Rubbettino Editore
Rubbettino
Torna alla Pagina Principale  
Redazione: Fausto Cozzetto, Piero Craveri, Emma Giammattei, Massimo Lo Cicero, Luigi Mascilli Migliorini, Maurizio Torrini
Vai
Guida al sito
Chi siamo
Blog
Storia e dintorni
a cura di Aurelio Musi
Lettere
a cura di Emma Giammattei
Periscopio occidentale
a cura di Eugenio Capozzi
Micro e macro
a cura di Massimo Lo Cicero
Indici
Archivio
Norme Editoriali
Vendite e
abbonamenti
Informazioni e
corrispondenza
Commenti, Osservazioni e Richieste
L'Acropoli
rivista bimestrale


Direttore:
Giuseppe Galasso

Responsabile:
Fulvio Mazza

Redazione:
Fausto Cozzetto
Piero Craveri
Emma Giammattei
Massimo Lo Cicero
Luigi Mascilli Migliorini
Maurizio Torrini

Progetto grafico
del sito:
Fulvio Mazza

Collaboratrice per l'edizione online:
Rosa Ciacco


Registrazione del
Tribunale di Cosenza
n.645 del
22 febbraio 2000

Copyright:
Giuseppe Galasso
 
Cookie Policy
  Sei in Homepage > Anno XIII - n. 2 > Rendiconti > Pag. 206
 
 
La rivista «Humanitas» e la rinascenza mediterranea
di Giovanni Carosotti
Lo studio dedicato da Nicola Fanizza a Piero Delfino Pesce (N. Fanizza Piero Delfino Pesce e la rinascenza mediterranea nel centenario della rivista Humanitas 1911-1924, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari, 2011) abbraccia in modo spontaneo e intrigante tanto la dimensione locale, e addirittura personale, quanto il contesto culturale italiano e europeo. L’interesse dell’autore per questa importante personalità della Puglia del primo Novecento risale, come è confessato all’inizio del saggio, al periodo dell’infanzia: la visione del grande giardino del palazzo dei Pesce dalla terrazza della casa paterna, la stima provata dai genitori nei confronti di questa famiglia, nonché una rocambolesca vicenda che ha portato Fanizza a entrare in possesso di importanti lettere di Pesce. Apparentemente il volume approfondisce una storia locale, il lavoro e l’azione di un intellettuale coraggioso, rilevante per la storia pugliese ma di minor peso rispetto al contesto nazionale. Fanizza sceglie però di porre costantemente in rapporto l’evoluzione del pensiero di Pesce con il generale clima culturale diffuso allora in Italia, e in questo modo riesce a rendere la statura nazionale del personaggio. Pesce in effetti partecipa con grande passione e attivismo a tutte le vicende e alle discussioni che coinvolgono gli intellettuali italiani nei primi due decenni del secolo; anzi, per lui il rapporto con le espressioni più innovative della cultura e dell’arte nazionali, nonché con il pensiero politico e economico, è fondamentale in vista di un’azione politica progressista nella propria terra. Risulta spontaneo all’Autore, dunque, calare Pesce nel contesto europeo e sottrarne la personalità all’attenzione esclusiva della storia locale, mostrando come abbia agito da protagonista nel dibattito culturale che allora animava la cultura europea come peraltro dimostrano i suoi incontri e i suoi dialoghi con importanti personalità del periodo.
Da questo punto di vista, i primi capitoli del libro forniscono un quadro nel contempo rigoroso e avvincente della temperie attraversata dai giovani intellettuali meridionali, entusiasti delle novità che interessavano l’Europa. Nel 1892, dopo essersi diplomato a Molfetta, Delfino Pesce si trasferisce a Napoli per proseguire gli studi universitari, e qui viene coinvolto in una polemica musicologica di grande rilevanza, che ha per protagonista Niccolò van Westerhout, un giovane musicista di Mola, oggi dimenticato, ma che all’epoca mise in scena alcune opere a Roma e a Napoli che ebbero grande notorietà, e che viveva da alcuni anni nel capoluogo campano. Egli portò avanti una vivace polemica contro la tradizione del melodramma italiano a favore della corrente wagneriana e, dietro di sé, trascinò alcuni giovani studenti, fra cui Pesce. Studenti il cui punto d’incontro era il teatro Bellini, dal programma più innovativo rispetto al san Carlo; al Bellini, inoltre, aveva debuttato un tenore che suscitò in loro un’immediata ammirazione, Enrico Caruso. E pare che lo stesso Caruso rimase deluso quando non venne scelto per l’interpretazione di un’opera di Westerhout.
