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Il regime salazarista, l’impero coloniale e la comunità internazionale nella seconda metà degli anni Cinquanta
di Angela Calia
1. L’ingresso del Portogallo all’ONU e l’Art. 73 della Carta delle Nazioni Unite

A metà degli anni Cinquanta, l’ingresso del Portogallo alle Nazioni Unite completa il processo di allineamento dell’Estado Novo, iniziato alla fine del secondo conflitto mondiale, al fianco delle potenze occidentali e democratiche. Tale ammissione, comunicata al ministro degli esteri di Lisbona il 15 dicembre 1955 dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Dag Hammarskjold, è il risultato del cosiddetto package deal tra Stati Uniti e URSS1. La prima candidatura portoghese all’organizzazione risale in realtà all’immediato dopoguerra. Nel 1946, la decisione di Lisbona di aderire al Membership Committee dell’ONU vanta dell’appoggio sia britannico che statunitense, ma l’ammissione portoghese sarà accettata solo grazie alla fine del veto sovietico e all’accordo tra le due superpotenze.
L’ingresso del Portogallo alle Nazioni Unite, fin a quel momento presente solo con un osservatore ufficiale del governo, António de Lucena, coincide con l’inizio di un periodo più marcatamente anticolonialista dell’organizzazione2. L’adesione di nuovi membri, infatti, determinerà un aumento delle pressioni sulle potenze europee amministranti territori sotto forma di tutela e, allo stesso tempo, darà luogo ad una serie di ripercussioni che mineranno le posizioni coloniali del regime salazarista3. In quanto membro dell’ONU, il governo salazarista potrà ricorrere al Tribunale Internazionale di Giustizia dell’Aia per la questione di Goa, ma dovrà anche affrontare le conseguenze della nota del Segretario Generale dell’ONU del 24 febbraio 1956, in cui si chiede se, secondo le disposizioni dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, il Portogallo amministra territori non autonomi.
L’articolo 73 del capitolo XI della Carta delle Nazioni Unite, intitolato Declarations regarding non-self-governing territories, dichiara che
i membri delle Nazioni Unite che hanno o assumono responsabilità per l’amministrazione di territori le cui popolazioni non hanno ancora raggiunto una forma completa di autogoverno sono obbligati, secondo la linea e), “a trasmettere regolarmente al Segretario Generale ai fini di informazione”, con un limite dettato da esigenze di sicurezza oltre che da considerazioni di ordine costituzionale, “informazioni di ordine statistico e altre di natura tecnica relative alle condizioni economiche, sociali e di istruzione dei territori per i quali sono rispettivamente responsabili […]4.

La risposta portoghese è immediata e secca, e sarà ribadita anche negli anni successivi: l’Estado Novo afferma fermamente che il Portogallo non è responsabile di nessun territorio non autonomo. Per Lisbona la nota inviata al Segretario Generale implica che «[...] le province portoghesi dell’Oltremare non avevano vocazione per un’indipendenza separata». Il governo portoghese, inoltre, indica che
si arrogava la competenza esclusiva per interpretare ed applicare il proprio ordine giuridico interno; che non avrebbe prestato informazioni sulla propria amministrazione ultramarina; che non si sottometteva al regime di censura internazionale della comunità delle Nazioni; e che, infine, intendeva applicare rigorosamente alla lettera lo spirito dell’articolo 73 della Carta, rifiutando la pratica e la giurisprudenza che, all’ombra di quello e infrangendolo, l’Assemblea intanto sviluppava e stabiliva5.

Lisbona non smetterà di sostenere che è di esclusiva competenza dei governi, e non dell’Assemblea Generale, la facoltà di dichiarare se essi amministrano o meno territori di quel tipo. Il governo portoghese sottolinea che la pratica seguita dall’ONU dal 1946 fino al ’56 è stata sempre la stessa: il Segretario Generale invia una lettera ai governi in cui si chiede se essi amministrano territori nelle condizioni elencate dall’articolo 73 della Carta, i governi rispondono e l’Assemblea Generale, infine, prende semplicemente nota. I problemi riguardanti la trasmissione delle informazioni sono sorti solo all’indomani della risposta portoghese in cui si afferma che il Portogallo non amministra territori non autonomi, dando così origine ad un lungo dibattito iniziato durante la XI Assemblea dell’ONU. Nonostante questo precedente, a partire dal quale si scatena una lunga lotta in seno alle Nazioni Unite, la conclusione fissata da Lisbona rimane immutata: «la pratica consacrata di chiedere agli Stati se amministrano territori stabiliti nell’Art. 73, si può basare solo nel parere dell’esclusiva competenza dello Stato per tale fine», escludendo qualsiasi autorità dell’Assemblea Generale nelle decisioni al riguardo6.
