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Un partito nuovo per un buon governo: la memoria politica di Fabrizio Barca
di Aurelio Musi
1. Una sicura novità

Ex ministro del governo tecnico di Monti, Fabrizio Barca ha sicuramente contribuito ad arricchire il quadro delle candidature per la leadership del partito democratico, che ha attraversato una congiuntura particolarmente difficile e vissuto una condizione di implosione e collasso, soprattutto dopo l’insoddisfacente gestione della prima fase delle consultazioni per il nuovo governo da parte del segretario Bersani. Allo stato attuale non pare che la discesa diretta di Barca nella corsa per la leadership del partito sia data per sicura né che, come pure erano corse voci nei giorni passati, vada profilandosi la possibilità di una sua iniziativa di scissione dal Pd. I commenti giornalistici hanno escluso che Barca corresse per la segreteria, ma hanno confermato il suo interesse a far parte di un gruppo dirigente più coeso e diretto da un giovane. Lo hanno altresì presentato come l’anti Renzi in caso di primarie. In un’intervista di Aldo Cazzullo, apparsa sul «Corriere della Sera» del 29 aprile 2013, Barca giudica il nuovo governo Letta necessario dopo l’insuccesso del Pd e «l’enormità dell’errore commesso dopo la bocciatura di Prodi». Ammette che voterebbe il governo Letta, ma richiamerebbe il Pd alle sue responsabilità per aver affossato l’ex leader dell’Ulivo. Conferma di non candidarsi alle primarie d’autunno, ma è interessato a sostenere il partito per avviare le riforme istituzionali ed economiche. Quanto a Renzi, gli riconosce doti di «estrema correttezza e capacità di leadership». Renzi e Barca sono «complementari, non alternativi».
Il personaggio è sicuramente atipico: ha molta più esperienza di governo che di partito (al Pd si è iscritto da poco); è dotato di una preparazione e tensione intellettuale che difetta a molti esponenti dell’attuale gruppo dirigente dei democratici. Eppure il fuoco della Memoria politica, da lui presentata in aprile dopo 16 mesi di governo, è costituito proprio dal partito e da tutte le problematiche che lo investono. Si tratta di una sicura novità dopo le tante analisi politologiche che hanno martellato l’opinione pubblica tra crisi della prima, seconda e avvento della terza repubblica, – e la moltiplicazione delle repubbliche è stato un vezzo proprio di questo tipo di letteratura – in particolare quelle sul “partito personale” dovute a Mauro Calise. Il loro limite è stato soprattutto quello di essere pressoché integralmente schiacciate su Berlusconi, sui motivi del suo successo elettorale, sulle imitazioni del modello-partito, da lui fondato, ad opera di altre formazioni politiche. Poco ha prodotto quella letteratura in vista della costruzione di alternative sia al tradizionale e obsoleto partito di massa sia alle più recenti forme del “partito personale”, “partito azienda”, “partito liquido”, ecc. Insomma, a conclusione di un ciclo di studio e di riflessione, iniziato nel 1993, con l’elezione diretta dei sindaci, e ormai al suo epilogo all’apertura di una nuova fase, ci troviamo sprovvisti di strumenti adeguati per meglio interpretare e superare l’attuale condizione di crisi dei partiti.
Una riflessione attenta sul documento Barca dal titolo Un partito nuovo per un buon governo deve prendere le mosse dal suo Addendum, Convincimenti comuni a un partito di sinistra. Esso guarda alla Costituzione come fonte privilegiata di ispirazione e ha come obiettivo la realizzazione di un linguaggio comune per la partecipazione democratica: è questa, del resto, la doppia cifra ricorrente della Memoria. Vediamo dunque i convincimenti. Fine del partito, per Barca, è la promozione di una società giusta. Lo Stato deve garantire i diritti e le libertà di ogni tipo. Deve contribuire alla creazione di cittadini europei. Deve ripudiare la guerra. Deve tutelare i beni pubblici: ambiente, patrimonio artistico e promozione della cultura. Libertà sindacale e partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese sono requisiti indispensabili per un partito di sinistra, che ha il dovere, peraltro, di superare le «trappole del sottosviluppo». La scelta del metodo deve andare nella direzione dello «sperimentalismo democratico»: attraverso la creazione di quadri regolativi provvisori rivisti negli specifici contesti e con verifica pubblica. È un leit-motiv che tornerà spesso nel documento. Un partito di sinistra deve essere pure sensibile ai temi etici, vita, morte, convivenza. I partiti – e qui Barca riprende integralmente il dettato costituzionale – determinano con metodo democratico la politica nazionale, sono i luoghi della valutazione pubblica informata, spronano lo Stato a produrre beni pubblici necessari. Hanno il dovere di tutelare la disciplina e l’onore degli eletti, selezionandoli per merito e capacità e condividendo tutte le condizioni che rappresentano.
Senza mezzi termini, Barca ritiene che la crisi del paese sia figlia dei partiti e che «senza una nuova forma-partito non si governa l’Italia». Nella sua analisi, come si vedrà, convivono sia l’esigenza del superamento delle forme recenti (partito azienda, partito personale, partito liquido, ecc.) sia la ripresa e la trasfigurazione del partito di massa, tradizionalmente dato per morto e sepolto. Pur scontando la sua anacronistica e impossibile riedizione, Barca non ne disconosce e distrugge l’impianto di base che, con adeguate e profonde innovazioni, può ancora reggere alla prova del tempo attuale e delle prospettive future.



