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Terremoti e società: il ruolo dell’Ingegneria
di Salvatore D'Agostino
Premessa

Fin dalla più remota antichità un terrore religioso ha accompagnato i terremoti, considerati come un flagello divino. Si è dovuto attendere il fiorire del Rinascimento nel XVI secolo perché si sviluppassero riflessioni razionali sulla natura dei terremoti, sulle loro drammatiche conseguenze e sulla capacità dell’uomo di limitarne, se non eliminare, gli effetti catastrofici.
Nell’ultimo secolo si sono andati intensificando i percorsi scientifici della sismologia e dell’ingegneria sismica, che, peraltro, non sono ancora in grado di individuare date e luoghi degli eventi sismici, ma solo il loro probabile periodo di ritorno. Inoltre nella seconda metà del secolo scorso si è sviluppato, proprio nel nostro paese lo studio sistematico degli eventi sismici e della loro ricaduta sulla società. Queste ricerche hanno sottolineato la continuità di tali eventi in Italia, l’impossibilità dello Stato di attuare una prevenzione sistematica e tanto meno ricostruzioni rapide che non lacerassero pesantemente il tessuto sociale ed economico di intere regioni. Mentre però scienza e tecnica vanno sviluppando idonei criteri per la prevenzione e la limitazione dei danni sismici, la società nel suo complesso stenta a prendere coscienza di un problema che si presenta ciclicamente ed è destabilizzante, vuoi per rilevanti insiemi di popolazione, vuoi per ampie zone territoriali. Tutto ciò comporta un grave problema per gli Stati sui quali si tende a far ricadere la responsabilità dell’emergenza e gli oneri della ricostruzione.
In questo contesto, l’ingegneria dovrebbe giocare un ruolo di grande rilievo, che, al contrario, allo stato, si riduce alla gestione tecnica della ricostruzione post-sismica e più recentemente alla progettazione delle nuove costruzioni con criteri antisismici. In effetti essa dovrebbe farsi portatrice di una cultura tecnica degli eventi sismici presso tutti i cittadini, mostrando come il sisma stesso sia un fenomeno ricorrente a ciclo breve già rispetto alla vita umana, ma ancor più rispetto a quella proprietà immobiliare che si vorrebbe stabile e a durabilità infinita. Al contrario la nuova edilizia è da considerarsi sempre più un prodotto industriale cui solo una corretta e sistematica manutenzione può garantire nel caso di evento sismico, una limitazione di danno.
È necessario pertanto prepararsi culturalmente ad una nuova concezione del diritto di proprietà ed alle responsabilità che tale diritto comporta. L’ingegneria dovrebbe elaborare un progetto perseguibile per la conoscenza diffusa del territorio e l’avvio di un processo di conoscenza e manutenzione dell’edilizia corrente, nonché delle emergenze monumentali ed archeologiche.
Si illustra in maniera sintetica la problematica esposta nella sua evoluzione storica, indicando poi le prime linee guida per uno sviluppo consapevole e responsabile della conservazione del patrimonio costruito.