I dirigenti portoghesi, inoltre, polemizzano persino sulla legittimità del Comitato di Informazioni dei Territori Non Autonomi, in quanto non previsto dalla Carta e creato con la risoluzione 47 (II) del 3 novembre 1947 per lo studio e l’elaborazione dei documenti di sintesi sulle informazioni ricevute. L’accusa del governo salazarista contro le scelte delle Nazioni Unite, secondo Lisbona sempre guidate da un fortissimo sentimento anticolonialista, è che «tutto quello che l’Assemblea ha estratto dall’art. 73 oltrepassa ciò che la più ricca immaginazione potrebbe aver dedotto da una lettura onesta di quel precetto. Non si esagera se si afferma che l’Assemblea è entrata nel dominio dell’arbitrio e dell’illegalità»7.
Un altro aspetto contestato dai rappresentanti portoghesi è la concezione, intrinseca all’articolo 73, «che le sovranità esercitate sui territori non autonomi hanno una base o un’origine esterna e non proveniente da questi territori; […] e rivestono, di conseguenza, una natura temporanea»8. Mentre per le Nazioni Unite la sovranità legittima risiede nel popolo amministrato, ed essa è esercitata da un altro solo a titolo temporaneo, per il Portogallo salazarista il proprio fenomeno coloniale ha assunto un carattere perenne, attraverso l’integrazione dei propri territori coloniali nello stato colonizzatore9.
Il governo salazarista, così, negherà ripetutamente di dover procedere alla trasmissione di informazioni statistiche e di carattere sociale ed economico sui territori sotto la propria amministrazione. Tale atteggiamento sarà sempre giustificato, sia sul piano giuridico che ideologico, dalla teoria che la Metropoli portoghese si trova in una posizione di uguaglianza con i propri territori d’oltremare. L’alterazione dello Statuto Costituzionale del 1951 permette infatti di affermare l’integrità della nazione portoghese e di rifiutare le richieste del Segretario Generale sulla trasmissione di una serie di informazioni sui territori non autonomi10. Per difendere la propria posizione i diplomatici portoghesi si basano soprattutto su argomentazioni di ordine giuridico. Essi non solo affermano che le Nazioni Unite erano a conoscenza della Costituzione portoghese al momento dell’ammissione del Portogallo, ma soprattutto non attribuiscono all’organizzazione la competenza per analizzare le costituzioni nazionali. Seguendo questa logica, anche una sola discussione al riguardo equivarrebbe ad un’interferenza negli affari interni allo Stato, con la conseguente contraddizione dell’articolo 2, n° 7 della Carta11. «Impugnare la risposta portoghese, sulla base di un’interpretazione della costituzione portoghese, significava di conseguenza violare in maniera flagrante quel chiaro precetto della Carta»12.
Tra il settembre e l’ottobre 1956, prima dell’inizio dell’XI Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in una serie di incontri tra i diplomatici di Lisbona e quelli di alcuni paesi dell’Europa occidentale vengono discusse le implicazioni dell’articolo 73 della Carta e le tattiche da adottare in sede di dibattito.
Il 29 ottobre 1956 si svolgono, ad esempio, i colloqui luso-francesi, durante i quali alcuni rappresentanti del ministero degli esteri portoghese espongono il punto di vista del loro governo13. La delegazione francese, come si legge nel Relato da Conversa del MNE, dimostra di approvare la posizione assunta da Lisbona, decidendo di intraprendere una stretta collaborazione tra i delegati dei due paesi durante l’Assemblea Generale. Anche con il Belgio e la Gran Bretagna l’Estado Novo sembra condividere le proprie posizioni coloniali, potendo così contare sul loro appoggio alle Nazioni Unite.
Per il sottosegretario del ministero delle colonie britannico, presente alle riunioni con i portoghesi al Foreign Office a Londra dal 19 al 21 settembre, l’autorità dell’ONU si applica esclusivamente ai territori sotto tutela, e non a quelli dichiarati non autonomi14. Secondo la sua analisi, la confusione tra i due concetti viene invece invocata dai movimenti anticolonialisti, in modo da porre anche i paesi amministratori di territori non autonomi sotto l’autorità delle Nazioni Unite. L’articolo 73 stabilisce infatti, prosegue Bourdillion, l’«obbligo di comunicare alcune informazioni al Segretario Generale, e niente più: e la creazione del Comitato di Informazioni – iniziativa dei paesi anticolonialisti – con competenze per esaminarle e discuterle, non aveva giustificazioni alla luce della Carta»15. In ogni caso, la Gran Bretagna accetta di collaborare a tale Comitato, considerandolo «il male minore rispetto a qualcun’altra interferenza dell’ONU» poiché esso non ha «nessuna competenza legale»16.
