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La vicenda Berlusconi
di G. G.
Dopo la sentenza milanese che lo condannava a sette anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici la vicenda Berlusconi ha occupato in grossa misura le scene della cronaca politica italiana anche più che in altri momenti. Ciò conferma il rilievo dell’uomo nel contesto, non soltanto politico, del paese; ed è questo rilievo, a nostro avviso, l’elemento più importante di interesse per quanto riguarda il ruolo dell’uomo nella vita italiana.
Sulle vicende giudiziarie c’è poco, ancora una volta, da dire. Che Berlusconi abbia potuto commettere tanti reati da venire assediato da imputazioni e processi è certamente possibile. Quei reati appaiono, tuttavia, tanto numerosi, da quando egli ha assunto nel 1993-1994 la fisionomia di uomo politico con il successo costante e ripetuto che tutti sanno, da far nascere almeno uno straccio di dubbio. È possibile che un uomo, della cui intelligenza e abilità nella vita pratica certamente non si può in alcun modo dubitare, violi così sistematicamente e smaccatamente la legge da farsi processare, in poco più di venti anni, una quarantina di volte?
Si aggiunga che da tutti questi processi Berlusconi era uscito finora indenne. Si aggiunga pure che molte volte ha giocato a suo favore la prescrizione. A nostro avviso, però, la svalutazione totale della prescrizione come esito processuale è uno dei maggiori, più gravi e più fuorvianti luoghi comuni di certa cultura giuridica, di molti commentatori della vita politica e sociale, della maggior parte dei media e – a sua volta largamente influenzata da tutto ciò – di tanta parte dell’opinione pubblica. Vale perciò la pena di ricordare anche qui che la prescrizione non è un provvedimento di clemenza, come sono la grazia, l’amnistia, l’indulto o il condono. La prescrizione è un istituto giuridico antico che ha senso e valore non solo nei processi penali, ma anche nel diritto civile e nell’amministrativo, per non parlare di altro. Nei processi penali essa è una garanzia del cittadino contro lungaggini, accanimenti e incapacità o insufficienze del sistema giudiziario. Essa lascia un’ombra su chi ne usufruisce? Non dovrebbe essere così, poiché, fino a quando una sentenza di condanna senza riserve prescrittive non viene pronunciata, è diritto del cittadino considerarsi ed essere considerato innocente. La soppressione della prescrizione penale, talora proposta, non sarebbe un miglioramento del sistema che relaziona delitti e pene. Insistere sull’idea che chi gode di una prescrizione è “graziato”, è come se usufruisse di una grazia, è quanto di più diseducativo si possa proporre in questo campo dal punto di vista della coscienza e della certezza del diritto, liberi poi tutti a livello individuale e privato – come è ovvio e come accade tante volte anche per chi in tribunale è prosciolto o assolto con formula piena – di considerare le cose in quel modo inaccettabile.
Si pensi, comunque, quel che si voglia di Berlusconi e dei suoi processi. La sentenza milanese è apparsa, però, a tutti davvero eccessiva, così come è apparso un eccesso il rinvio all’esame della competente Procura degli atti di quel processo per l’esame della posizione di tutti i testi addotti dalla difesa, nonché del commissario di Pubblica Sicurezza coinvolto per puro caso nel fatto. E questo è stata più o meno l’impressione diffusa in buona parte in un po’ tutti i settori dell’opinione pubblica. I colloqui che Berlusconi ha avuto in forma quanto mai ufficiale con il presidente Letta e, ancor più, con il presidente Napolitano ne sono una dimostrazione, sia pure indiretta. I commenti negativi che hanno fatto seguito a questi colloqui sono apparsi chiarissimi casi di partigianeria, se non di faziosità politica, in specie per quel che riguarda Napolitano.
