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Crescita e ricerca industriale
di Giuseppe Bianchi
Il tema della crescita dell’economia e dell’occupazione è da tempo al centro del dibattito politico nazionale. Da parte del Governo si è ritenuto che costituisca precondizione della ripresa economica e della “crescita”, il varo di un insieme di misure che tendano a migliorare le condizioni in cui operano le imprese, iniettando nel sistema liberalizzazioni, semplificazioni burocratiche e flessibilità del mercato del lavoro. A tali misure è previsto seguano iniziative per invertire la tendenza alla attesa decrescita del PIL, peraltro già in atto.
Aumentare la produzione di beni e servizi da parte delle imprese presuppone che ci sia una domanda capace di assorbire l’aumento dell’offerta. Ipotizzare che un eventuale aumento della produzione nazionale di beni e servizi possa trovare sbocco nel mercato globale, anche se certamente non facile, è certamente possibile. È questo quindi uno dei principali terreni su cui approfondire l’analisi e ricercare possibili soluzioni. E sembrano utili alcune considerazioni sulle misure pubbliche che è possibile adottare per favorire l’esportazione delle imprese italiane.
A prescindere dalla prima misura ormai da tempo invocata, la riduzione del cuneo fiscale da molti, un modo forse più concretamente possibile di mettere le imprese in condizioni di reggere la competitività a livello mondiale è la promozione della qualità dei prodotti. In presenza di competitori quali la Cina ed anche il Sud America è sempre più difficile guadagnare fette del mercato mondiale puntando solo sulla produttività o sulla diminuzione del costo del lavoro. Oltre alla tradizionale dose di eleganza e buon gusto riconosciuta ai nostri prodotti è indispensabile caratterizzarli con un’imponente dose di innovazione. Su questo piano il sistema industriale italiano, anche per la ridotta dimensione delle imprese, ha il suo grave punto di debolezza, che negli ultimi anni è diventato più acuto.
Per migliorare la qualità tecnologica dei nostri prodotti è quindi necessaria l’adozione di un’organizzazione, in un certo senso nuova nella sua struttura e nei suoi obiettivi, che metta in stretto collegamento il mondo della ricerca con le esigenze delle imprese, specie piccole e medie, che spesso non sono nemmeno in grado di esprimere le loro necessità. In passato il Ministero della ricerca e il Ministero dello sviluppo hanno varato significativi programmi di sostegno alla ricerca industriale, mobilitando anche le migliori competenze scientifiche delle Università e dei Centri di ricerca nazionali. Anche l’UE ha varato importanti programmi di sviluppo scientifico finalizzato a fornire un supporto paritario alle industrie europee. In realtà, però, questo quadro virtuoso, che ha consentito in passato risultati si è profondamente modificato negli ultimi anni. È drammaticamente caduta l’attenzione del potere pubblico verso la conoscenza scientifica e più in generale verso la cultura. La stretta sulla disponibilità delle risorse ha determinato la colpevole assenza di una strategia pubblica per lo sviluppo tecnologico industriale.
Questa grave mancanza ha provocato, da una parte una generalizzata caduta di interesse ed entusiasmo del mondo scientifico, che ha ricercato solo in sé stesso i motivi di sopravvivenza; dall’altra, una altrettanto grave incapacità di innovazione da parte delle imprese. Prova evidente di ciò è il fatto che in alcuni casi sono quasi andati deserti bandi pubblici per la ricerca industriale, mentre sono tuttora inutilizzate parte delle risorse rese disponibili dall’Unione Europea. Causa aggiuntiva e non trascurabile della caduta di entusiasmo e di interesse nel settore della ricerca industriale è anche la vischiosità burocratica, che ha allungato in modo talmente vistoso i tempi di erogazione delle risorse disponibili, da scoraggiare anche i più volenterosi.
Ci si può chiedere se la situazione attuale di sopravvivenza vegetativa della ricerca industriale sia senza speranza se una inversione radicale di tendenza sia ancora possibile. Il cambio di direzione del Ministero della ricerca passato ad un Rettore di un Politecnico induce forse a dare una risposta positiva a tale interrogativo. È da aggiungere inoltre, a conforto di tale speranza, la decisione di recente annunciata dal Presidente della Commissione Europea di mettere a disposizione dell’Italia un fondo pari a 8 miliardi di euro per sostenere la ricerca a favore delle imprese. Più in generale, l’attesa di un cambio di indirizzo dell’Europa più orientato verso la crescita, spinge verso iniziative che aiutino anche nel nostro paese a riprendere la competitività perduta.