Non credendo che le argomentazioni giuridiche portoghesi vengano accettate dall’organizzazione internazionale o che si possano dimostrare vincenti, Londra non consiglia al Portogallo di cercare di sfuggire alle richieste presentate dalla segreteria generale. Anche se non si è né moralmente né legalmente obbligati, ad avviso dei britannici, sarebbe preferibile fornire una serie di informazioni generiche, tali da non compromettere la sovranità portoghese ed evitare di fissare i termini per un eventuale indipendenza. Bourdillion, oltre ad assicurare «complete support» del Regno Unito al Portogallo, suggerisce infine che i due paesi debbano concentrarsi sullo sforzo congiunto di «negare la competenza delle Nazioni Unite nell’occuparsi di certi problemi», così come di guadagnare l’appoggio di alcuni paesi sudamericani notoriamente anticolonialisti e degli USA17.
Il 13 novembre 1956 si ha la prima sessione ordinaria delle Nazioni Unite a cui partecipa il Portogallo, guidato dal ministro degli esteri Paolo Cunha. Davanti all’Assemblea Generale, egli esprime l’apprezzamento del proprio governo per il fatto di poter far parte di quell’organizzazione mondiale, avendo così modo di cooperare per la pace con gli altri stati membri18. Ma, al di là dei discorsi ufficiali e di circostanza, gli esponenti dell’Estado Novo continuano ad avere riserve nei confronti dell’ONU. Cunha, al ritorno da New York, in un’intervista al «Diário da Manhã», sebbene ne riconosca l’importanza, critica aspramente i meccanismi lenti e dispersivi dell’Assemblea19. L’inefficienza delle Nazioni Unite, a detta del ministro, non permette di svolgere appieno il compito di concerto mondiale. Per l’esame di ogni singolo problema vengono infatti ascoltati decine di discorsi, poiché ogni paese può pronunciarsi, spesso in maniera totalmente arbitraria, su tutte le problematiche. «Esempio caratteristico è l’uso e l’abuso dell’“anticolonialismo”», egli continua nell’intervista, «formula magica che compare menzionata nei discorsi dell’Assemblea a proposito di tutto e di nulla, applicata ciecamente ed indiscriminatamente a tutte le situazioni – tanto a quelle del cattivo quanto al buon colonialismo, e anche ad altre che di colonialismo nulla hanno a che vedere»20.
Come era stato previsto nel corso degli incontri preparatori, il caso portoghese viene affrontato durante le discussioni dell’XI Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Nel resoconto del rappresentante portoghese si afferma che, già qualche giorno dopo l’arrivo della propria delegazione all’ONU, alcuni paesi si erano proposti di attaccare la posizione di Lisbona riguardante la risposta data al Segretario Generale sull’amministrazione dei territori non autonomi. Secondo il delegato di Lisbona, nel novembre del ’56 l’agenda dei lavori della Commissione lascia pensare che il caso portoghese non sarebbe stato valutato prima del gennaio dell’anno successivo, avendo così il tempo di lavorare per poter ribattere agli attacchi contro la politica perseguita. Adriano Moreira, Vasco Garin e gli altri rappresentanti iniziano una campagna di «lobbying», secondo la definizione contenuta nello stesso resoconto sulla XI Assemblea, moltiplicando i contatti con le delegazioni straniere della Quarta Commissione. I portoghesi cercano di sondare le posizioni degli altri delegati e tentare di raccogliere il maggior numero di appoggi al di là dei paesi amici o alleati, soprattutto europei, concentrando gli sforzi diplomatici su quelli con tendenze meno favorevoli21.
Agli inizi del 1957 i colloqui con gli altri rappresentanti stranieri all’ONU, seppure inizialmente non sembrino dare risultati particolarmente incoraggianti, fanno sì che la posizione portoghese di partenza subisca un’evoluzione. Le modifiche nella tattica da seguire nei dibattiti sono dettate dalla convinzione che l’attacco si baserà su termini puramente legali. I rappresentanti portoghesi sono certi che, dopo un’analisi dell’articolo 73, saranno citati anche i testi costituzionali dell’Estado Novo nel tentativo di dimostrare la «não-unidade della Nazione Portoghese, sia dal punto di vista territoriale che dal punto di vista della sovranità e dell’amministrazione»22. A queste argomentazioni, poi, si sommano le indicazioni ricevute dalla Segreteria di Stato.
Le direttive di Lisbona insistono sulla necessità di difendere l’idea di incompetenza dell’Assemblea nel giudicare la propria posizione, invocando l’articolo 2 della Carta. Ma più che contestare l’autorità della Assemblea nel valutare se un territorio è o non è autonomo, i delegati portoghesi preferiscono incentrare la difesa della propria posizione affermando l’«esclusiva competenza dei governi per interpretare la propria costituzione e dichiarare, in armonia con essa, l’esistenza o la non esistenza di territori non autonomi»23. Nella tattica fissata dalla delegazione assume un ruolo fondamentale anche l’affermazione della specificità del caso portoghese. In essa viene rifiutato qualsiasi parallelismo con casi apparentemente simili e, soprattutto, si esclude categoricamente l’esistenza di fenomeni di colonialismo all’interno della nazione.