I terremoti nell’antichità

È ormai nota l’evoluzione geomorfologica del nostro pianeta caratterizzata da ciclici eventi sismici di intensità molto diverse, e con epicentri a profondità molto variabili. Solo una modesta quantità di eventi sismici viene avvertita dall’uomo, da sempre terrorizzato dal terremoto che destabilizza il territorio, modificando spesso in modo traumatico l’orografia stessa dei luoghi1.
È evidente che un simile trauma nell’antichità non poteva che essere interpretato come una violenta punizione divina. Nell’interpretare il sisma in una visione escatologica l’umanità si sentiva colpevole del suo stesso disastro. Ciò comportava preghiere e riti propiziatori alla divinità ed un senso di espiazione per i propri peccati; Se, però, questa credenza fa parte della storia antica, il terrore è restato sempre presente, così come gli atteggiamenti verso la catastrofe indotta.
Ogni insediamento umano ha sempre stabilito un forte rapporto con il proprio territorio che ne condiziona il lavoro produttivo, le abitudini e i comportamenti. Pertanto, nonostante distruzioni, anche gravi, l’abbandono del sito terremotato è stato da sempre vissuto come una tremenda tragedia collettiva che si cerca di evitare anche con lunghi periodi di sacrifici per gli elevati costi sia delle ricostruzioni, sia della ricomposizione del territorio, sia ancora del tessuto socio-economico.
Un altro assioma permanente, nella dinamica tra evento sismico e danni al patrimonio costruito, riguarda la qualità delle costruzioni: ieri come oggi un tessuto costruttivo povero o fatiscente viene gravemente dissestato e distrutto, mentre costruzioni architettonicamente rilevanti, realizzate con ottimi materiali messi in opera con tecniche spesso sofisticate, subiscono dissesti ben più limitati. In maniera sintetica può affermarsi che la “monumentalità” di una costruzione costituisce una intrinseca prevenzione sismica. Ne sono testimonianza gli infiniti monumenti spesso millenari che pur con restauri, rifacimenti e parziali ricostruzioni continuano a testimoniare le grandi civiltà succedutesi nei secoli. Si pensi ai meravigliosi templi di Paestum, soggetti ad una vulnerabilità sismica di media intensità, ma ad un più che millenario abbandono, giunti a noi in una integrità quasi perfetta. Il tempio di Hera sul promontorio di Crotone, zona ad elevata sismicità, fu depredato in epoca romana dei suoi marmi, mentre le sue colonne ben più tardi furono reimpiegate nel vicino Duomo e, in maniera ben più rozza, per la costruzione di scogliere; una sola colonna svetta isolata sul promontorio e sfida ancora sismi e violente tempeste. Molto si è detto sul crollo dei templi di Selinunte a causa dei terremoti, ma gli studi recenti tendono a collocare i crolli almeno nel periodo della dominazione fenicia, quando i templi avevano subito con ogni probabilità, abbandono e spoliazioni. E così la presenza del Colosseo nel cuore di Roma testimonia, al di là di mutilazioni e spoliazioni, anche la capacità di resistenza ai forti sismi che, sia pure con cadenza plurisecolare, hanno colpito la città. Un discorso ben diverso riguarda il tessuto costruttivo diffuso nell’antichità, e qui, ancora una volta un caso emblematico è costituito da Pompei. La città fu colpita nel 62 d.C. da un forte terremoto vulcanico che fu un avviso premonitore della grande eruzione del 79 d.C. Nel 62 la città vesuviana, pur caratterizzata da un tessuto edilizio poco elevato e di buona fattura, subì danni gravi e diffusi che misero in difficoltà la sua economia. E proprio la ricostruzione storica delle vicende pompeiane tra il 62 d.C. e le fasi successive al seppellimento della città sono ancora oggetto di studi di grande complessità, testimoniando così quanto i ruderi archeologici siano monumenti della storia dell’umanità e documenti materiali di quell’“archivio di pietra” che costituisce l’archivio storico di una nuova scienza, l’archeosismologia.
Dopo il 62 d.C. la ricostruzione procedette a Pompei con lentezza, reimpiegando anche materiali di risulta, cosa del tutto eccezionale in età romana, quando il riutilizzo dei materiali delle demolizioni era assolutamente vietato. Allora come oggi si riscontrarono interventi privati a sostegno delle comunità, ed a Pompei il tempio di Iside fu completamente ricostruito a spese di un privato, utilizzando nuove tecniche edilizie, come l’uso intensivo di mattoni, che garantivano un miglioramento strutturale, Comunque la città rimase fortemente segnata proprio nella sua configurazione socio-economica fino al tragico evento che la seppellì.
Il potere pubblico non sostenne le attività produttive, ma si impegnò solo per alcuni edifici quali la Curia, l’Odeion e l’Anfiteatro. In definitiva nel dramma di una città florida e ben organizzata si riscontrano già tutti i temi che si presentano in una città moderna piagata dal sisma: faticose e lunghe ristrutturazioni, cambiamenti di destinazione d’uso, impoverimenti, arricchimenti e inevitabili speculazioni.2



