori e attività in sofferenza subivano un ostracismo di mercato, che non dipendeva da dove fossero domiciliate. Poi, nella seconda fase della crisi, gli ostacoli all’approvvigionamento di liquidità si sono andati concentrando territorialmente. Il settore bancario e il mercato finanziario dell’area dell’euro si sono via via fratturati lungo confini nazionali. Questi confini separano settori bancari che, indipendentemente dalla qualità intrinseca dei loro intermediari, sono considerati robusti, perché lo Stato dove essi risiedono è in grado di far fronte a una crisi bancaria, da quelli considerati fragili, dove i mercati ritengono che tale capacità non vi sia. Questi stessi confini separano quindi i paesi competitivi e con bilanci sani da quelli contraddistinti da fragilità di bilancio e incapacità di crescita[…].
Oggi la dispersione nel tasso di crescita dei depositi bancari nei vari paesi dell’area è tornata ai livelli del 2007. Il progresso sul fronte del credito è molto più lento. Nel primo gruppo di paesi si osservano in generale condizioni di accesso al credito per imprese e famiglie normali o permissive. Nel secondo gruppo si osserva la permanenza, sia pure con intensità decrescente in alcuni paesi, di un restringimento del credito con tassi sui prestiti bancari al dettaglio molto più alti di quelli praticati dalle banche che risiedono nei paesi del primo gruppo e con condizioni collaterali richieste per la concessione dei fidi più esigenti […]. Questa frammentazione è tanto più gravosa in un’economia, come quella dell’area dell’euro, dove l’intermediazione finanziaria è fondata sulle banche per 3/4 almeno dei finanziamenti alle imprese. Ed è tanto più penalizzante per quelle imprese, spesso di piccole e medie dimensioni, che dipendono in misura più rilevante dal sistema bancario. Ciò è particolarmente grave se si pensa che tale comparto dà lavoro a circa 2/3 dei lavoratori nell’area dell’euro […]. Le ragioni per cui le banche non prestano sono: mancanza di provvista, investimenti alternativi, mancanza di capitale, avversione al rischio. La BCE ha fatto moltissimo sui primi due fronti assicurando liquidità e riducendo il premio al rischio di ridenominazione sui titoli di stato. Non può sussidiare i governi comprando titoli di stato. Non può sussidiare gli azionisti delle banche, evitando la pulizia dei loro bilanci con le necessarie ricapitalizzazioni. Poco può fare direttamente per ridurre l’avversione al rischio che frena i prestiti bancari. In altri sistemi finanziari è il mercato dei capitali che convoglia gran parte del credito all’economia: le attività finanziarie sono scambiate in base a prezzi noti e verificabili e spesso sono oggetto di rating: la banca centrale che volesse provare a ridurre un premio del rischio su queste attività non incontra grandi difficoltà operative nel farlo. Nell’area dell’euro lo spazio del mercato dei capitali è molto più ridotto: la banca centrale che volesse intervenire dovrebbe acquistare dal sistema bancario i prestiti che esso fa all’economia, prestiti per cui non esiste un mercato se non in dimensioni molto limitate. Un compito complesso, anche senza considerare il contesto istituzionale con diciassette paesi in cui questo intervento dovrebbe aver luogo […]. Ma non dimentichiamo che oggi la crescita è più debole in alcuni paesi che in altri, non solo perché il credito è scarso; era più debole anche prima della crisi, nonostante una crescita spesso tumultuosa della spesa pubblica, perché non si erano volute affrontare fragilità strutturali, di cui oggi, dopo la crisi, sentiamo tutto il peso.


La combinazione dei rischi sul debito sovrano e la progressiva asfissia dei sistemi bancari nazionali – collegata alla circostanza che essi si sono chiusi sui propri mercati e, di conseguenza, finiscono per subire i danni di quei mercati dove i Governi non sono stati capaci di introdurre le riforme strutturali di cui parla Draghi – ha generato lo stallo che nel biennio 2011/2012 ha riportato su un profilo recessivo l’Europa dopo il rimbalzo del 2010, rispetto alla punta della crisi che si era manifestata nel 2008/2009.
Ma l’argomento radicale, con cui si chiude il cerchio di questa analisi sulle radici, internazionali ed europee, della crisi e le loro conseguenza, è proprio la necessità di ridare una efficacia di lungo periodo alla politica fiscale degli stati nazionali europei. E questa è, infatti la conclusione della lezione di Mario Draghi alla LUISS:
Le riforme mirano a sciogliere i nodi che imbrigliano la capacità competitiva e soffocano la crescita. Un’efficace promozione e tutela della concorrenza, un adeguato grado di flessibilità del mercato del lavoro che sia ben distribuito tra generazioni, una burocrazia pubblica che non sia di ostacolo alla crescita, un capitale umano adatto alle sfide poste dalla competizione globale, un ambiente migliore sono fronti su cui, malgrado progressi recenti, non poco resta ancora da fare, sia pure in misura diversa nei singoli paesi. Le politiche di bilancio devono essere mantenute su sentieri sostenibili, aldilà delle oscillazioni cicliche. Senza questo presupposto non vi è crescita duratura possibile. Specialmente per i paesi con livelli di debito pubblico strutturalmente alti, quindi non temporaneamente elevati a causa della crisi attuale, ciò significa non tornare indietro dagli obiettivi già raggiunti. Non si dimentichi che, in un contesto istituzionale in cui la solvibilità degli stati sovrani non è più un fatto acquisito e la governance dell’Unione è ancora incompleta, la mancanza di credibilità della finanza pubblica di un paese si traduce rapidamente in separazione delle banche di quel paese dal resto del mercato finanziario dell’euro e in mancanza di credito per il settore privato di quel paese: è l’esperienza che stiamo vivendo. Occorre però mitigare gli effetti inevitabilmente recessivi del consolidamento di bilancio con una sua composizione che privilegi le riduzioni di spesa pubblica corrente e quelle delle tasse, specialmente in un contesto come quello europeo dove la tassazione è già elevata in qualunque confronto internazionale. È indubbio che una crescita duratura sia condizione essenziale per ridurre la disoccupazione, in particolare quella giovanile. In alcuni paesi europei questa ha raggiunto livelli che incrinano la fiducia in dignitose prospettive di vita e che rischiano di innescare forme di protesta estreme e distruttive.
La crescita del prodotto è stata una condizione essenziale per l’affermazione del modello sociale europeo. Lo straordinario sviluppo economico nella cosiddetta “Golden Age” – cioè nei trent’anni che sono seguiti alla Seconda guerramondiale – ha consentito un forte miglioramento delle condizioni di benessere materiale di larga parte della popolazione in Europa. Allo stesso tempo, questo benessere ha rafforzato il processo di crescita. Sono state poste allora le basi in Europa dei moderni sistemi di welfare, volti alla protezione degli individui dal rischio che la disoccupazione, la malattia o la vecchiaia si tramutassero in una caduta dei loro standard di vita. È anche grazie a questi strumenti che la crisi finanziaria e la recessione non hanno avuto gli effetti socialmente devastanti della Grande Depressione. Molti anni fa Rudi Dornbusch diceva, esagerando, che gli Europei erano così ricchi che potevano permettersi di pagare chiunque perché non lavorasse. Non è più così, ma non vogliamo perdere la solidarietà che ispirò quel modello in tempi tanto diversi. Per questo oggi dobbiamo adeguare quel modello ai mutamenti richiesti dalle dinamiche demografiche e dal nuovo contesto competitivo globale. Occorre farlo per diminuire la disoccupazione giovanile, per aumentare i consumi, per preservare l’essenza stessa del welfare. Un’altra dimensione della sostenibilità della crescita, nel contesto europeo, su cui voglio attirare la vostra attenzione oggi è quella della distribuzione del reddito. Da quasi vent’anni, è in atto una tendenza alla concentrazione dei redditi delle famiglie in Europa che penalizza i più deboli, come testimoniano le statistiche pubblicate dall’Eurostat. Una più equa partecipazione ai frutti della produzione della ricchezza nazionale contribuisce a diffondere la cultura del risparmio e, dunque, della compartecipazione. Sentirsi parte integrante della nazione e cointeressati alle sue sorti economiche aumenta la coesione sociale e incentiva comportamenti economici individuali che conducono, nell’aggregato, al successo economico della collettività. Vi sono vari strumenti che i governi possono utilizzare per perseguire questo obbiettivo, ma prima di tutto la coesione sociale va ricercata rimuovendo le barriere che limitano le opportunità degli individui di perseguire i loro progetti, che ne fanno dipendere i percorsi di vita dalle origini familiari. Nell’eliminazione delle posizioni di rendita, le riforme strutturali assumono un significato più ampio di quello di mero strumento per la crescita. Stimolando l’inclusione di tutti gli individui nel processo produttivo, fanno sì che il perseguimento di una più equa ripartizione dei redditi non sia solo compito dell’azione redistributiva pubblica. In questo senso, le riforme mirano a coniugare le potenzialità individuali con la crescita dell’economia. Tuttavia, in una prospettiva che non può essere lontana, le virtù nazionali – pur indispensabili per rafforzare la solidarietà fra gli Stati membri lungo il cammino – sono condizione necessaria ma non sufficiente a rendere l’Europa un traguardo sentito come proprio da tutti i suoi cittadini. Saranno necessarie, anche riforme che riducano ulteriormente le barriere tra i singoli Stati membri, in particolare quelle allo sviluppo di un singolo mercato europeo del lavoro e che affermino un criterio di solidarietà condiviso, come è stato proposto di recente nel cosiddetto Rapporto dei quattro Presidenti. Costruire con passione e con rigore un futuro comune in cui le condizioni per la crescita siano più favorevoli, in cui i cittadini sentano valorizzate pienamente le proprie capacità, in cui il benessere individuale sia coniugato con quello collettivo. Per raggiungere questo obiettivo siamo tutti impegnati oggi, ciascuno nell’ambito del proprio mandato.