Come previsto, i dibattiti dell’Assemblea, dopo aver trattato i punti dell’agenda sulle questioni generali relativi alla trasmissione delle informazioni sui territori non autonomi, passano ad analizzare il caso della risposta del Portogallo alle richieste del Segretario Generale24. Le posizioni portoghesi in materia coloniale, al di là delle forti denunce da parte dei paesi afro-asiatici, vantano ancora un forte appoggio dei rappresentanti europei e degli USA. Il governo di Lisbona, tuttavia, non si mostra totalmente soddisfatto dei risultati ottenuti. Nei documenti del MNE sull’andamento dell’XI Assemblea Generale, definita di «chiara ispirazione anticolonialista», si legge che il trionfo portoghese all’ONU è stato interpretato, sia dai paesi amici che da quelli nemici del Portogallo, come una vittoria delle nazioni colonialiste25. Gli esponenti del governo salazarista hanno la certezza che il successo ottenuto nel 1957 alle Nazioni Unite non è definitivo. Le proprie posizioni dovranno certamente fronteggiare nuovi attacchi e occorrerà tentare di consolidarle durante la XII Assemblea. Le dichiarazioni da fare in quella sede dovranno infatti essere attentamente ponderate nel tentativo, ancora una volta, di dissociare il Capitolo XI della Carta dalla teoria generale del colonialismo.
Per il ministero degli esteri portoghese,
In effetti il Capitolo XI non si riferisce alle colonie – riguarda soltanto “i territori le cui popolazioni non hanno raggiunto la piena capacità di governarsi da sole”. È il caso del ‘self-government’, espressione che è stata falsamente interpretata come ‘indipendenza’ (e, perciò, ripudio della potenza coloniale), quando il vero significato è ‘autonomia’. Dunque il problema dell’autonomia già non è elemento specifico della teoria generale del colonialismo, visto che l’unitarismo, e in particolare l’unitarismo portoghese, è oggi accettato da molti trattatisti come una delle forme possibili dell’autonomia politica26.

Anche la scarsa esperienza dei delegati portoghesi presenti all’ONU viene messa in discussione. Dopo l’XI Assemblea il governo di Lisbona, per poter meglio fronteggiare le critiche, giudica necessario affrontare alcune questioni sulla preparazione delle future delegazioni e l’organizzazione materiale dei servizi della Missione Permanente a New York27.
Come paventato dalla delegazione portoghese, già con l’apertura della XII Assemblea Generale nel settembre 1957 la posizione del Portogallo riguardante l’art. 73 viene nuovamente posta in causa28. I timori di dover fronteggiare nuovi e più duri attacchi vengono confermati. Anche la maggior parte dei cosiddetti delegati amici, infatti, persino quelli disposti ad offrire un appoggio incondizionato, non nascondono ora tutti i dubbi sulla possibilità di una nuova vittoria portoghese e le difficoltà nel mantenere il sostegno di molti paesi ottenuto all’Assemblea precedente. All’Assemblea partecipano infatti 81 membri, e il cambiamento della sua composizione, con la conseguente crescita di importanza di paesi con posizioni anticoloniali, impone una revisione della condotta da seguire nei dibattiti29.
Coscienti della debolezza delle proprie tesi, i rappresentanti di Lisbona hanno anche la certezza che a breve si darà inizio ad un processo la cui conclusione porterà indubbiamente alla condanna del governo portoghese. Si percepisce il rischio di trovarsi, nel giro di pochi anni, in una situazione di quasi totale isolamento, analogamente al Sud Africa, e di dover affrontare la nomina di un comitato ad hoc per le colonie portoghesi. Per scongiurare tale esito, la delegazione all’ONU prepara una nuova difesa e, ancora una volta, viene adottata la linea dell’intransigenza. Nel piano delineato, Lisbona si trova nuovamente pronta ad affermare che il problema delle informazioni dei territori non autonomi per il proprio governo non esiste. Il caso delle “province” era infatti già stato dibattuto e chiuso, per cui qualora venga ripreso, i delegati portoghesi si opporranno giudicando inaccettabile una nuova discussione.
