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Ultime dalla Lega
di Giuseppe Galasso
La domanda che subito, in maniera molto sintetica, ma anche sostanziale ed esauriente, è più o meno questa: la Lega Nord è finita? È cessata per essa la possibilità di avere nel gioco politico italiano la parte, così rilevante che ha avuto negli ultimi venti o venticinque anni?
È quel che sembrano credere in molti. E lo pensano, naturalmente, nella scia degli scandali che hanno posto fina alla monarchia di Umberto Bossi sulla stessa Lega, e nella scia, altresì, dei risultati delle ultime elezioni amministrative, che ne hanno visto talora più che dimezzarsi le percentuali che la Lega costantemente confermava, frazioni in più, frazioni in meno, a ogni turno elettorale.
Se è così, bisognerebbe ampiamente tornare e ritornare su questo giudizio negativo. Un tale giudizio comporta, infatti, a nostro avviso, una frettolosa sottovalutazione sia del radicamento territoriale della Lega, sia delle ragioni di fondo che nel corso degli anni ne hanno determinato o favorito il successo, sia, infine, della reale condizione morale e materiale del Nord. Un triplice errore, dunque, di cui il terzo appare a noi ancora più grave dei primi due. Ma andiamo con ordine.
Innanzitutto, la Lega conserva integro tutto il suo apparato territoriale di organizzazione politica: associazioni, sezioni, federazioni, direzioni, segreterie e quant’altro. Conserva tutte le organizzazioni e presenze collaterali di cui nel corso degli anni si è dotata, anche finanziariamente non deve essere affatto in difficoltà o in affanno, visto e considerato che si è proclamata pronta a offrire un milione di euro per le popolazioni emiliane colpite dal recente sisma. Non ha intorno a sé – è vero, ed è evidente – un alone o una corona di presenze e proiezioni culturali di qualche rilievo, e ciò induce legittimamente a ritenere che quando i capi leghisti parlano di progetti politici, istituzionali, economici, sociali, lo facciano, come accadeva con Bossi, soprattutto sulla base delle loro intuizioni, visioni e finalità politiche. Un limite, certamente, ma già per la Lega è stato sempre così, e, poi, questo non ha mai impedito a nessuno di organizzare e realizzare azioni politiche anche di forte rilievo, e specialmente quando lo si è fatto sulla base di intuizioni politiche particolarmente fondate, quali sono state quelle di Bossi all’inizio della sua attività.
In secondo luogo, sempre a provare di guardare un po’ più a fondo delle impressioni e delle emozioni del giorno, nulla ci autorizza a credere che mentalità, interessi, pregiudizi, esigenze, orientamenti morali e basi materiali dell’elettorato che finora ha dato il suo sostegno alla Lega siano spenti, radicalmente mutati. Certo, la sorpresa per gli scandali intorno a Bossi e per altri vistosi fenomeni analoghi a varii livelli del mondo leghista, ivi compreso il vertice delle istituzioni lombarde, c’è stata, ed è stata tanto più profonda quanto meno prevista. E altrettanto certo appare che gli effetti negativi non siano destinati a spegnersene facilmente e rapidamente, e, tanto meno, totalmente. Tuttavia, già il processo di riorganizzazione avviato con Maroni, il completo cambio della maggiore dirigenza interna che vi sembra associato, e una serie di altri elementi, fra i quali primeggia la sostanziale compattezza mostrato dal maggiore notabilato leghista intorno al nuovo segretario, sembrano indicare che aspettarsi un crollo, per dir così strutturale della base del patrimonio politico accumulato dalla Lega in tanti anni è alquanto irrealistico.
In terzo luogo, come sta oggi il Nord? Fino a ieri, lo sfondo sul quale si muoveva la Lega era quello di un Nord baldanzoso e fiducioso nella sua profonda convinzione di costituire un’area avanzata d’Italia e d’Europa, in buone o più che tollerabili condizioni di salute economica e sociale, vanto del paese e sua punta di lancia oltre le Alpi, anche se afflitto da un supposto, pesante taglieggiamento del mondo politico romano, ossia dal governo e dell’amministrazione centrale dello Stato, sia a vantaggio di un Mezzogiorno inetto e parassitario, ancor più corrotto del mondo romano, sia vantaggio di questo mondo. Oggi non è più così. Il morso della crisi globale e gli effetti della politica di risanamento e di riforma che essa ha reso necessaria si sono fatti pesantemente sentire e hanno alquanto spento o attutito orgogli e certezze, senza, però, far venire meno né il risentimento antiromano e antimeridionale, né la convinzione di essere diversi e migliori rispetto alla restante Italia e di ritrovarsi troppo sacrificati e stretti nel quadro italiano.
