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Politica, religione e impostura in un manoscritto della Controriforma
di Giovanni Scarpato
1. La Relazione di Ginevra di Andrea Cardoini tra erudizione e polemica

Il dibattito sulla repubblica di Ginevra, sulla sua libertà e originalità istituzionale, costituisce uno dei più duraturi miti politici dell’Età moderna1: un mito che si radica con l’affrancamento della città dai duchi di Savoia nella riforma religiosa attuata da Giovanni Calvino. Queste note si confrontano con il rovescio polemico del mito teologico-politico di Ginevra nell’opera di un controversista della Controriforma, il napoletano Andrea Cardoini2 (1590 c.-1650 c.). A Cardoini si deve la manoscritta Relazione di Ginevra3 che, per la ricchezza dei temi svolti, può essere considerata una testimonianza significativa della polemica anti-riformata del Seicento.
L’autore nacque a Ginevra attorno al 1590 da una famiglia della più antica nobiltà napoletana, che si era rifugiata oltre le Alpi al tempo del marchese Galeazzo Caracciolo4, abbracciando la fede riformata. Non sappiamo molto circa le ragioni che portarono Cardoini, allevato nella fede calvinista, a tornare a Napoli, presumibilmente attorno al 1619, e a convertirsi alla religione cattolica.
Nelle pagine introduttive della Relatione, rivolte al sovrano spagnolo Filippo IV, egli fa scaturire la propria conversione dalla lettura delle memorie dei suoi antenati, e dall’esempio di suo zio Mario e suo cugino Alessandro, che combatterono nelle Fiandre come alti ufficiali dell’esercito imperiale. Nelle trame ingiallite delle memorie familiari l’autore conosce dalla stessa voce dei suoi antenati «quanto lontano mi ritrovavo da loro vestigi». Così, prosegue, «ancorché giovanetto, bramoso di reintegrarmi ne beni perduti, odiai la propria Casa, e mi ricoverai fra Cattolici con la speranza di ritornar nel grembo di Santa Chiesa»5.
L’autore si propone di rivelare gli arcana della repubblica ginevrina per contribuire a ricondurla al suo stato “antico”, cioè sotto la tutela dei duchi di Savoia e di un vescovo cattolico, cancellando la sovversione politica e religiosa attuata dall’odiato Giovanni Calvino. Per queste ragioni Cardoini consacra i propri sforzi al Re Cattolico, l’unico in grado di attuare l’auspicata restaurazione e allo stesso tempo di porre fine alla sua personale condizione di sradicamento6. La Relatione è attestata in due diverse redazioni. La prima reca il titolo Historia compendiosa di Ginevra nella quale si dà relatione delle cose di quella città7. Si tratta di un abregè della redazione più estesa, probabilmente anteriore ad essa, in cui troviamo enucleati in maniera sinottica i temi che saranno poi approfonditi nella seconda redazione.
La seconda redazione reca il titolo Relatione di Ginevra, nella quale compendiosamente si ragiona dello stato di quella città8, ed è firmata dall’autore “Andrea Cardoino, cavaliere napoletano nato a Ginevra”.



