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Storia universale e filosofia della storia in Benedetto Croce
di Fabio Ciaramelli
1. Un’attenta rilettura della riflessione crociana sulla storia alla luce della sua evoluzione concettuale, direttamente connessa al panorama culturale e politico della prima metà del XX secolo, è stata proposta da Domenico Conte in un libro recente, il cui filo conduttore è costituito dal tema della “storia universale”1. Com’è noto, l’avversione crociana per questa nozione risale allo scritto del 1893 su La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte2, dove è già stabilita con chiarezza la connessione concettuale tra “storia universale” e “filosofia della storia”. Il loro intreccio, come riconosce Conte in una delle pagine iniziali della sua monografia, prefigura «un tipo di rapporto che si presenterà costante nel Croce maturo e più che maturo»3: cioè, essenzialmente, nella critica della “storia universale” contenuta nel terzo capitolo di Teoria e storia della storiografia del 19174 e ripresa quasi trent’anni dopo in un saggio intitolato appunto Contro la storia universale5. Proprio nell’intrinseco legame di quest’ultima con la filosofia della storia è da vedere la ragione fondamentale dell’atteggiamento polemico di Croce nei riguardi della storia universale. In un altro suo scritto degli anni Quaranta, si ribadisce che
la cosiddetta storia universale, sempreché non si appaghi di essere una chronica mundi e cerchi di darsi un organismo, si è sempre configurata, e deve configurarsi, in una filosofia della storia, cioè in un’unificazione trascendente, e pertanto arbitraria, della totalità storica, dalla creazione alla dissoluzione del mondo6.

Al contrario, continua Croce, secondo la concezione circolare dello spirito che in questo testo egli oppone a quella “cuspidale”, ogni storia è sempre
particolare, ed universale è solamente nel senso che nel particolare, e non altrove, vive l’universale. All’uomo, che è individualità, conviene una storia e una conoscenza individuata, e disconviene una presunta storia universale, pallida e vaga larva di storia irreale e immaginaria7.

Se poi la storia universale tenta di sfuggire alla filosofia della storia, resta inevitabilmente prigioniera del suo carattere meramente compilatorio e cronachistico, la cui velleitaria ambizione sarebbe quella di fornire un ritratto fedele dell’intera storia umana, e delle sue stesse premesse naturali; ma in tal modo, la presunta “storia universale” finisce col ridursi ad aggregato o coacervo di cronache più o meno farraginose, tese solo a soddisfare «l’ingenuo desiderio del buon borghese, di possedere incasellata e messa in fila in uno scaffale tutta la storia del mondo»8.
Prima che un errore metodologico e teorico, la prospettiva della storia universale contiene, dunque, un’illusione conoscitiva propriamente irrealizzabile, alla quale è giocoforza rinunciare; e bisogna anche farlo senza rimpianti, giacché, come nei riguardi della “cosa in sé”, anche in questo caso non si tratta di rinunciare a qualcosa che s’era mai posseduto o si sarebbe potuto possedere: si tratta invece di rendersi conto che noi esseri umani possiamo conoscere solo il finito e il particolare: perciò un sapere totalizzante ci resta precluso. In questo senso, a rigore, la “storia universale” non è né una disciplina né un atto concreto, ma solo una “pretesa” che «assume di ridurre in un quadro tutti i fatti del genere umano»: pretesa propriamente irrealizzabile, tanto che inevitabilmente «il fatto riesce diverso dall’intenzione»9. Ecco perché, sostenuto dall’illusione d’un accesso diretto alla “cosa in sé”, il vicolo cieco teoretico che la nozione di “storia universale” presuppone e in cui fatalmente culmina è sempre «la Filosofia della storia, ossia l’anzidetta “storia universale” elaborata filosoficamente» e perciò orientata a “cercare il significato della storia”, ossia ad
andare in cerca, fuori o sopra di essa, di quel significato che essa ha già in sé, nella realtà e verità dell’esser suo, in ogni mente che la pensa, a ogni moto della vita, la quale non va mai disgiunta dall’intelligenza del proprio fare, ossia della propria storia10.