2. Passi per il buon governo

Separazione dei partiti dallo Stato e sperimentalismo democratico costituiscono per Barca l’endiadi in grado di ridare vigore alla vita politica italiana. Anche in questo caso gli elementi di continuità si intrecciano con quelli di novità. La continuità è data dalla sostanziale ripresa, pur entro un contesto differente, del dibattito che già si aprì in Costituente e poi continuò a svilupparsi negli anni Cinquanta sulla necessità della regolamentazione dei partiti e sulla denuncia della loro occupazione dello Stato. La novità proposta da Barca è lo sperimentalismo democratico.
Dunque la separazione dei partiti dallo Stato è il primo passo fondamentale per il buon governo. Lo sperimentalismo democratico consente di superare la forma-partito statocentrico e costruire una «rete immateriale di conoscenze e di confronto pubblico». La nuova formula è quella del partito palestra, aperto e governato, che non nega, ma si misura col conflitto sociale, è capace di creare coesione e parlare anche ai sentimenti oltre che alla razionalità: un partito di sinistra, come il partito di massa saldamente radicato sul territorio. Il partito palestra si affida in prevalenza a volontariato. Sfida lo Stato attraverso una continua «mobilitazione cognitiva», ossia il confronto di molteplici e limitate conoscenze che dovrebbero approdare a soluzioni innovative e a costruire un avvenire più bello. Un partito che muova i sentimenti e si separi dallo Stato è un partito che deve nettamente distinguere funzionari, quadri di partito, eletti e nominati in organi di governo.
Dunque «il bandolo della matassa sta nei partiti», nel superamento sia della perversa fratellanza con lo Stato sia del mito della “democrazia istantanea” della rete. Due sono le cause del mancato buongoverno per Barca: una macchina dello Stato arcaica e autoreferenziale, estranea agli strumenti della democrazia deliberativa; partiti statocentrici, caratterizzati dalla tendenza a colonizzare l’amministrazione, ad adottare modalità di patronage e clientelismo: sono in pratica i partiti pigliatutto, estrema propaggine del partito di massa. Ad accentuare la deriva sono state alcune cause che Barca precisamente identifica. Al primo posto il problema del finanziamento pubblico e la sua gestione da parte soprattutto dei gruppi parlamentari, autonomi molto spesso dagli organi direttivi dei partiti. Il connubio tra la legge elettorale, cosiddetta porcellum, e la filiera gerarchica dei capicordata ha poi innescato un meccanismo patologico che ha ulteriormente approfondito la crisi della rappresentanza e il suo distacco dagli elettori.
Il bipolarismo si è rivelato più un mito che una cura efficace dei partiti. A questo proposito è bene ricordare, anche se Barca non lo fa, la fiducia pressoché incondizionata riposta negli anni scorsi da qualche illustre politologo, ancora Calise, sul bipolarismo come dato ormai scontato e penetrato nel senso comune degli italiani. Mi pare che i risultati delle recenti elezioni politiche smentiscano recisamente la tesi di Calise. Il pendant della deriva leader-clan è stato il modello del partito debole, statocentrico, capace di trovare legittimazione solo dallo Stato e dai suoi danari. Anche le primarie, per Barca, non hanno evitato il pericolo del cesarismo e del controllo del meccanismo elettivo da parte di “signori delle tessere” e capoclan. Tutto ha dunque contribuito a realizzare un equilibrio perverso fra partiti e macchina statale. Conseguenze sono state il blocco degli indirizzi delle politiche pubbliche e della loro capacità di innovazione, la barriera alla circolazione e al confronto delle conoscenze, la conservazione degli assetti dati nei territori. Liste personali e riforme incomprese e inattuabili, dunque, hanno rappresentato l’esito del processo del cattivo governo.



