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Omaggio a Maurizio Torrini
di Giovanni Bonacina
Il secondo fascicolo del «Giornale Critico della Filosofia Italiana», per l’anno 2012, è dedicato a Maurizio Torrini in occasione del suo settantesimo compleanno. Reca il titolo L’appassionata ragione. Studi di storia del pensiero filosofico e scientifico; amici, collaboratori, condirettori, redattori e editore del «Giornale» hanno voluto così onorare il festeggiato, dal 1980 professore di storia della scienza presso l’Università “Federico II” di Napoli, redattore della rivista dal medesimo anno, oggi coordinatore della direzione collegiale istituita dopo la scomparsa di Eugenio Garin. Con benevola ironia, si è scelto a esergo l’incipit dell’abiura pronunciata da Galileo: «di Fiorenza, dell’età mia d’anni settanta» – medesima città e ricorrenza genetliaca di Torrini, insigne studioso anche di cose galileiane. Il fascicolo comprende ventitré contributi, disposti in ordine cronologico in base all’argomento, da Il principio in Anassimandro, autore Aldo Brancacci, fino a La deriva parassitaria della critica filmica, autore Guido Oldrini. Come illustra il sottotitolo, vuol rendere omaggio alle competenze di Torrini, equamente distribuite fra la storia della filosofia e la storia della scienza, nella convinzione che un legame sostanziale unisca queste due discipline a dispetto della loro separazione ministeriale. Quanto al titolo, L’appassionata ragione, fra le diverse spiegazioni che se ne potrebbero dare e in mancanza di una notizia da parte dei curatori, non si sarà in errore a intenderlo nel senso che, allo sguardo dello storico, il confine fra ragione e passione in materia di filosofia e scienza debba apparire assai più sottile di quanto le teorie siano solite assumere. «Pensiero appassionato», ispirato a «curiosità», a un umano desiderio di potenza tendente a risolversi nell’anticipazione mentale di piaceri futuri: è il tema, non a caso, prescelto da Gianni Paganini per il suo contributo hobbesiano («Passionate thought». Ragione e passioni in Thomas Hobbes), mirante a sottrarre l’autore del Leviathan, e con lui il pensiero moderno in generale, vuoi alle rampogne di quanti (Francofortesi e simili) amano scorgere in Hobbes l’antesignano di una totalitaria «ragione calcolante», vuoi alle lusinghe di quanti altri, secondo la lezione schmittiana, amano far di lui un protoapologeta del fatale momento della ‘decisione’ in politicis. La luce della ragione può ben promanare dal fondale opaco delle passioni, ma non perciò merita di essere equiparata senz’altro alle tenebre.
Già dalle poche intitolazioni dei saggi fin qui riportate è facile intuire che la semplice restituzione dell’indice non molto aiuterebbe chi volesse afferrare la vena profonda del presente volume; né la natura assai varia dei contributi, come spesso accade anche nelle Festschriften più paludate, permette di dar conto in poche righe del contenuto di ciascun articolo e della sua attinenza, maggiore o minore, alle ricerche di Torrini. Un filo conduttore tuttavia esiste ed è possibile almeno additarlo qui al lettore. Si tratta del ruolo centrale riconosciuto, ai fini della storiografia filosofica e scientifica, all’esplorazione di archivi, alla restituzione di testi inediti, ai carteggi, alle traduzioni, all’individuazione di fonti, in breve a tutti quei procedimenti e materiali di studio che, familiari allo storico tout court, sono esposti in maniera ricorrente, nel caso del pensiero filosofico e scientifico, al rimprovero di distogliere le menti da ciò che davvero sarebbe importante, o dovrebbe valere come tale, ossia le idee, i problemi, le tecniche argomentative, considerate sub specie aeternitatis. L’erudizione, o quel che con una certa improprietà di linguaggio è spesso etichettato sbrigativamente come “filologia”, sarebbe coltivata, secondo i detrattori, a svantaggio degli studi più teorici, fino a costituire quasi un tarlo della tradizione culturale italiana. In marcato contrasto con questa vulgata polemica balza agli occhi l’orientamento pressoché di tutti i contributi raccolti in onore di Torrini, i quali si segnalano per una spiccata attenzione rivolta ora all’uno ora all’altro degli oggetti d’indagine storiografica qui sopra indicati.