Emerge qui con chiarezza che il rifiuto crociano della filosofia della storia – «concezione trascendente»11 che finisce con l’attribuire dall’esterno e a priori un significato ideale ai fatti bruti, non esclude affatto una decisa affermazione del senso della storia, il quale ultimo, però, non va inteso come un a priori presupposto o imposto dall’esterno alla realtà della storia e della vita, giacché viceversa ne costituisce l’intima e dunque immanente struttura ideale. In siffatta immanenza del senso o del significato, che la filosofia della storia erroneamente ricercava al di fuori degli eventi e dunque al di fuori della vita, consiste la sola vera universalità della storia: che non s’ottiene cumulativamente e dall’esterno, ma per così dire in profondità e dall’interno, rifiutando l’attribuzione estrinseca di un significato unitario e totalizzante alla sterminata molteplicità degli eventi. In definitiva, dunque, per Croce storia universale e filosofia della storia simul stabunt et simul cadent.
Non a caso, la tesi centrale di Teoria e storia della storiografia, in cui sarebbe dovuto culminare il sistema della filosofia dello spirito, ma che per certi versi ne costituisce invece una revisione più che una sintesi o un approfondimento12, trova il suo fondamento concettuale nella “dissoluzione” della filosofia della storia, senza di cui non sarebbe possibile sostenere che «ogni vera storia è storia contemporanea». In tal modo, la contemporaneità della storia, in quanto carattere intrinseco di ogni storia (e dunque non solo della storia di un tratto di tempo che si considera particolarmente prossimo) riconduce senza esitazione la storiografia, intesa come gesto teorico o operazione di pensiero, all’attualità della vita e della prassi, sottraendola all’orizzonte unificatore della trascendenza. In altri termini, sono sempre gli interessi concreti dello storico, dettati dall’attualità del proprio tempo, a far nascere in lui un interesse specifico, orientandolo verso l’esercizio di quella determinata attività di pensiero che è la storiografia. La dimensione teoretica di quest’ultima si radica dunque nell’atto pratico in cui consiste la vita concretamente vissuta. Una simile «unità sintetica» di storia e vita, che costituisce un’implicazione diretta ed esplicita della «contemporaneità della storia»13, non sarebbe neanche pensabile senza la «dissoluzione ideale» della filosofia della storia, di cui Croce discorre nel capitolo quarto di Teoria e storia della storiografia. Infatti, solo la negazione del privilegio teoretico della “trascendenza” rende possibile l’unità di storia e vita, cioè di pensiero e azione, in virtù della quale soltanto può dirsi che «il fatto concretamente pensato non ha né causa né fine fuori di sé, ma solamente in sé stesso, coincidente con la sua reale qualità o con la sua qualitativa realtà»14. In altri termini, è proprio la negazione di un orizzonte trascendente a escludere che esistano meri fatti bruti, ai quali la teoresi dovrà poi attribuire un significato ideale che li oltrepassi.
Il luogo di nascita della storiografia è, dunque, sempre e comunque l’attualità, luogo vitale e atto pratico che inevitabilmente precede l’operazione teoretica del pensiero, orientando fin d’ora la riflessione crociana verso il riconoscimento di quel “primato del fare” che negli ultimi anni verrà teorizzato esplicitamente come «principio che regge tutte le singole forme dello spirito»15. In fin dei conti, allora, proprio perché l’esperienza dello storico è sempre concretamente situata e delimitata dalla specificità di interessi particolari, tra attualità e storia universale non c’è e non può esserci quel «nesso totale e pregiudiziale» dal quale soltanto – in assenza d’una filosofia della storia – può nascere «l’animus storiografico»16.


2. Malgrado la ferma e ininterrotta critica crociana della storia universale, secondo la tesi di fondo dell’interpretazione di Conte17, sarebbe proprio l’idea di storia universale – e la problematica ad essa sottesa – a costituire
un nucleo fortemente caratterizzante della riflessione di Croce, intorno al quale risulta pertanto possibile, anzi necessario, far ruotare molti degli elementi che costituiscono l’architettura della sua concezione della storia18.

A partire da questa premessa, la rilettura di Croce proposta da Conte è particolarmente sensibile a quella parte del pensiero crociano che più decisamente si confronta con la profonda crisi della cultura e dello spirito europei nel corso della prima metà del Novecento. In effetti, è proprio il sempre più esplicito rapporto tra il pensiero di Croce e il processo storico del suo secolo a rendere intelligibile il rischio d’una vera e propria “patologia dello spirito”, verso la quale, come è stato messo in luce dalla critica più recente, sempre più chiaramente s’orientano i suoi ultimi scritti, nei quali, come ha scritto Galasso,
egli venne dissolvendo, con lucida determinazione, il “sistema” di pensiero, la “filosofia” da lui costruita prima; e affermò, in sua vece, con forza e con significato nuovi, la singolarità, la specificità, la inclassificabilità delle esperienze umane nella vita e nel pensiero19.