3. Quale governo della cosa pubblica?

Cambiare Stato e partiti si può dunque attraverso lo sperimentalismo democratico. L’errore comune alla soluzione socialdemocratica e minimalista-liberista è stato quello di credere che pochi soggetti potessero possedere la conoscenza per assumere decisioni nel pubblico interesse. La macchina pubblica invece, attraverso lo sperimentalismo democratico, deve promuovere un processo di conoscenze parziali: il che significa partecipazione attiva, verificabilità, monitoraggio continuo, valutazione in itinere. Costruire i requisiti dello sperimentalismo comporta anche la realizzazione in Italia dell’obiettivo della modernità organizzativa. Gli strumenti sono: l’adattamento e la revisione nei contesti degli atti amministrativi; la moltiplicazione degli spazi di confronto; l’utilizzo della rete; la sapiente utilizzazione di errori, fallimenti, ostacoli; il sottoporre di continuo le regole a revisione; il reclutamento e la formazione di risorse umane.
Per innovare la macchina pubblica servono i partiti. Il buon governo non può essere conseguito solo da una forte e innovativa guida del governo e del parlamento: non è in grado di modificare la macchina dello Stato. Alle spalle deve esistere un partito capace di visione del futuro, mobilitazione delle conoscenze, chiarezza di prospettive sul che fare. La latitanza dei partiti non può essere compensata dall’azione dei corpi intermedi della società: ad essi difetta la funzione valoriale dei partiti e non è in grado di realizzare la mobilitazione dei cittadini. È qui contenuto in nuce l’attacco alla mitologia della società civile, ai suoi organismi formali e informali, in cui troppo spesso si ripone eccessiva fiducia come alternativa alla crisi della rappresentanza partitica. Per Barca nemmeno la rete può sostituire i partiti, perché costituisce un terreno improprio e, spesso, insoddisfacente di confronto. Si tratta di una serrata critica al senso comune dell’antipolitica come antipartito e a tutte le mitologie sostitutive. Nell’ottica di Barca corpi intermedi e rete possono costituire utili integratori e supporti, mai sostitutivi. Sono i partiti motori delle idee e della mobilitazione. Barca valorizza tutte le loro funzioni insostituibili: l’elaborazione politica, la tutela degli interessi collettivi, il confronto pubblico, i fisiologici flussi tra centro e periferia, la trasmissione della domanda politica, la pluralità delle cariche simboliche.



4. Il partito nuovo

Nel definire il “partito nuovo” ritornano i molteplici riferimenti alla Costituzione. Così i tratti della nuova forma-partito devono «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale», come recita il dettato costituzionale. Il nuovo partito di sinistra deve possedere le seguenti caratteristiche: radicamento territoriale, partecipazione fondata sul volontariato, finanziamento in prevalenza da parte degli iscritti, sfida, non collusione, con lo Stato. Deve contribuire a formare convincimenti condivisi per dialogare nel e fuori del partito. Deve possedere una visione di lungo periodo sullo stato della società globale, nazionale ed europea. La realizzazione della “mobilitazione cognitiva” del partito palestra, oltre a rendere possibile il confronto con altri territori, deve condurre al superamento della tensione tra tecnocrazia e democrazia, a ricomporre il principio di maggioranza col principio di competenza, a saldare cittadini votanti con cittadini partecipanti.
In questa parte del documento non mi pare che Barca vada oltre le enunciazioni di principio. Si avverte come un eccesso di fiducia quasi illuministica nello sperimentalismo democratico, nelle forme del partito palestra. Nulla è detto sui modi di ricomposizione tra principio di maggioranza e principio di competenza. Non risolto è il problema della democrazia reale: quello cioè di cittadini non solo votanti, ma anche partecipanti alle scelte a valle, per così dire, dalla formazione delle liste elettorali ad altri significativi momenti della composizione della rappresentanza. Inoltre mancano riferimenti sia alle vie per costruire la condivisione dei valori sia alla questione della leadership. Anzi questa è come messa tra parentesi, superata quasi da Barca che ripone ancora una volta illimitata fiducia nelle magnifiche sorti e progressive dello sperimentalismo democratico e della mobilitazione cognitiva.