2. La biografia di Calvino

I temi centrali della Relazione sono la condanna di Calvino come libertino e machiavellista e la conseguente critica dell’ordine politico instaurato a Ginevra, giudicato illegittimo.
La Relatione si divide in 41 capitoli. I primi sette si distinguono per la loro brevità (fogli 1-10) fornendo notizie sul sito e la storia della città, sulle fonti epigrafiche e le antiche radici cattoliche del luogo. Si tratta di ragguagli estremamente ellittici, presentati a scopo introduttivo e col principale intento di prefigurare l’esiziale novità introdotta da Calvino9. I successivi venticinque fogli del codice contengono una biografia polemica di Giovanni Calvino scandita in quattordici brevi capitoli. Vi si narrano le vicende del riformatore dagli anni della formazione fino alla morte, con ampio riferimento ai progressi del calvinismo. Si tratta senza dubbio delle pagine più considerevoli dell’opera cardoiniana. Non a caso la critica si è soffermata su di esse rilevandone l’originalità argomentativa e l’efficacia stilistica, ma finendo troppo spesso per ridurre il contenuto della Relazione alla sola biografia diffamatoria del riformatore piccardo.
Il lungo capitolo 22 (ff. 34-38) contiene informazioni sulle famiglie italiane riparate a Ginevra, particolarmente su quelle napoletane e lucchesi. I capitoli 23-26 affermano, sulla scorta di un vasto materiale documentario, l’intatta legittimità dei duchi di Savoia su Ginevra che rimane – a detta dell’autore – “contado” dei loro domini piemontesi. Questi capitoli appaiono più lunghi e disomogenei – occupano da soli ben 22 fogli – segnando un deciso cambio di stile: la Relazione da racconto polemico diviene commento equilibrato su una vasta raccolta di fonti storiche. Un discorso a parte, ad esempio, meriterebbe il vivace resoconto della battaglia dell’Escalade (1602) in cui le truppe del duca di Savoia cercarono di riprendere la città scavalcandone nottetempo le mura10.
Seguono poi i capitoli finali (27-41) che possono essere considerati a tutti gli effetti l’appendice documentaria del manoscritto: riportano notizie dettagliate sull’assetto militare di Ginevra, che sorprendono per la loro meticolosità. Sono descritte le fortificazioni e i terrapieni dai quali dipende la sicurezza della repubblica, con un gusto spionistico tipico della letteratura politica del Seicento.
Dall’esposizione della struttura argomentativa si coglie una significativa sproporzione tra la parte apologetica e quella documentaria che rimangono tra loro non sufficientemente integrate. Più in generale, all’autore non riesce del tutto di armonizzare i tre moventi che lo spingono alla scrittura: autobiografico, apologetico e storico-documentario.
Cardoini si venne formando l’immagine polemica del riformatore piccardo attraverso le opere di Jerome Bolsec, controversista lionese noto per i suoi scritti contro Calvino e Beza11. Seguendo Bolsec, nelle pagine della Relazione l’austero teologo della città dei santi diviene il prototipo del libertino che, schiavo dei suoi vizi, è costretto a vagare per l’Europa, fino a quando la qualità dei “tempi” non gli consentirà di insediarsi a Ginevra.
Il ritratto di Calvino risente dell’immaginario anti-machiavellista. Il riformatore è “volpe malvaggia”, di aspetto “brutto e difforme” ma di vasta intelligenza e impareggiabile capacità di dissimulare. Centrali per la sua formazione sono gli anni in cui studia legge a Bourges con Andrea Alciato e Melchior Wolmar. Quest’ultimo, in particolare, allontanato dallo Studium per le sue convinzioni religiose, «lo persuase di cangiar il codice con la Bibbia, e la Giurisprudenza con la Theologia»12, gettandolo nel baratro del luteranesimo. Calvino continuerà l’amicizia con quel cattivo maestro fino a quando, tornato in patria, non ne sarà allontanato per i suoi costumi; è questa una delle falsità con cui l’autore condisce la sua biografia arrivando a dire che «per adulterij e mille scelleratezze, dopo d’esser stato segnato pubblicamente con un giglio infuocato nelle spalle fu necessitato partire»13.
Passato in Germania, conosce Lutero: si sorprende che quest’ultimo, pur essendo «non chiaro per eminenza di lettere, né per accortezza d’ingegno eminente» avesse acquistato «grido e fama», guadagnando alla sua causa i principi tedeschi14. Stimandosi più intelligente di Lutero, e corrotto da un’ambizione implacabile, Calvino avrebbe deciso di seguire «lo stesso sentiero della novità, inventando nuovi errori, nuove bestemmie, nuove heresie»15. Così, nel 1541 partecipa alla dieta di Ratisbona, risolvendosi poi a tornare a Ginevra solo su diretta sollecitazione delle assemblee cittadine:
Ritornò finalmente Calvino a Genevra, e vi giunse a 13. di settembre 1541 giorno et anno notato da Genevrini in lettere di oro, come il primo delli ventitre anni, che durò quel sacrilego e maledetto Pontificato di lui16.

Notevole è il giudizio su Calvino come falso papa in una falsa Roma, funzionale a consolidare la leggenda nera sul potere assoluto che il riformatore avrebbe esercitato. Da qui il rilievo dato alla circostanza che egli appena assunto il potere «fondò una Congregatione che da lui (ad esempio di quell’Illustrissima de’ Porporati di Roma) fu detta Concistoro»17. Con tali valutazioni, Cardoini intende negare l’originalità delle istituzioni religiose ginevrine che sono interpretate come un sacrilego calco di quelle pontificie18.
Calvino agli occhi dell’autore si presenta come eresiarca, distruttore dei templi e delle immagini divine19, propugnatore di una religione carnale e lassista, ostile a ogni attivismo evangelico. La sua riforma religiosa avrebbe trasformato Ginevra in un «nido d’heresiarchi» e libertini provenienti da tutta Europa. Si tratta dei temi centrali dello scontro tra gesuiti e riformati in cui la polemica teologico-politica si carica di una connotazione apocalittica20.
La mentalità di Cardoini si rivela attraverso l’uso di tali categorie oppositive, ma in lui, come in altri autori del Seicento è assente ogni autentica tensione millenaristica. L’unica renovatio che egli attende è quella che può garantire una concreta politica cattolica, consapevole degli equilibri strategici su cui Ginevra basa la propria conservazione. Come ha scritto Giuseppe Galasso a proposito di alcuni caratteri ricorrenti della storiografia del Seicento:
La politica di cui questi storici parlano è, infatti, la politica delle forze materiali (psicologiche, militari, diplomatiche, finanziarie, etc…) che si fronteggiano: la politica appunto della Ragion di Stato, calcolo di opportunità sottoposto all’unica logica del vantaggio politico che se ne può ottenere21.