L’idea stessa d’una “patologia dello spirito”, alla quale Conte si riferisce fin nel titolo della sua monografia, risulterebbe incomprensibile, se la storicizzazione del pensiero crociano non avesse mostrato la portata intrinsecamente antisistematica della riflessione sulla vitalità20.
Nella sua ricostruzione, Conte si sofferma con particolare e insistito interesse sulle pagine crociane in cui s’incontrano cenni alla nozione o anche solo alla problematica della storia universale, mostrando che ciò non accade soltanto per rigettarla, ma al contrario, almeno in alcuni casi, per asserirne a suo dire «una vera e propria positività, legittimità e necessità»21. Insomma, oltre l’esplicito e costante rifiuto della storia universale, ci sarebbero luoghi e passaggi in cui il testo di Croce non solo ricorre a una terminologia cosmico-storica, non solo riconosce la funzione pedagogica della Weltgeschichte in risposta alla crisi della modernità, ma addirittura effettua una implicita riabilitazione della storia universale come storia “organica”22, non più intesa come semplice cronaca, ma invece come sguardo unitario sulle vicende umane. Anche in questo, bisogna riconoscere l’influenza del processo storico sull’evoluzione del pensiero crociano. Infatti, come scrive lo stesso Conte,
quanto più la storia europea si inoltrava nel penoso tragitto a essa destinato dal Novecento, tanto più la riflessione del filosofo napoletano abbandonava i toni soddisfatti e compiaciuti delle acquisizioni sistematiche e apparentemente definitive per sostituirli con quelli imposti da un’inquietudine teoretica ed esistenziale sempre più profonda23.

In tal modo, Conte introduce l’analisi degli ultimi scritti di Croce, nei quali sempre più acuto si presenta il senso della crisi dell’Europa e finisce con l’apparire minaccioso lo spettro della, “fine della civiltà”24.
Proprio in questa fase il pensiero di Croce si mostra intensamente radicato nelle esigenze e nelle angosce dell’attualità, il che lo rende, perlomeno a partire dalla fine degli anni Venti, sempre più inquieto. Nuovi problemi assillano il suo pensiero, nuovi timori lo orientano verso una riformulazione della sua filosofia dello spirito, che finisce con l’individuare nella “vitalità” e nei suoi fermenti non solo il principio originario donde scaturisce la dialettica delle forme spirituali25, ma innanzitutto la «terribile forza» capace di far ripiombare «di volta in volta l’umanità nella barbarie, che precede la civiltà e alla civiltà succede interrompendola per far sorgere in lei nuove condizioni e nuove premesse»26. Questo ruolo ambiguo della vitalità appare in tal modo intrinsecamente legato ai drammatici problemi che pone il contesto storico in cui matura l’ultima fase del pensiero di Croce. Trovatosi ormai a vivere in anni in cui pareva che le Furie si fossero riversate sul mondo, Croce – scrive Conte – «non può più pensare che la storia componga soltanto “catene di beni”. Ed è per questo che, col tempo, nel suo animo andò sempre più indebolendosi la fede nella razionalità della storia, e sempre più rafforzandosi l’idea della sua tragicità»27.