Quei colloqui hanno, tuttavia, anch’essi un loro significato, per nulla riprovevole. Vogliono dire che sentenze come quelle di Milano, visto come vi si è giunti e come hanno disposto, non sono persuasive quanto si crede e non possono essere considerate insindacabili. La pretesa che le sentenze non si commentino è davvero una bella pretesa. L’ordine giudiziario è già tanto e fin troppo protetto,in Italia, nelle sue carriere, nella libertà e portata delle sue iniziative, nelle sue retribuzioni, nella responsabilità dei suoi errori, e, praticamente, in tutto, che pretendere di considerarlo non solo infallibile, ma anche indiscutibile non si accorda con nessuna filosofia della vita pubblica e con nessuna logica istituzionale. L’indipendenza della magistratura è sacrosanta – e essa si – indiscutibile; la indiscutibilità della sua azione quale di fatto, tranne casi rarissimi, si registra in Italia, è tutt’altra cosa.
Questo è, comunque, materia di discussione per quella riforma della iustizia, di cui specialmente e proprio da parte di Berlusconi si parla a ogni pie’ sospinto con un tale accento personale e con una tale indeterminatezza di propositi da togliere ai suoi discorsi in materia, come di fatto è accaduto, non solo credibilità, ma anche la possibilità di dare una impressione di fondatezza pari alla gravità del problema.
Di fronte a tutto ciò suona quasi patetico il continuo ritornello di molti degli uomini politici italiani, anche dei più importanti, per cui Berlusconi non dovrebbe uscire dalla scena politica del paese per le vie giudiziarie, bensì per le vie di un confronto politico con le forze a lui avverse, affinché sia chiaro che la sua eliminazione come sconfitto non suoni come il frutto di una prepotenza giudiziaria, e per giunta di parte, o come un eccesso di zelo o come altro si possa pensare di estraneo alla vicenda del confronto politico, che possa lasciare il dubbio di qualcosa di opportuno e di vantaggioso per il paese, di cui non si sia voluto tenere il conto dovuto e si sia procurata o consentita l’obliterazione in ben altri modi che quelli propri della politica.
Ritornello patetico in un paese in cui proprio dai più di coloro che ora predicano le ragioni del confronto politico l’obbligatorietà dell’azione penale è stata continuamente invocata ed esibita come un pilastro dell’ordinamento italiano ogni volta che si parlava di azioni giudiziarie contro Berlusconi. E ancor più patetico perché la critica politica e le prediche moralistiche sui comportamenti imputati a Berlusconi sono state dall’inizio della sua vicenda politica. un piatto forte dei suoi avversari nel confronto politico con lui. Non si sa bene, quindi, di che si parla quando si ciancia della politica da preferire alla giustizia nella eliminazione, che comunque viene perseguita e auspicata, di Berlusconi dalle scene italiane. Le sole parole sensate e pertinenti a questo riguardo sembrano essere state, ancora una volta, quelle del presidente Napolitano, quando ha invitato tutte le parti che ne discutono all’equilibrio, alla moderazione e al senso della responsabilità politica e istituzionale; e tutti hanno capito o creduto di capire che egli si rivolgeva in primo luogo ai magistrati. Parole un po’ predicatorie, si può osservare, ma proprio non riusciamo a vedere che cosa si altro si potrebbe dire in questioni come questa.
Casi del genere sono capitati anche altrove. In Francia Chirac fu imputato di reati finanziari mentre era presidente della Repubblica, ma gli si consentì una immunità speciale anche per fatti anteriori alla sua elezione a presidente fino a un mese dopo la scadenza del suo mandato presidenziale; poi lo si processò, ma, per così dire, con grande moderazione, risolvendo il tutto, in pratica, e soprattutto, con una transazione sulla somma da pagare come ristoro dei danni che si ritenevano apportati dalla sua azione, in particolare, al comune di Parigi. In Germania fu Kohl, rimasto per sedici anni al governo del paese, a essere processato per reati analoghi, ma in modo tale da salvaguardarne anche la reputazione. Sempre in Germania, e di recente, è stato allontanato dal suo ufficio e riportato alla vita privata il presidente della Repubblica Christian Wulff per corruzione e abuso di ufficio, ma anche nel suo caso con una eco molto minore di quel che si penserebbe da noi, e così pure il ministro della difesa Karl Theodor zu Guttenberg (un nome, come si vede, della nobiltà di quel paese).