Nella ricostruzione polemica dell’autore Calvino assume il potere perché interpreta i precetti della cattiva Ragion di Stato, ma il suo disegno non si sarebbe compiuto se la qualità dei tempi non l’avesse favorito; l’autore rileva che l’indipendenza di Ginevra fu appoggiata dalle città vicine poiché «posta nel frontespizio de’ loro confini, […] dovesse servir loro per antemurale d’ogni guerra»22.
Cardoini non manca di riferirsi al rogo di Serveto «giovine di trent’anni, ma d’intelletto oltre modo sottile [che] fu così ardito, che confidando nel suo acutissimo ingegno si condusse di persona in Genevra a disputar seco né volse mai sottoporsi alla dottrina di lui»23.
Al vissuto del maestro della Riforma Cardoini oppone, specie nelle pagine iniziali del manoscritto, il sentimento eroico della propria esperienza di convertito; ponendosi come vero e proprio esempio di vita cristiana contro il machiavellismo libertineggiante incarnato da Calvino. Al tempo di suo nonno Cesare, seguace del circolo valdesiano, il timore di abbandonare per sempre i propri beni aveva dissuaso molte famiglie dal riparare in terra straniera: era questa una delle ragioni del nicodemismo24. Cardoini, diversamente, non dissimula il suo desiderio di risalire il “baratro dell’infelicità” e recuperare le ricchezze della propria casa, che appaiono ai suoi occhi frutto di una catena di tradizione, che come ogni tradizione non deve essere spezzata.



3. Ragion di Stato e impostura religiosa

Il tentativo operato da Cardoini è, forse, quello di fondere i due generi più percorsi dalla letteratura politica seicentesca: la relazione politica (sulla falsariga delle ambascerie veneziane) e la biografia diffamatoria. Questo tentativo, però, non riesce del tutto e finisce per generare la sproporzione tra la parte apologetica dell’opera e quella documentaria su cui ci siamo soffermati in precedenza. Valerio Marchetti ha colto il valore del manoscritto giudicandolo «riassuntivo dell’intera produzione controversistica cattolica antiriformata del Cinquecento». Egli, però, ha interpretato il testo come «prodotto dell’immaginazione controriformistica, un vero e proprio falso storico rigidamente funzionale alla costruzione di un mito negativo»25. Tale giudizio sulla Relazione come falso storico è condivisibile solo se si prende in esame la biografia di Calvino, ma non bisogna dimenticare che l’opera nel suo insieme presenta un notevole numero d’informazioni storiche, politiche e militari della cui esattezza non è dato di dubitare.
Occorre, a nostro avviso, cercare la cifra dell’opera cardoiniana proprio in questa irrisolta ambivalenza tra polemica ed erudizione, tra odio teologico per il nemico e anelito umanistico alla ricostruzione della verità storica. La prima tendenza (da cui nascono le pagine su Calvino) richiede la disponibilità al falso e al diffamante. Diversamente, la finalità politica di riconquistare Ginevra al mondo cattolico esige la raccolta d’informazioni esatte e dettagliate. A tal proposito, tra la prima e la seconda parte dell’opera si colgono sostanziali slittamenti nelle valutazioni e nei giudizi.
Se nella prima parte l’autore svilisce l’apparente ordine politico delle istituzioni ginevrine, in quella documentaria, più criticamente orientata, i giudizi sembrano improntati al tentativo di comprendere i fatti nella loro concretezza sospendendo la condanna teologica26.
Si può congetturare che tale ambivalenza sia una delle ragioni per cui la Relazione non ebbe mai una versione a stampa: consacrata direttamente al sovrano spagnolo e rivolta a quei pochi lettori-politici in grado di arrestare la sovversione ginevrina, essa appariva come un’opera concepita per circolare all’interno di una cerchia ristretta di lettori.
Inoltre, un altro aspetto di tale irrisolta ambivalenza va rintracciato nella volontà dell’autore di uniformarsi ai criteri di scientificità sperimentati dalla storiografia cattolica inaugurata da Cesare Baronio27. La stesura più avanzata della Relazione, infatti, fa ampio ricorso alle note a margine per la verifica delle fonti. Tra queste convivono il malevolo Jerome Bolsec e Francesco Guicciardini, lo storico per eccellenza, da cui l’autore apprende le categorie antropologiche imprescindibili per il suo racconto: l’anatomia dell’ambizione umana che impregna di disincanto tutto il manoscritto cardoiniano. Così, parlando della malizia di Calvino, chiosa: «A mille scelleratezze suole condurre gl’huomini la sete pestifera del dominare»28.
La Relazione di Cardoini, quindi, non è il memoriale di un testimone diretto della vita ginevrina, ma una complessa costruzione polemica, in cui l’autore si serve delle fonti più eterogenee, tentando di integrarle all’interno di un disegno unitario.
Nel manoscritto riecheggia l’argomento dell’impostura religiosa. Da questo punto di vista, l’opera resta un vivace documento di come molta parte della cultura della Controriforma accolga la teoria libertina della religione come invenzione degli astuti legislatori dell’antichità29. Negli stessi anni in cui Cardoini dedicava la sua Relazione ai sovrani spagnoli, Tommaso Campanella, percorreva la difficile strada che l’avrebbe portato, in accordo con la Curia romana, alla pubblicazione del suo Atheismus triumphatus30.
In Cardoini come in Campanella, impegnato in quegli anni in un’ambigua polemica antilibertina, l’argomento averroista degli impostori religiosi viene, di fatto, adottato per il suo valore euristico: consente di spiegare la varietà del fenomeno religioso e fornisce allo stesso tempo un solido argomento polemico contro le confessioni riformate. A tal proposito, occorre rilevare che Cardoini fornisce una caratterizzazione filosofica dei riformatori protestanti collimante con quella meditata da Campanella: per entrambi, a differenza delle più antiche religioni, il calvinismo nasce dall’astuzia machiavellica di un solo uomo. Nell’Atheismus, opera rivolta contro l’anticristianesimo machiavellico del suo tempo, il filosofo di Stilo distingue tra i profeti che furono mandati da Dio e quelli che furono ispirati dalla ragione naturale o dal demonio31.
I profeti della ragione furono i grandi filosofi come Platone, Socrate, Seneca; mentre i legislatori delle grandi civiltà Dracone, Solone, Licurgo, fondarono la loro legge sulla ragione «senza sangue, e senza miracoli, senza profetia». Altri, come Epicuro e Omero, furono ispirati «dall’astuzia o dal demonio». I riformatori-impostori invece:
Arrio, Calvino, Lutero e simili che per guadagnar danari et honori vani scrissero e parlarono di quel che non sapeano, posero la religione in burla, e quel che essi ignorarono stimarono falsità e furbaria come la loro32.