Nel Croce di questi anni è la nozione di vitalità a fornire il filo conduttore capace di far emergere il senso unitario dell’intera vicenda storica. «Tra vitalità e “storia universale” – osserva Conte – esiste un nesso molto stretto»28. Nell’ultimo Croce, infatti, la nozione di vitalità, che prende il posto della categoria di utilità, «non rappresenta soltanto un momento ideale-eterno dell’articolazione dello spirito, una delle sue categorie, ma è anche storia ed età storica»: non però «nel senso della fioritura, bensì in quello della decadenza e della crisi»29. Senonché, a ben vedere, nel saggio sulla vitalità già citato, e che qui Conte commenta, e negli scritti coevi, la “forza terribile” donde scaturisce la dialettica delle forze spirituali non è a rigore concepita come “età storica” in cui la civiltà prende avvio o finisce – concezione, questa sì, che senz’altro farebbe vacillare l’eternità (logica) delle categorie, minaccia che invece meno comprensibilmente Conte imputa al «risalto nettissimo attribuito da Croce al cristianesimo nel quadro della storia universale»30 – ma è invece vista come lo sfondo originario, immobile e intemporale, da cui sgorga la civiltà e al quale riconduce la sua fine. La differenza non è di poco conto. Pochi anni prima, nell’Avvertenza (datata gennaio 1938) preposta a La storia come pensiero e come azione, non a caso Croce dichiarava di avere talora «avuto il senso, nel corso delle sue meditazioni, di essersi come affacciato al profondo laborioso “regno delle Madri”»31. Nel celebre luogo goethiano cui con queste parole s’alludeva, la discesa al luogo abissale dell’origine, che, precedendo il tempo, eternamente sovrintende alla formazione e alla trasformazione di tutte le cose, suscita intenso sgomento32. Protendendo lo sguardo su questo “laborioso” abisso, Croce scorge il volto oscuro della vitalità, esuberante istanza unitaria, sempre dall’interno minacciata dalla disgregazione. In virtù di questa sua intrinseca ambiguità, la forza che nutre lo spirito è quella stessa che può annientarlo. Ebbene sì, proprio lo «spirito che crea la storia»33, può venir meno e crollare. Percorso sofferto e accidentato, attentamente seguito e ricostruito da Conte, secondo il quale in tal modo Croce si riavvicinerebbe alla problematica della storia universale: ma in assenza d’una filosofia della storia, l’idea stessa di storia universale ha perduto ogni garanzia speculativa. Come riconosce lo stesso Conte, il richiamo alla storia universale vale ormai solo come orientamento etico. Egli cita la conclusione d’un saggio del 1948, dove si dice che «la storia dell’umanità è l’estensione e l’intensificazione della nostra coscienza morale»34. Poche pagine prima, nello stesso saggio, Croce aveva scritto:
Poiché la storia non si muove per virtù di un disegno trascendente e di una guida che le stia di sopra, cioè sia fuori di essa ed esterna, né è effetto di una causa, cioè riportabile a un fatto o a un particolare ordine di fatti, non rimane se non pensarla, come umana che essa è, con motivi e ragioni umane […]. Solo così la storia acquista un senso, cioè ha un senso; né mai l’ha ottenuto o può ottenerlo d’altronde35.

Venuta meno la concezione trascendente alla base delle filosofie della storia, è dunque solo l’attività umana, e la coscienza morale che la muove, a poter dare un senso alla storia. Basterà questo a renderla universale? Lo stesso Conte esita, tanto da riconoscere che proprio nella tensione
dell’ultimo Croce verso il polo dell’etica […] si sostanzia e acquista senso quella storia universale che però, nel contempo, appare sempre più minacciata dalle crisi e dalle decadenze indotte dalla tumultuosa e impulsiva vitalità36.

E così il più volte asserito riavvicinamento di Croce alla storia universale, in assenza delle garanzie teoretiche fornite dalla filosofia della storia, viene relativizzato proprio dall’incombere minaccioso della vitalità.


3. L’analisi di Conte sfocia dunque su un paradosso, che di fatto a nostro avviso conferma l’appartenenza della storia universale alla filosofia della storia, centrale in tutto il discorso di Croce. Conte viceversa propende per la separabilità delle due nozioni, il che dovrebbe rendere plausibile, contrariamente a quel che sosteneva Croce, la storia universale anche dopo la dissoluzione della filosofia della storia. Tuttavia, proprio questo punto, che sarebbe fondamentale svolgere e dimostrare, non viene sufficientemente affrontato e sviluppato da Conte, giacché egli considera come una premessa scontata la plausibilità del passaggio dalla filosofia della storia alla storia universale, dal momento che egli presuppone la separazione e addirittura l’opposizione della storia universale rispetto alla filosofia della storia37. In conseguenza di ciò, anziché esplicitare il proprio dissenso sulla tesi crociana circa l’interdipendenza tra storia universale e filosofia della storia, Conte prende di mira quella che lui chiama la «metafisica crociana», che vede alla base di quell’istanza di filosofia della storia, che a suo parere sussisterebbe ancora nell’intero discorso crociano38. Quando per esempio, a proposito della circolarità dello spirito, Croce sostiene che «nella realtà, la storia non comincia e non finisce: noi ci troviamo sempre in lei, con le sue eterne categorie, […] essa è un dramma che non si sottomette al tempo», questa tesi, dice Conte, si fonda
su di un’idea molto particolare di ciò che sia “storia”, che è infatti nello stesso tempo storia e più che storia, ovvero “storia ideale eterna”, posta a fondamento della “logica dello svolgimento”, e cioè della storia “reale” (e non “ideale”), quella che “corre nel tempo”. La tesi singolare (“stravagante”?) che la storia non abbia inizio e fine nel tempo va quindi direttamente ricondotta a uno degli elementi cardinali della sua filosofia, e cioè all’idea dell’eternità dello spirito nella sua strutturazione ontologica e categoriale39.