Questa iniziale passione non fu solo un estemporaneo interesse giovanile, ma orientò il giovane Pesce verso prese di posizione intellettuali che rimarranno costanti negli anni e che saranno coltivate nelle imprese editoriali che egli, in seguito, diresse. Già da allora Pesce mostrava avversione per il naturalismo e per le derive filosofiche di tipo scientista, che considerava non solo fallaci, ma anche estranee alla più autentica sensibilità della cultura meridionale; il positivismo era una forma di pensiero, a suo parere, tipica dell’Europa continentale, che mortificava la spontanea tendenza della cultura mediterranea per lo spiritualismo. Pesce proponeva una visione filosofica idealistico-religiosa («idealismo mistico», la chiama Fanizza), in contrasto con l’idealismo crociano, il cui obiettivo era favorire la «rinascenza mediterranea», ovvero valorizzare quel patrimonio spirituale comune che le nazioni mediterranee dovevano contrapporre alla cultura nordica. Un’interpretazione, comune a diversi intellettuali, tutt’altro che rigorosa, tanto da dare luogo a varie correnti, tra loro in conflitto, che associavano la mediterraneità ora al cattolicesimo, ora all’ateismo, fino al paganesimo sostenuto da Gabriele D’Annunzio. Furono questi contenuti alla base della prima impresa editoriale di Pesce, quella della rivista «Aspasia».
Parallelamente all’evoluzione del pensiero estetico di Pesce, Fanizza segue anche quella politica, che coinvolge il nostro in modo altrettanto appassionato. In particolare nel 1902, quando conduce assieme allo scrittore milanese Paolo Valera e alla rivista da lui diretta «La folla» la lotta contro la costruzione dell’acquedotto pugliese; esperienza che conduce Pesce alla scelta di entrare a far parte del Partito Repubblicano. Pesce si dichiara mazziniano ma la sua interpretazione del pensiero di Mazzini, e qui si coglie la continuità con la sensibilità estetica sintetizzata sopra, risente del suo misticismo antipositivista. Il suo programma politico, del resto, non è privo di ambiguità, ma sono proprio queste ambiguità a fargli conoscere personaggi importanti. Il rapporto con Benito Mussolini, ad esempio, risale agli anni giolittiani. Pesce ritiene dannoso il riformismo di Giolitti perché rischia di rafforzare la monarchia; proprio per questo, egli dissente dalla linea politica dei socialisti riformisti di Turati e si avvicina all’ala massimalista, di cui all’epoca Mussolini era il maggiore esponente. Una condivisione di ideali che non si limita al periodo giolittiano, ma coinvolge Pesce anche nella scelta interventista. Pesce mostra un’incoerenza nelle prese di posizione politiche simile a quella di Mussolini, entrambi contrari alla guerra nel caso dell’impresa libica, ma interventisti nel primo conflitto mondiale. I repubblicani, infatti, avversarono l’impresa di Libia e, sul piano sindacale, appoggiarono le azioni dell’Unione Sindacale Italiana, cui aderivano anche i sindacalisti rivoluzionari. Certo, nel caso delle prima guerra mondiale le motivazioni di Pesce sono più vicine a quelle di Gaetano Salvemini che non a Mussolini. Pesce vedeva nella guerra la possibilità di completare l’opera risorgimentale ma soprattutto, secondo una discutibile interpretazione del pensiero mazziniano, per lui la guerra avrebbe finalmente portato le masse a condividere l’ideale della patria, completando, anche in questo caso, l’opera del Risorgimento. Se allora infatti le masse non avevano partecipato al processo di unificazione nazionale, con la guerra esse sarebbero diventate protagoniste delle vicende nazionali; l’immedesimazione delle masse con l’ideale patriottico avrebbe indebolito il potere della monarchia, garante delle élites protagoniste del Risorgimento, rendendo inevitabile la svolta repubblicana. Una posizione nota l’autore in fondo non molto distante da quella di Antonio Gramsci; tra i futuri dirigenti comunisti, infatti, Gramsci fu uno di quelli che all’inizio tentennò sulla guerra, valutandola un evento in grado di politicizzare le masse. Posizione opposta a quella, per esempio, di Bordiga, il quale subito sostenne il carattere imperialista della guerra, contrario agli interessi del proletariato. Come si nota, un pensiero quello di Pesce per nulla rigoroso, con molte venature utopiche, fondato su un malinteso spiritualismo che egli riteneva di mutuare da Mazzini e che lo porta a scelte politiche avventate. D’altronde non è l’unico ripensamento che Pesce e Gramsci ebbero in comune; ci fu pure quello ricorda Fanizza relativo all’esperienza fiumana, dove ancora ad attrarre i due fu la suggestione movimentista.