C’è, insomma, una spazio politico, quello degli Stati nazionali, che non viene coperto dai loro Governi e che, proprio per la lunga assenza di incisività sulle trasformazioni strutturali che le economie europee avrebbero dovuto subire, ha compromesso sia l’equilibrio europeo, prima della crisi, e poi la possibilità di recuperare il percorso della crescita dopo la crisi. Perché le fragilità accumulate dall’ignavia dei Governi e dalla scarsa incidenza dei Parlamenti su quei Governi, rimane oggi la testimonianza di una impotenza politica che nasce dalle comunità sociali e dalla inconcludenza dei partiti in molte nazioni europee. Certamente l’Italia rappresenta un caso eclatante di questo processo degenerativo: un processo che è in atto nel nostro paese almeno dalle circostanze che condussero alla crisi economica del 1992 ed alla evoluzione politiche che essa ha generato nei venti anni alle nostre spalle.
Questa ricostruzione della storia precedente la crisi americana del 2008 e delle conseguenze che hanno generato l’abbraccio negativo tra i problemi del debito sovrano e quelli del sistema bancario europeo apre la strada al secondo semestre del 2013 e rappresenta, per Mario Draghi, una occasione che gli consente di sviluppare sia una strategia più compiuta per il rilancio della crescita in Europa che una chiara esplicitazione del nuovo modo di agire da parte delle banche centrali: la forward guidance33, di stampo Odissean e non Delphic, come abbiamo già detto.
Nei mesi che seguono, fino al dicembre del 2013, tutti questi elementi emergono in ulteriori occasioni di confronto pubblico34. Nella conferenza di Berlino si coglie un leggero ottimismo, ma si cita la dimensione ancora troppo elevata della disoccupazione e dunque si afferma, indirettamente, che di crescita si potrà riparlare quando essa diminuirà e di conseguenza, aumenterà anche l’offerta aggregata, generando una effettiva espansione della nuova ricchezza prodotta incrementando la partecipazione al lavoro della popolazione europea.
Ma si ricordano, anche ed in rapida successione, alcuni temi che verranno ripresi ad Harvard il 9 di ottobre in termini più compiuti e fondati: una evoluzione della struttura dell’Unione Europea; la sfida ai Governi perché restituiscano alle economie nazionali una capacità di competere ed una migliore qualità della spesa pubblica; l’affermazione di un’Unione Bancaria che possa rappresentare anche una ripresa dell’efficienza dei mercati creditizi.



Links Utili

Le fonti disponibili dei testi di Mario Draghi


http://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2011/html/is111006.en.html
Introductory statement to the press conference (with Q&A)
Jean-Claude Trichet, President of the ECB,
Vítor Constâncio, Vice-President of the ECB,
Berlin, 6 October 2011



http://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2011/html/is111103.en.html
Introductory statement to the press conference (with Q&A)
Mario Draghi, President of the ECB,
Vítor Constâncio, Vice-President of the ECB,
Frankfurt am Main, 3 November 2011


http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2011/html/sp111118.en.html
Continuity, consistency and credibility
Introductory remarks by Mario Draghi, President of the ECB,
at the 21st Frankfurt European Banking Congress “The Big Shift”,
Frankfurt am Main, 18 November 2011


http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2011/html/sp111201.en.html
Hearing before the Plenary of the European Parliament on the occasion of
the adoption of the Resolution on the ECB’s 2010 Annual Report
Introductory statement by Mario Draghi, President of the ECB,
Brussels, 1 December 2011


http://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2011/html/is111208.en.html
Introductory statement to the press conference (with Q&A)
Mario Draghi, President of the ECB,
Vítor Constâncio, Vice-President of the ECB,
Frankfurt am Main, 8 December 2011


http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2011/html/sp111219.en.html
Interview with the Financial Times
Interview with Mario Draghi, President of the ECB,
conducted by Lionel Barber and Ralph Atkins
on 14 December 2011 in Frankfurt


http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2011/html/sp111215.en.html
The euro, monetary policy and the design of a fiscal compact
Speech by Mario Draghi, President of the ECB,
Ludwig Erhard Lecture,
Berlin, 15 December 2011


http://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2012/html/is120112.en.html
Introductory statement to the press conference (with Q&A)
Mario Draghi, President of the ECB,
Vítor Constâncio, Vice-President of the ECB,
Frankfurt am Main, 12 January 2012


http://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2012/html/is120209.en.html
Introductory statement to the press conference (with Q&A)
Mario Draghi, President of the ECB,
Vítor Constâncio, Vice-President of the ECB,
Frankfurt am Main, 9 February 2012


http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2012/html/sp120224.en.html
Interview with TheWall Street Journal
Interview with Mario Draghi, President of the ECB,
conducted by Robert Thomson, Matt Karnitschnig, and Brian Blackstone
on 22 February 2012,
published on 24 February 2012


http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2012/html/sp120224_1.en.html
interview with Frankfurter Allgemeine Zeitung
Interview with Mario Draghi, President of the ECB,
conducted by Holger Steltzner and Stefan Ruhkamp,
published 24 February 2012


http://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2013/html/is130502.en.html
Introductory statement to the press conference (with Q&A)
Mario Draghi, President of the ECB,
Vítor Constâncio, Vice-President of the ECB.
Bratislava, 2 May 2013