L’esportazione di prodotti e servizi nazionali

In tale ottica, per rendere attuale la ripresa auspicata e puntare sulla capacità di esportazione delle nostre imprese anche di piccola dimensione, andrebbe attentamente studiata la proposta di costituire una specifica struttura per la promozione dell’esportazione di prodotti e servizi nazionali. In altre parole, un Organismo strategico, costituito da un gruppo limitato di esperti al massimo livello di competenza scientifica e industriale, collocato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri con il compito di valutazione ad alto ed ampio spettro nazionale e internazionale delle esigenze degli operatori dei settori della produzione di beni e servizi e della ricerca, e formulare le conseguenti proposte operative al Governo.
A tale Organismo, che dovrebbe anche svolgere la funzione razionalizzatrice degli interventi di supporto alla ricerca industriale, oggi operati in maniera disordinata e molto spesso inefficace da vari Ministeri, potrebbero spettare i seguenti compiti:
1. Elaborare un piano organico di progetti di ricerca da svolgersi in stretta collaborazione tra gli organismi di ricerca e le piccole e medie imprese.
2. Svolgere un’analisi dei potenziali mercati da considerare in via prioritaria per i prodotti innovativi risultanti dall’attività di ricerca
3. Prevedere per lo svolgimento dei progetti il distacco temporaneo di giovani ricercatori precari presso le imprese.
4. Privilegiare le proposte di progetti di sviluppo industriale che coinvolgano le imprese collocate nel Mezzogiorno.
5. Considerare per i potenziali mercati di esportazione soprattutto i paesi del Nord Africa anche sulla base di specifici accordi politici da stipulare e finalizzati a far coincidere gli accenni di primavera araba in sviluppo economico e sociale dei vari paesi interessati.
6. Svolgere un ruolo di supporto al Governo di interfaccia con la Commissione Europea per la proposta di un finanziamento specifico di programmi di ricerca con le finalità sopra indicate e per l’adozione di una strategia politica generale tendente ad accordi di lungo periodo con i paesi produttori di fonti energetiche fossili per scambi concordati tra materie prime e innovazione tecnologica.
7. Finalizzare inoltre specificamente tali accordi ad un sostegno scientifico e tecnologico mirato all’utilizzazione delle risorse provenienti dalla vendita delle fonti fossili per lo sviluppo di un economia nei paesi produttori con tecnologie avanzate che tengano conto delle esigenze mondiali di contrasto ai cambiamenti climatici.
L’Organismo strategico proposto potrebbe rappresentare un modello nuovo e più aggiornato anche per la politica di incentivazione della ricerca industriale dell’Unione Europea. Occorre infatti sempre di più privilegiare l’obiettivo dell’esportazione che ha assunto oramai un ruolo dominante nell’era della globalizzazione.