Lecito sarà allora raggruppare e presentare i singoli articoli compresi nel fascicolo proprio in base alla specificità del loro approccio ‘erudito’. In alcuni casi siamo di fronte a un esame di fondi d’archivio. Un codice del secolo XIV posseduto e annotato da Bernardo Machiavelli in forza di un suo spiccato interesse per l’astrologia, diretto fra l’altro al Trattato de la Spera del presunto Alfragano, è discusso da Franco Bacchelli in Un manoscritto postillato dal padre di Machiavelli. Lettere di Martin Hasdale a Galileo, e del cardinale Luigi Capponi a Hasdale, illuminano i retroscena della ricezione europea del Sidereus Nuncius nella ricostruzione di Massimo Bucciantini: Praga 1610: Galileo, Kepler, Hasdale. Con un’appendice di documenti inediti. Una lettera di Marco Aurelio Severino a George Ent documenta il vivo interesse a Napoli per i coevi studi di Harvey su circolazione sanguigna e respirazione, secondo Oreste Trabucco in George Ent e l’Italia (con una lettera inedita). I manoscritti dei corsi universitari di Antonio Labriola su genesi del socialismo, interpretazione materialistica della storia e Fra Dolcino comprovano l’originalità del pensatore italiano rispetto ai lavori di Engels e Kautsky, messi a confronto da Alessandro Savorelli: «Sanculotti e devoti». Fra Dolcino «narrato» da Labriola. Il Nachlass di Schlick è esplorato da Massimo Ferrari in Alle origini dell’empirismo logico. Il giovane Moritz Schlick e il convenzionalismo di Henri Poincaré, sul quale si avrà modo di ritornare. Lettere dagli archivi della Fondazione Giovanni Gentile e della casa editrice Laterza, compulsate da Giuseppe Turi in «Lasciamo parlare i filosofi!» Una collana scolastica Laterza, illustrano la genesi dei «Testi di filosofia per uso dei licei» (1912-14), che nelle intenzioni dei curatori Armando Carlini e Renato Serra avrebbero dovuto liberare la didattica della filosofia dalla schiavitù dei manuali (un auspicio che, a scadenze regolari, sempre si rinnova). Infine, il saggio anassimandreo di Brancacci intorno al senso del termine arché in un noto commento di Simplicio al concetto di ápeiron, è un esempio di rivisitazione di un’insoluta quaestio alla luce di due secoli di letteratura storico-filosofica e filologica.
Altrove incontriamo meditazioni intorno a recenti edizioni o riedizioni critiche di testi scarsamente conosciuti, oppure meritevoli di riscoperta. Le Risposte ai quesiti del console Balbiani, di Carlo Antonio Broggia (1764, pubblicate nel 1979), rappresentano un contributo alla discussione illuministica napoletana intorno alle colpe, vere o presunte, della preminente cultura letteraria e lontananza delle élites meridionali da commerci più remunerativi, come ricorda Giuseppe Galasso, Un precedente settecentesco del binomio ‘etico-politico’. Il diario tenuto da Fichte allo scoppio dei Befreiungskriege,in parte già noto attraverso la Staatslehre (1820) e i Politische Fragmente (1846), ora disponibile come opera separata nella fichtiana Gesamtausgabe (2009), offre a Claudio Cesa, «Diarium I». Le riflessioni politiche di J.G. Fichte nel 1813, la riprova di una tendenziale continuità di pensiero nel filosofo e patriota tedesco rispetto ai suoi malcompresi scritti ‘filorivoluzionari’ di vent’anni prima. Gli Studii su la storia di Sicilia dalla metà del XVIII secolo al 1820 di Michele Amari (1834-36, pubblicati nel 2010) attestano per Fulvio Tessitore, Un inedito giovanile di Michele Amari su nazione e Stato, le remote origini della futura adesione di Amari al Risorgimento italiano a partire da una ben diversa opzione iniziale per l’indipendentismo siciliano, rifiorito durante la separazione da Napoli in età napoleonica.