La prevenzione sismica nell’età moderna

In età moderna la tradizione costruttiva antica si articola in forme diverse, espressioni delle diverse civiltà, realizzando un articolato tessuto costruttivo punteggiato da Palazzi, Chiese, Mura, Castelli, Torri, etc., che caratterizzano lo sviluppo delle città moderne giunte sino a noi. Ancora una volta è la “monumentalità” delle grandi costruzioni civili e religiose, per non parlare di quelle di difesa, a promuovere una prevenzione sismica intrinseca che consentiva alla maggior parte degli edifici di subire danni riparabili ad ogni terremoto. È, in buona sostanza, questa storia materiale che ha consentito alle numerosissime città di tramandare la loro peculiare immagine attraverso i secoli.
L’evoluzione culturale, abbandonata la credenza religiosa, alimenta ipotesi più naturali sugli eventi sismici che si crede siano provocati da forti venti che scuotono le cavità sotterranee.
Nel contesto europeo si deve a Pirro Logorio la prima visione tecnicoscientifica sull’osservazione degli eventi sismici ed in particolare sui danni indotti, e le ristrutturazioni necessarie, fino al progetto di una casa antisismica3. Questa casa, progettata dopo una lunga osservazione dei danni prodotti a Ferrara dal terremoto del 1596, presenta già una serie di concetti fondamentali proprio della moderna ingegneria antisismica quali: l’altezza ridotta, la pianta compatta e simmetrica, un rilevante spessore delle murature che presentano tra loro robusti ammorsamenti.
Inizia così, in particolare per quanto riguarda l’edilizia corrente, un impegno tecnico nella realizzazione di case antisismiche. In Calabria dopo il sisma del 1638, si realizzano case baraccate e case intelaiate4.
Le prime si diffondono all’Aquila dopo il terremoto del 1703 e la loro capacità di resistenza al sisma viene ancora apprezzata, dopo il tragico terremoto del 1908 che colpì Messina e Reggio Calabria, dalla Commissione nominata dal Governo per «studiare e proporre norme edilizie obbligatorie per i comuni colpiti dal terremoto». Questo tipo di edificio viene meglio definito dopo il terremoto del 1783 con il trattato di Giovanni Vivenzio5, mentre del 1784 sono le “Istruzioni reali del Governo Borbonico”, che si ispirano alle norme emanate dopo il tragico terremoto di Lisbona del 1755. Soluzioni simili si trovano anche nel trattato del Milizia6, che, come sottolineato da S. Di Pasquale, precorre le più recenti tecniche d’isolamento sismico, proponendo di eliminare ogni solidarietà tra la scatola rigida dell’edificio e la sua fondazione.
Ormai l’ingegneria ha affrontato il problema delle tecniche antisismiche, ma ciò non avrà una significativa incidenza nella pratica edilizia perché il terremoto viene avvertito dalla società come una tragica occasionale catastrofe che si tende ad esorcizzare. E così, mentre ad ogni terremoto si decretano norme e regolamenti, di fatto esse finiscono con l’incidere poco sul tessuto edilizio. Così avvenne per il terremoto di Casamicciola nell’isola d’Ischia del 1883, per il terremoto ligure del 1887, per quello che colpì Sicilia e Calabria nel 1894 ed ancora per il terremoto calabrese del 1905.



Il XX secolo: il terremoto come calamità nazionale

Fu il terremoto che colpì Messina e Reggio Calabria nel 1908 ad essere assunto a calamità nazionale. Questo immane disastro, ancora ad un secolo di distanza è oggetto di complesse ricerche7.
Prima del terremoto Messina svolgeva un ruolo di rilievo nel Mediterraneo e si configurava come un grande emporio marittimo e commerciale. Il tragico evento determinò una frattura storica. Si era determinata, infatti, una deviazione nella configurazione socio-economica della città che aveva trasformato «il grande emporio marittimo commerciale» in un agglomerato di case, botteghe ed uffici dipendenti dalla spesa pubblica.
La situazione di estremo disagio durò molto a lungo, anche per il sopraggiungere della prima guerra mondiale, e gli scontri tra forze politiche e clientele locali che resero vane le iniziative legislative. Di fatto dopo quindici anni dal terremoto molte migliaia di famiglie continuavano a vivere in baracche. È solo con il 1923 che si determina una significativa ripresa edilizia dovuta a decreti legge che favorirono l’edilizia privata che si sviluppò in modo tanto convulso da indurre dopo pochi anni decreti restrittivi.
In seguito ad un così terribile disastro si svilupparono studi e normative, e nel 1915 fu pubblicato un trattato di costruzioni antisismiche, preceduto da un corso di sismologia. Questo trattato ancora oggi resta molto importante sia per la lettura dell’edilizia tradizionale sia per il suo comportamento in caso di sisma8.
Intanto gli eventi sismici si ripetevano con sistematica frequenza e si vuole qui ricordare quello che nel 1930 colpì la Campania e la zona urbana di Napoli; fu in effetti l’ultimo terremoto che colpiva una città a prevalente edilizia storica per la cui ricostruzione gli ingegneri usarono ancora diffusamente le tecniche tradizionali.
Fu tra la fine dell’800 e i primi decenni del nuovo secolo che maturò la più grande rivoluzione costruttiva che la storia ricordi. Per le grandi coperture, per i ponti, e ancora per edifici molto innovativi e di particolare pregio si cominciò ad utilizzare l’acciaio, ma la vera rivoluzione avviene con il progressivo sviluppo del calcestruzzo armato. Questo nuovo materiale, dopo aver segnato in Italia la cosiddetta architettura fascista, dilaga e si diffonde su tutto il territorio dopo la fine della seconda guerra mondiale, in un tessuto edilizio di modesta qualità che riconfigura i centri storici italiani, e successivamente si svilupperà in estesi agglomerati che costituiscono le megaperiferie che oggi attanagliano gli antichi centri storici.
In questo affannoso sviluppo il sisma viene di fatto dimenticato, le zone sismiche sono molto circoscritte e l’ingegneria strutturale mette a punto tecniche di calcolo che tengono gereralmente conto dei soli carichi verticali, trascurando di solito anche l’azione del vento.
Ma il sisma colpì prima due zone del paese agli antipodi tra loro: la valle del Belice nel 1968 e il Friuli nel 1976 e poco dopo, nel 1980-81, si verificò il disastroso terremoto dell’Irpinia-Basilicata che flagellò grandi centri urbani quali Napoli, Salerno, Avellino, Benevento, Potenza.
Nel 1997 sono l’Umbria e le Marche ad essere colpite e infine nel 2009 l’Aquila. In quaranta anni si verificano così in Italia ben cinque terremoti disastrosi alla media di un sisma ogni otto anni. Ciò determina, a partire dai primi anni ’80, l’intensificarsi di studi e ricerche, l’estensione della sismicità a quasi tutto il territorio nazionale e il susseguirsi di numerose normative strutturali. Tuttavia, essendo prevalsa in quegli anni una visione culturale di Stato assistenziale in caso di sisma, ci si ritrova sempre in grandi difficoltà, nonostante cospicui sforzi economici, con grande frustrazione dei cittadini e un persistente affarismo degli speculatori.
È ben nota la tormentata storia di tutte le ricostruzioni; solo per il terremoto del Friuli la Regione dichiarò chiusa la ricostruzione nel 1996 e cioè a venti anni dal sisma. Per tutte le altre c’è stato solo un lungo trascinarsi.
Per la valle del Belice, sia pure con lodevoli intenzioni, fu imposto l’abbandono di paesi antichi tentando di promuovere uno sviluppo mai realizzato. La ricostruzione del terremoto dell’Irpinia-Basilicata dell’80 è stata caratterizzata da sprechi e speculazioni, dalla realizzazione di agglomerati dormitorio che affliggono la periferia napoletana, e dal diffuso massacro di monumenti, attraverso un devastante consolidamento9. Il sisma del 1997 che colpì Umbria e Marche convinse perfino i tecnici più riluttanti a riconoscere i danni indotti dalle protesi di calcestruzzo armato nell’edilizia storica10. La ricostruzione dell’Aquila resta un doloroso problema aperto11. Tutte queste vicende, in un secolo che ha visto la società progredire come non mai sul piano dello sviluppo tecnologico, sono costate all’Italia circa 200 mila vittime e un pauroso impegno economico dello Stato senza che le popolazioni colpite fossero state pienamente risollevate. Al contrario si sono diffuse nella società frustrazioni e delusioni, con l’amaro sentimento che il terremoto lasci segnata profondamente la società civile mentre determina di fatto un lucroso arricchimento per molti addetti ai lavori.