La controversia del Cardoini è per molti versi consonante con l’interpretazione di Campanella. La stessa forma mentis dell’autore, del resto, ci sembra del tutto organica all’idea, tipicamente controriformista, che giudica falsa la Riforma proprio per il suo essere una novità33. Scrive Cardoini:
se non fusse stato privo di senno a sua Colpa, dovea pensare, che se quella dottrina da Calvino predicata fosse stata vera, all’hora non sarebbe stata nuova, se non fosse stata stravagante, non haveria dato da dir al Mondo, e se fosse stata antica da nessuno sarebbe stata contraddetto34.

A suo avviso, la prassi di Calvino non fu orientata al rischiaramento della verità evangelica, ma dettata da categorie politiche come “opportunità” ed “occasione”. Cardoini, presentando un circostanziato catalogo delle opere calviniane riflette sulle molte variazioni dell’Istituzione Cristiana. Di quest’opera, che – scrive «più tosto dovea chiamare Distruttion Christiana»35, ricorda di aver visto nelle biblioteche ginevrine edizioni assai difformi, poiché l’autore era costretto a mutare il baricentro della sua dottrina a seconda delle esigenze tattiche che di volta in volta emergevano. L’autore dell’Institutio prese parte alla guerra libellistica che caratterizzò la Riforma, e per prevalere non disdegnò di servirsi di pseudonimi e trucchi tipografici; la religione cattolica invece – scrive Cardoini – fu divulgata senza fare ricorso alle astuzie dei libellisti:
la certezza della fede, la quale fu seminata da Christo, e dagli Apostoli, [fu] publicata al Mondo senza queste simulazioni, e simili frodi ordite36.

Calvino coniò per i suoi avversari l’appellativo di libertini che – scrive – «potevano quell’istessi con più raggione addosar contro di lui medesimo»37.



4. Percorsi di un manoscritto

La vasta circolazione dei manoscritti del controversista napoletano è confermata da una circostanza del tutto inedita. Nei primi anni del Settecento, lo scrittore Gregorio Leti38, tipica figura di poligrafo libertineggiante, noto in tutta Europa per le sue biografie e le sue relazioni politiche, plagiò quasi un intero capitolo della Relazione del Cardoini, contenente la rappresentazione diabolica di Calvino e il racconto della sua cattiva morte. La circostanza è interessante anche perché Leti, nato a Milano nel 1631, era passato trentenne a Ginevra convertendosi alla religione riformata. In quella fucina editoriale dell’Europa seicentesca egli stabilì il suo laboratorio di scrittore politico, riunendo una vasta collezione di manoscritti dalla quale attingeva in maniera disinvolta. Tipica del suo modo di lavorare è la falsificazione dell’Epistolario di Traiano Boccalini39. Nei suoi ultimi anni lo scrittore milanese si stabilì ad Amsterdam, dove diede alle stampe una scelta delle sue Lettere40, vero e proprio aretinesco monumento a se stesso. In quest’opera letiana troviamo un profilo biografico di Calvino costruito attingendo copiosamente alla Relazione di Ginevra. L’opera di Cardoini, infatti, conteneva un vivace ritratto del riformatore:
Fu Calvino di corpo, e di aspetto quasi difforme, sincome era d’animo brutto, e contaminato, huomo di poca gratia nell’attioni e gesti del corpo, e di bassa statura, macilento nel volto, secco, et estenuato nelle membra di color olivastro, di pelo negro, di barba caprina, e di naso acquilino, e di spalle quadre, e curve; ma di spirito gagliardo, d’ingegno fraudolente, e vivace; pronto nelle risposte; audace nelle proposte, veloce ne’ partiti, sottile ne j concetti; et arguto né motti; parlava poco, e ciò con gravità straordinaria, andava sempre sopra pensieri, e con cera malinconica, fiera e superba, ma sempre bramoso di cuoprire, e dissimulare nel volto le passioni dell’animo; era in lui ogni tempo la lingua lontana dal cuore, il cuore dalla pietà, et humanità. Diceva una cosa, e ne pensava un’altra, e mentre una metteva in effetto, un’altra n’ordiva nel cuore41.