5. Obiettivi e strumenti del partito della mobilitazione cognitiva

Questa parte della memoria di Barca, più che un approfondimento e un’articolazione ulteriore del suo ragionamento, ne rappresenta una sintesi. È questo lo stile, il modo di procedere del suo autore che presenta e ripresenta di continuo, a volte con notevole efficacia sintetica, il suo pensiero, ma senza svolgerlo e chiarirlo in molti aspetti e, soprattutto, senza indicarne la strumentazione adeguata.
Il partito della mobilitazione cognitiva dunque mobilita e pratica conoscenze sulle azioni pubbliche per i bisogni e le aspirazioni dei cittadini. È il partito del confronto pubblico, informato, acceso e ragionevole. È aperto: attiva un linguaggio comune; promuove l’iscrizione legata ad una genuina partecipazione; evita il prevalere di gruppi chiusi, “controllori delle tessere”; si confronta con associazioni indipendenti e sollecita la partecipazione degli altri non iscritti. Barca ribadisce ancora che deve essere separato dallo Stato: le risorse finanziarie devono affluire dal contributo volontario e solo da un ridottissimo finanziamento pubblico; i funzionari di partito devono essere a tempo determinato; deve svilupparsi dialettica tra partito e gruppi parlamentari.
Nel partito nuovo devono convivere egoismo e spirito pubblico, indipendenza ed imitazione: la prima serve ad evitare il conformismo; la seconda ad evitare l’autoreferenzialità. E infine un salto di qualità: «da reddito e potere attraverso il partito a conoscenza per avere reddito e potere indipendentemente dal partito». Insomma, no al partito come agenzia di collocamento.



6. Interrogativi su regole e organizzazione

L’ultima parte della memoria di Barca è dedicata a Interrogativi su regole e organizzazione. Anche in questo caso non mi pare che si vada oltre una serie di enunciazioni di principio: una scaletta di cose da fare, insomma, che, ben s’intende, andrebbero sostanziate con altri approfondimenti. Non sono chiare le «modalità di trasferimento della conoscenza dagli spazi territoriali di pubblico confronto agli organi di governo locali». Barca assegna un ruolo specifico ai giovani e al ricambio generazionale, attraverso la valorizzazione dei circoli territoriali. Il partito dovrebbe essere il soggetto aggregante delle soluzioni da trasferire dai diversi contesti locali e territoriali ai livelli nazionali e internazionale: tanto da realizzare un circuito virtuoso basso-alto, alto-basso. Ma il problema della partecipazione è appena sfiorato nell’analisi dell’autore. È sottolineata l’importanza di regole per il finanziamento pubblico; per le nomine e la durata massima della dirigenza locale, regionale e nazionale; per l’incompatibilità assoluta tra funzionariato di partito, candidature nelle assemblee elettive e in organi esecutivi; per come disciplinare l’eventuale ripresa di attività remunerate nel partito dopo l’esercizio di una funzione elettiva; per scongiurare l’attribuzione con criteri e logiche partitiche di incarichi pubblici. L’esigenza di un codice deontologico non risolve le questioni poste sul tappeto da Barca.