http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2013/html/sp130506.it.html
L’euro, la politica monetaria, le riforme
Mario Draghi, Presidente della BCE,
in occasione della cerimonia di conferimento della laurea honoris causa in
Scienze Politiche Università LUISS “Guido Carli”,
Roma, 6 maggio 2013


http://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2013/html/is130905.en.html
Introductory statement to the press conference (with Q&A)
Mario Draghi, President of the ECB,
Frankfurt am Main, 5 September 2013


http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2013/html/sp130916_1.en.html
Keynote speech at the conference
“Europe and the Euro – A Family Affair”
Speech by Mario Draghi, President of the ECB,
at the conference organised by Bundesverband der Deutschen Industrie
and Bundesvereinigung der Deutschen Arbeitgeberverbände,
Berlin, 16 September 2013


http://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2013/html/is131002.fr.html
Introductory statement to the press conference (with Q&A)
Mario Draghi, President of the ECB,
Vítor Constâncio, Vice-President of the ECB,
Paris, 2 October 2013


http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2013/html/sp131009_1.it.html
L’Europa alla ricerca di “un’Unione più perfetta”
Malcolm Wiener Lecture tenuta da Mario Draghi, Presidente della BCE,
presso la Harvard Kennedy School,
Cambridge, 9 ottobre 2013

Una appendice all’articolo
Mario Draghi ha ovviamente, anche dopo il 9 ottobre 2013, svolto il suo lavoro, nell’ambito del quale ricade, come si è detto, una sistematica e continua politica della comunicazione sulla politica monetaria della BCE. In particolare, il 16 dicembre del 2013, ha rilasciato una intervista, su «Le Journal du Dimanche».
Ne trascriviamo la traduzione in italiano che si può scaricare at http://europeancentralbank.wordpress.com/2013/12/15/1179/.
Draghi: l’euro è la base per il nostro futuro

Pubblicato su °dicembre 15, 2013 da WEBLOGGER

L’Europa sta, finalmente, tornando alla crescita?
La crescita è tornata, ma non è certamente molto forte. È modesta, fragile e diseguale. La Germania sta facendo bene; Francia, Italia e Spagna stanno migliorando; le cose non stanno andando così bene in Olanda; Grecia e Portogallo rimangono sotto pressione.
La disoccupazione è ancora troppo alta, ma sembra essersi stabilizzata ad una media di circa il 12%. Prevediamo che la crescita nella zona euro sarà dell’1,1% l’anno prossimo e dell’1,5% nel 2015.

Che cosa sta guidando la ripresa?
Guardando le cifre, possiamo vedere che le esportazioni sono di nuovo in ripresa e – questa è una novità – i consumi stanno riprendendo. Vari fattori hanno giocato un ruolo in questo. Prima di tutto, la nostra politica monetaria, che è rimasta accomodante dal 2011, sta cominciando a produrre i suoi frutti. Gli impegni che abbiamo assunto sulla direzione futura della nostra politica monetaria e la nostra decisione in novembre di tagliare il tasso sull’MRO (Main Refinancing Operations – operazioni principali di rifinanziamento) allo 0,25%, il secondo taglio del 2013, hanno contribuito a questo. L’incertezza si sta riducendo, il che dovrebbe contribuire a stimolare gli investimenti e incoraggiare le banche a concedere prestiti. Anche il potere d’acquisto è migliorato a seguito del calo dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari.

Pensa che sia necessario tracciare una linea sul debito greco perché il paese possa uscire della sua situazione attuale?
Il programma di riforme messo in atto con l’aiuto del FMI e della Commissione in collaborazione con la BCE sembra dare frutti. Esamineremo situazione di bilancio della Grecia e il suo andamento a inizio anno. Il popolo greco ha già fatto grandi sacrifici e spero che il paese raggiungerà avanzi di bilancio (a parte il peso degli interessi sul debito) a partire dal prossimo anno. Tuttavia, le riforme devono continuare.

Ritiene che l’amara pillola di austerità imposta ai paesi della zona euro per affrontare la crisi del debito sia stata la soluzione giusta, l’unica risposta accettabile?
L’austerità è stata essenziale, perché era la necessaria risposta a una delle più gravi crisi finanziarie che abbiamo mai visto. Prima del 2010 il mondo in cui vivevamo era in un certo senso irreale. I nostri creditori, gli investitori istituzionali, non distinguevano tra credito alla Grecia e credito alla Germania. Quando la gente cominciò ad avere dubbi sulla solvibilità della Grecia, tutto questo è finito. Gli investitori istituzionali hanno iniziato a rivalutare i profili di rischio di tutti i paesi della UE. Sappiamo cos’è successo dopo: gli spread sui tassi di prestito hanno cominciato a salire, distinguendo tra i paesi giudicati sicuri (e quindi meritevoli di credito) e gli altri. Questa crisi ci ha insegnato una lezione. Essa ci ha insegnato che non possiamo generare né sviluppo sostenibile né un’equa distribuzione del benessere accumulando debito. E ci ha anche costretti a concentrarci sui fondamentali per verificare la solidità di ogni singola economia. In quel momento ci siamo resi conto che era giunto il momento per le riforme strutturali. Senza la crisi avremmo potuto concederci più tempo per la loro attuazione, e avremmo potuto accompagnare i piani di austerità con misure di stimolo. Ma, poiché tutto questo non era stato fatto in precedenza, quando avremmo avuto il tempo, le riforme hanno dovuto essere attuate in emergenza e in maniera dolorosa.

Pierre Moscovici, il nostro ministro dell’Economia, ritiene che la Francia è vittima di un “French bashing” (dare addosso alla Francia), dato che la Francia ha ridotto il suo deficit e avviato riforme fondamentali. Cosa ne pensa?
Sono stati fatti notevoli sforzi, ma è importante che la Francia continui lungo il percorso delle riforme già intraprese. Il governo e il popolo francese sono consapevoli di questo. La competitività rimane insufficiente, e i miglioramenti delle finanze pubbliche non devono più basarsi su aumenti delle tasse. La Francia ha bisogno di tornare alla stabilità fiscale in modo che le imprese inizino nuovamente a investire.

Va bene che la Germania, il vero motore della crescita europea, non condivida i frutti della sua crescita con i suoi vicini per favorire una ripresa con basi più vaste?
Il vero problema qui è leggermente diverso. Dobbiamo cercare di capire perché la Germania sta facendo meglio dei suoi vicini. La risposta è che la Germania si è data i mezzi per essere più competitiva grazie alle sue audaci riforme strutturali. Nei primi anni 2000, la Germania ha lanciato le riforme del mercato del lavoro. Rimane un esempio da seguire per gli altri paesi europei. La sua performance si basa sulla grande forza delle sue piccole e medie imprese (PMI), che esportano e innovano. Questa piattaforma va preservata. Ma la Germania non deve riposare sugli allori e deve favorire gli investimenti, in particolare gli investimenti nelle infrastrutture.

Quali sono le prospettive per l’Europa, dal momento che la crescita non sta creando posti di lavoro?
La disoccupazione è in effetti il problema numero uno per i governi dei paesi europei – a cominciare dalla occupazione giovanile. Siamo troppo inclini a pensare che l’industria rimane il fattore chiave dell’occupazione, quando in realtà sono i servizi a creare la maggior parte del lavoro. Questo è in parte dovuto al fatto che i servizi sono stati meno esposti alla concorrenza rispetto al settore industriale.

