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Rilevanza e irrilevanza dei cattolici: una coerenza che sappia mediare
di Eugenio Mazzarella
Sul «Corriere della Sera», suscitando un vivace dibattito, interrogando il vuoto tra società e politica che aggrava le difficoltà del Paese, Ernesto Galli della Loggia ha posto il tema della necessità che i cattolici quel vuoto contribuiscano a colmare. Archiviando una buona volta l’idea del “partito cattolico”, e concentrandosi piuttosto sul più generale bisogno, innanzi tutto culturale e ideale, in questa stagione di crisi, di «una voce cristiana, e dunque anche cattolica, di un’iniziativa politica alta che rechi il segno di quell’ispirazione». La «difficile via modellata su un abito nuovo di serietà e sobrietà, fatta anche di rinunce a traguardi che sembravano ormai acquisiti, di spirito di sacrificio», sarà il vero «patriottismo» richiesto agli italiani, e «sarebbe davvero singolare che l’ethos cristiano, che a dispetto di ogni secolarizzazione permea ancora di sé vaste masse di italiani, restasse estraneo proprio rispetto a questa sfida».
È ben detto, e molto vero. Se i cattolici vogliono presidiare i valori di cui sono testimoni, non possono farne più un “tesoro geloso”, riparato in enclaves politiche, dalla cui funzione di custodi staccare cedole di remunerazione politica. Quei valori devono piuttosto con generosità “seminarli” perché ne germogli un umanesimo condiviso, uno spazio comune di valori a laici e cattolici mai come oggi necessario. A sostegno di questo rinnovato impegno di “cattolici nuovi”, innanzi tutto nel loro modo di porsi, sarebbe di aiuto anche una Chiesa “nuova”, sempre cioè capace di rinnovarsi e purificarsi, la cui riserva di trascendenza fecondi fuori da facili compromessi un approccio non regressivo al contemporaneo, capace di affrontarlo con il coraggio della speranza da cui è nata tutta la sua storia.
È positivo, in questo senso, che si sia fatta sempre più strada negli ultimi tempi la convinzione che – al di là dell’occhio “terreno” agli equilibri politici contingenti – in politica non ci può essere una tutela dei “valori cattolici” che non abbia a suo sostegno la testimonianza delle “virtù” che ai cattolici sono richieste, l’irreprensibilità di una vita, pubblica e privata, che non dia scandalo. Con meno di questo il cattolicesimo in politica si riduce a patina convenzionale di un abito pubblico, magari indossato solo in pubblico; niente che abbia sostanza di credibilità, e in definitiva speranza di successo in un mondo dove i valori sono sempre più in competizione.
E che si chieda sempre più di inverare, nel decisivo “dettaglio” dell’agire politico concreto, il monito – giunto per altro fin troppo atteso dopo lunghi silenzi delle gerarchie sul declino della credibilità di un certo cattolicesimo politico italiano che, in lunghi anni di fiancheggiamento del berlusconismo in nome dei “valori cattolici”, fin quando ha potuto, ha girato gli occhi da un’altra parte, per non prendere posizione sul Berlusconi “privato” – proposto dal Cardinal Bagnasco al Consiglio Permanente della Cei ad Ancona del 2010, che «chiunque accetti di assumere un mandato politico deve essere consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che esso comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda all’articolo 54». Un monito che non poteva essere più chiaro su ciò che la Chiesa italiana, che si riconosce nei valori di moralità “civile” sottesi alla carta costituzionale del Paese in cui vive e opera, si attende oggi dall’attualità civile e politica, e dal concorso impegnato ad essa di chi si richiama ai valori cattolici.
Un passo importante, che ha rappresentato una cesura con il passato recente dell’atteggiamento della Cei, accompagnato da un invito, altrettanto importante, a lasciarsi alle spalle logiche di confronto istituzionale puramente divisive, il cui corollario abbastanza chiaro è l’indebolirsi, sull’agenda dell’impegno cattolico in politica, del tema dell’unità dei cattolici presidiata da un “partito”. In sintonia con il precetto, sempre di Bagnasco, del X Forum del Progetto Culturale Cei sul 150° anniversario dell’Unità d’Italia, che «l’unità del Paese si fa intorno al retto vivere», anche l’unità dei cattolici sembra ormai – nella consapevolezza ai massimi livelli delle gerarchie della Chiesa italiana – più urgentemente e meglio garantita «non da un partito, ma da stili di vita moralmente ineccepibili» (Ruini).
Sono indicazioni che la Chiesa incubava da tempo, ed espresse con sempre maggiore chiarezza negli ultimi due anni in presenza di una crisi dell’etica pubblica che ha pochi precedenti, e che l’ha spinta a reiterare più volte la richiesta di cattolici “nuovi” in politica. Con il corollario non di poco conto che l’“usato garantito” non è apparso, e non appare, più sufficiente. Da qui il senso di tante iniziative come quelle di Todi, da cui sono emersi esiti di governo, almeno come soluzioni ministeriali di non poco conto.