Il ruolo delle traduzioni nella fortuna di motivi e autori è messo in risalto da Salvatore Serrapica, Tra polemiche e traduzioni. Newton e la Napoli settecentesca, nel caso della diffusione delle idee newtoniane nel regno di Napoli attraverso una versione italiana (1729) dei Philosophical principles of religion, natural and revealed di George Cheyne. Renzo Ragghianti Misticismo, simbolica, mito: fra schema storiografico e filosofia della pratica, da Cousin a Bergson, illustra gli stimoli ricevuti da non poca orientalistica francese ottocentesca grazie alle versioni di scritti dell’indologo Thomas Colebrooke e del mitologo Friedrich Creuzer. Giovanni Mastroianni, Marx e la Belgioioso, documenta suggestioni vichiane in Marx attraverso la Scienza Nuova volta in francese dalla principessa Belgioioso (1844), quest’ultima restituita all’onore di effettiva curatrice contro i sospetti di un suo tacito ricorso all’aiuto di Giuseppe Ferrari, o François Mignet, o Edgar Quinet, come ipotizzavano Benedetto Croce e Isaiah Berlin.
L’importanza di documenti epistolari, o altri scritti ‘minori’, in vista della risoluzione di nodi teorici nel pensiero di grandi autori o importanti movimenti intellettuali emerge dai contributi di Enrico Giusti, Le leggi dell’urto dei corpi duri nei «Principia» di Descartes, a proposito di una lettera di Cartesio a Claude Clerselier intorno al principio del minimo cambiamento; di Alessandro Ottaviani, Nuova scienza ed antiche questioni: Tommaso Cornelio fra i resti di un gigante “ritrovato”, a proposito di una relazione del 1669 su reperti ossei rinvenuti a Tiriolo (nella Sila), comprovanti la sempre controversa esistenza di ‘giganti’; di Carlo Borghero, Spiriti estesi e corpi animati. La metafisica di Cuenz tra Newton e Diderot, in merito al Système nouveau concernant la nature des êtres spirituels (1742) di Caspar Cuenz, sul cui epistolario, tuttora inedito, già aveva richiamato l’attenzione Ira O. Wade, importante per la discussione settecentesca intorno al materialismo innescata da Locke; di Stefano Caroti, «È questo un discorso di guaste massime: il «Ragionamento» sulla necessità della satira di Migliorotto Maccioni (Pier Casimiro Romolini), intorno al Ragionamento (1759) di Romolini, specchio della ricezione pisana di motivi deistici e libertini (da Bayle a Toland), in polemica contro un sapere pedantesco di matrice controriformistica.