La lezione della Storia che guarda al futuro

Come si rileva dalle precedenti analisi il terremoto è un flagello periodico che affligge gran parte dell’umanità e che generalmente viene esorcizzato considerandolo un evento eccezionale e non prevedibile, i cui effetti catastrofici si tende a riversare sulle comunità. Per ridurre i danni sia nell’emergenza, sia nella ricostruzione, è indispensabile sviluppare nella società una adeguata cultura della prevenzione la cui formulazione non può che essere compito dell’ingegneria.
È ben evidente che tale cultura incontrerà notevoli difficoltà a radicarsi in un paese nel quale il bene per eccellenza è la proprietà immobiliare ritenuta di fatto di durabilità infinita, specialmente in un momento storico in cui la speculazione finanziaria altera il valore reale dei beni. D’altro canto però tale cultura, se opportunamente elaborata e diffusa, potrebbe avviare una inversione di tendenza rispetto all’attuale degrado dell’edilizia vuoi storica, vuoi moderna.
Va innanzi tutto rilevato che il “monumento Italia”, faro indiscusso dell’evoluzione della cultura occidentale negli ultimi due millenni, è caratterizzato da una infinità di centri storici minori e maggiori, tutti testimonianza materiale del procedere della civiltà. Essi costituiscono la struttura materiale inalienabile del Paese che incide profondamente sulle radici culturali e socio economiche delle diverse regioni, le quali tutte si raccolgono in quella conurbazione di storia e di arte alla quale guarda ammirato il mondo occidentale, e non solo, per ricercare le radici profonde di un lungo cammino. Di qui la necessità di un rispetto profondo per il patrimonio storico che occorre conservare a lungo e documentare al massimo. In tale patrimonio si distinguono i complessi monumentali, testimonianze di una storia plurisecolare di tante vicende tra le quali le emergenze sismiche e belliche; la loro conservazione è un problema che l’ingegneria non può affrontare con superficialità. Ciò in particolare riguarda i siti archeologici nei quali la storia materiale rappresenta la loro stessa essenza di documenti-monumenti. La loro conservazione non può essere inficiata né da presunte esigenze di sicurezza, né da tecnologie tanto innovative quanto invasive, né ancora da contingenti utilizzazioni che ne mortificano i valori culturali e storici di cui sono i soli portatori.
Questo immenso patrimonio che innerva le complesse radici della cultura umanistica non può che essere documentato e conservato dalla cultura tecnico-scientifica. È quindi indispensabile un confronto ravvicinato cui in particolare l’ingegneria non può sottrarsi essendo responsabile della sicurezza e quindi della conservazione.
È da sottolineare che problemi ugualmente complessi riguardano l’edilizia moderna nella quale vive la maggior parte dei cittadini. Su tutta questa complessa materia l’ingegneria è chiamata con urgenza ad elaborare una cultura della prevenzione-conservazione che si configuri in un grande progetto operativo che, sia pure per gradi, coinvolga cittadini ed istituzioni, affinché non si attenda in maniera passiva il prossimo sisma, le prossime vittime, le solite devastazioni e le consuete speculazioni.