Fanizza non nega il carattere spontaneo, a volte ingenuo, privo di un rigoroso fondamento teorico, del pensiero di Pesce; ma, nello stesso tempo, l’autore si rende conto come tale debolezza non sminuisca l’importanza della personalità storica di Pesce, significativa proprio perché capace di recepire la ricchezza del dibattito allora in atto in Italia. Attraverso di lui è possibile ripercorre le inquietudini vissute da molti intellettuali, di diverso orientamento politico – culturale, i quali, di fronte al precipitare degli eventi, non sempre seppero assumere immediatamente una posizione lineare. Queste contraddittorie, e spesso fallaci, posizioni politiche erano assunte però in ragione, anche se questo può apparire paradossale, di un ideale limpido e, nel caso di Pesce, assolutamente democratico. Quando difatti il turbinoso corso degli eventi di quest’epoca difficile si avviò verso la soluzione totalitaria, egli si mantenne fermo in una posizione di dura condanna, che molto gli costò sul piano personale, economico e professionale.
I diversi aspetti della personalità di Pesce si trovano tutti confermati nell’esperienza più significativa della sua vita, la fondazione della rivista «Humanitas», cui è dedicato buona parte dello studio in oggetto.
«Humanitas» fu una rivista a tutto campo, dedicata ai diversi interessi di Pesce. Certo, la questione politica fu predominante, orientata su posizioni repubblicane radicali, in opposizione a quelle dell’ala del Partito definita, con intento denigratorio, dei “ministeriali”. Fanizza ritiene di poter sintetizzare la linea culturale della rivista in un’unione degli ideali mazziniani con quelli della rinascenza mediterranea. Numerose furono le coraggiose prese di posizione politiche, da quelle specifiche, come la battaglia per il prezzo del pane, ad altre di carattere più generale: sulla scuola, sulla questione meridionale, a favore, e questo può stupire visto il riferimento alla posizione mazziniana, del federalismo; non ultimo, una coraggiosa battaglia a sostegno della causa armena, a partire dall’importante esperienza del villaggio di Nora Ax, un centro di raccolta dove i pugliesi accolsero i profughi armeni sopravvissuti allo sterminio. Il più celebre dei quali divenne poi un importante collaboratore della rivista, Hrand Nazariantz.
Ben si capisce allora come l’importanza di questa rivista vada ben oltre il contesto pugliese; «Humanitas» fu uno dei tentativi più riusciti nel panorama nazionale di sprovincializzare la cultura italiana, facendo conoscere il meglio del dibattito che si svolgeva negli e sugli altri paesi, attraverso collaborazioni di prestigio. D’altra parte, basta scorgere i nomi dei molti che scrissero sulla rivista o che la lessero per comprenderne l’importanza: Eugenio Chiesa, Napoleone Colajanni, Alfonso Leonetti, Anton Giulio Bragaglia. E tra i lettori: Malatesta e Mussolini, conosciuti personalmente da Pesce, Antonio Gramsci e il fratello del futuro duce, Arnaldo Mussolini.
Sul fronte della riflessione estetica, la rivista rimase fedele ad uno spiritualismo antinaturalistico, anzi l’accentuò con puntate tutt’altro che infrequenti nel campo della teosofia. Da questo particolare angolo di lettura venne interpretata anche la corrente del futurismo. A «Humanitas» si deve l’esordio di Salvatore Quasimodo, nel maggio del 1917, con queste parole di presentazione da parte di Francesco Carrozza: «Oggi mi è caro segnalare un caro amico di sedici anni, che scrive come molti non scrivono a venti anni: Salvatore Quasimodo». Il poeta, che negli anni seguenti continuerà a pubblicare sulla rivista, sembra condividerne le posizioni poetiche, come si evince da questo breve passo, dove si unisce l’amore per la cultura locale con una concezione magico-mistica dell’impegno poetico: «Valorizzare la Sicilia intellettuale. Ecco il sogno che bisogna svegliare nel sole, con fede mistica senza essere soverchiamente contemplativi».