Con tipico gusto barocco Cardoini riferisce che Calvino avrebbe pagato i suoi vizi con una morte prematura e terribile:
Et ecco alla fine, pur j miseri, et infelici giungono alla meta de lor giorni malamente spesi, giungono al termine della vita mal logora, li sopraggiunge la morte da loro mai pensata, nella quale ricevono la paga delle lor Opere, e la pena de loro misfatti, come avvenne a Calvino, il quale l’anno 1564. a 27 di maggio passò all’altra vita senza dubbio peggiore di questa, che pur le fu crudelissima per quattro anni continui, ne quali patì nuove acerbe infirmità, cioè colica, Pietra, Dolori articolari, hemorroide, Febre tisica, Asma hemicraica, Catarri continui e vomiti di sangue42.

Cardoini parla in termini crudi della cattiva morte di Calvino, per concludere che costui «infelicemente morisse da pedocchi divorato, fastidito, inquieto e tanto impatiente di questo suo male»43. Il riformatore ginevrino muore consumato dalla malattia poiché «conscio del male c’havea recato al Mondo n’aspettava il meritato castigo». Nemico di Dio e degli uomini egli «visse, e morì come velenoso Dragone»44.
Come si è visto, Gregorio Leti non esita a riprendere interi passi cardoiniani che vengono debitamente rassettati per incontrare la sensibilità dei lettori non cattolici. Lo scrittore milanese, però, possedeva una sorta di etica estranea ai libellisti del suo tempo. Nella sua biografia di Filippo II45 – documento per molti versi espressivo del difficile mestiere di storico in un’epoca in cui “la storia aveva fatto bancarotta”, per dirla con Paul Hazard46 egli confessa i propri «ladrocinii», ma avverte di averli commessi «senza tralasciar di dar la propria gloria all’Auttore col nominarlo»47. Per questa ragione Leti richiama Cardoini, con l’intenzione di correggerne il furore polemico:
Il Carduino in quel suo manoscritto (dopo essere restato 20. anni in Geneva, e poi ritornato in Italia) che fa correre per l’Italia, scrive che Calvino fu scacciato dalla Patria, per adulterii, e per altre scelleratezze, dopo esser stato segnato pubblicamente col giglio infocato, nelle Spalle, ch’è una delle più appassionate falsità48.

Per Gregorio Leti, il manoscritto di Andrea Cardoini rappresentava una testimonianza singolare all’interno di quel labirinto di scritture che accompagnò la vicenda della repubblica di Ginevra.
Oltre alla Relazione di Ginevra, possediamo un piccolo gruppo di opere manoscritte del Cardoini. Va ricordato, innanzitutto, il breve Discorso di un giovane della città di Ginevra49, in cui l’autore proponeva rimedi prudenziali per indebolire la Repubblica. Si suggeriva, tra l’altro, di concedere l’indulgenza plenaria ai residenti disposti a lasciare la città e indurre coloro che non godevano di una cittadinanza piena a promuovere rivolgimenti politici.
Un altro piccolo volume manoscritto riporta due responsi teologici scritti dopo la Relazione, uno indirizzato al pastore e ministro ginevrino Benedetto Turrettini, l’altro al ramo della propria famiglia restato a Ginevra50. In tali responsi, Cardoini difende la propria scelta con argomenti simili a quelli dell’opera maggiore. Di un certo interesse ci sembra la polemica con il Turrettini sulla figura del pastore evangelico. Lo stile cardoiniano nella controversia teologica è essenzialmente polemico: le sue certezze religiose sembrano trovare linfa solo a partire dalla censura degli errori del partito opposto.
In un esemplare della Relazione, Cardoini allegò una vecchia mappa di Ginevra sulla quale era intervenuto con delle aggiunte manoscritte51. Vi segnò la chiesa di San Pietro dove aveva avuto sede il Vescovado, le rovine del castello che erano state residenza dei duchi di Savoia, nonché il punto delle mura in cui questi tentarono l’infausta scalata nella notte dell’11 dicembre 1602. Lo scrittore tracciava, così, una sorta di mappa ideale per ricondurre la storia di Ginevra ad un passato ormai dileguato.