Sismologia e ingegneria sismica

Negli ultimi decenni sia la sismologia sia l’ingegneria sismica hanno compiuto notevoli progressi. La sismologia ha svolto ricerche di grande rilevanza mettendo a punto modelli sulla costruzione ed evoluzione della crosta terrestre e di conseguenza sulla natura e sull’azione dei terremoti, definendo in maniera puntuale la sismicità di ogni luogo.
Sull’abbrivio di una più complessa sensibilità per la storia materiale si è sviluppata la sismologia storica che ha elaborato i cataloghi dei terremoti storici e degli eventi estremi, consentendo di individuarne i probabili periodi di ritorno. Nel nostro paese è presente l’Istituto di Geofisica e Vulcanologia che, unitamente ad un rilevante gruppo di studiosi, ha consentito all’Italia di attingere un ruolo di primaria importanza nella ricerca mondiale. La sismologia quindi, oltre a dare un singolare contributo alla storia sociale del paese, fissa per ogni regione la pericolosità sismica ed i probabili cicli di ritorno.
L’ingegneria sismica ha il compito di preservare, per quanto possibile, il territorio ed il costruito dagli effetti degli eventi catastrofici. A tal fine essa elabora strategie di prevenzione e normative cogenti alle quali uniformare il processo costruttivo. Ovviamente tali normative sono frutto di un processo scientifico in itinere e pertanto soggette a cicliche revisioni anche significative. Con riferimento all’Italia fino agli ultimi anni ’80 zone estremamente modeste del territorio nazionale erano individuate come zone sismiche. Oggi la quasi totalità del territorio italiano è dichiarata sismica e quindi la normativa sismica è cogente quasi dovunque. Inoltre tale normativa è stata più volte sostanzialmente modificata, per cui solo il costruito realizzato con l’ultima normativa è a norma di legge e solo in attesa della prossima edizione.
Da un punto di vista del tutto teorico, tutta l’edilizia andrebbe soggetta a ciclici adeguamenti al variare della normativa, il che si configura come un assurdo storico-sociale.
In effetti solo le più recenti normative danno indicazioni sulle costruzioni esistenti non progettate in zona sismica, ma il problema fu ben affrontato già con la normativa del 1986 nella quale si introduceva il concetto di miglioramento, escludendo l’adeguamento per le costruzioni esistenti purché per l’immobile fossero rispettate precise restrizioni con riferimento alla sua trasformazione e fruizione. Il miglioramento, nella sua formulazione originaria, escludeva le verifiche sismiche, lasciando al progettista la piena responsabilità dell’intervento. Le ultime normative al contrario impongono una valutazione numerica del miglioramento senza che i parametri dell’edificio migliorato raggiungano il valore unitario con il quale si attinge l’adeguamento12.
Si ritorna così ad una valutazione comunque discrezionale e peraltro, in caso di sisma e di danni rilevanti, la magistratura potrà comunque domandare perché ci si è fermati ad una certa soglia senza incrementare maggiormente il miglioramento.
Ciò che deve prevalere al di là di tutte le normative è l’avvio sistematico vuoi di una cultura degli eventi estremi, e quindi in particolare della sismologia, vuoi di una cultura della proprietà, che va opportunamente conservata e migliorata, per cui è indispensabile una manutenzione programmata che comporta rilevanti oneri.
In un momento di grave crisi economica si continuerà ad attendere passivamente il nuovo sisma e lo Stato affronterà alla meno peggio la situazione di emergenza lasciando per anni una regione del paese piagata dal disastro. Bisogna invece prendere coscienza del problema e promuovere lo studio di un progetto economico che, con un limitato ma costante impegno di tutti i proprietari accumuli in una Cassa di Risparmio per l’edilizia i depositi destinati per legge alla manutenzione e quindi al miglioramento, ed alla quale si possa attingere vuoi nell’emergenza, vuoi per la manutenzione programmata. Solo in questo modo si conserverà al meglio il patrimonio esistente e si limiteranno i disastri prossimo-venturi. Questa proposta in un momento storico nel quale la proprietà immobiliare è penalizzata da rilevante tassazione, può apparire impropria, ma il problema va posto. È evidente che si possono ideare diverse soluzioni per l’accumulo di somme destinate alla manutenzione, ma sembra incauto far riferimento ad istituti assicurativi che in caso di sisma non riuscirebbero a far fronte ai bisogni della comunità colpita.
Purtroppo quasi sempre, ma ancor più negli ultimi decenni, l’ingegneria vuoi nei processi di prevenzione, vuoi in quelli di ristrutturazione post sismica, ha svolto un oneroso ruolo di servizio, lasciando alle competenze economico-politiche scelte fondamentali per le strategie di intervento, prevalentemente fondate su contingenti esigenze, spesso in antitesi con il rapporto storico tra società e territorio.
L’Ingegneria al contrario può e deve acquisire una strategia per la conservazione del costruito, fondata su una cultura storica, che riesca a coniugare insieme esigenze sociali e tecniche. In effetti si tratta di diffondere nel paese la necessità improrogabile di una cultura della manutenzione e della prevenzione, unici baluardi contro una inarrestabile condizione di degrado del patrimonio immobiliare e territoriale italiano. Peraltro non si tratta di acquisire nuove valenze culturali ma, guardando alle numerose ricerche storiche svolte negli ultimi decenni e ancora confinate nel mondo degli specialisti, diffondere in tutto il tessuto sociale, concetti e pratiche già noti e operanti in altri settori. La strategia che si propone si articola in:
• un progetto per la conoscenza
• un progetto per il miglioramento
• un progetto per l’emergenza