Continua Conte:
Malgrado l’insistenza crociana sull’elemento della particolarità, il rifiuto della storia universale in quanto filosofia della storia è fondato su una fortissima dimensione anch’essa di filosofia della storia (perché cos’altro è la dottrina dello spirito come “circolo” e dunque della storia come storia ideale eterna?)40.

Conte ovviamente riconosce che il riferimento alla storia, e quindi l’abbandono dell’idealismo a favore dello storicismo, resti in Croce determinante; tuttavia, benché la collocazione della storia all’interno del sistema sia stata gradualmente spostata dall’arte alla filosofia, fino alla definizione di quest’ultima come metodologia della storia, cosa che poteva dar «l’impressione di una “riduzione” della filosofia alla storia», resta il fatto che nella sua filosofia «la storia non fonda su se stessa, ma sulle “eterne forze spirituali” che – esse – “reggono la storia”»41.
La storia ideale eterna di cui parla Croce non va però intesa come una duplicazione ontologica della storia reale. Al contrario, la storia nella sua effettività è una sola, ed è il luogo dell’alterazione e del movimento; ciò che Croce chiama storia ideale eterna è la dimensione “più che storica”, cioè meramente logica, che in quanto tale non costituisce un’entità metafisica o un orizzonte di trascendenza conoscitiva. Perciò nella Logica la “storia ideale ed eterna”, come teoria dei gradi del concetto, viene distinta dalla storia reale, concepita come serie dei gradi di civiltà42, il che aiuta a delucidare la natura propriamente logica, cioè puramente concettuale, della sua eternità o idealità. Per Croce questa dimensione logica costituisce il perno ideale immobile intorno a cui ruotano le vicende effettive della storia reale. Il rapporto assoluto che fonda ogni divenire e ogni alterazione è svelato nel movimento intemporale della logica («eterno gioco del pensiero eterno»: Goethe). Ma la stabilità dell’eterno va qui intesa soltanto come un presupposto logico e non come un fondamento reale; si tratta cioè di quel che rende logicamente (“idealmente” o “eternamente”) possibile il divenire temporale nella sua effettiva storicità. In tal modo, nella stessa occorrenza singola d’ogni movimento individuale, è all’opera l’immobile universalità logica che lo sostiene, lo sorregge e lo costituisce. Non si tratta però di un’universalità effettiva, che abbia esistenza e consistenza al di fuori dell’evenienza individuale di volta in volta data. Questo tipo di universalità, concepita come lo sfondo immobile necessario alla comprensione e alla definizione del movimento, non ha effettività ontologica né dignità metafisica: il che vuol dire che è caratterizzata soltanto dall’autoriferimento, cioè dall’identità di sé a sé. Che alla radice dell’individualità e delle sue alterazioni s’incontri la stabilità logica dell’universale, tanto che l’uomo in quanto «microcosmo» è definito da Croce «compendio della storia universale»43, non conduce affatto all’universalizzazione ontologica dell’individuale. Insomma, essendo puramente logica, l’eternità ideale della storia e dello spirito non è un’entità metafisica, e perciò manca di effettività, razionalità e necessità. Lo spirito stesso, benché la sua essenza logica eterna sia la propria pienezza e compiutezza o perfezione, quando passa all’atto nelle sue creazioni sempre particolari che costituiscono la storia reale, perde la propria eternità e idealità, cioè la propria impassibilità logica, universale e necessaria.