NOTE
1 La definizione di Ginevra come repubblica è stata precisata in senso limitativo nel recente D. Carpanetto, Divisi dalla fede. Frontiere religiose, modelli politici, identità storiche nelle relazioni tra Torino e Ginevra (XVII – XVIII secolo), Torino, Utet, 2009. Carpanetto chiarisce che Ginevra, formalmente città imperiale, usava definirsi repubblica in un ristretto numero di casi tra cui le relazioni con gli altri stati. Su questo tema si veda G. Galasso, Le relazioni internazionali nell’età moderna (secolo XV – XVIII), in «Rivista Storica Italiana», 1999, I, pp. 5-35. Considerazioni sul mito di Ginevra negli ambienti cripto-riformati del Seicento, anche in relazione al Cardoini, si trovano in F. Barbierato, Luterani, calvinisti e libertini. Dissidenza religiosa a Venezia nel secondo Seicento, in «Studi Storici», 3/2005, pp. 797 -844, in part. pp. 800-801.^
2 Sull’autore si veda la voce redatta da V. Marchetti, Andrea Cardoini, DBI, vol. 19 (1976), pp. 789-792; e dello stesso autore Nelle fabbriche dell’immaginazione antilibertina: Andrea Cardoini, in S. Bertelli (a cura di), Il libertinismo in Europa, Milano-Napoli, R. Ricciardi, 1980, pp. 169-180.^
3 A. Cardoini, Relatione di Genevra, nella quale compendiosamente si ragiona dello stato di quella Città, particolarmente dall’Anno 1535 in cui fu introdotto il Calvinismo et mutato il governo sino al giorno presente.^
4 B. Croce, Un calvinista italiano, il marchese di Vico Galeazzo Caracciolo in «La Critica», 21 (1933), poi in ID., Vite di avventure, di fede e di passione, Bari, Laterza, 1936, pp. 239, 278, 280. In questo saggio ormai classico Croce faceva cenno alla Relazione cardoiniana, senza però riferire dove avesse rinvenuto il manoscritto. Lo stesso Cardoini parla di Galeazzo Caracciolo (op. cit., cap. 22, f. 36r.) ritenuto a Ginevra modello di santità, anche per via della sua biografia scritta da N. Balbani, Historia della vita di Galeazzo Caracciolo chiamato il Signore Marchese, Ginevra, 1587. Su questo testo agiografico e sul suo autore si rimanda a C. Ginzburg, Niccolò Balbani, DBI, vol. V (1963), pp. 336-342.^
5 A. Cardoini, Relazione di Genevra, All’Invittissimo et Potentissimo Filippo Quarto Re di Spagna nostro Signore. Sulle storie familiari nell’età della Controriforma si veda R. Bizzocchi, La storiografia genealogica nell’età della Controriforma nel volume a cura di M. Firpo, Nunc alia tempora alii mores. Storici e storia in età postridentina, (Atti del Convegno di Torino del 2003), Firenze, Olschki, 2005, pp. 415-428.^
6 I primi esemplari della Relazione risalgono al 1619 e recano una dedica a Filippo III di Spagna che assegna una pensione all’autore, reintegrandolo dei beni perduti. Gli esemplari redatti dopo il 1621, come quello preso a riferimento in queste note, presentano l’identica dedica ma rivolta al suo successore Filippo IV.^
7 Si tratta del ms. Biblioteca Marciana di Venezia It. Cl. VII (920) 7906. Di questo esemplare Innocenzo Cervelli ha curato l’edizione negli «Annali della Università degli Studi dell’Aquila», (II) 1968, pp. 70-89, precisando, molto coscienziosamente, che «le differenze fra il testo completo della relazione e l’abregé sono ovviamente notevoli» e che quello pubblicato «più che essere un riassunto della relazione, presenta rispetto a questa una successione assai più semplificata di argomenti svolti». Anche Valerio Marchetti nei suoi lavori su Cardoini si è riferito all’edizione abbreviata edita da Cervelli. Diversamente, in questo contributo ci riferiremo al miglior inedito della redazione più estesa (ms. Biblioteca Nazionale di Napoli X.F.1.), citando anche passi presenti unicamente nel codice napoletano. Per le citazioni si è scelto di adottare un criterio conservativo.^
8 Tra i sette codici della Relazione conservati presso la Biblioteca Nazionale di Napoli il miglior autografo è quello segnato X.F.1, redatto dopo il 1621. Troviamo ancora X.F.2 in forma più ridotta e senza divisione in capitoli. Di particolare interesse è un pieghevole posto alla fine del codice (f. 99) che presenta una mappa a stampa di Ginevra con aggiunte manoscritte attribuibili all’autore; X.F.3. con il titolo variato in Breve trattato de l’antico e presente stato di Ginevra; X.F.4 con la data 1619; X.E.50 ff. 325-438, col titolo Relatione dela Città di Genevra e suo Dominio; IX.B. 31; I.F.44, trad. spagnola Historia de Ginebra. In numero considerevole sono anche gli esemplari conservati presso altre biblioteche italiane e straniere. In particolare presso la Biblioteca Vaticana e le biblioteche nazionali di Parigi e Vienna, vedi A. Marchetti, Andrea Cardoini, DBI, cit., p. 790.^
9 Il capitolo 6 reca l’eloquente titolo Perché Genevra oggi sia famosa.^
10 Nel capitolo 25 Varie imprese de’ Duchi di Savoya sopra Genevra, ff. 50-62.^
