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Una grande famiglia feudale
di Elisa Novi Chavarria
Non è usuale, anzi direi che è del tutto singolare, che un libro dedicato alla storia di una grande famiglia aristocratica inizi con la storia dei suoi rami cadetti. Il libro di Giulio Sodano sugli Acquaviva d’Atri (Da baroni del Regno a Grandi di Spagna. Gli Acquaviva d’Atri: vita aristocratica e ambizioni politiche (secoli XV-XVIII), Napoli, Guida, 2012, prende il suo avvio, invece, proprio così, con la storia delle carriere eclesiastiche dei figli minori. In tal modo la storia di una famiglia, tradizionalmente considerata fortemente radicata sul territorio, non di rado connotata dai tratti dell’isolamento e dell’immobilismo provinciali, se non di quelli veri e propri del “barone riottoso”, si proietta immediatamente su uno scenario internazionale. Gli Acquaviva vantarono, infatti, tra le loro fila la presenza di molti cardinali, cardinal protettori, nunzi a Madrid, santi e aspiranti santi. Spicca tra questi, negli anni peraltro cruciali del consolidamento della potenza spagnola in Italia, da un lato, e della conversione di Enrico IV dall’altro, la figura e il ruolo di un Generale della Compagnia di Gesù come Claudio Acquaviva durante il cui mandato (1581-1615) si giocò un’importante partita per il Generalato a vita all’interno della Congregazione. Un altro membro della famiglia, Rodolfo Acquaviva, trovò il martirio a Goa, nel 1583, che gli spianò la strada per la beatificazione, mentre all’incirca negli stessi anni Ottavio ricopriva l’importante cattedra arcivescovile di Napoli. Sodano sottolinea come siano stati proprio questi percorsi biografici a sancire il carattere internazionale del lignaggio.
È che gli Acquaviva avevano investito molte delle loro risorse e del proprio impegno familiare non solo nell’attività militare, come nella miglior tradizione della feudalità del Regno, ma anche nella formazione dei figli cadetti e, soprattutto, nel supportarne – come si diceva le carriere ecclesiastiche. Avere messo immediatamente a fuoco questo aspetto cruciale delle loro varie vicende consente allora a Sodano di assegnare a questa storia l’emblematicità che le è propria di una storia tout court della società aristocratica meridionale del tempo.
Vediamo di capire il perché.
Il libro (apparentemente) non entra in una delle questioni “classiche” della storiografia di settore, come è stato, per esempio, almeno fino a qualche anno fa, il tema “indebitamento=crisi dell’aristocrazia”. Ma attraverso la disamina di un’ampia tipologia di fonti, ivi comprese quelle notarili, di norma poco praticate negli studi sulla feudalità moderna, ricostruisce e analizza tutto il patrimonio familiare degli Acquaviva nel suo complesso. Terre, animali, diritti feudali, oggetti di lusso, manufatti artistici e culturali – “pecore, arredi e quadri”, come testualmente si legge nel libro, con un felice e riuscito apparentamento di cose all’apparenza assai distanti tra loro –, sono, quindi, esaminati tutti insieme nelle loro molteplici interconnessioni, tanto da rendere immediatamente comprensibile come, senza le risorse derivanti dagli investimenti nella terra e nel feudo, mai si sarebbero potute realizzare quelle ricchezze simboliche. In questo modo riusciamo a cogliere come sia stata proprio la diversificazione degli investimenti economici a garantire la sostanziale stabilità del patrimonio. L’integrazione tra terra e feudo, tra pastorizia e sbocco economico per la commercializzazione dei prodotti ceralicoli sull’Adriatico consentì, infatti, agli Acquaviva di affrontare anche i momenti congiunturali negativi con successo.
Ma c’è di più.
