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Ripartire dall’industria nel Sud per rilanciare il paese
di Federico Pirro
E se il rilancio dell’industria nel Sud, al servizio della competitività dell’intero sistema manifatturiero italiano, diventasse almeno uno dei temi più dibattuti nel prossimo congresso del Pd e della probabile rifondazione di Forza Italia? E se poi su questo stesso nodo si costruissero alcuni pilastri dei programmi dei maggiori partiti e dei loro potenziali alleati, attraverso un serrato confronto con Confindustria, Sindacati, Ministeri, Commissione Europea, Banche e centri di ricerca? Chi scrive ritiene che una parola d’ordine come quella di “ripartire dall’industria nel Sud per rilanciare il paese”, potrebbe divenire un’idea forza che, in realtà, troverebbe pieno conforto in un’analisi scientifica delle risorse industriali localizzate nel Meridione che sono e restano – nonostante la durissima crisi che ha investito il nostro sistema economico e quello delle regioni meridionali nell’ultimo quinquennio – ben più ampie di quanto non si sarebbe portati a pensare: la difesa e il rilancio delle industrie insediate nelle regioni meridionali, pertanto, potrebbero diventare idee guida e parti significative dei nuovi programmi dei maggiori partiti.
Le vicende Ilva e Alcoa – che dalla scorsa estate stanno caratterizzando insieme ad altre – le cronache sindacali del Paese, hanno dimostrato infatti che produzioni strategiche per l’Italia come l’acciaio (in larga misura) e l’alluminio si localizzano in Puglia e Sardegna e che, perciò, nei loro territori e nelle fabbriche che vi sono insediate dovranno essere difese o ripristinate. Se si volessero poi salvaguardare le più elevate capacità di raffinazione dell’Italia, bisognerebbe farlo proprio nel Meridione, e più in particolare in Sicilia – ove sono in esercizio il grande polo di Priolo-Augusta con le raffinerie della Isab, controllata ormai dalla russa Lukoil, e della Exxon, l’altro di Gela con l’Eni Refining&marketing, e quello di Milazzo con la Ram – e poi in Sardegna ove a Sarroch (CA) è in produzione l’imponente raffineria della Saras della famiglia Moratti, e infine a Taranto ove è localizzato un altro sito dell’Eni. Anche 3 dei 4 grandi steam cracker posseduti in Italia dalla Versalis dell’Eni (ex Polimeri) sono localizzati a Brindisi, Priolo e Porto Torres, ove sta per partire un massiccio investimento della società, in jointventure con Novamont, per produrre chimica verde. Inoltre i pozzi petroliferi della Basilicata sono i maggiori on-shore d’Europa, mentre forti poli della produzione di materie plastiche sono in esercizio a Brindisi e nel Salernitano, e quelli di vetri piani e di contenitori sempre in vetro per oli, vini e birre sono insediati con grandi multinazionali a San Salvo (CH), Manfredonia, Bari e in Sicilia,
Nel Sud inoltre sono ubicati alcuni dei più potenti impianti di generazione elettrica – da quelli dell’Enel a Brindisi, Presenzano, Rossano Calabro, Termini Imerese e nel Sulcis, a quello a turbogas dell’Enipower sempre a Brindisi (la maggiore per potenza posseduta in Italia dalla società) – da quelli del gruppo Sorgenia a Termoli e Modugno (Ba), ai siti dei Gruppi Edipower ed E.On. Anche energia eolica e fotovoltaico trovano nel Meridione la maggiore potenza installata; a Taranto inoltre produce aerogeneratori lo stabilimento (distribuito su tre siti) della multinazionale danese Vestas, il più grande in Italia per numero di addetti.
Anche la costruzione di auto, veicoli commerciali leggeri, macchine movimento terra e componentistica trova i suoi punti di forza negli stabilimenti di Fiat Auto e Fiat Industrial di Pomigliano, Atessa (CH), Melfi (PZ) e Lecce – tutte circondate da forti nuclei di Pmi di subfornitura – e nelle grandi fabbriche di componentistica sempre del Gruppo torinese a Sulmona, Termoli, Foggia, Caivano, Bari e negli altri stabilimenti di elevate dimensioni (per occupati) di Bosch, Denso, Dayco, Getrag, Skf, Graziano Trasmissioni, Bridgestone, distribuiti fra Abruzzo, Campania e Puglia. È presente nel Meridione anche la costruzione di treni a Caserta, Napoli, Reggio Calabria, Palermo e Villacidro in Sardegna con AnsaldoBreda, Firema e Keller.
I due forti poli per numero di aziende e addetti dell’aerospazio del gruppo Finmeccanica e della Avio, insediati nell’area napoletana e a Brindisi – con robuste propaggini a Benevento e in Puglia a Foggia e Grottaglie – sono fra i cinque a livello nazionale insieme a quelli di Lazio, Piemonte e Lombardia. E poi altre aziende strategiche per il paese, localizzate nel Mezzogiorno, sono la STMicroelectronics nell’Etna Valley a Catania nell’Ict; le industrie farmaceutiche multinazionali Sanofi Aventis, Merck Serono, Novartis e Pfizer a l’Aquila, Torre Annunziata, Bari, Brindisi e Catania; la cantieristica a Castellammare, Palermo e Messina – con il più grande Arsenale della Marina Militare a Taranto –; l’agroalimentare, diffuso in tutto il Sud con stabilimenti di big player internazionali del comparto, ma anche di eccellenti produttori regionali, e poi ancora le industrie cementiere, della carta e cartotecnica, dell’abbigliamento in Abruzzo, Campania, Puglia e Sicilia, e del legno -mobilio.