Le banche vengono criticate per aver smesso di finanziare l’economia. Cosa sta facendo per incoraggiarle a prestare?
Due anni fa abbiamo fornito loro 1 trilione di euro sotto forma di prestiti triennali, alcuni dei quali già restituiti, e da allora abbiamo ridotto i nostri tassi di interesse più volte. Le banche possono rifinanziare i loro prestiti alle imprese con fondi ottenuti dalla BCE. Questo ha dato loro spazio per respirare. Alcune di loro hanno ricevuto assistenza, e sono state in grado di aumentare il loro capitale. Ora dobbiamo convincerle a prendere i tipi di rischio che sono utili per l’economia, in particolare i prestiti alle PMI. Ma va anche notato che la domanda di credito è diminuita. Alcune aziende, avendo un calo delle vendite e mancanza di chiarezza sul futuro, sono titubanti a investire, mentre le grandi aziende sempre più si rivolgono direttamente ai mercati, finanziandosi mediante l’emissione di obbligazioni. Lo scorso anno l’emissione di obbligazioni da parte di tali imprese è stata pari a 34 miliardi di euro, il che ha compensato la contrazione dei prestiti di circa 20 miliardi di euro.

Il lavoro di supervisione bancaria di cui la BCE è stata incaricata rivelerà la presenza di una Lehman Brothers tra i gruppi bancari in Europa?
È difficile dirlo in questa fase. Paesi come Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna, a cui è stata data assistenza finanziaria, hanno già provveduto a consolidare le loro reti bancarie. Inoltre le autorità di vigilanza hanno chiesto alle loro banche di prevedere accantonamenti per i prestiti in sofferenza (nonperforming loans) e di aumentare il loro capitale per garantire la loro solvibilità. Ma, certo, abbiamo bisogno di conoscere la situazione esatta, e nel 2014 questa sarà la priorità del nuovo meccanismo di vigilanza bancaria europea, che sarà guidato da Danièle Nouÿ.

La BCE ha fatto tutto il possibile per stimolare la crescita?
Nell’ambito del nostro mandato, sì. E siamo sempre pronti e in grado di agire ancora in seguito. Abbiamo già implementato alcuni dei nostri strumenti nel contesto di una politica monetaria accomodante, nonostante alcune persone ci abbiano accusato di prendere rischi enormi e mettere a rischio la stabilità dei prezzi. Non abbiamo visto nulla del genere. Al contrario, la nostra azione ha avuto l’effetto desiderato. E oggi restiamo altrettanto determinati a garantire la stabilità dei prezzi e salvaguardare l’integrità dell’euro. Ma la BCE non può fare tutto da sola. Noi non faremo il lavoro dei governi al posto loro. Spetta a loro intraprendere le riforme fondamentali, sostenere l’innovazione e gestire la spesa pubblica – in breve: tirar fuori nuovi modelli di crescita.

La BCE non è prigioniera della ortodossia di bilancio tedesca, nella interpretazione del suo mandato?
La BCE agisce ai sensi dei Trattati, che sono stati ratificati da tutti i paesi europei. I Trattati richiedono che ogni paese garantisca la sostenibilità delle sue finanze pubbliche. E questa è una questione di buon senso. Guardate cosa è successo quando la credibilità delle finanze pubbliche di alcuni paesi si è deteriorata al punto che è stato compromesso il loro accesso al mercato. Hanno dovuto sottoporsi ai dolorosi programmi di aggiustamento a cui lei ha appena fatto riferimento. Sono i livelli di debito e deficit insostenibili a rendere i paesi prigionieri dei mercati.

Alcune persone vorrebbero vedere la BCE combattere la disoccupazione, come la Federal Reserve. Perché vi rifiutate di farlo?
Il nostro compito principale è mantenere la stabilità dei prezzi. Naturalmente, nella misura in cui le nostre azioni stabilizzano l’economia, aiutano a ridurre la disoccupazione. Tuttavia, noi non siamo in grado di ridurre il livello strutturale della disoccupazione, che dipende dal buon funzionamento del mercato del lavoro e dalla sua capacità di integraremeglio coloro che sono stati esclusi. Basta prendere l’esempio della crescita tedesca, che non è venuta dalla riduzione dei nostri tassi di interesse (anche se questo avrà aiutato), ma piuttosto dalle riforme degli anni precedenti.

L’euro si è rafforzato notevolmente nei confronti del dollaro. Cosa state facendo per contrastare questo e rendere l’euro più competitivo?
Non ho alcun desiderio di speculare su quale sia il giusto tasso di cambio euro/dollaro USA. Non abbiamo obiettivi in termini di tassi di cambio. Tuttavia, riconosco che un tasso di cambio elevato ha conseguenze per la crescita e l’inflazione in Europa.

Che cosa è da temere di più: la deflazione o un ritorno dell’inflazione? Né l’uno né l’altro. Noi non stiamo sperimentando deflazione. I prezzi non sono in calo in modo sufficientemente forte o generalizzato da comportare il rinvio degli acquisti e degli investimenti, e quindi il tipo di rallentamento economico che abbiamo visto in Giappone. L’inflazione è a un livello basso, ben al di sotto della soglia del 2%, e dovrebbe rimanere debole fino al 2015. Ecco perché abbiamo deciso di ridurre i tassi di interesse di riferimento, per avere un cuscinetto di sicurezza per frenare il calo.

Che risposta avete per il crescente numero di europei che non vogliono più l’euro?
Vorrei dire loro che l’euro è la base per il nostro futuro. L’euro è una moneta sana e sta totalmente assolvendo il suo ruolo, ma soffre il fatto che la nostra unione monetaria è incompleta e imperfetta. Dobbiamo completare la nostra unione monetaria se vogliamo raggiungere veramente stabilità duratura e prosperità in Europa. Prima di tutto dobbiamo procedere con l’unione bancaria e completare i programmi di riduzione del deficit e di riforma che abbiamo intrapreso. L’argomento populista che, lasciando l’euro, l’economia nazionale beneficerà immediatamente di una svalutazione competitiva, come ha fatto nei bei vecchi tempi, non regge. Se tutti cercano di svalutare la loro moneta, non giova a nessuno. In definitiva, la strada per la prosperità passa sempre attraverso le riforme e la ricerca della produttività e dell’innovazione.

Avete paura di un voto anti-europeo nelle elezioni maggio?
Mi aspetto una presenza anti-europea più forte che nel Parlamento europeo attuale. Dobbiamo essere consapevoli di questo e rispondere alla sfiducia che si è radicata nell’opinione pubblica sul progetto europeo e le sue istituzioni. Non c’è dubbio che i movimenti populisti stanno capitalizzando su quel sentimento, ma ci sono anche persone che sono veramente deluse. Spetta a noi di spiegare perché l’euro è stato e rimane un segno di progresso, una moneta per il futuro. Spetta a noi ricordare che l’integrazione europea si è dimostrata il miglior modo di salvaguardare la pace. Ma abbiamo anche bisogno di dare alla nostra comunità un rinnovato senso di prospettiva – spiegare che più Europa e una maggiore integrazione possono contribuire al progresso, alla ripresa economica e alla prosperità. Dobbiamo dare alla gente nuova speranza.