Gli Acquauaviva, come d’altronde molte altre grandi casate aristocratiche, investirono molte delle proprie risorse verso obiettivi a prima vista improduttivi, come la formazione e la cultura, da cui essi ricavarono invece almeno altrettanta ricchezza e onore. La formazione dei propri figli cadetti e il loro avvio in prestigiose carriere religiose li proiettarono su quello scenario internazionale di cui si è detto e da cui sarebbero stati altrimenti sicuramente esclusi, una volta consolidatosi il potere della Monarquía spagnola a Napoli, considerate le note simpatie filoangioine della famiglia. Gli investimenti in cultura si tradussero nelle pratiche di raccolta e acquisizione di quel ricchissimo patrimonio artistico che andò a impreziosire le residenze abruzzesi degli Acquaviva ad Atri e a Giulianova. Le interconnessioni allora sono evidenti. L’indebitamento, ovverosia la mancanza di liquidità che a tratti caratterizzò la storia della famiglia, ancorché segno della “crisi economica della nobiltà”, a noi pare l’esito di una strategia lungimirante destinata ad accrescere ulteriormente il prestigio e il potere della famiglia se, come fu, essa si tradusse nel dirottamento di capitali verso altri obiettivi: formazione e cultura, appunto. E se questo determinò, in alcuni momenti della storia della famiglia, una scarsa disponibilità di denaro liquido poco male se poi, nel frattempo, i suoi esponenti di maggiore spicco facevano carriera nelle grandi corti europee di Roma o di Madrid non solo accrescendone il prestigio in termini di onori e privilegi, ma anche creando nuove forme di ricchezza.
È da questo snodo fondamentale che – a nostro avviso , si dipanano poi nel libro i suoi molti altri fili, tutti incentrati sul binomio “aristocrazia/modernità”. Laddove la “modernità” degli Acquaviva è da ravvisare volta a volta nella loro capacità di:
• diversificare gli investimenti economici;
• investire in formazione e cultura;
• nella modernità dei loro consumi culturali, quale risulta dalla composizione così “poco provinciale” della biblioteca, per la sua struttura plurilinguistica e la presenza di una varia tipologia di libri, tra i quali spiccano accanto ai “classici” della cultura umanistico-rinascimentale, molti volumi di interesse geo-politico per lo più usciti dai torchi della officina Elzeviriana di Leida;
• nella modernità delle scelte artistiche delle raccolte di quadri per l’alta percentuale di paesaggi e nature morte, accanto ai più tradizionali soggetti religiosi;
• nella modernità delle forme di sociabilità, quale si legge nella disposizione degli ambienti interni delle residenze di Atri e Giulianova, con il progressivo arretramento delle stanze destinate al riposo e allo studio negli spazi più intimi e isolati del palazzo, o nell’esorbitante numero di sedie, “strumento” tipico della civiltà salottiera della conversazione;
• nella modernità dei consumi alimentari, per la presenza assai precoce e ricorrente sulla loro tavola di sorbetti, cioccolata e caffé, secondo la moda del tempo.
Certo, in questo caso, il concetto di modernità non sempre coincide con quello di modernizzazione, se per questa si intende “innovazione”. L’idea di modernità cui facciamo riferimento è quella che nacque nel mondo europeo tra XV e XVI secolo, connotandone da allora le continuità e le discontinuità storiche. Essa nella sua complessità appartiene, quindi, non solo alla specifica storia degli Acquaviva, ma in generale alla storia del Mezzogiorno e del feudalesimo moderni. La storia degli Acquaviva, quale si dipana in questo libro, è sostanzialmente, infatti, una storia sociale del potere tra centro e periferia, tra capitale e provincia, tra Napoli-Roma-Madrid in età moderna. E in tutti quei compositi fili, che si intersecano tra loro, tra le molteplici continuità e rotture, è certo che il crisma della stabilità e della riproduzione del sistema politico della Monarchia fu più forte rispetto a qualunque forma o istanza di cambiamento.
Il libro è anche una storia del feudalesimo moderno, inteso come ci ha abituato a pensare Aurelio Musi – come forma di organizzazione del territorio e degli spazi, ivi compresi quelli ecclesiastici, regime delle terre e degli uomini che su di esse abitarono. Vorremmo aggiungere allora, alla fine di queste note, anche delle donne che su di esse abitarono, vista la meritoria attenzione che il libro porta al protagonismo di molte donne del casato che, come pure soleva accadere alle nobildonne di quei tempi, specie se in stato di vedovanza, non disdegnarono affatto la cura e l’ammnistrazione del patrimonio familiare, contribuendo ad accrescerne per il loro verso onore, prestigio e ricchezza.
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