Nonostante le incertezze e le tensioni, però, i paesi dell’Europa occidentale ribadiscono il proprio sostegno al Portogallo. La Gran Bretagna, a detta del delegato portoghese, fa un intervento eccellente in difesa dell’alleato e contro la risoluzione definita «‘tailor made’ to fit Portugal»30. Questa volta, inoltre, l’intervento favorevole degli Stati Uniti risolleverà la posizione portoghese31. Per due anni consecutivi, il Portogallo mostra così alle Nazioni Unite di godere di un sostanziale appoggio alla propria politica coloniale da parte di molti paesi europei, i cosiddetti “colonialisti” e quelli scandinavi, di molti latinoamericani, del Pakistan, dell’Australia e, tra gli altri, delle Filippine. Il sostegno statunitense all’ONU, poi, si dimostra fondamentale sia nella preparazione della difesa contro gli attacchi in quella sede, che per orientare e influenzare in maniera determinante il voto di nazioni con posizioni non ben definite.
Ma l’atteggiamento irremovibile assunto dal Portogallo e la continua negazione di praticare forme di colonialismo inaspriscono ulteriormente le contestazioni in seno all’ONU, con un crescendo che raggiunge il suo punto più alto durante le Assemblee Generali del 1959 e ’60. In quelle occasioni, vengono approvate importanti risoluzioni che compromettono le posizioni portoghesi e successivamente condannano, seppure in termini generici, tutte le forme di colonialismo.


2. Le risoluzioni del 1959 e 1960: la condanna del colonialismo portoghese

Le divergenze di opinioni all’interno delle Nazioni Unite sull’applicabilità dell’articolo 73 della Carta al caso portoghese conducono all’approvazione di una nuova risoluzione nel 1959. Durante la XIV Assemblea Generale, il 12 dicembre di quell’anno, viene infatti adottata la risoluzione numero 1467, con la quale si decide la creazione del “Comitato Speciale dei Sei”32. Composto da Gran Bretagna, USA, Marocco, India e Messico, esso sarà incaricato di studiare i principi che devono orientare gli stati membri per la comunicazione delle informazioni sui territori non autonomi.
In base agli studi dei delegati viene elaborato un documento finale, presentato nella risoluzione 1541 dell’anno successivo, contenente, come indica lo stesso titolo, i «principi che devono orientare gli Stati Membri a determinare se esiste o no l’obbligo di trasmettere le informazioni previste nell’articolo 73 e) della Carta delle Nazioni Unite»33. Le decisioni del comitato non lasciano più spazio alle giustificazioni legali portoghesi e impongono l’invio delle informazioni relative al proprio impero. Il documento afferma che, fin dalla stesura della Carta, il capitolo XI si applica «ai territori che all’epoca erano conosciuti come appartenenti al ‘tipo coloniale’. In relazione a quei territori, i cui popoli non abbiano ancora raggiunto un completo governo proprio, esiste l’obbligo di trasmettere informazioni […]»34. Quel capitolo, inoltre, «consacra il concetto di Territorio Non Autonomo in uno stato dinamico di evoluzione e progresso», tendente a raggiungere un governo proprio35. Intanto però, la potenza che amministra tale territorio ha la responsabilità internazionale di trasmettere le informazioni al segretario generale delle Nazioni Unite.
Il testo del Comitato dei Sei definisce anche in maniera più specifica il concetto di territorio non autonomo. Prima facie, esso è un territorio «geograficamente separato» ed «etnicamente o culturalmente distinto dal paese che lo amministra»36. Oltre a questi fattori, possono essere presi in considerazione anche altri «elementi addizionali […] inter alia, di natura amministrativa, giuridica, economica o storica»37. L’Ultramar portoghese rispetta completamente tali definizioni. Esso è infatti costituito da territori separati a livello geografico e abitati da popolazioni che, sia sul piano etnico che culturale, sono differenti da quelli della metropoli. Anche politicamente, poi, a causa dell’esistenza dell’indigenato, a livello giuridico le popolazioni autoctone non considerate “assimilate” si trovano su un piano differente da quelle del Portogallo continentale. Le condizioni economiche delle province ultramarine portoghesi, infine, sono indubbiamente meno sviluppate e in una posizione subalterna rispetto alla metropoli. Per le Nazioni Unite ormai il Portogallo non può più sfuggire alle accuse di colonialismo. Quei territori, nonostante l’ordine costituzionale portoghese, sono a tutti gli effetti colonie che devono raggiungere l’indipendenza.
Le tre vie attraverso le quali i territori possono diventare autonomi sono elencate nel VI principio del documento: si tratta della dichiarazione di indipendenza, dell’associazione o dell’integrazione con un altro stato indipendente. «L’associazione libera dovrà essere il risultato di una scelta libera e volontaria, fatta dalla popolazione del territorio in causa e espressa attraverso un chiaro processo democratico. […] Il territorio associato», inoltre, «deve avere il diritto di stabilire la sua propria Costituzione interna senza interferenze esterne»38. «L’integrazione con uno Stato indipendente», invece, «deve realizzarsi sulla base della completa uguaglianza tra la popolazione del fino ad allora territorio non autonomo e del paese indipendente nel quale va ad integrarsi»39. Essa, inoltre, «deve derivare dai desideri liberamente espressi dalla popolazione»40.