NOTE
1 Il testo dell’indirizzo di saluto e quello, successivo, della presentazione delle politiche alla stampa e del dibattito, si trova at http://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2011/html/is111006.en.html. «This monthly press briefing has been like a piano that you have played as masterfully as any professional pianist would. Over the past 8 years you have commanded this stage – usually in Frankfurt – to gently steer market expectations using a careful and deliberate choice of words to give clear messages to the markets. I am certain that the corps of journalists will miss the typically French elegance with which you have chaired past press conferences. Although I became a member of the Governing Council only recently I feel lucky and grateful to have had first-hand experience of your diplomatic but consistently focused style of chairmanship. As I already mentioned, you have been President of the ECB for 8 years, the last 4 years of which have proved very demanding. It is no overstatement when I say, that, Jean-Claude has fought passionately and with tireless and unconditional conviction to overcome the European debt crisis. What is often forgotten these days, are the achievements of the Eurosystem in the past decade. You would be right to point out that “we have delivered price stability for 330 million people”. This is in large part thanks to your own personal efforts and I would like to use this opportunity to thank you on behalf of the Bundesbank and the other national central banks for the excellent job you have done over the past 8 years. During your time living and working in Germany you have often stressed how fond you are of this country and its language. I therefore hope that we will have the continued pleasure of seeing you in Germany again many times in the future. But now, Mr. President, the floor is yours».
Così conclude Weidmann, il suo saluto a Trichet.^
2 «Ladies and gentlemen, the Vice-President and I are very pleased to welcome you to our press conference. I would like to thank Governor Makúch for his kind hospitality and express our special gratitude to his staff for the excellent organization of today’s meeting of the Governing Council. We will now report on the outcome of today’s meeting, during which we took a number of decisions on key ECB interest rates, liquidity provision and possible ways forward to enhance the provision of credit.The meeting was also attended by the Commission Vice-President, Mr Rehn. First, based on our regular economic and monetary analyses, we decided to lower the interest rate on the main refinancing operations of the Eurosystem by 25 basis points to 0.50% and the rate on the marginal lending facility by 50 basis points to 1.00%. The rate on the deposit facility will remain unchanged at 0.00%. These decisions are consistent with low underlying price pressure over the medium term. Inflation expectations for the euro area continue to be firmly anchored in line with our aim of maintaining inflation rates below, but close to, 2% over the medium term. In keeping with this picture, monetary and loan dynamics remain subdued. At the same time, weak economic sentiment has extended into spring of this year. The cut in interest rates should contribute to support prospects for a recovery later in the year. Against this overall background, our monetary policy stance will remain accommodative for as long as needed. In the period ahead, we will monitor very closely all incoming information on economic and monetary developments and assess any impact on the outlook for price stability». Questo è l’incipit di Draghi; il testo completo del suo discorso, e della successiva conferenza stampa, si può leggere at http://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2013/html/is130502.en.html.^
3 Si veda Mario Draghi, L’euro, la politica monetaria, le riforme, un testo che si può scaricare at http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2013/html/sp130506.it.html.^
4 Il testo integrale si legge at http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2013/html/sp131122.it.html.^
5 Si veda il testo completo at http://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2013/html/is131107.en.html.^
6 L’incipit di Draghi è abbastanza diverso, in questo caso, dal suo stile di banchiere centrale e presenta anche un tratto personale e rilevante per la sua storia individuale: «Signore e Signori, ho accolto con grande piacere l’invito a pronunciare la “Malcolm Wiener lecture on international political economy” di quest’anno. Sono sempre molto lieto di fare ritorno in questo paese, soprattutto qui a Cambridge, dove ho studiato per il PhD negli anni ’70. Gli Stati Uniti sono stati sovente descritti come una giovane nazione, ma l’istituzione che ho l’onore di guidare è considerevolmente più giovane. La Banca centrale europea (BCE) e la moneta unica hanno iniziato a operare quasi 15 anni fa, al principio del 1999. Oggi vi vorrei dare un’idea sia delle circostanze dei nostri esordi, sia delle sfide della nostra “adolescenza”.
Il testo della lezione, L’Europa alla ricerca di “un’Unione più perfetta”, si legge at http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2013/html/sp131009_1.it.html.^
7 Mario Draghi presenta questa opzione il 4 luglio 2013, dopo la riunione mensile del Comitato Direttivo della BCE: Introductory statement to the press conference, Mario Draghi, President of the ECB, Vítor Constâncio, Vice-President of the ECB, Frankfurt am Main, 4 July 2013. Si vedano anche J. R. Campbell Charles, L. Evans Jonas, D.M. Fisher, A. Justiniano, Macroeconomic Effects of FOMC Forward Guidance, May 30, 2012, che si può scaricare at http://federation.ens.fr/ydepot/semin/texte1112/JUS2012MAC.pdf e BISWorking Papers
No 274, Talking about monetary policy: the virtues (and vices?) of central bank communication by Alan Blinder, Monetary and Economic Department, March 2009 at http://www.bis.org/publ/work274.pdf.^
8 Nel dicembre del 1997 si svolge, a Tel-Aviv University, una discussione in cui Mundell aggiorna gli elementi del suo paper sull’OCA, presentato nel 1961 sull’«American Economic Review». Il testo della discussione si può leggere at http://www.columbia.edu/~ram15/eOCATAviv4.html. Una ulteriore lettura, utile nella prospettiva dell’imminente nascita dell’euro, risulta essere questo commento di James Tobin, Financial Globalization, Cowles Foundation Paer no. 281, 1999 che si può leggere at http://cowles.econ.yale.edu/P/cp/p09b/p0981.pdf..^
9 L’avventura dell’euro nasce dalla convinzione che garantire una unica moneta per un mercato unico avrebbe riaperto la strada del processo di unificazione europeo e creato le premesse per una economia europea unita, il mercato unico, capace di contemperare la dimensione della competizione e quella della diffusione della conoscenza: due leve che avrebbero, a loro volta, garantito un tasso di crescita sostenuto ed una dimensione della qualità della vita, capace di assicurare lo sviluppo economico e la piena integrazione degli Stati che avrebbero partecipato all’impresa. La relazione positiva tra un’unica moneta ed un mercato unico era certamente una condizione necessaria per riavviare il processo di integrazione. Non era, tuttavia, una condizione sufficiente. L’ottimismo sulla ripresa del progetto europeo, e l’enfasi sui vantaggi che un’unica moneta poteva generare combinandosi con la rete del mercato unico, posero in ombra i costi necessari per chiudere gli squilibri reali interni al mercato stesso: in termini di tecnologie e di assetti istituzionali. Vennero sottovalutate, insomma, le differenze interne ai paesi dell’Unione, nella configurazione originaria, ed in quella attesa, una volta che fosse stato allargato ulteriormente il processo di integrazione. L’effetto di trascinamento positivo della moneta unica mise in ombra la necessaria rielaborazione delle politiche economiche necessarie alla integrazione. Nel dibattito che ha accompagnato le vicende dell’Unione Europea, dopo la nascita dell’euro e successivamente al 2008 con una crescente intensità, molti analisti hanno sottolineato come i benefici di una ipotetica optimum currency area (OCA) in Europa siano stati inferiori ai costi ed agli attriti interni, relativamente alla sua eventuale sostenibilità. Una accentuazione del fenomeno dei mancati benefici di una optimum currency area in Europa deriva anche dai traumi esogeni che la presunta area ottimale finisce per subire, in maniera ricorrente, dal 2000 al 2013: september eleven; il crollo della Unione Sovietica e la necessaria accelerazione per la creazione di un club commerciale, che allarghi e circondi il perimetro del club monetario che aveva promosso la moneta unica; la prima crisi finanziaria mondiale e la lunga recessione che fa seguito alla crisi deflagrata nel 2008. L’insieme di questi effetti genera l’allargamento delle fratture e l’allargamento degli squilibri tra nazioni, appartenenti ai due club che convivono nell’ambito europeo – il club commerciale, dei partecipanti al mercato unico ed il club monetario, dei partecipanti alla moneta comune governata dalla BCE – e tra le economie regionali che si collocano nell’ambito di quelle nazioni. In un volume di Pier Carlo Padoan, Dal mercato interno alla crisi dello SME, diversità ed integrazione in Europa,, Roma, NIS 1996, questo tema (club commerciale vs club monetario) viene anticipato con grande lungimiranza. Si legga il capitolo 10 del volume, in particolare.^