La familiarità diretta o indiretta con il magistero di Garin, comune a non pochi fra i contributori elencati, può certo valere come prima spiegazione dell’approccio ai rispettivi argomenti, che tuttavia non si lascia ridurre a semplici ragioni di biografia intellettuale. A riprova dell’oggettiva proficuità del metodo, basti qui richiamare l’indagine dedicata da Ferrari alle carte di Schlick, dalle quali affiora un rapporto iniziale tutt’altro che solo polemico con la tradizione neokantiana, a correzione di unilaterali semplificazioni oggi più che mai favorite intorno al Wiener Kreis dalla mistificatoria diatriba fra “analitici” e “continentali”. Ma un robusto legame fra esplorazione storiografica e questioni di stretta attualità nel dibattito culturale nazionale e internazionale affiora anche attraverso le riflessioni su relativismo e multiculturalismo suggerite a Giuseppe Cacciatore, Dilthey tra Universalismo e Relativismo, da una rinnovata lettura del diltheyano Das Wesen der Philosophie (1907); oppure attraverso le distinzioni intorno alla riforma gentiliana della scuola, non poi così estranea a motivi positivistici pregressi (evocata è la figura di Aristide Gabelli) e tradita almeno in parte dai suoi continuatori fascisti, avanzate da Stefano Zappoli, Osservazioni sulla riforma Gentile, incline a riconoscere in quell’antica polemica contro il “pedagogismo” quasi una denuncia anticipata dei troppi interventi legislativi a esso ispirati nel secondo dopoguerra; o infine attraverso la ripresa di The Sleepwalkers (1959), opera oggi quasi dimenticata di Arthur Koestler (noto ai più per il romanzo Darkness at Noon), che Michel-Pierre Lerner, in Le “Copernic” de Koestler dans les «Somnambules» ou de l’art de (mal)traiter les sources, prende a esempio di quell’uso ideologico della storia della scienza, a dispetto delle fonti sia pur conosciute (il povero Copernico degradato a rappresentante di una intellighentsija pavida e incline ai compromessi, nonostante l’evidenza contraria fornita da Giese nella lettera a Rheticus e da Kepler), che così spesso e in vario modo ha offuscato il dibattito vuoi epistemologico vuoi storiografico circa le origini della teoria eliocentrica.
Altri ancora, naturalmente, potrebbero essere i punti di contatto meritevoli di segnalazione e idonei a collegare i singoli contributi qui richiamati. Innanzitutto i riferimenti alla vita intellettuale napoletana fra Seicento e Ottocento, indicativi del lungo e fecondo rapporto intrattenuto da Torrini con la città teatro della sua attività universitaria. Oppure l’attenzione alle più svariate istituzioni culturali, dalla settecentesca Accademia delle Scienze di Celestino Galiani fino alla già rammentata collana laterziana a uso dei licei. Ma nessuno appare tanto efficace quanto la ricordata comunanza di metodo. Soltanto ancora un tema, peraltro già incontrato almeno nei saggi su Broggia, Fichte, Amari, Labriola, Gentile e Koestler, dev’essere qui richiamato in veste separata, poiché alla sua insegna si conclude l’intera festosa silloge. Si tratta del tema della militanza politica degli intellettuali, che a partire dall’illuminismo e dalla rivoluzione francese si può dire abbia perseguitato come un’ombra lo sviluppo più maturo delle discipline storiche e filologiche. Paola Zambelli, Valentino Gerratana, un filosofo democratico nel senso gramsciano del termine? e Guido Oldrini nel citato contributo sulla critica filmica lo affrontano ciascuno a suo modo, l’una a proposito del tormento infinito dell’edizione dei Quaderni del carcere, l’altro a proposito di quel peculiare esercizio di engagement politico-intellettuale che nell’Europa occidentale post-bellica fu la critica del genere cinematografico – arte più di altre rivolta alle “masse”. Oldrini, il solo fra i contributori a voler dichiarare la propria adesione a una corrente filosofica, il marxismo, non fa mistero di rimpiangere una critica capace di orientare con lukácsiana fermezza i gusti del pubblico e punta il dito contro la voga post-moderna delle recensioni attuali. Ma quel che colpisce non è tanto il fastidio per i vezzi di una critica ormai dedita a canonizzare il vacuo, quanto la delimitazione di codesto rinnovato appello alla responsabilità degli intellettuali: vale a dire quando in gioco sia la cultura, o quel suo ramo particolare meglio noto allo specialista. Una preoccupazione “borghese”, si sarebbe detto in tempi andati... Senonché la ruota gira, si rivivono i decenni posteriori al 1848 (sic), e così non deve stupire che timori di decadenza, sia pur celati sotto la denuncia di una «deriva parassitaria», affliggano oggi anche chi solo ieri professava la fede nel progresso.
Se il male è così grave, giova non esser soli ad affrontarlo. Ecco perché la compagnia riunita per il genetliaco di Torrini merita un plauso. Essa è di conforto a chiunque abbia a cuore la sorte di quegli studi che da lui e da tutti i convenuti è giusto augurarsi siano praticati e onorati ancora a lungo.
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