Il progetto per la conoscenza

Nella società italiana il patrimonio immobiliare è considerato il bene supremo del paese. Il diritto di proprietà ha una forza cogente che tende ad oscurare gli altri diritti, spesso ponendosi in un’antitetica conflittualità con essi, quali il diritto del controllo statale e dello sviluppo armonico del territorio.
Nella cultura italiana inoltre la proprietà immobiliare è assoluta e a durabilità infinita. Questa concezione di fatto sancisce un diritto di veto sia nelle proprietà condominiali sia nei confronti di soggetti terzi. Tutto ciò era congeniale con il costruito storico dalla vita plurisecolare, alterabile solo da funesti cataclismi quali i terremoti, gli incendi o le guerre, avvertiti generalmente come calamità sovrannaturali. Stante la concezione costruttiva antica fondata su regole dell’arte e realizzata con materiali tradizionali, una conoscenza sommaria dell’arte del costruire era molto diffusa e ciò in generale consentiva agli stessi utenti, ed in particolare alle grandi proprietà immobiliari, di avvertire la necessità di interventi di manutenzione vuoi ordinaria, vuoi straordinaria.
Con l’avvento dell’edilizia moderna e della drastica suddivisione della costruzione in struttura, realizzata generalmente in calcestruzzo armato o in acciaio, e finiture prodotte in serie dall’industria edilizia, le tecniche costruttive sono diventate patrimonio esclusivo di tecnici specialisti (ingegneri, architetti, geometri). Purtroppo con l’avvento della scienza e della tecnica delle costruzioni l’antica cultura del costruire è stata totalmente dismessa, e così le ultime generazioni che abitano l’edilizia storica sono incapaci di valutarne lo stato di degrado senza ricorrere ai tecnici, i quali peraltro cercano di interpretare l’antica concezione costruttiva con metodologie e schematizzazioni proprie della nuova tecnologia.
La profonda discrasia tra edilizia antica e moderna fu prontamente colta dal legislatore che rese giuridicamente responsabile il progettista di opere strutturali e sancì l’obbligo di deposito degli elaborati tecnici agli uffici prima delle Prefetture e poi del Genio Civile, istituendo anche l’obbligo di collaudo preliminare alla licenza di abitabilità. Questa procedura che investe gli organi tecnici dello Stato del potere di controllo si presenta ineccepibile, ma ha dimostrato nel tempo un grave limite: l’estrema difficoltà, quanto non l’impossibilità, di poter disporre in tempi brevi della documentazione tecnica relativa ad un edificio. Ciò è dovuto alla quantità enorme di materiale da archiviare, alla inadeguatezza degli archivi, ai cambiamenti istituzionali che periodicamente modificano le diverse competenze, ed ancor più ad eventi bellici e dissesti naturali. Si determina così un grave distacco spazio-temporale tra l’edificio e la documentazione tecnica indispensabile alla sua conoscenza. Non solo, ma è evidente che la storia di un edificio è complessa e determina comunque nel tempo alterazioni e modifiche le quali, pur riguardando elementi cosiddetti accessori quali tramezzature, servizi tecnici, impianti, etc., oltre beninteso alle più diverse cause di degrado, possono comunque influenzare non solo la qualità del complesso edilizio, ma anche il suo comportamento strutturale.
Purtroppo è doveroso constatare che questa paradossale situazione non riguarda solo l’edilizia residenziale ma anche quella pubblica, spesso quella industriale e perfino l’edilizia storica ed i complessi monumentali. Parallelamente lo Stato, sull’abbrivio di più approfondite conoscenze geosismiche, ha esteso la zonazione sismica, promulgando specifiche normative dettate dall’ingegneria strutturale, aventi l’imperio della legge, che vengono peraltro rivisitate in maniera significativa con particolare frequenza.
Stante i costi proibitivi di interventi efficaci, fatti salvi sporadici episodi gestiti dallo Stato, la prevenzione sismica è così, di fatto, pressocchè inesistente.
D’altronde è già stato messo ben in evidenza quanto il terremoto sia storicamente percepito come evento del tutto eccezionale i cui danni dovrebbero ricadere sulla comunità tutta. Ma la comunità tutta ha il dovere di acquisire una compiuta conoscenza del patrimonio immobiliare, continuamente aggiornata. Ciò non può che essere richiesto ai diretti proprietari degli immobili, siano essi lo Stato, gli Enti, le Società, i privati. Tutto ciò è stato intuito e teorizzato già da alcuni decenni, ma il più concreto tentativo attuato con l’elaborazione di un “libretto del fabbricato” non ha di fatto portato ad alcun risultato concreto. Ciò è accaduto perché non è possibile riportare un problema così vasto e complesso ad un unico modello e questa discrasia tra elaborazione tecnica e società è peraltro già avvenuta con i tentativi di definire una tipologia unica di scheda per la valutazione della vulnerabilità sismica del costruito, tentativi che hanno peraltro occupato numerose ricerche accademiche.
Per affrontare in maniera cogente il grave problema della conservazione del patrimonio costruito bisogna quindi affrontare il problema della conoscenza, che deve essere puntualmente articolato per ciascun immobile e i cui oneri non possono che ricadere sulla proprietà dell’immobile stresso, sia essa pubblica sia privata.
A tal fine è indispensabile che la proprietà di ogni complesso immobiliare si affidi ad un tecnico di fiducia il quale in un arco di tempo al massimo biennale produca: il rilievo architettonico, con l’ubicazione delle utenze e degli impianti, una relazione generale sulla storia del complesso che ne illustri le eventuali trasformazioni, una relazione tecnica che illustri la tipologia strutturale, i materiali, la tipologia delle finiture, la tipologia degli impianti, lo stato di conservazione dell’immobile e le tipologie di degrado esistenti, anche con riferimento alle normative di legge. La documentazione acquisita deve essere conservata a cura dell’amministratore e deve essere immediatamente accessibile ai tecnici in caso di eventi estremi.