Vero è che il caso di Berlusconi è diverso. Le sue imputazioni sono molto più numerose e vanno dalla concussione alla corruzione e a quant’altro v’è di peggio nello stesso campo. Vi si aggiungono poi comportamenti nella sfera personale e privata ritenuti di rilievo penale e comportamenti di nessun rilievo penale, ma certo tali da deteriorare gravissimamente qualsiasi figura di autorevole uomo pubblico, con conseguenze nefaste anche innanzitutto sull’aspetto internazionale del suo profilo politico. C’è poco da dire. Prima di lamentarsi della “persecuzione” nei suoi confronti, Berlusconi dovrebbe prendersela, almeno per l’ultimo aspetto indicato, tutta e soltanto con se stesso, per cui si dice pure, e con qualche ragione, che egli è stato il suo primo, maggiore e peggiore nemico.
Di lui sarà quel che sarà, e che non si può ancora dire, perché i suoi processi sono ancora in corso. Tutti, egli non può non crederlo, anche dei suoi amici e fautori, tirerebbero un sospiro di sollievo, se egli spontaneamente si ritirasse dalla vita pubblica. Sarebbe per l’Italia un vantaggio molteplice. Innanzitutto per l’immagine; e poi perché, da un lato, costringerebbe la destra definirsi in termini politici determinati e a non vivere più come innanzitutto e soprattutto come emanazione personale di Berlusconi e della sua inventività e fiuto politico, e dall’altro costringerebbe gli avversari di Berlusconi, e in specie le sinistre, a non esaurire nell’antiberlusconismo tutto il senso dei loro discorsi politici.
Speranza, peraltro, vana. Berlusconi ha già proclamato che egli resisterà alle azioni giudiziarie, e che intende persistere nell’attività politica e avviare una nuova fase della vita della destra ricostituendo Forza Italia. Non è prevedibile quale possa essere l’effetto di tale decisione sul corso della lotta politica in Italia. I precedenti invitano a non sottovalutare in alcun modo l’uomo e la sua capacità politiche, di cui ha dato ripetute dimostrazioni, e specialmente nelle campagne elettorali. Il periodo in cui, fondando Forza Italia, egli diede al paese, la possibilità di avere una destra diversa dalle precedenti – il periodo creativo della sua azione politica – sembra ormai passato, e da tempo. Un bilancio completamente negativo, un quadro tutto in nero della sua quasi ventennale azione politica e dei suoi periodi di governo, una riprovazione di ogni suo atto e parola certo non sono molto utili neppure sul piano della polemica politica quotidiana. Ma egli stesso non può riconoscere che nessuno dei suoi grandi propositi iniziali di rinnovamento liberale e liberistico si è apprezzabilmente realizzato. E a noi sembra difficile, difficilissimo che questo possa accadere con la nuova Forza Italia da lui annunciata.
Il grande guaio dell’Italia è che, se tale è il bilancio berlusconiano, quello delle sinistre non è di molto migliore, se migliore è. Anch’esse giocano sul terreno di programmi mai davvero convincenti, e soprattutto mai tradotti apprezzabilmente in azione e in realizzazione (fa epoca l’incapacità di varare una legge sul conflitto di interessi anche quando, con una larga maggioranza, se ne aveva la piena possibilità). Da qualche anno si parla di rottamazioni per un deciso ricambio generazionale, e di un radicale rinnovamento programmatico di importanti partiti e gruppi politici. Finora si è visto poco. L’unica novità rumorosamente rottamante e rinnovante è stata quella di Grillo e del suo movimento, col preoccupante filosofo Casaleggio alle spalle. E se tutto è qui, che c’ da pensare e da dire?
Morale. I fatti confermano che, contrariamente a quanto da tanti e tanti affermato da anni, Berlusconi è un problema ma non è il problema della vita italiana. Ormai può fare molto meno di prima, e ciò di per sé non ha migliorato e non può migliorare le condizioni e le prospettive del paese. Oltre Berlusconi non deve andare soltanto egli stesso e tutto il mondo e l’opinione politica che a lui si riferiscono, ma tutta la classe politica e dirigente del paese. Quando lo si farà, non sarà mai troppo presto.
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