Pesce diresse «Humanitas» con passione assoluta, dilapidando nell’impresa buona parte delle sue sostanze (tanto da paragonarla a un’esigente amante). Fu proprio su questo sentimento che infierì il fascismo per impedirne le pubblicazioni. Pesce fu in testa a quel movimento, “Alleanza per il lavoro”, costituito in Puglia per arginare la violenza fascista; tentativo tardivo, nato quando ormai la situazione democratica era compromessa in gran parte d’Italia, e che fu sostenuta, oltre che da Pesce, anche da Giuseppe Di Vittorio. Pesce venne arrestato e incarcerato per un mese con l’accusa di «fondazione di bande armate contro i poteri dello Stato, istigazione a delinquere e complicità in omicidio». Ciò non valse a piegare la sua resistenza, che divenne ancora più energica attraverso le pagine della rivista. I fascisti, dopo avere ucciso a Mola il deputato socialista Giuseppe di Vagno, e Fanizza ricostruisce nel libro la vicenda, impedirono a Pesce con la violenza di tenere comizi. La fine della rivista si ebbe nel dicembre 1924, con la distruzione della tipografia da parte degli squadristi, particolarmente irritati dal fatto che la pubblicazione, dopo il delitto Matteotti, aveva accentuato in modo sempre più esplicito e combattivo la propria posizione politica, anche perché in quel frangente Pesce aveva ritenuto imminente la fine del fascismo. In seguito Pesce subirà un nuovo arresto; una figura eroica, come si vede, il cui pensiero politico non fu privo di ambiguità, ma che, nei frangenti più drammatici della storia d’Italia, dimostrò ammirevole coerenza nei propri ideali.
Una vicenda appassionante, che Fanizza descrive con partecipazione e la cui rilevanza rispetto alla storia nazionale non ha bisogno di essere ulteriormente argomentata. L’intento dell’autore è proprio quello di allargare l’orizzonte, di far respirare Pesce insieme ad altre figure europee. Ed è forse questo intento generoso a far correre il rischio, a volte, di ampliare eccessivamente il campo d’indagine. Fanizza, in alcune pagine, per sottolineare quanto consapevolmente Pesce vivesse il proprio tempo, fa riferimento a tematiche filosofiche più ampie a partire dalle quali le riflessioni dell’intellettuale pugliese possono essere adeguatamente valorizzate e compie alcuni excursus che abbandonano, seppur brevemente, la coerenza della ricostruzione. In alcuni casi, come il confronto proposto tra Pesce e Simon Weil, si è di fronte a una legittima interpretazione che serve a suscitare più profonde riflessioni nel lettore; in altri, per esempio il riferimento al dibattito sulla cultura Mediterranea tra Cassano e Latouche, la trattazione appare fuori fuoco, soprattutto perché, per non perdere il filo del discorso, non può che risolversi in osservazioni relativamente approssimative. Tutte legittime, ma che potrebbero essere oggetto di obiezioni, senza che però il testo abbia la possibilità di approfondirle per eventuali contro argomentazioni. Si tratta comunque di un aspetto assolutamente marginale, che non compromette la compattezza dello studio.
Il quale si conclude con un’interessante considerazione di un documento: una lettera della scrittrice salentina Margherita Santoro all’amica Tiziana Tanzarella, a cui confida lo sdegno di un suo amico per le violenze esercitate contro Pesce. Fanizza ritiene di poter stabilire l’identità di questo personaggio in Arnaldo Mussolini, di cui propone un interessante ritratto psicologico; egli tentò, in più occasioni, di prendere le distanze – senza però avere il coraggio personale di contrapporsi sul piano dei fatti – dall’azione politica del fratello, consapevole di quanto fosse distruttiva per il progresso della cultura italiana.
  Cosa ne pensi? Invia il tuo commento
 
Realizzazione a cura di: VinSoft di Coopyleft