Il progetto per il miglioramento

Una volta acquisita la migliore conoscenza dell’immobile, tenendo anche conto dell’onere economico che tale conoscenza comporta, si pone il problema di realizzare un significativo miglioramento vuoi strutturale, vuoi impiantistico, vuoi tecnologico.
Stante i rilevanti oneri che un miglioramento globale comporta, sarà necessario quasi sempre procedere per gradi, imponendo però una revisione del dossier sulla conoscenza con cadenza quinquennale e comunque quando si eseguono lavori di qualche rilevanza.
Quando si sia acquisita una buona conoscenza dell’immobile è possibile redigere un progetto generale di miglioramento che può essere attuato per stadi successivi, privilegiando le più urgenti necessità della sicurezza. È importante che, redatto un progetto generale, quando si determinano lavori parziali quali, ad esempio, la ristrutturazione di un appartamento o di un negozio, tali lavori siano inquadrati nel progetto generale.



Il progetto per l’emergenza

Sia lo Stato che i cittadini tutti devono prendere coscienza che l’emergenza da sisma è un grave evento ricorrente che in media ogni dieci anni colpirà una regione d’Italia. È opportuno quindi predisporre in primo luogo un piano regionale per l’emergenza sismica che deve essere pienamente recepito e partecipato dai cittadini. Un precedente metodologico può essere individuato nel piano per l’evacuazione dei Comuni della zona rossa vesuviana in caso di eruzione. Il piano, coordinato dalla protezione civile, deve rendere responsabili e partecipi cittadini e istituzioni. Il piano di ciascuna regione è correlato a quello delle regioni limitrofe con criteri di reciprocità in modo da consentire una delocalizzazione degli sfollati il più possibile vicini ai luoghi del disastro. La grande disponibilità dei volontari deve essere schedata e resa operativa secondo una strategia organizzata e centralizzata.
Sono solo concetti sommari da sviluppare compiutamente. Ma essi indicano che il sisma è una realtà ciclica nei confronti della quale è necessaria una complessa organizzazione preventiva.



Conclusioni

Un paese culturalmente e socialmente evoluto, che aspira ad una funzione centrale nella Comunità Europea, deve “saper ricordare” e trarre dagli insegnamenti della Storia i punti cardinali per orientare le strategie di sviluppo.
Un paese fortemente sismico come l’Italia, che nel contempo deve conservare la profonda identità dei suoi centri storici, è chiamato con urgenza ad elaborare un grande progetto per la conservazione del patrimonio costruito. A questo enorme compito l’ingegneria deve dare un contributo fondamentale ed esclusivo, facendosi, in tempi rapidi, promotrice di una diffusa cultura della prevenzione.
In tal modo sarà possibile elaborare un piano nazionale che promuova la capillare conoscenza del patrimonio costruito, e nel contempo una efficace strategia economica, vuoi per la prevenzione, vuoi per le emergenze che si presenteranno nel futuro prossimo. È questo un grande obiettivo per il quale è impegnata la società tutta, ma in particolare il pianeta Ingegneria con le sue Istituzioni.