7. Rilievi critici

Alessandro Bruni, su «Il Manifesto» del 15 aprile 2013, si chiede: «Il vecchio tronco, l’apparato del partito saprà raccogliere l’innesto? Barca come Zeus o farà la fine degli altri figli di Kronos?». Certo il rischio non va sottovalutato. È possibile che in una fase storica caratterizzata dalla condizione di disgregazione del Partito democratico, in crisi di identità, leadership e capacità di iniziativa politica, dilaniato dalle molteplici anime che disputano una vera guerra per bande, quel che resta dell’apparato prenda il sopravvento e vanifichi anche gli eventuali spunti di novità, rappresentati dalla memoria di Barca. È dunque utile sottolinearne ulteriormente sia gli elementi di originalità sia quelli più problematici e bisognevoli di discussione e approfondimento.
Rispetto alle funzioni del partito tradizionale di massa – rappresentanza degli interessi, valori condivisi, partecipazione democratica, trasmissione della domanda politica, macchina e apparato – Barca tende a valorizzarne ed esaltarne alcune, ridimensionarne altre, in particolare il profilo burocratico. Egli vagheggia un partito come palestra di conoscenze, esperienze, competenze, serbatoio vivo di valori condivisi (lo sperimentalismo democratico). Andare oltre l’ideologia non significa abbandonare il campo della costruzione di sensi di appartenenza. Si tratta, senza dubbio, di una delle cifre più originali del contributo di Barca: l’equilibrio cioè tra continuità e innovazione che, se spezzato, rischia di produrre la morte dei partiti. L’altra cifra originale, risultato di un bilancio, che è sotto gli occhi di tutti, dell’esperienza politica nazionale e locale italiana dal 1993 ad oggi, è il continuo richiamo a superare il partito-Stato, assimilato al catoblepismo, l’espressione che fu coniata da Raffaele Mattioli per alludere al rapporto incestuoso tra le banche e i loro debitori.
Certo, rispetto alle promesse e alle aspettative annunciate nel documento Barca, i risultati pratici suggeriti si rivelano abbastanza modesti. E non a torto sul «Fatto Quotidiano» del 13 aprile 2013, Chiara Paolin scrive: «Esordire con un documentone in cui si dice che i partiti devono costare pochissimo e non garantire più nulla alle clientele è un’idea carina, ma non originalissima: tra rottamatori e grillini il concetto era noto. Utilizzare termini forbiti per elevare la materia finanziaria ancor meno, perché il catoblepismo e la mobilitazione cognitiva farebbero tuffare Nanni Moretti in una vasca di Nutella più che risollevare lo spirito di sinistra dall’ennesima mazzata paraelettorale». E su «Libero» del 27 aprile uno strale è lanciato contro il linguaggio criptico di Barca: «Un messaggio oscuro che gli elettori della base democratica faticheranno a comprendere nella sua completezza».
Sofia Ventura su «L’Espresso» ha mosso altre critiche a Barca. Ha messo in dubbio la funzionalità e l’efficacia del processo decisionale pubblico. Ha sottolineato l’inattualità di un partito “pesante” con sezioni e funzionari. Ha visto il pericolo di un primato soffocante del partito rispetto alle istituzioni. Alla Ventura ha replicato Stefano Balassone su «L’Huffington Post» del 27 aprile 2013. Egli è fiducioso nella tempestività della decisione pubblica quando il partito è radicalmente diviso dalle istituzioni. Per Balassone il partito «pensante» non si identifica col partito «pesante» ed è competitore delle istituzioni. «Penso che la garanzia fondamentale – egli conclude – dovrebbe essere offerta da sistemi elettorali a base territoriale ristretta che rendano effettivamente scalabili le cariche da parte di outsider più o meno affini ai partiti».
Sempre nell’intervista apparsa sul «Corriere della Sera» Barca esprime un giudizio articolato in due tempi sul governo Monti. Sulla prima fase è positivo. Sulla seconda fase dice: «Abbiamo smesso di normare e ci siamo limitati ad attuare». Ma la ragione di fondo dei limiti dell’esperienza dei tecnici sta nel fatto che «un governo senza partiti non può funzionare». Di qui l’esigenza del partito palestra. Dal contenuto dell’intervista emerge forse quella precisazione che manca nel documento: alla pars destruens del partito statocentrico Barca aggiunge la pars costruens del partito come «ponte tra Stato e società. Oggi il ponte è crollato, il triangolo è rotto. Sono entrato nel Pd – egli conclude – per dare una mano a farne un partito palestra. E per aiutare il leader che verrà».
Certo i tempi stringono. Il rischio è che si riduca ulteriormente lo spazio di consenso dell’area democratica del paese, dopo gli errori e le ambiguità recenti. Come ha scritto Ilvo Diamanti («La Repubblica», 29 aprile 2013), «il Pd deve cambiare in fretta. Individuare e comunicare una propria, specifica identità. Con poche parole e una leadership forte. Prima delle prossime elezioni. Non gli resta molto tempo».
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