Il mercato interno

L’idea di istituzionalizzare la funzione di supporto scientifico alle piccole e medie imprese non vale evidentemente solo per l’esportazione. Ci sono vari settori di grande interesse che potrebbero favorire la produzione delle imprese destinata all’aumento di consumi interni: consumi “diversi”, consumi “intelligenti”, che pur se sostenuti da investimenti privati potrebbero contestualmente favorire la qualità e l’utilità generale dei beni e servizi prodotti. Un esempio pertinente di questi consumi è rappresentato dalle iniziative con i relativi investimenti per il risparmio energetico nell’edilizia sia per le nuove costruzioni, sia soprattutto per la ristrutturazione delle abitazioni esistenti.
È appena il caso di ricordare quale peso rappresentino per l’economia nazionale le importazioni di energia e che i consumi nell’edilizia rappresentino il 40% del totale. Ed è superfluo ricordare quanto pesi il risparmio di energia e l’auto produzione locale di energie rinnovabili nelle abitazioni, in termini di riduzioni di emissioni di CO2 nell’atmosfera e del collegato cambiamento del clima globale. Secondo alcuni studi recenti per l’Europa gli adeguamenti necessari per l’efficienza energetica negli “edifici intelligenti” e la produzione distribuita di energia in ambito residenziale richiederanno per i prossimi anni investimenti ingenti, a fronte di un risparmio potenziale pari al 18% delle emissioni di CO2 identificate.
È pur vero che il miglioramento della qualità energetica delle abitazioni rappresenta una convenienza economica per gli investimenti dei privati nel settore che potrebbero essere quindi auto sostenuti. La valutazione di mercato del valore di immobili, che abbiano una certificazione energetico-ambientale, può contribuire, in presenza di un’adeguata informazione, al miglioramento anche economico del patrimonio edilizio nazionale. Anche la concessione di mutui da parte delle banche per la realizzazione di edifici può essere adeguatamente favorita, in vista di minori costi di gestione, dall’esistenza di un certificato energetico ambientale.
Tuttavia la conoscenza delle tecnologie per un’edilizia energeticamente intelligente non è ancora ampiamente diffusa. Gli operatori industriali impegnati nella realizzazione dei nuovi edifici e soprattutto nel molto più ampio campo della ristrutturazione dell’edilizia esistente, appartengono in via quasi esclusiva alla categoria delle Pmi. Anche le grandi imprese edilizie si avvalgono di norma, attraverso lo strumento dell’appalto, di piccole imprese od anche di artigiani per una molteplicità di lavori e servizi legati alla costruzione o ristrutturazione di edifici. Considerando il livello di conoscenze delle imprese edili nazionali, la loro naturale tendenza a mantenere il tradizionale modo di lavorare, la ritrosia all’utilizzo di tecnologie, componenti e materiali nuovi, ed infine i maggiori investimenti da sopportare in vista di ipotetici maggiori ritorni economici gradualmente spalmati nel futuro, è più che evidente che un’evoluzione del più ampio utilizzo delle nuove tecnologie edilizie e relativi materiali non potrà avvenire in maniera spontanea, ma richiede una strategia mirata che deve evidentemente essere concepita ed attuata a livello degli organismi regolatori pubblici, attraverso sia norme cogenti, sia incentivi e sconti per favorire la diffusione di buone pratiche nel mercato delle costruzioni.
Per quanto riguarda le norme cogenti occorre ricordare che l’obbligo di un certificato energetico che consenta di avere una riduzione dei consumi energetici di un edificio è esplicitamente previsto da una norma europea. Al riguardo la Commissione europea, ha recentemente annunciato che l’Italia dovrà rispondere davanti alla Corte di giustizia dell’UE per non essersi pienamente adeguata alla direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia. Davanti alla Corte europea di giustizia le Autorità italiane dovranno rispondere anche della mancata comunicazione delle misure di attuazione relative alle ispezioni dei sistemi attuati. La direttiva UE infatti prevede ispezioni periodiche che includano una valutazione dell’efficienza del sistema e delle sue dimensioni, corredata da raccomandazioni in merito ai possibili miglioramenti.
Gli incentivi per la diffusione dell’utilizzo di nuove tecnologie edilizie e le iniziative operative necessarie dovrebbero essere gestiti dalle Amministrazioni Locali più vicine ai soggetti interessati anche se un norma nazionale decisiva per rendere più conveniente l’intervento privato per il miglioramento energetico delle abitazioni potrebbe essere rappresentata da una riduzione percentuale della tanto discussa IMU per gli edifici che siano in possesso di un certificato di efficienza energetica.
La “serietà” di tale certificato dovrebbe naturalmente essere garantita in maniera assoluta.



Il Protocollo ITACA

L’attivazione di un sistema nazionale oggettivo e riconosciuto in merito alla certificazione energetico-ambientale degli edifici appare quindi in tutta evidenza necessaria e urgente.
La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha approvato nel 2004 il Sistema di Certificazione Italiano basato sul Protocollo ITACA. Nel 2011 è stato varato il Nuovo Protocollo ITACA per l’edilizia sostenibile, che risulta coerente con la direttiva comunitaria 2010/31/CE che per il 2020 indica il traguardo per gli edifici di un consumo di energia quasi “zero”. Tale protocollo prevede i criteri di valutazione e l’assegnazione di punteggi, attraverso metodi di calcolo riferiti agli standard nazionali, per un’ampia varietà di aspetti legati alla sostenibilità energetico-ambientale di un edificio, tra i quali ad esempio:
– consumo di risorse (energia primaria per il riscaldamento e raffrescamento; produzione di acqua calda sanitaria; prestazione dell’involucro; qualità acustica dell’edificio; ecc.);
– energia prodotta nel sito da fonti rinnovabili;
– utilizzo di nuovi materiali ecocompatibili (riutilizzo di strutture esistenti; utilizzo di materiali riciclati e/o recuperati; utilizzo di materiali locali; ecc.);
– qualità dell’ambiente interno
Sono in corso studi per lo sviluppo del protocollo nazionale per adeguarlo alla valutazione di edifici residenziali anche per altre destinazioni d’uso: commerciali; industriali; scolastici, edifici storici; uno strumento specifico è previsto per la valutazione della sostenibilità ambientale in scala urbana.
La certificazione degli edifici secondo il protocollo ITACA autorizza l’uso del marchio ESIT (Edilizia Sostenibile Italia). Potrebbe essere questo marchio nelle sue eventuali gradazioni a condizionare l’eventuale riduzione dell’IMU.
Un ulteriore strumento per la promozione della sostenibilità nel campo dell’edilizia consiste nella realizzazione di una Banca Dati Nazionale dei materiali da costruzione su base LCA (Lyfe Cycle Analysis) e LCC (Lyfe Cycle Costing). La banca dati consentirà la valutazione oggettiva del livello di sostenibilità dei materiali edili nell’ambito del sistema di certificazione ITACA, permettendo l’integrazione dei profili ambientali secondo la norma europea (UNI EN 15804:2012 Sostenibilità delle costruzioni). Alcuni esempi di nuovi materiali per l’edilizia sono l’impiego di elementi in fibra di carbonio sia per strutture portanti di nuove costruzioni, sia per il recupero ed il consolidamento di vecchi edifici anche di notevole interesse storico ed artistico; la produzione di nuove e più efficaci guarnizioni per serramenti ricavati dal riciclaggio di rifiuti; la tecnologia dei “geopolimeri”, come potenziali sostituti del cemento Portland, il più diffuso legante idraulico nell’edilizia ecc..