Senza presupporre la stabilità dell’universale non sarebbero pensabili l’alterazione e il movimento contingente degli individui. Ed è proprio questo nesso logico tra concezione particolare dell’individuo storico e persistenza dell’universale, a flettere il principio della contemporaneità della storia – il privilegio dell’attualità e delle sue esigenze – verso la tesi crociana più tarda, secondo la quale «ogni storia è sempre autobiografia»44. La giustificazione di questa tesi è data dal fatto che il soggetto di quelle opere, di cui l’attualità ci muove a rifare la storia in noi stessi attraverso il pensiero, è sempre e comunque l’umanità: la quale però non vive se non nella molteplicità irriducibile degli individui singoli e particolari. Perciò appare forzata la lettura di Conte che vede nella teoria della storia come autobiografia un ulteriore tassello dell’idea crociana di storia universale, e propone di intendere l’intera storia «come “autobiografia del genere umano”»45. La formula è certo suggestiva; il che tuttavia non mette a tacere una serie di perplessità. La più importante delle quali riguarda ancora una volta il rapporto decisivo di storia universale e filosofia della storia. A nostro parere, Croce dimostra la dipendenza concettuale necessaria della prima dalla seconda: dipendenza che una nozione di «autobiografia del genere umano» lungi dallo smentire, conferma e ribadisce. Infatti, ammesso che qualcosa del genere sia mai effettivamente possibile, non si vede proprio come la sua elaborazione concreta possa sfuggire alla filosofia della storia: solo quest’ultima, infatti, potrebbe fornire l’orizzonte teoretico della trascendenza, necessario alla maturazione d’uno sguardo unitario e panoramico, capace di unificare dall’esterno l’intero corso storico. Solo un tale sguardo speculativo e totalizzante, di cui per altro verso non si vede quale possa essere il soggetto concreto in grado di attribuirsene legittimamente l’appannaggio esclusivo, potrebbe avere la pretesa riflessiva di provenire dallo stesso agente unitario del processo storico. Insomma, per unificare la diversità variegata e molteplice degli eventi e delle esperienze, per ricondurle a un soggetto collettivo unitario, per fare di quest’ultimo un’ipostasi autoriflessiva, e per attribuirle infine l’esclusiva dell’universalità, bisogna ipotizzare una conoscenza totalizzante, dotata d’accesso diretto alla struttura originaria del reale.
In fin dei conti, la problematicità di simili conclusioni, se da un lato induce a ritenere impraticabile l’idea stessa di un’autobiografia del genere umano, d’altro lato giustifica ampiamente il diniego crociano della storia universale, la cui insistita dipendenza dalla filosofia della storia ci sembra in conclusione più persuasiva e più solidamente argomentata delle pur brillanti analisi svolte nel libro di Conte.






NOTE
1 D. Conte, Storia universale e patologia dello spirito. Saggio su Croce, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici e Società Editrice Il Mulino, 2005.^
2 Cfr. B. Croce, Primi saggi, Bari, Laterza, 1919, pp. 3-41.^
3 D. Conte, op. cit., p. 8.^
4 Cfr. B. Croce, Teoria e storia della storiografia, a cura di G. Galasso, Milano, Adelphi, 1989, pp. 57-69.^
5 Cfr. B. Croce, Contro la “storia universale” e i falsi universali. Encomio dell’individualità, 1943, in Id., Discorsi di varia filosofia, 2 voll., Bari, Laterza, 1945, vol. I, pp. 128-162 (il saggio fu inserito da Croce nell’auto-antologia del 1951: cfr. Id., Filosofia Poesia Storia, a cura di G. Galasso, Milano, Adelphi, 1996, pp. 598-630).^
6 B. Croce, Carattere e significato della nuova filosofia dello spirito, 1945, in Id., Filosofia e storiografia, a cura di S. Maschietti, Napoli, Bibliopolis, 2005, p. 39.^
7 Ibidem.^
8 B. Croce, Contro la “storia universale” e i falsi universali. Encomio dell’individualità, cit., p. 131 (cfr. Id., Filosofia Poesia Storia, cit., p. 599).^