Ma è il 1960 a segnare il punto di rottura definitivo tra le posizioni portoghesi, fino ad allora tollerate nonostante le critiche, e quelle del blocco afroasiatico. Pochi mesi prima dello scoppio delle rivolte in Angola e delle lunghe guerre coloniali nell’Africa portoghese, la XV Assemblea Generale approva infatti tre importanti risoluzioni di condanna della condotta portoghese e del colonialismo in generale. L’ingresso di nuovi paesi recentemente indipendenti alle Nazioni Unite cambia ulteriormente, e in maniera radicale, gli equilibri all’interno dell’Assemblea Generale41. Anche il rafforzamento dei movimenti nazionalisti africani e le rivendicazioni presentate all’ONU assumono un nuovo peso politico. Proprio nel ’60 l’MPLA, guidato da Mário de Andrade, rivolge sotto forma di lettera un appello alle Nazioni Unite42. Dopo aver denunciato le condizioni di povertà, l’esistenza del lavoro forzato e del bassissimo livello di istruzione in Angola, il documento afferma che le legittime aspirazioni del popolo africano coincidono con lo spirito della Carta dell’ONU. Secondo quel movimento è impensabile che un paese arretrato come il Portogallo pretenda ancora di svolgere una «missione civilizzatrice» in Africa, ed «è ancora più inimmaginabile che i rappresentanti portoghesi nell’organizzazione internazionale, per indicazione del loro governo, si impegnino fin dal 1956 a sottrarre il Portogallo agli obblighi dell’articolo 73 della Carta dell’ONU, per mezzo di un artificio giuridico […]»43. L’MPLA, nella speranza che si possano «risolvere pacificamente i conflitti che oppongono le popolazioni africane all’amministrazione coloniale portoghese», rivolge l’appello a tutti i membri delle Nazioni Unite. Il movimento di liberazione angolano richiede che quei paesi «considerino le “province ultramarine portoghesi” come territori non autonomi e obblighino così il Portogallo a soddisfare tutte le richieste dell’articolo 73», e che, «dato il pericolo di guerra che ricade in particolare sull’Angola, la questione dei territori sotto dominazione portoghese sia iscritta nell’ordine dei lavori della XV sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite»44.
Qualche mese dopo l’appello dell’MPLA, l’Assemblea Generale adotta una risoluzione che, su proposta di Kruscev, dichiara il diritto delle colonie all’indipendenza. Il 14 dicembre 1960 la risoluzione 1514 viene approvata con il voto unanime di ottantanove membri, nonostante nove astensioni tra cui quelle del Portogallo e degli Stati Uniti. Intitolata “Dichiarazione sulla concessione di indipendenza ai paesi e popoli coloniali”, in essa si proclama «la necessità di portare a una rapida e incondizionata fine del colonialismo in tutte le sue forme e manifestazioni»45. L’Assemblea Generale riconosce che i crescenti conflitti e le lotte per l’indipendenza costituiscono una «seria minaccia per la pace» e che il colonialismo rappresenta un impedimento allo «sviluppo sociale, culturale ed economico delle popolazioni dipendenti»46. La decolonizzazione è presentata come un «processo irresistibile e irreversibile» in un mondo dove «tutti i popoli hanno l’inalienabile diritto alla completa libertà, all’esercizio della propria sovranità e all’integrità del loro territorio nazionale». Il diritto all’autodeterminazione non può infatti essere rimandato e tantomeno bloccato con nessun pretesto che invoca l’inadeguatezza politica, sociale o economica dei popoli in questione: bisogna prendere tutte le misure necessarie per il trasferimento dei poteri dai paesi amministranti ai territori sotto tutela e a quelli non autonomi che non hanno ancora raggiunto l’indipendenza.
Dopo questa condanna generale del colonialismo, l’ONU approva la risoluzione numero 1542 sulla “Trasmissione delle informazioni nei termini dell’articolo 73 e) della Carta”, diretta invece in maniera specifica al Portogallo47. L’Assemblea Generale, a seguito delle numerose discussioni e le differenze di punti di vista dei membri dell’ONU riguardo i territori chiamati province d’oltremare dal governo portoghese, li dichiara territori non autonomi a tutti gli effetti. Alla luce del capitolo XI della Carta e dei principi approvati con la risoluzione 1541 (XV), si afferma infatti che il governo portoghese ha l’obbligo di trasmettere tutte le informazioni previste dalla Carta per l’arcipelago di Capo Verde, Guinea, São Tomé e Principe, São Jõao Baptista de Ajuda, Angola e l’enclave di Cabinda, Mozambico, Goa, Macao e infine Timor48.