Perché allora abbiamo ricostruito ancora una volta e sia pure sommariamente la geografia industriale del Sud? Perché spesso si ha netta la sensazione che sia la grande stampa nazionale e sia larga parte delle forze politiche italiane conoscano poco il Sud e il suo apparato di produzione industriale, pensando che nelle regioni meridionali si sia sempre all’anno zero, salvo poi scoprire l’importanza dell’Ilva a Taranto e dell’Alcoa a Portovesme: una fabbrica, quest’ultima, che oggi è in stand by, ma che – essendo l’unico sito nazionale in cui si produce alluminio primario – è oggetto da parte del Ministero dello Sviluppo Economico di una insistita ricerca di un nuovo acquirente.
E se poi al largo delle coste pugliesi – superando le resistenze degli ambientalisti il cui estremismo rischia di privare l’Italia di risorse preziose – si iniziassero a coltivare i giacimenti sottomarini di gas già individuati, non cambierebbe sia pure in parte, ma in meglio, lo scenario strategico sotto il profilo energetico per il nostro paese? E se lo stesso accadesse in Basilicata ove i giacimenti “certi” di petrolio sono in realtà molto più ricchi di quanto non si pensi, il Mezzogiorno – di cui peraltro potrebbero essere sfruttate ai fini energetici anche le rilevanti risorse geotermiche – non diventerebbe il Kuwait italiano? E la Sicilia non è già diventata da molti anni ormai un grande hub energetico al servizio del sistema nazionale, dal momento che vi approdano i lunghi metanodotti sottomarini provenienti dall’Algeria e dalla Libia? E non dovrebbe diventarlo anche la Puglia, ove fra qualche anno approderà il TAP-Trans Adriatic Pipeline che porterà il metano dal Mar Caspio in Europa? E poi il Mezzogiorno non è già diventato in pochi anni, grazie anche agli incentivi statali utilizzati peraltro nello stesso Centro Nord, un grande parco eolico e fotovoltaico diffuso che fornisce crescenti quantità di energia pulita all’intero Paese? E sempre il Mezzogiorno non è da molti decenni ormai, grazie anche ai massicci investimenti in opere irrigue della vecchia Casmez, un giacimento per fortuna riproducibile di grandi derrate agricole strategiche come grano, olive, uva, ortofrutta, latte e fiori che rappresentano una risorsa di assoluto rilievo dell’intera filiera agroindustriale e logistica del paese, come ha sottolineato di recente un accurato studio della SRM, società di ricerca del Banco di Napoli-San Paolo? E se infine riflettessimo su un dato richiamato di recente dal prof. Marco Fortis, Vicepresidente della Fondazione Edison – che ha ricordato come nel 2010 (ultimo dato disponibile di Eurostat) il valore aggiunto dell’industria manifatturiera dell’Italia meridionale, escluso quello delle costruzioni, sia stato superiore a quello dei sistemi industriali esistenti in Nazioni come Finlandia, Romania, Danimarca, Portogallo e Grecia – non avremmo da ripensare, ovviamente in positivo, l’intera problematica meridionalistica che ha appassionato tanti nostri autorevoli studiosi e uomini politici? Ma se oggi il Mezzogiorno, nonostante i suoi persistenti problemi economici e sociali, è tuttavia molto diverso dal passato e, diciamolo pure, molto più dinamico e moderno degli anni Cinquanta, ciò non è stato dovuto proprio all’impegno di chi ha lottato per cambiarlo e modernizzarlo? E se questo è vero, si può parlare allora – come purtroppo fanno ancora in tanti – di fallimento del Meridionalismo storico, solo perché non si è colmato il gap con la Lombardia e le regioni del Nord-Ovest della Germania e del Centro-Europa? E se oggi il Meridione conserva intatte, ed anzi accresciute, le sue enormi chance di crescita al servizio dell’intero paese e della stessa Europa, non lo si deve anche a tutto quanto in esso è stato concentrato dal 1950 in termini di investimenti, grandi infrastrutture, industrie, centri di ricerca e risorse umane? Dimenticare tutto questo, o sottovalutarlo, significherebbe non offrire punti di riferimento e di ripartenza a chi pure volesse impegnarsi per un nuovo grande rilancio del Sud; che senso avrebbe infatti prodigarsi nei suoi territori se si dovesse sempre ripartire da zero? E perché poi l’Unione Europea per gli anni 2014-2020 dovrebbe assicurare altre risorse alle Regioni del Mezzogiorno, se si continua ad affermare che – a distanza di 24 anni dall’avvio avvenuto nel 1989 delle politiche per le aree europee in ritardo di sviluppo – non è cambiato nulla o molto poco? In realtà, a ben vedere, le politiche della UE per i vari Mezzogiorni d’Europa, almeno per l’Italia, hanno potuto innestarsi su un quarantennio di Intervento straordinario, un periodo della storia postunitaria che, è bene non dimenticarlo mai, è stato il migliore in assoluto conosciuto dal Mezzogiorno per la sua crescita economica, civile, sociale e culturale. Allora, un grande progetto di rilancio dell’industria nazionale – di cui si avverte ormai l’urgente bisogno, ben al di là di alcuni esercizi di buona volontà di qualche Ministro – non può che partire dal Sud, proprio perché segmenti strategici per la stessa industria del Nord sono ubicati proprio nel Meridione, ove molti dei maggiori gruppi settentrionali ed esteri dislocano alcuni dei loro impianti più importanti. E se giornalisti, commentatori politici, parlamentari e studiosi non avessero ancora ben compreso l’importanza e l’incidenza nazionale – e per alcune fabbriche anche europea – dell’industria nel Sud, ci penserebbero gli operai dei suoi maggiori stabilimenti a ricordarglielo, tornando a salire in cima alle torri dell’Alcoa, o al camino E 312 dell’Ilva a Taranto.
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