9 B. Croce, Teoria e storia della storiografia, cit., pp. 62-63.^
10 B. Croce, Contro la “storia universale” e i falsi universali. Encomio dell’individualità, cit., pp. 132-133 (cfr. Id., Filosofia Poesia Storia, cit., pp. 600-601).^
11 B. Croce, Teoria e storia della storiografia, cit., p. 90.^
12 Come già intuì Gramsci in una delle Lettere dal carcere del 12 dicembre del 1927, e come persuasivamente argomenta G. Galasso, Croce e lo spirito del suo tempo, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 183-206.^
13 «Posto che la contemporaneità non è carattere di una classe di storie (come si ritiene, e si ha buona ragione di ritenere nel classificare empirico), ma carattere intrinseco di ogni storia, bisogna concepire il rapporto della storia con la vita come rapporto di unità, non certamente nel senso di un’astratta identità, ma in quello di unità sistetica», B. Croce, Teoria e storia della storiografia, cit., p. 16.^
14 Ivi, p. 84.^
15 Cfr. B. Croce, Il primato del fare, 1946, in Id., Filosofia e storiografia, cit., pp. 11-20, qui p. 12 (ripreso nell’autoantologia: cfr. Id., Filosofia storia poesia, cit., pp. 52-62, qui p. 54).^
16 G. Galasso, op. cit., p. 194^
17 Conte, che dedica il suo libro a Fulvio Tessitore, trae ispirazione da un suo recente intervento, intitolato appunto Croce e la storia universale, in apertura del quale Tessitore scrive: «Questo che si intende qui proporre è soltanto un profilo esile, e consapevolmente tale, del problema riassunto nella formula Croce e la storia universale, giacché questo è, forse e senza forse, il nucleo della riflessione crociana» (F. Tessitore, Croce e la storia universale, già in Humanistica. Per Cesare Vasoli, a cura di F. Meroi ed E. Scaparrone, Firenze , Olshcki, 2003, pp. 369-388, ripreso in Croce filosofo. Atti del Convegno internazionale di studi in occasione del 50° anniversario della morte, 2 voll. a cura di G. Cacciatore, G. Cotroneo, R. Viti Cavaliere, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, t. II, pp. 611- 630, qui p. 611).^
18 D. Conte, Storia universale e patologia dello spirito, cit., p. IX.^
19 G. Galasso, op. cit., p. 469.^
20 Su questo punto, oltre al puntuale lavoro di G. Cacciatore, Il concetto di vita in Croce, in Croce e Gentile fra tradizione nazionale e filosofia europea, a cura di M. Ciliberto, Roma, Editori Riuniti, 1993, pp. 145-180, si vedano i cap. XVI (“Il tempo della vitalità”) e XVIII (“Nello specchio della storia: spirito del tempo e classicità”) di G. Galasso, op. cit., pp. 428-429 e pp. 443-476 (con relativa bibliografia).^
21 D. Conte, op. cit., p. 19.^
22 Ivi, p. 24.^
23 Ivi, p. 120.^
24 Cfr. B. Croce, La fine della civiltà, 1946, in Id., Filosofia e storiografia, cit., pp. 283-291, su cui si veda G. Sasso, Per invigilare me stesso. I Taccuini di lavoro di Benedetto Croce, Bologna, Il Mulino, 1989, cap. III.^
25 Cfr. B. Croce, Hegel e l’origine della dialettica (1951), in Id., Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, a cura di A. Savorelli, Napoli, Bibliopolis, 1998, pp. 37-60. Come scrisse R. Franchini, recensendo sul «Mondo» (del 29 marzo 1952) l’ultimo libro di Croce (il già citato Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici), in esso «la vitalità è l’origine della dialettica», in quanto proprio la vitalità «avrebbe una specie di ufficio di perenne disturbo delle altre forme», per poi concludere: «La vitalità di Croce non è l’esistenza di Jaspers, perché è mediata» (ora in R. Franchini, Pensieri sul «Mondo», a cura di R. Viti Cavaliere, C. Gily Reda, R. Melillo, Napoli, Lanciano, 2000, pp. 40-41).^
26 Cfr. B. Croce, Intorno alla categoria della vitalità, in Id., Indagini su Hegel…, cit., pp. 143-146, qui p. 144.^