I richiami da parte delle Nazioni Unite e il fallimento della posizione portoghese all’interno dell’organizzazione anticipano di poco i gravissimi contraccolpi che il governo salazarista dovrà affrontare nel corso del ’61. Il regime dovrà confrontarsi duramente con l’insorgenza di problemi che non si esauriscono più nelle polemiche internazionali. Dopo il trauma dell’irrimediabile perdita di Goa succeduta all’effimera vittoria della disputa con l’Unione Indiana, proclamata dal Tribunale dell’Aia nel ’60, gli anni Sessanta si aprono con lo scoppio delle lunghissime guerre coloniali in Africa, che si concluderanno soltanto con la fine dello stesso regime dell’Estado Novo.






NOTE
1 Cfr. telegramma di Dag Hammarskjold, Segretario Generale delle Nazioni Unite, al ministro degli esteri portoghese, New York, 15 dicembre 1955. AHD del MNE, P.O.I. 125.^
2 António de Lucena, scelto come osservatore ufficiale dal governo portoghese alle Nazioni Unite, mantiene continuamente informato il ministero degli esteri a Lisbona tramite l’ambasciata a Washington. Cfr. Observador de Portugal junto da ONU, 1954-55, AHD del MNE, O.N.U. 16.^
3 La Carta delle Nazioni Unite stabilisce due sistemi coloniali. Il primo, definito nel Capitolo XI e composto dagli articoli 73 e 74, si intitola “dichiarazione relativa ai territori senza governo proprio”. Questo fa riferimento ai territori senza autonomia, come nel caso dell’impero portoghese. Il secondo sistema istituito dalla Carta, invece, si lega direttamente ai mandati della Società delle Nazioni. Presente nel capitolo XII, esso è il sistema dei territori de fideo-comisso, comunemente conosciuto come regime di tutela. Si veda la Carta delle Nazioni Unite, http://www.un.org/en/documents/charter/index.shtml^
4 Capitolo XI della Carta ONU in http://www.un.org/en/documents/charter/ chapter11.shtml^
5 F. Nogueira, As Nações Unidas e Portugal, segunda edição, Lisboa, Ática, 1962, p. 90.^
6 A. Moreira, Portugal e o Artigo 73 da Carta das Nações Unidas, Lisboa, Separata do n.° 15 «Revista do Gabinete de Estudos Ultramarinos», 1957, p. 7.^
7 F. Nogueira, op. cit., p. 55.^
8 Ivi, p. 28.^
9 Ivi, p. 29.^
10 «[…] per imposizione costituzionale, il Portogallo era una nazione politicamente unitaria: la sovranità era indivisibile e i suoi organi erano gli stessi per tutto il territorio nazionale. La costituzione portoghese non riconosceva l’esistenza, all’interno della Nazione, di territori non autonomi, e non era lecito che alcune parti di questa Nazione avessero un determinato statuto internazionale e altre parti uno statuto differente. […] Inoltre, quando il Portogallo è stato unanimemente ammesso alle Nazioni Unite, era ufficialmente conosciuto il suo diploma costituzionale con il quale si reggeva, e allora non si era sollevata nessuna osservazione o obiezione, per cui erano inaccettabili dubbi successivi all’ammissione». Cit. in ivi, pp. 109-110.^
11 «Nessuna disposizione della presente Carta potrà autorizzare le Nazioni Unite ad intervenire in questioni che appartengono essenzialmente alla giurisdizione interna di uno Stato […]». Art. 2, paragrafo 7 della Carta delle Nazioni Unite. http://www.un.org/en/documents/charter/chapter1.shtml.^
12 F. Nogueira, op. cit., p. 111.^
13 Relato da Conversa di F. Vasconcelos, Lisbona, 29 de Ottobre 1956. MNE, XI Assembleia Geral das Nações Unidas, Conversas luso-francesas, AHD, MNE, P.O.I. 177.^
14 Resoconto di J.M. Fragoso, Lisbona, 30 settembre 1956. XI Assembleia Geral das Nações Unidas, Conversas luso-britânicas, Londres, 19-21 de Setembro de 1956. AHD, MNE, P.O.I. 177.^
15 Ibidem.^
16 Ibidem.^
17 Per la Gran Bretagna, il governo di Washington ha assunto un «atteggiamento leggermente differente dagli altri che equivaleva soltanto a una “friendly difference of opinion”». Il Dipartimento di Stato, inoltre, «si mostrava ora più ricettivo al punto di vista delle potenze coloniali; da qui, il poter ottenere l’appoggio americano in uno o in un altro punto specifico – ma mai in questioni di ordine generale o di principio». I portoghesi, tuttavia, temono che tale divergenza, sebbene «amichevole», possa dar luogo a gravi ripercussioni. Per evitare ciò e tentare di influenzare in maniera determinante le posizioni degli USA alle Nazioni Unite, il Portogallo dichiara di preferire svolgere un «costante lavoro di chiarimento e informazione con Washington». Ibidem.^