10 La media del reddito pro capite nelle economie nazionali, che oggi appartengono all’area dell’euro, era nel 2003 di 22.800 euro. L’economia italiana si presenta quasi esattamente sulla media. La media dell’indice, fatto pari ad 1 la dimensione del reddito procapite nel 2003, per l’intera area euro nel 2010 si colloca a 1,162 mentre, per l’economia italiana, l’indice che esprime la crescita intercorsa tra 2003 e 2010 si ferma a 1,074: circa 9 punti base in meno rispetto alla media dell’euro area: 0,924, se si assume come unità di misura lo scarto della media dell’indice italiano rispetto a quello dell’Area euro. L’economia italiana, insomma parte nel 2003 allineata sulla media dell’area euro, in termini di reddito pro capite, ma rallenta, progressivamente, nel decennio successivo, appesantita da attriti ed inerzie più forti di quelli mediamente osservati nell’area euro, pur avendo lo Stato italiano fatto parte del gruppo fondatore dell’area euro e della stessa moneta unica. Oltre l’Italia accusano attriti che impediscono la crescita anche Lussemburgo, Irlanda, Belgio, Francia, Grecia. Solo la Grecia si colloca sotto il livello della media del reddito procapite nel 2003. Tutti gli altri Stati europei partono da elevati redditi pro capite nel 2003 e, pertanto, la ridotta dimensione dell’indice potrebbe essere imputata al denominatore. Il quadro cambia molto, invece, se si valuta l’arco di tempo successivo alla crisi: il periodo compreso tra 2008 e 2011. Nel 2008 la media del reddito pro capite nell’area euro è di 27.200 euro. Risultano sotto questa media Francia, Italia, Spagna, Cipro, Grecia, Slovenia, Malta, Portogallo, Slovacchia, Estonia. Il numero indice medio della crescita, nel 2011, si colloca ad 1: cioè il valore del reddito medio procapite del 2008, l’anno in cui precipita la crisi finanziaria in Europa. Di conseguenza si possono valutare sia le economie che, alla data del 2011, non avevano recuperato la quota iniziale, cioè l’unità, che le altre. Sono quotate sotto zero, nel 2011, le seguenti economie nazionali dell’euro area: Olanda, Irlanda, Finlandia, Italia, Spagna, Cipro, Slovenia, Estonia. Non sono disponibili i dati della Grecia. Presentano un indice superiore all’unità le altre economie nazionali appartenenti all’area euro: Germania, Austria, Francia, Belgio, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Slovacchia. Solo il nocciolo duro del Nord Est, nell’area euro, ha ritrovato la quota, ancorché non eccezionale, della crescita dopo pochi anni del trauma della crisi. Risulta molto evidente, in conclusione, la marginalizzazione dell’Europa del Sud rispetto alla solidità di un area euro controllata dalla Germania e da alcuni satelliti europei ma, in particolare, dalla complementarietà delle relazioni commerciali tra paesi dell’area euro e paesi dell’Unione Europea, che non aderiscano all’area euro.^
11 Probabilmente gli ideatori che portano alla creazione materiale dell’euro nel 2000 si aspettavano di assorbire “Il costo della non-Europa” grazie alla creazione di un’area di stabilità monetaria e di convergenza reciproca tra regioni e nazioni della propria crescita. Questa eccessiva confidenza con i benefici indotti da una politica macroeconomica monetaria viene svelata dalle conseguenze che abbiamo subito negli anni alle nostre spalle, anche prima della crisi finanziaria del 2008. La stessa BCE ha prodotto documenti ed analisi che interpretavano positivamente la convergenza tra le economie degli Stati e delle Regioni europee. Si vedano nelle note successive i testi di Mongelli e De Grauwe. In alcuni casi è stata proposta una politica di libera circolazione del lavoro (Schengen) ma senza una libera circolazione di capitali collegata (come diceva Mundell). Questi capitali in circolazione, in effetti, hanno favorito la polarizzazione sulle aree dove tecnologie ed opportunità di contesto, infrastrutturali e relazionali nell’ambito dei sistemi imprenditoriali, erano una esternalità positiva e dunque quei capitali sono confluiti verso aree ad elevata produttività di sistema generando, in una spirale espansiva un tessuto economico dotato di una ulteriore maggiore produttività. Sarebbero state necessarie effettive politiche compensative, anche di natura fiscale, per favorire il riequilibrio delle esternalità e la creazione di un tessuto economico effettivamente integrato ad una scala più estensiva. Ma la gestione operativa delle politiche europee di coesione territoriale non è mai stata orientata al traguardo di rimuovere le diversità strutturali nella produttività; essa ha agito per compensare i divari sul terreno della redistribuzione del reddito e non su quello dell’incremento della produttività per la base economica locale. Come è accaduto nelMezzogiorno, dopo gli anni Ottanta, si è scelto di sovvenzionare la capacità di spesa nelle aree deboli senza aggredire lo squilibrio tra base demografica e base economica, che generava una fascia di disoccupazione strutturale, ed alimentava un effetto finanziario da “pentola bucata”. I Fondi trasferiti alle aree deboli venivano impiegati per importare prodotti e servizi dalle aree forti. Nel caso dei fondi di coesione, che sono alimentati dai singoli Stati, e che sono “Europei” nella metodologia di gestione ma non nella origine fiscale dello Stato che li conferisce, per gli Stati creditori verso il sistema dei fondi, tra i quali anche l’Italia, si realizza il paradosso di un trasferimento da un paese fondatore dell’area euro alle regioni deboli di quel paese che non agisce come fattore di riequilibrio economico ma come effetto distorsivo sul piano finanziario dell’equilibrio dei conti economici tra regioni deboli e regioni forti dell’Italia stessa. Il fallimento del federalismo fiscale, e la ostilità verso una fiscalità di vantaggio, da parte della stessa Commissione Europea, che avrebbe dovuto accelerare il riequilibrio tra base demografica e base economica, conferma questa diagnosi.^
12 Il dibattito sull’area monetaria ottimale è ancora aperto ed attraversa la storia del regime monetario internazionale dopo la crisi e l’abbandono degli Accordi di BrettonWoods. Di seguito riportiamo alcuni dei testi basici di questa discussion, prima e dopo la nascita dell’euro: R.Mundell, A Theory of Optimum Currency Areas, in «American Economic Review», 1961; P. B. Kenen, The Theory of Optimum Currency Areas: An Eclectic View in R. Mundell, A.K. Swoboda (a cura di), Monetary Problems of the International Economy, Chicago, The University of Chicago Press, 1969; R. McKinnon, R. Mundell, the Euro, and Optimum Currency Areas, May 22, 2000 at http://www-siepr.stanford.edu/workp/swp00009.pdf; F.P. Mongelli, “New” view on the optimum currency area theory: what is EMU telling us? Working paper no. 138, April 2002, ECBWorking Papers Series; R.McKinnon, Optimum Currency Areas and Key Currencies: Mundell I versus Mundell II, Stanford University August 2004, Forthcoming Journal of Common Market Studies; P. De Grauwe and F. Paolo Mongelli, Endogeneities of Optimum Currency Areas. What Brings Counties Sharing a Single Currency Closer Together? Working Paper no. 468, April 2005, ECBWorking Papers Series.^