Da quanto precede sono possibili alcune deduzioni. La prima è che è presto per cantare con sufficiente probabilità di non sbagliare clamorosamente il De profundis per la Lega. A meno che non si verifichino eventi oggi poco verosimili (come, ad esempio, una scissione del genere di quella che alcuni ipotizzano da parte di Bossi, che respingerebbe così nel modo più evidente una reale accettazione del suo passaggio nelle seconde o terze file del partito da lui creato dal nulla), la Lega rimarrà sulla scena come una espressione per nulla trascurabile del mondo politico e sociale delle regioni in cui ha avuto maggiore fortuna (e c’è perfino chi pensa che una scissione ne faciliterebbe il mantenimento complessivo dei suffragi, benché in ordine più sparso. Un’altra deduzione è, però, subito che fino ad oggi tutti i discorsi politici sul Nord facevano perno sulla Lega e ne vedevano in essa il punto di riferimento centrale, ma oggi questo punto di riferimento va cercato altrove.
Dove? La risposta non è facile. Anzi, non è neppure sicura. Un punto di riferimento centrale c’è? A parere di molti, proprio l’area più avanzata del paese ne sarebbe oggi la meno strutturata e strutturabile dal punto di vista della sua reale fisionomia politica. non senza qualche ragione, se ne vede un indizio sicuro nel successo che proprio in gran parte del Nord ha conseguito il movimento di Grillo, che al Sud si è, invece, rivelato finora alquanto meno dinamico e proiettivo. Questo successo – si dice – è il segno evidente che siamo di fronte a un disorientamento profondo, alla manifestazione dell’esigenza profonda di individuare e seguire una strada diversa da quelle del passato. È nell’intercettare questo disorientamento che consiste il primo e maggiore compito e problema di chi deve affrontare i problemi di orientamento e di guida politica nel Nord.
Svanito o attenuato, in materia, il riferimento alla Lega, è giudizio generale che un ben più grave problema, anzi il problema dei problemi sia costituito dalla crisi economica in atto, nonché nella sola Italia, a livello globale. E qui, certamente, da sbagliare c’è ben poco. Il morso della crisi cresce in intensità e in profondità di mese in mese, con ripercussioni evidenti e via via più corpose su tutta la scena sociale – dall’occupazione ai consumi, dal peso crescente e ormai quasi paralizzante del fisco alla riduzione di attività e iniziative economiche, dalla granitica pertinacia del debito pubblico e delle sue conseguenze sui mercati finanziari alla parallela e costante diminuzione del PIL – e con un ovvio, parallelo aggravamento della tenuta politica e sociale del sistema. E, perciò, dopo che lo sforzo massiccio degli ultimi anni ha fatto registrare un’assoluta scarsezza dei risultati ottenuti, e dopo la tanta fiducia e le tante aspettative riposte sul governo Monti, ci si comincia ormai a chiedere se, prima ancora che del problema del governo, non ci si debba porre quello della governabilità del paese.
Indicando in quelli economici e sociali il punto critico dei problemi da affrontare, in particolare, al Nord, si è, quindi, sicuramente su un terreno affidabile e si centra una realtà, purtroppo, indiscutibile. Ma basta questo per porre sulle più solide fondamenta possibili il problema politico del Nord nel prossimo futuro? Ne dubitiamo fortemente. Ci sembra, infatti, che la crisi politica italiana abbia trovato nel Nord l’amplissima manifestazione e ripercussione che tutti sanno non solo e non tanto in relazione alla crisi economica e alle sue conseguenze sociali, bensì soprattutto per ragioni interne al mondo politico italiano precedenti alla crisi economica e, in non trascurabile misura, indipendenti da tale crisi. Il successo del Movimento 5 Stelle è stato preceduto – non lo si dimentichi – da varii episodi indicativi di insoddisfazioni e di tensioni forti e crescenti nel rapporto fra la società e i partiti in tutta l’area settentrionale, da Milano a Firenze e a Bologna, dal Piemonte al Veneto; e, questo, su tutto l’arco dello schieramento politico, ossia da destra a sinistra.
È facile dedurne una sostanziale inadeguatezza, una notevole incapacità delle forze politiche e dell’intero sistema politico nel rendersi conto del grave processo di indebolimento della loro capacità di ascolto e di espressione delle esigenze e del sentire in maturazione nell’area settentrionale negli ultimi anni. La crisi economica ha indubbiamente aggravato e ha reso esplosiva questa situazione, ma non è stata il punto di partenza, il luogo genetico della odierna condizione politica del Nord, che, molto a ragione, si vede preoccupare un po’ tutti gli ambienti politici italiani. Bisogna, insomma, andare più a fondo, e attingere livelli più profondi e, anche, più duraturi dell’attuale “questione settentrionale”. E se si nota che questa espressione ha conquistato un forte e inedito rilievo in tutti gli ultimi anni, a partire da quando di crisi economica non si parlava ancora, o almeno non se ne parlava affatto nei termini in cui se ne parla, all’incirca, da tre anni, si capisce ancora meglio la problematica in questione, e la conseguente rilevanza e difficoltà dello sforzo di intelligenza e di creatività politica necessario per affrontare una tale problematica, nonché la necessità di non continuare a proseguire criteri e comportamenti più che esauriti per orientarsi e agire al riguardo.
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