18 Cfr. Diário da Manhã, 14 novembre 1956, pp. 1, 5.^
19 Cfr. Diário da Manhã, 26 Novembre 1956, pp. 1, 6.^
20 Ibidem.^
21 Ibidem.^
22 Ibidem.^
23 Ibidem.^
24 Gli atti della sessione del 20 febbraio ’57 all’XI Assemblea Generale delle Nazioni Unite sono consultabili nel testo di A. Moreira, Portugal e o Artigo 73 […], op. cit., pp. 37-108.^
25 Informazione di servizio del MNE, J.M. Fragoso, Colonialismo e Anticolonialismo, Lisbona, 5 Settembre 1957. AHD, MNE, P.O.I., 177, Assembleia Geral.^
26 Ibidem.^
27 J.M. Fragoso, Informação de Serviço, Organização dos serviços e das futuras delegações à ONU, Lisbona, 13 aprile 1957. AHD, MNE, P.O.I. 177.^
28 Relatório do delegado português à 4ª Comissão da XII Assembleia Geral da ONU, Set. Dez. 1957. AHD del MNE, 2P M540 A7.^
29 Anche nell’analisi di Franco Nogueira, futuro ministro degli esteri portoghese, si legge che «La composizione dell’Assemblea ha sofferto profonde modifiche, e sempre nel senso di un vigoroso anticolonialismo; i fattori emozionali hanno trasformato il fenomeno coloniale in un problema scottante che suscita le più violente reazioni; e i conflitti di interesse in un clima di guerra fredda, […] hanno delimitato i blocchi con più rigidità e ridotto progressivamente le forze delle potenze amministratrici». Cit. in F. Nogueira, op. cit., p. 33.^
30 Ibidem.^
31 Ibidem.^
32 Con 53 voti a favore, tra cui anche quello degli Stati Uniti, i 5 voti contrari di Portogallo, Belgio, Perù, Sud Africa e 15 astensioni, fra esse quella della Gran Bretagna e della Spagna, la risoluzione 1467 afferma che «L’Assemblea Generale, […] 2. Decide di stabilire un comitato speciale costituito da sei membri, […] tre dei quali dovranno essere Membri che trasmettono informazioni nei termini dell’articolo 73 e della Carta e tre Membri non amministranti – per studiare quei principi e fare un rapporto sui risultati di quello studio alla quindicesima sessione dell’Assemblea». Risoluzione 1467 (XIV), General question relating to the transmission and examination of information, 12 dicembre 1959, consultabile alla pagina web http://daccess-dds-ny.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/142/90/IMG/NR014290.pdf?OpenElement Risoluzione 1541 (XV), 15 dicembre 1960, Principles which should guide Members in determining whether or not an obligation exists to transmit the information called for under Article 73 e of the Charter, in http://daccess-ddsny.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/153/15/IMG/NR015315.pdf?OpenElement ^
34 Principio I. Ivi.^
35 Ibidem.^
36 Principio IV. Ivi.^
37 Principio V. Ivi.^
38 Principio VII. Ivi.^
39 Principio VIII. Ivi.^
40 Principio IX. Ivi.^
41 I ventidue Stati africani assieme a quelli asiatici costituiscono la maggioranza all’interno delle nazioni Unite. Nel ’60 il blocco afroasiatico è infatti costituito da quarantaquattro membri su i novantotto totali dell’organizzazione. Cfr. W.W. Schneidman, Engaging Africa: Washington and the fall of Portugal’s Colonial Empire, Oxford University Press, 2004, p. 1.^
42 Apelo aos Estados membros da ONU, Pelo Comité director do Movimento Polular de Libertação de Angola, Mário de Andrade, Presidente, Viriato da Cruz, Secretário Geral, Conakry, 13 Settembre 1960. In L. Lara, op. cit, pp. 525-530.^
43 Ivi, pp. 525-526.^
44 Ivi, p. 530.^
45 Risoluzione 1514 (XV), 14 dicembre 1960, Declaration on the granting of independence to colonial countries and peoples, in http://daccess-dds-ny.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/152/88/IMG/NR015288.pdf?OpenElement.^
46 Ibidem.^
47 Risoluzione 1542 (XV), 15 dicembre 1960, Transmission of information under Article 73 e of the Charter, in http://daccess-dds-ny.un.org/doc/RESOLUTION/ GEN/NR0/153/16/IMG/NR015316.pdf?OpenElement.^
48 Ibidem.^
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