Distretto Edilizia Sostenibile

Riassumendo le considerazioni finora svolte, appare evidente che la romozione dell’edilizia sostenibile, oltre ad un valido sistema di certificazione, richiede una specifica attività di diffusione delle conoscenze maturate a livello di ricerca scientifica e la promozione della capacità degli operatori di effettuare una progettazione integrata degli interventi innovativi necessari, dei componenti e dei materiali più utili allo scopo. A tale scopo è necessaria l’adozione di strumenti nuovi in grado di fronteggiare la complessità del sistema e le sue intrinseche debolezze puntando anche in questo caso sul binomio ricerca e imprese.
La Regione Lombardia ha ritenuto, insieme con le Imprese edilizie e le loro Associazioni, le Amministrazioni locali e i Centri e gli Enti di ricerca di individuare tale strumento nel Distretto Edilizia Sostenibile e molte altre Regioni sono sulla stessa linea. Compito essenziale ipotizzato per tale nuova struttura, cui come detto possono aderire esponenti regionali e nazionali delle Associazioni di imprese, delle Amministrazioni locali e della Ricerca, è lo sviluppo della nuova edilizia attraverso soprattutto l’attuazione di un raccordo sistematico tra Mondo della Ricerca e le Imprese in particolare Piccole, Medie.
Gli obiettivi del Distretto dovrebbero essere essenzialmente i seguenti:
– promuovere, presentare e gestire progetti di ricerca e sviluppo volti alla crescita della competitività sul territorio di imprese innovative, soprattutto attraverso il trasferimento di conoscenze tecnologiche da parte dei soggetti che svolgono attività di ricerca;
– partecipare a bandi, programmi e progetti di ricerca e sviluppo e alta formazione, con team adeguati agli obiettivi di volta in volta individuati e definiti su una base concertata tra istituti di ricerca e associazioni delle piccole imprese, al fine di aumentare l’effettiva applicabilità dei risultati ottenuti;
– formare personale in possesso della professionalità distintiva del settore e della connessa cultura tecnologica, realizzando azioni di promozione, diffusione e sensibilizzazione nei confronti dell’innovazione e del trasferimento tecnologico, dimostrandone nei fatti la sua utilità per il territorio e per il paese;
– fungere da centro di raccolta e diffusione di informazioni e proposte tecniche, nonché sviluppare nuovi servizi comuni e tecnologie di utilizzo per migliorare la competitività delle imprese partecipanti al Distretto nell’interesse dei soci e dei potenziali utilizzatori di prodotti e servizi;
– favorire l’integrazione e la collaborazione tra le imprese associate, i fornitori, i clienti per il rafforzamento, l’ottimizzazione e la modernizzazione della filiera produttiva;
– concentrazione delle risorse finanziare disponibili, orientandole verso obiettivi complementari (e non ridondanti) raggiungibili e sostenibili, attuando quindi un raccordo operativo con le altre iniziative pianificate in ambito regionale per massimizzare le ricadute economiche degli interventi attuati.
Sulla base dei previsti finanziamenti da parte del Ministero della ricerca, cui potrebbero aggiungersi le disponibilità delle Amministrazioni locali (Regioni, ANCI) il progetto di rendere ecosostenibile il patrimonio edilizio nazionale potrebbe superare la sua motivazione essenzialmente ambientale per assumere il valore più pregnante di un vero sviluppo economico.
Il miglioramento delle capacità tecnologiche delle imprese nel settore edilizio, non è d’altra parte l’unico in cui una mirata collaborazione tra scienza e industria può determinare un efficace Progetto Nazionale per lo sviluppo dell’economia e dell’occupazione. Infatti solo se l’intero mercato interno sarà finalizzato alla qualità, tecnologica e ambientale, della progettazione e realizzazione dei prodotti e servizi, si potrà imboccare la strada determinante per il sostegno all’esportazione obiettivo essenziale e prioritario da considerare per una saggia politica che guardi al futuro del nostro Paese e dell’intera Europa.
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