27 D. Conte, op. cit., p. 234, che cita B. Croce, Teoria e storia della storiografia, cit., p. 96 (conviene riportare per esteso il contesto delle parole di Croce citate da Conte: «Se il corso storico non è trapasso dal male al bene né vicenda di beni e di mali, ma trapasso dal bene al meglio; se la storia deve spiegare e non condannare; essa pronuncerà soltanto giudizi positivi, e comporrà catene di beni […]. Un fatto che sembri meramente cattivo, un’epoca che sembri di mera decadenza, non può essere altro che un fatto non istorico, vale a dire non ancora storicamente elaborato, non penetrato dal pensiero, e rimasto preda del sentimento e dell’immaginazione».^
28 Ivi, p. 213.^
29 Ivi, p. 217 e p. 214.^
30 Ivi, p. 219, e qui Conte ovviamente si riferisce al famosissimo Perché non possiamo non dirci “cristiani”, 1942, in B. Croce, La mia filosofia, a cura di G. Galasso, Milano, Adelphi, 1993, pp. 38-53, dove il cristianesimo non viene soltanto definito come «la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta» (ivi, p. 38), ma vi viene definito così perché, operando «nel centro dell’anima, nella coscienza morale», esso «parve quasi che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fin allora era mancata all’umanità» (ivi, p. 39, corsivo aggiunto). Laddove è evidente che si tratta solo di accentuare una potenzialità comunque presente nella umanità precristiana.^
31 B. Croce, La storia come pensiero e come azione, Bari, Laterza, 1966, p. 6.^
32 Faust rabbrividisce quando Mefistofele l’invita a prendere la chiave che lo condurrà dalle Madri. E per rincuorarlo gli dice: «Un tripode ardente ti rivelerà alfine che tu sei giunto al fondo dell’abisso più profondo. Alla sua luce, vedrai le Madri. Le une siedono, le altre stanno in piedi e si muovono, così come capita. Formarsi e trasformarsi; eterno gioco del pensiero eterno […]. Fatti animo allora perché il pericolo è grande […]!», W. Goethe, Faust (I e II parte) e Urfaust, a cura di G.V. Amoretti, Torino, Utet, 1975, p. 287.^
33 B. Croce, Intorno al ”magismo” come età storica (1948), in Id., Filosofia e storiografia, cit., p. 193.^
34 B. Croce, Esperienze storiche attuali e conseguenze per la storiografia, 1948, in Id., Filosofia e storiografia, cit., p. 312 (cfr. D. Conte, op. cit., p. 227).^
35 B. Croce, Esperienze storiche attuali e conseguenze per la storiografia, cit., p. 309.^
36 D. Conte, op. cit., p. 227.^
37 In realtà, il filo conduttore implicito dell’interpretazione di Conte è l’opposizione tra filosofia della storia e storia universale, già al centro della lettura dello storicismo tedesco proposta da Fulvio Tessitore in molti suoi testi; basti fra tutti citare qui un suo libro d’una ventina d’anni fa, che ne fornisce un’esposizione chiara e circostanziata: cfr. F. Tessitore, Il senso della storia universale, Milano, Garzanti, 1986 (libro che – come si legge all’inizio della sua Presentazione – «la tirannia dei titoli» aveva impedito che «si fregiasse dell’intestazione a lui più consona: Dalla filosofia della storia alla storia universale», ivi, p. 7).^
38 D. Conte, op. cit., p. 29, p. 35, pp. 219-220.^
39 D. Conte, op. cit., pp. 106-107. Il passo di Croce citato da Conte è tratto da Carattere e significato della nuova filosofia dello spirito, cit., p. 34.^
40 D. Conte, op. cit., pp. 107-108.^
41 Ivi, p. 29, che cita Problemi particolari e ordini di problemi, in B. Croce, Carattere della filosofia moderna, a cura di M. Mastrogregori, Napoli, Bibliopolis, 1991, p. 202.^
42 B. Croce, Logica come scienza del concetto puro, Bari, Laterza, 1981, p. 49.^
43 B. Croce, La storia come pensiero e come azione, cit., pp. 11-12: «L’uomo è un microcosmo, non in senso naturalistico, ma in senso storico, compendio della storia universale». Passo denso di echi bruniani e vichiani (cfr. G. Galasso, op. cit., pp. 405-406), su cui opportunamente si dilunga Conte, op. cit., pp. 72-75.^
44 B. Croce, L’autobiografia come storia e la storia come autobiografia, 1941, in Id., Il carattere della filosofia moderna, p. 148 (il saggio fu inserito da Croce nell’auto-antologia del 1951: cfr. Id., Filosofia Poesia Storia, cit., p. 633).^
45 D. Conte, op. cit., p. 92.^
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