11 J. Bolsec, Histoire de la vie, moeurs, actes, doctrine, constance et mort de Iean Calvin, Lyon, par Iean Patrasson, 1577, opera conosciuta anche attraverso le edizioni latine (Colonia, 1580; 1582). Bolsec, pur avendo aderito alla Riforma, riteneva assurda la dottrina della predestinazione e sostenne tale opinione in dibattiti pubblici. A causa delle sue idee fu bandito prima da Ginevra (1551) e poi da Berna (1555). Tornato in Francia e riavvicinatosi alla Chiesa cattolica scrive due biografie polemiche di Calvino e Beza. Si veda C. P. Holtrop, The Bolsec controversy on predestination from 1551 to 1555, Lewinston, Mellen Press, 1993.^
12 A. Cardoini, Relatione, cap. 8, Dell’origine et educatione di Giovanni Calvino, f. 10r.^
13 Ibidem.^
14 Ivi, f. 11r.^
15 Ivi, f. 11v.^
16 Ivi, cap. 12, Del ritorno e de’ Progressi di Calvino in Genevra, f. 17v.^
17 Ivi, f. 18r.^
18 Su questi temi A. Omodeo, Giovanni Calvino progenitore di libertà, «L’Acropoli», n. 14, feb. 1946, poi in ID., Giovanni Calvino e la Riforma in Ginevra, opera pubblicata postuma a cura di B. Croce, Bari, Laterza, 1947, pp. 147-153. In queste pagine di vigoroso spessore teorico, Omodeo riscatta l’idea di libertà concepita da Calvino, in senso fortemente anti-machiavelliano. La dottrina calvinista reintroduce un’opzione etica nella vita sociale, caricando di una connotazione trascendente l’agire del singolo avvertito in accordo con la libertà divina. Tale concezione della libertà si conferma sul piano politico attraverso l’autolimitazione reciproca delle istituzioni civili e religiose.^
19 A. Cardoini, Relatione, cap. 14, Della Rovina delle chiese, Reliquie, e cose sagre (…), ff. 21-23.^
20 Su questi temi G.M. Barbuto, Il principe e l’Anticristo: gesuiti e ideologie politiche, Napoli, Guida, 1994, p. 39.^
21 G. Galasso, Aspetti della storiografia italiana tra Rinascimento e Barocco, in ID., Dalla “libertà d’Italia” alle “preponderanze straniere”, Napoli, Editoriale Scientifica, 1997, p. 383.^
22 A. Cardoini, Relatione, cap. 13, Causa Principale della Ribellione di Genevra, f. 21r.^
23 Ivi, cap. 16, De discepoli di Calvino, e della morte ch’egli fece dare a Michele Serveto, Valentino Gentilen et altri, ff. 25-26.^
24 La perdita dei beni familiari come freno all’emigrazione religiosa era il tema centrale del manoscritto cripto-riformato Del fuggir le superstizioni che ripugnano a la vera e sincera fede, discusso da D. Cantimori, Spigolature per la storia del Nicodemismo italiano, in ID. et alii (a cura di) Ginevra e l’Italia, Sansoni, Firenze, 1959, pp. 179-190. L’anonimo autore del ms. definiva come «un secondo grado doppo il martirio» il sacrificio di coloro che rinunciavano ai loro beni per la fede. Per capirne la grandezza occorreva sperimentare cosa voglia dire «svegliere una pianta dal suo proprio e nativo terreno dov’ella è nata e allevata […] e trapiantarla in un terreno asciutto e sterile dove a pena possa nutrirsi». Ne conseguiva che «si vede bene quanti più siano quelli che, per non lassare i beni terreni eleggono di rinuntiare i celesti, che non sono quelli che facciano il contrario» da D. Cantimori, op. cit., pp. 180-1.^
25 V. Marchetti, Andrea Cardoini, cit., p. 790.^
26 A. Cardoini, Relatione, cap. 32, Forma del Governo ordinario di questa città: «Gia che fin dal principio della ribellione, diedero alla Città forma di Governo Aristocratico, misto con Democratia; onde se bene gl’huomini più eccellenti sono anteposti agl’altri ne consegli, e Magistrati, non è però, che qualunque del Popolo, che mostra prudenza, attitudine e capacità non possa sperare e prendere ogni sorta di uffizio anche di preminenza» (f. 91r.). Simili giudizi rivelano il concreto interesse dell’autore per le istituzioni ginevrine pur all’interno dell’inamovibile giudizio sulla loro illegittimità.^
27 Molto aderente ai problemi riscontrati in questa ricerca è la questione sollevata da G. Galasso, Società e filosofia nel tardo Rinascimento, in ID., Alla periferia dell’impero: il Regno di Napoli nel periodo spagnolo (sec. XVI-XVII), Torino, Einaudi, 1994, p. 131, circa l’assimilazione dell’Umanesimo nella cultura della Controriforma, e la persistente mancanza di studi complessivi sul tema. Tra i contributi sulla letteratura storica in età post-tridentina si veda S. Bertelli, Ribelli, libertini e ortodossi nella storiografia barocca, Firenze, La Nuova Italia, 1973; A. Momigliano, Storia e storiografia antica, Bologna, il Mulino, 1987; M. Firpo (a cura di), Nunc alia tempora alii mores, cit. Per un bilancio storiografico su Baronio G. Galasso, Cesare Baronio, in ID., Dalla “libertà d’Italia” alle”preponderanze straniere”, Napoli, Editoriale Scientifica, 1997, pp. 316-334.^
28 Ivi, f. 18r. (n.).^
29 G. Spini, La ricerca dei libertini: la teoria dell’impostura religiosa nel Seicento italiano, Firenze, La Nuova Italia, 1983².^