13 Si vedano, in proposito, P. Krugman, Revenge of the Optimum Currency Area, at http://krugman.blogs.nytimes.com/2012/06/24/revenge-of-the-optimum-currencyarea/?_r=0 ed anche P. De Grauwe, Managing A Fragile Eurozone, CESifo Forum 2/2011, at http://www.econ.kuleuven.be/ew/academic/intecon/Degrauwe/PDG papers/Recently_published_articles/CESifo-Forum-Managing-Fragility-Eurozone.pdf.Ma si veda anche C. Kopf, Restoring financial stability in the euro area, CEPS, No. 237, 15 March 2011.^
14 In un volume collettivo, Aa.Vv, Integration and the Regions of Europe; How the right policies can prevent Polarization, Monitoring European Integration 10, CEPR, London 2000, vengono individuati tre temi critici: la presenza asimmetrica, nelle economie regionali dell’Europa, del tasso di crescita nella produzione di beni e servizi; la mobilità delle merci e la mobilità del lavoro, e gli attriti che possono rendere asimmetrici i due processi; il regime di governo per guidare alla convergenza le varie economie, regionali e nazionali ed il modello, regionale o nazionale, delle politiche da adottare. Il solo fatto che questi temi fossero messi all’ordine del giorno nella fase costitutiva dell’Unione Europea segnala implicitamente come gli attriti verso una crescita sostenibile ed omogenea fossero stati avvertiti. Che questi avvertimenti abbiano prodotto politiche idonee è appunto la questione che andrebbe valutata di fronte all’evidenza delle divergenze in atto dopo tredici anni da quella data.^
15 Un esempio valga per tutti gli altri casi potenziali ed effettivi; la filiera dell’automotive si differenzia dai sistemi di impresa brand owners. I proprietari, e distributori, di imprese che producano auto, e che le distribuiscano sulla base di un brand proprietario, realizzano accordi commerciali sia con tipologie di sistemi imprenditoriali che producono soluzioni tecnologiche che con sistemi di vendita e di marketing. Non esistono filiere integrate di carattere intra – trade nello schema attuale del mercato mondiale mentre esistono, e sono molto attivi, processi sistemici inter – trade che alimentano segmenti intermedi dei prodotti e dei servizi necessari per costruire automobili.^
16 Si legga, in proposito, C. Imbriani e M. Lo Cicero, Gli effetti dell’allargamento dell’Unione Europea. Politiche industriali compatibili e disuguaglianze strutturali, in «Politica Agricola Intenzionale», numero 2 – 2003, J.E.L. F02, F36 dove si valutano queste circostanze in vista del processo di integrazione. «I primi cinque paesi considerati (Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Polonia, Slovenia) rappresentano una fortissima concentrazione degli investimenti italiani realizzati nella seconda metà degli anni Novanta. Nonostante non sia stata ancora inclusa nel valore, esposto nella tabella 8 e nel grafico 6, l’acquisizione di controllo del gruppo Pekoa, in Polonia, da parte del gruppo italiano Unicredito. Questa interazione tra investimenti industriali, espansione dell’area degli intermediari finanziari e commercio internazionale, suggerisce, appunto, che non esistano solo forze di attrazione dovute alla prossimità, come nel caso della Slovenia, ma anche ulteriori forze che si possono spiegare osservando l’impatto dei processi di globalizzazione sulla frammentazione delle relazioni commerciali cross border tra paesi diversi, da impresa ad impresa, da industria ad industria nell’accezione particolare che abbiamo già precisato». Una conferma anticipata degli effetti di coalizione e cooperazione che sono intervenuti, tra i paesi del club monetario e del club commerciale, e delle conseguenze, in termini di divaricazione dei processi di crescita, rispetto alle economie regionali e nazionali grazie anche alla creazione crescente di filiere inter – trade nella dimensione globale dei mercati contemporanei.^
17 Molte altre utili informazioni sulle dinamiche della crescita sono disponibili nel Rapporto Svimez 2013 sull’Economia del Mezzogiono, il Mulino 3023..^
18 Nel volume di Pier Carlo Padoan, che abbiamo citato nelle note precedenti, in relazione al club monetario ed al club commerciale, l’autore conclude, in prima battuta, «che il processo di integrazione tra Nord, Sud ed Est dell’Europa è possibile nella misura in cui si stabilisce un rapporto tra giochi paralleli e giochi sovrapposti. In particolare si è argomentato che l’allargamento del club ad Est, di cui avrebbe beneficiato sopratutto il Nord, avrebbe ottenuto il consenso del Sud, mantenendo così la coesione all’interno della UE, nella misura in cui il Nord avesse accettato una gestione meno restrittiva delle relazioni economiche e monetarie» (p. 171). Ma Padoan aggiunge anche una ulteriore possibilità nello sviluppo delle future dinamiche dell’Europa: «Per puro spirito accademico potremmo considerare, allora, un’altra ipotesi di integrazione, che corrisponderebbe..alla soluzione cooperativa nel gioco tra Nord ed Est, ma non anche a quella cooperativa nei giochi tra Nord e Sud. In questo caso l’unione monetaria si formerebbe solo con alcuni paesi escludendone altri – come la Grecia, il Portogallo e la stessa Italia – che non avessero raggiunto un profilo macroeconomico compatibile con l’accesso alla moneta unica … la parte settentrionale della Comunità, infatti sarebbe caratterizzata da un “nucleo forte” rappresentato da paesi omogenei sia sul piano della specializzazione commerciale che da quello del comportamentomacroeconomico e ciò non potrebbe non condizionare i tempi ed i modi di ulteriori aperture verso i paesi dell’est europeo. I benefici della maggiore integrazione di questi paesi, che deriverebbero alla Germania e ai paesi europei con essa maggiormente integrati, costituirebbero una pressione difficilmente resistibile verso la coesione di maggiori aperture, anche se ciò dovesse rappresentare un accrescimento dei costi di aggiustamento per i paesi del Sud» (p. 172).^
19 È abbastanza raro che si possano rintracciare, tradotti in lingua italiana, i testi di Mario Draghi nel sito web della BCE. Ma è singolare che la Malcolm Wiener Lecture, come l’intervento in occasione della laurea honoris causa ricevuta alla LUISS e quello del 22 novembre 2013, al congresso bancario europeo, entrambi già citati e riportati nelle fonti in nota, siano stati tutti tradotti anche in italiano. Una sorta di invito alla lettura per approfondire nel dibattito, economico e politico, che si svolge in Italia i pro ed i contro degli atteggiamenti che si collocano in favore e contro la continuazione dell’esperimento della moneta unica nell’ambito dell’Unione Europea nei suoi termini originari. La contrapposizione tra la moneta unica e la Unione sarebbe un grave handicap al proseguimento dell’esperimento europeo. Ma la necessità di correggere la costruzione dell’euro, e della stessa Unione, in una prospettiva anche americana, e non solo continentale, potrebbe essere una strada interessante da praticare nei prossimi anni.
Si veda L’ Europa alla ricerca di “un’Unione più perfetta”, Malcolm Wiener Lecture tenuta da Mario Draghi, Presidente della BCE, presso la Harvard Kennedy School, Cambridge, 9 ottobre 2013. Il testo completo si legge at http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2013/html/sp131009_1.it.html.^
20 In una vasta letteratura che affronta la dimensione neoistituzionale dell’economia si possono leggere M. Olson, Logica delle Istituzioni, Edizioni di Comunità, 1994 e D. North, Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell’economia, Bologna, il Mulino 1994. Entrambi sottolinenano la distanza che separa l’imprenditore, nel contesto di unmondo dove sia stata sviluppata la tutela della proprietà ed il diritto dei contratti, dai robber barons. Draghi, nella sua lecture, cita anche W.J. Baumol, Entrepreneurship: Productive, unproductive, and destructive, in «Journal of Political Economy», 98, 5, 1990. È interessante ricordare una ulteriore definizione sul valore della ricchezza, cioè di un dato oggettivo, perché riferito a beni e servizi che danno valore a chi li possiede e li utilizza, mentre precedentemente, imprenditori vs robber barons, abbiamo descritto la natura soggettiva dei comportamenti degli attori del sistema. Scrive Claudio Napoleoni, affrontando la descrizione del sistema economico secondo Walras, ed in particolare la descrizione della ricchezza come «categoria iniziale del suo discorso teorico» citando a sua volta Walras con questa definizione: «l’insieme delle cose materiali o immateriali che sono scarse, cioè che da una parte ci sono utili e che dall’altra parte non sono disponibili che in quantità limitata». Rielaborando la citazione diWalras, Napoleoni aggiunge «la duplice qualità di essere utile e limitata conferisce alla ricchezza tre proprietà: essa è appropriabile, è oggetto di scambio ed è oggetto di attività produttiva». Confermando la interazione, poi sviluppata dalla economia neoistituzionale, tra economia e diritto ma anche la natura della economia monetaria di produzione come effetto del capitalismo e cioè della interazione tra proprietà, scambio e riproduzione allargata della dimensione della ricchezza. C. Napoleoni, Il pensiero economico del Novecento, Torino, Einaudi, 1963.^