NOTE
1 E. Guidoboni (a cura di), I terremoti prima del mille, Bologna, S.G.A., 1989; E. Guidoboni, A. Camastri (a cura di), Catalogue of earthquakes and tsunamis in the Mediterranean area from 11th to the 15th century, Bologna, S.G.A., 2005; E. Guidoboni, E. Ebel John, Earthquakes and Tsunamis in the Past, Cambridge New York, University Press, 2009 E. Guidoboni, G. Valensise, Il peso economico e sociale dei disastri sismici in Italia negli ultimi 150 anni (1861-2011), Bologna, Bononia University Press, 2011.^
2 A. Maiuri, L’ultima fase edilizia di Pompei, Roma, 1942. I.P. Adam, L’arte di costruire presso i Romani, Milano, 1990. Zeri F., Pompei prima e dopo l’eruzione, in “Studi in onore di Umberto Scerrato”, Napoli, 2003.^
3 E. Guidoboni (a cura di), Pirro Ligorio, Trattato dei forti terremoti, cod. XXVIII delle antichità romane (1571), Archivio di Stato di Torino, 2005.^
4 C. Barucci, La casa antisismica prototipi e brevetti, Roma, Gangemi Ed., 1990.^
5 G. Vivenzio, Storia e teoria dei terremoti in generale, ed in particolare di quelli della Calabria e di Messina del 1783, Napoli, 1783.^
6 F. Milizia, Principi di architettura civile, Finale, 1781.^
7 G. Bertolaso et al. (a cura di), Il terremoto e il maremoto del 28 dicembre 1908, Roma, IMGV, 2008.^
8 F. Masciari Genovese, Trattato di costruzioni antisismiche, Milano, Hoepli, 1915.^
9 I.C.R., La protezione del patrimonio monumentale dal rischio sismico, Roma, 1983 Comitato Nazionale per la Prevenzione del Patrimonio Culturale dal rischio sismico istituito dal Ministero dei Beni Culturali e dal Dipartimento della Protezione Civile:”Interventi sul patrimonio monumentale la tipologia specialistica in zone sismiche: raccomandazioni” 18.07.1986, n. 1032; Direttive per la redazione ed esecuzione di progetti di restauro comprendenti interventi di “miglioramento” anti-sismico e “manutenzione” nei complessi architettonici di valore storico-artistico in zona sismica; Decreto Legislativo 29/10/1989 n. 8 – Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali D.L. 29/10/96 n. 490. F. Cairoli Giuliani, M. L. Conforto, S. D’Agostino, M.G. Filetici, E. Guidoboni, R. Parenti, P. Verduchi: The conception of building in ancient architecture and the rules of the art, STREMAH 2007, VIT Press, vol. 95, pp. 599-609 S. D’Agostino, M. Bellomo: Seismic Risk and conservation of architectural heritage in the Mediterranean Basin, STREMAH 2007, VIT Press, vol. 95, pp. 611-620; S. D’Agostino, F.C. Giuliani, M.L. Conforto, E. Guidoboni, Raccomandazioni per la redazione di progetti e l’esecuzione di interventi per la conservazione del costruito archeologico, Napoli, Cuzzolin Ed., 2009. S. D’Agostino, Ingegneria e Beni Culturali: una storia difficile, Atti 2° Convegno Nazionale di Storia dell’Ingegneria, Napoli, Cuzzolin Ed. 2010, pp. 73-86; G. Calabresi, S. D’Agostino, La responsabilità dell’Ingegneria nella Conservazione dei Beni Culturali, ARCo Responsabilità nella Conservazione del Costruito Storico, Roma, Gangemi Editore, 2011 pp. 115-122.^
10 Aa.Vv., Manuale per la riabilitazione e la ricostruzione postsismica degli edifici, Regione Umbra, Roma, DEI, Tip. Del Genio Civile, 1999. G. Cangi, Manuale del recupero strutturale e antisismico, Roma, DEI, Tip. Del Genio Civile, 2005.^
11 F. Erbani, Il Disastro, L’Aquila dopo il terremoto: le scelte e le colpe, Bari-Roma, Laterza, 2010.^
12 S. D’Agostino: Il concetto di miglioramento e la sua evoluzione nella valutazione della sicurezza del patrimonio architettonico, in Atti VI Convegno Nazionale ARCo, “Quale sicurezza per il patrimonio architettonico?”, Mantova, 30/11 - 2/12 2006, Roma, Nuova Argos, 2007, pp. 57-69.^
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