30 T. Campanella, Atheismus triumphatus, Roma, haeredem B. Zanetti, 1631. L’opera viene data alle stampe dopo una trentennale mediazione tra l’autore e i suoi censori. A Germana Ernst si deve il recupero dell’inedito manoscritto in volgare da cui ricaviamo la citazione nel testo T. Campanella, L’Ateismo trionfato ovvero Riconoscimento filosofico della Religione Universale contro l’Antichristianesimo Macchiavellesco, a cura di G. Ernst, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2004.^
31 T. Campanella, op. cit., p. 180. Sulla relazione tra profezia e politica in Campanella si rimanda a G.M. Barbuto, Savonarola, Machiavelli e la profezia politica di Campanella, negli atti del III Seminario di studi savonaroliani, Savonarola: democrazia, tirannide e profezia, a cura di G.C. Garfagnini, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 1998, pp. 149-178.^
32 T. Campanella, op. cit., p. 181.^
33 Su questi temi si veda R. De Maio, Riforme e Controriforma, in ID., Riforme e miti nella Chiesa del Cinquecento, Napoli, Guida, 1973, pp. 13-31.^
34 A. Cardoini, Relazione, cap. 15, Lettere ed ambascerie che Calvino mandava da Genevra (…), ff. 23-24.^
35 Ivi, cap. 18, Delle compositioni, e libri di Gio. Calvino, f. 27v.^
36 Ivi, cap. 19, Del falso miracolo di Calvino, f. 29v.^
37 Ivi, cap. 18, ff. 27v-28r.^
38 Su Gregorio Leti si veda G. Spini, La ricerca dei libertini, cit., pp. 261-318. Molto utili sono anche le ricerche di F. Barcia, Bibliografia delle opere di Gregorio Leti, Milano, Franco Angeli, 1983; ID., Un politico dell’età barocca, Milano, Franco Angeli, 1983; ID., G. Leti informatore politico dei principi italiani, Milano, Franco Angeli, 1987.^
39 T. Boccalini, La bilancia politica di tutte le opere di Traiano Boccalini, Castellana [Ginevra], G. H. Widerhold, 1678, 3 voll. Su questa edizione si rimanda a L. Firpo, Traiano Boccalini ed il suo pseudo- epistolario, in «Giornale storico della letteratura italiana», 119 (1942), pp. 105-129.^
40 G. Leti, Lettere di Gregorio Leti sopra differenti materie, Amsterdam, Giorgio Gallet, 1700, 2 voll.^
41 A. Cardoini, Relazione, cap. 20, Della morte, e sepoltura di Calvino e delle qualità sue, f. 30v. Si è scelto di confrontare i passi dei due autori citando Cardoini nel corpo del testo e Gregorio Leti in nota. Si confronti con G. Leti, Lettere, cit., vol. I, p. 168: «Fu Calvino d’aspetto, e di Corpo quasi difforme, con una barba che gli Italiani chiamano Caprina, volto Olivastro, e Magro; di statura bassa, poco però più del mediocre: di niuna gratia nelle sue attioni, e né suoi gesti; secco, e macilente, e di pelo negro, spalle quadre, e curve, col naso aquilino, & in somma oltre modo macilente; onde chi lo vedeva senza conoscere; & ammirare le virtù del suo animo, e la profonda dottrina del suo Ingegno, non poteva che aborrirne la vista. Il suo spirito penetrante, & acuto, pronto alle risposte, sottile né concetti, & arguto. Tutta via parlava poco, e con troppo gravità, eccetto sul Pulpito, che spesso si lasciava transportare al rigore. Sapea dissimulare meglio di qualsisia altro Huomo». Il “manoscritto Cardoino” ritorna anche tra le fonti della Historia ginevrina di Leti, Amsterdam, Pietro e Abramo von Someren, 1686, vol. II, p. 88.^
42 A. Cardoini, Ibid. Leti riprende il passo in Lettere, cit., p. 164:«Per quattro anni consecutivi gli ultimi della sua vita, benchè magrissimo di complessione fu afflitto Calvino d’asprissime Infirmità, cioè di Colica, di mal di pietra, di dolori articolari, di Morrite, d’Asma, di catarri, e di vomiti di sangue; con tutto ciò, mai si vide un’Huomo più patiente, ò che meglio di lui si rassegnasse alla volontà divina».^
43 Ibid.^
44 Ibid.^
45 G. Leti, Vita del Catolico Re Filippo II, Coligni, G.A. Chouet, 1679.^
46 P. Hazard, La crisi della coscienza europea, Torino, Einaudi, 1946, p. 32.^
47 G. Leti, Vita del Catolico Re Filippo II, cit., Lettera al Lettore.^
48 G. Leti, Lettere, cit., vol. I, p. 146.^
49 A. Cardoini, Discorso d’uno giovene della Città di Genevra, fatto per indebolire la Città di Genevra di huomini e di vettovaglie per astringerla a chiamar il loro princìpe qual è il Vescovo di dittà Città, ms. BNN X.E. 50, cc. 316-326. Il testo si presenta anonimo ma è attribuibile ad Andrea Cardoini.^
50 A. Cardoini, Responsum apologeticum ad Benedictum Turrettinum Genevae professorem ac ministrum (datato 13 agosto 1622); Id., Responsum apologeticum ad Camillum Cardoinum eius parentem Genevae (6 ottobre 1622). Entrambe le controversie si trovano in ms. BNN V.H.348. Dopo gli eventi seguiti alla pubblicazione della Istoria civile del Regno di Napoli, Pietro Giannone passò in Svizzera nel 1736, incontrando il ramo della famiglia Cardoini rimasto a Ginevra, P. Giannone, Vita scritta da lui medesimo, a cura di F. Nicolini, Napoli, L. Pierro, 1905, p. 362.^
51 La carta di Ginevra si trova in ms. Biblioteca Nazionale di Napoli X.F.2, f. 99.^
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