21 Come abbiamo letto nel testo citato da Draghi: «il diritto di dichiarare guerra e negoziare le condizioni della pace, di imporre tasse, di battere moneta e di fungere da giudice di ultima istanza».^
22 Si veda M. Miller, The Modigliani – Miller propositions, in «The Journal of Economic Perspectives», volume 2, no. 4, 1988. Nel testo di questo commento, a trenta anni dalla pubblicazione della “Teoria del costo del capitale” di Modigliani e Miller, viene ribadito che aver definito il principio della classe omogenea di rischio, e di rendimento, per una impresa, che intraprende un progetto e richiede di essere finanziata da una banca, rappresenta la base delle successive proposizioni analitiche formulate daModigliani eMiller. Una forma singolare di clusterizzazione, per classi di rischio, della natura delle imprese stesse.^
23 «To sumup, based on its regular economic andmonetary analyses, the Governing Council decided to keep the key ECB interest rates unchanged. Inflation has remained elevated and incoming information has confirmed our view that inflation is likely to stay above 2% over the months ahead but to decline thereafter. A cross-check with the information from our monetary analysis confirms that the underlying pace of monetary expansion continues to be moderate. Ongoing tensions in financialmarkets and unfavorable effects on financing conditions are likely to dampen the pace of economic growth in the euro area in the second half of this year. The economic outlook remains subject to particularly high uncertainty and intensified downside risks. At the same time, short-term interest rates remain low. It remains essential for monetary policy to maintain price stability over the medium term, thereby ensuring a firm anchoring of inflation expectations in the euro area in line with our aim of maintaining inflation rates below, but close to, 2% over the medium term. Such anchoring is a prerequisite for monetary policy to make its contribution towards supporting economic growth and job creation in the euro area. A very thorough analysis of all incoming data and developments over the period ahead is warranted. Turning to fiscal policies, with financial market uncertainty remaining high, all governments need to take decisive and frontloaded action to bolster public confidence in the sustainability of government finances. All euro area governments need to show their inflexible determination to fully honour their own individual sovereign signature as a key element in ensuring financial stability in the euro area as a whole. Countries under joint EU-IMF adjustment programmer as well as those particularly vulnerable to financial market conditions need to unambiguously implement all announced measures for fiscal consolidation and the strengthening of domestic fiscal frameworks, and they need to stand ready to take any additional measures that may become necessary owing to the evolution of their situation. Fiscal consolidation and structural reforms must go hand in hand to strengthen confidence, growth prospects and job creation. The Governing Council therefore urges all euro area governments to decisively and swiftly implement substantial and comprehensive structural reforms. This will help these countries to strengthen competitiveness, increase the flexibility of their economies and enhance their longer-term growth potential. In this respect, labour market reforms are key, with a focus on the removal of rigidities and the implementation of measures which enhance wage flexibility. In particular, we should see the elimination of automatic wage indexation clauses and a strengthening of firm-level agreements. More generally, in these demanding times, moderation is of the essence in terms of both profit margins and wages». Commenta Trichet.^
24 «This time it was the Deutsche Bundesbank’s turn, and I must say it has been an honour to welcome the Governing Council here in the German capital» dichiara in apertura Trichet..^
25 «labour market reforms are essential and should focus on measures to remove rigidities and to enhance wage flexibility, so that wages and working conditions can be tailored to the specific needs of firms. More generally, in these demanding times, moderation is of the essence in terms of both profit margins and wages».^
26 Si tratta di Continuity, consistency and credibility, Introductory remarks by Mario Draghi, President of the ECB, at the 21st Frankfurt European Banking Congress “The Big Shift”, Frankfurt am Main, 18 November 2011.^
27 Hearing before the Plenary of the European Parliament on the occasion of the adoption of the Resolution on the ECB’s 2010 Annual Report, Introductory statement by Mario Draghi, President of the ECB, Brussels, 1 December 2011. Il testo integrale si può leggere at http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2011/html/sp111201.en.html.^
28 Introductory statement to the press conference, Mario Draghi, President of the ECB, Vítor Constâncio, Vice-President of the ECB, Frankfurt am Main, 8 December 2011.^
29 Si veda Efficienza, Stabilità ed Equità, un rapporto di Padoa Schioppa, prefazione di Jaques Delors, Bologna, il Mulino, 1987.^
30 Il testo completo si legge in Introductory statement to the press conference, Mario Draghi, President of the ECB, Vítor Constâncio, Vice-President of the ECB, Bratislava, 2 May 2013.^
31 Il discorso di Mario Draghi, alla fine della cerimonia, si propone in questi termini: L’euro, la politica monetaria, le riforme, Mario Draghi, Presidente della BCE, in occasione della cerimonia di conferimento della laurea honoris causa in Scienze Politiche, Università LUISS “Guido Carli”, Roma, 6 maggio 2013. Si può leggere at http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2013/html/sp130506.it.html.^
32 La ricerca è stata realizzata dalla Banca Centrale Europea: European Central Bank, Survey on the access to finance of small andmediumsized enterprises in the Euro Area, October 2012 to March 2013, April 2013. Il testo si può leggere e scaricare at http://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/other/accesstofinancesmallmediumsizedenterprises201304en.pdf?3775e6d6901f36f2e907135abcb98424.^
33 La definizione di forward guidance secondo il Financial Times Lexicon: «Forward guidance involves central banks pledging to keep interest rates very low for a specified period, which is usually contingent on inflation remaining relatively low. The idea behind such guidance is that, by convincing people that loans will remain cheap and savings rates low, they will go out and spend more today».
La fonte si legge at http://lexicon.ft.com/term?term=forward-guidance.^
34 Prima della lezione tenuta ad Harvard, il 9 ottobre 2013, Draghi parla il 5 settembre a Francoforte, per la ricorrente conferenza stampa mensile: Introductory statement to the press conference, Mario Draghi, President of the ECB, Frankfurt am Main, 5 September 2013 ed il 16 settembre a Berlino. Nella prima occasione conferma la stabilità dei tassi di interesse e del clima economico e monetario circostante. Nella seconda occasione affronta, ancora una volta il tema, della relazione tra mercato unico e moneta unica: Keynote speech at the conference “Europe and the Euro – A Family Affair”, Speech by Mario Draghi, President of the ECB, at the conference organised by Bundesverband der Deutschen Industrie and Bundesvereinigung der Deutschen Arbeitgeberverbände, Berlin, 16 September 2013.^
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