È sperabile che, a differenza di troppi trascorsi in questo senso, questi “cattolici nuovi” non siano però gravati, né vogliano vogliosamente gravarsi, da un peso antico, che ha non poco condizionato la presenza dei cattolici in politica negli ultimi decenni: da una troppo esibita contiguità tra società, politica e Magistero.
È impensabile anche solo pensare di sminuire il ruolo dei cattolici in politica, in un paese come l’Italia, ma questo ruolo, se vogliono davvero contare in proprio, i cattolici devono interpretarlo, nella loro milizia civile, nell’adesione ai valori del loro patrimonio di fede nel rigore laico della loro autonoma responsabilità; senza l’esonero, anche solo psicologico, da questa responsabilità di una ricevuta da chicchessia “patente di cattolico”. In questo avrebbero certo un aiuto da un Magistero, che si sottraesse con maggior chiarezza, che per il passato, alla tentazione di “accreditare” questo o quello come cattolico. Sarà un bene un Magistero che accrediti solo i valori cui chiedere l’adesione dei cattolici, lasciando ad essi la responsabilità della testimonianza, senza la mallevadoria a priori di una “patente”.
Nella crisi in atto in Italia, che è crisi economico-sociale, ma anche civile e morale, non possiamo permetterci, tutti, non solo i cattolici, un Magistero che rischi di essere screditato dai suoi affidatari. I cattolici li si giudichi, anche da parte della Chiesa, dai loro frutti, non dalla targhetta sull’albero, che magari si vadano volentieri a prendere. Per questo, si abituino di più i cattolici in politica a servire i valori della Chiesa nella laicità richiesta da una democrazia liberale che sia aiutata da loro ad essere anche una democrazia della cittadinanza solidale, una democrazia non solo dei diritti in proprio dei cittadini ma dei loro doveri verso gli altri e la comunità; e non a servirsi della Chiesa, magari facendosi “usare”, mettendosi “a disposizione”, per opportunistico vantaggio nel mercato politico indigeno. E una Chiesa più attenta a disincentivare questi comportamenti aiuterà di più i cattolici a contare, ad avere più credito nei momenti che contano del dibattito civile e della dialettica politica. Con il non piccolo guadagno che se nessuno potrà andare in giro con la “licenza” di esercizio dei valori cattolici in politica o “nei giri che contano”, ci saranno anche meno occasioni per la debolezza umana di mettere a repentaglio la Chiesa o il Magistero che abbia dato una siffatta “patente”.
In definitiva, il tema che s’impone ai cattolici per “rilevare” politicamente, giusta la richiesta di Galli della Loggia richiamata in apertura, è la necessità più di un generale “riposizionamento” di “visione” alta, ispirata ai propri valori, nel dibattito pubblico e civile, che di un diverso “allineamento” politico, motivato dalla crisi del berlusconismo; e proprio ai fini di non far venire meno, in questo tempo di crisi, la riserva strategica dell’ethos cristiano alla società italiana; e di non commettere passati errori di “affidamento” a questa o quella parte politica.
Questo riposizionamento strategico – una più sincera aderenza ai propri valori fondamentali vissuta e comunicata nella pratica politica e nel dibattito pubblico, meno legata alle “fluttuazioni” dell’opportunità politica contingente – aiuterà probabilmente non poco i cattolici a venir meno dal vicolo (politicamente) cieco dei “valori non negoziabili” come chiave delle alleanze e delle prospettive politiche. Un più saldo ancoraggio etico-politico, rispetto al recente passato, al loro “deposito” valoriale, farà più facilmente accedere all’idea che i valori certo possono essere non negoziabili, ma sempre se ne deve cercare, negoziare la convivenza. La nuova, sperabile, rilevanza dei cattolici passerà anche da questo.
Che è poi la loro capacità di ricordare una lezione del 1981 di Papa Ratzinger ai politici tedeschi, ripresa in un libro del 1987 Chiesa ecumenismo e politica: «Essere sobri e attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale. Il grido che reclama le grandi cose ha la vibrazione del moralismo: limitarsi al possibile sembra invece una rinuncia alla passione morale, sembra pragmatismo da meschini. Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell’umanità dell’uomo e delle sue possibilità. Non è morale il moralismo dell’avventura, che tende a realizzare da sé le cose di Dio. Lo è invece la lealtà che accetta le misure dell’uomo e compie, entro queste misure, l’opera dell’uomo. Non l’assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica».
Una lezione che ogni buona politica, non solo quella agita dai cattolici, dovrebbe saper meditare.
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