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Un prefetto lombardo e un brigante calabrese: il convegno silano tra Guicciardi e Palma
di Giuseppe Ferraro
La lettera qui allegata venne redatta dal prefetto di Cosenza Enrico Guicciardi il 14 giugno 1865 e inviata al cugino Luigi Torelli già prefetto di Palermo. Due notevoli personalità del Risorgimento lombardo appartenenti, sin dal 1848, ai quadri del liberalismo cavouriano che, dopo una fervida attività patriottica e militare nelle vicende unitarie, per l’esperienza giuridica e amministrativa di cui erano forniti vennero utilizzati al meglio dal nuovo governo italiano inserendoli, con la nomina a prefetto, negli alti quadri dell’amministrazione dello Stato. In particolare, Guicciardi mantenne per un quinquennio (1861-1865) la guida della provincia di Cosenza, un periodo eccezionalmente lungo data la prassi di permanenza molto più breve dei prefetti post-unitari, nello specifico settentrionali, nelle province meridionali, nella fase di più intensa manifestazione della lotta contro il brigantaggio. Si deve a Giuseppe Monsagrati un importante profilo biografico del Guicciardi nel volume 61 (2004) del Dizionario biografico degli italiani. Gli studi di Francesco Gaudioso hanno mostrato la dimensione quantitativa molto ampia del fenomeno del brigantaggio nella provincia cosentina, rispetto al contesto della regione Calabria, e a proposito dell’azione politica e amministrativa del Guicciardi rafforzano quanto, su questo aspetto, il Monsagrati scrive:
«Il Guicciardi non si limitò alle misure repressive, che comunque ci furono e furono spietate, come quando si affidò l’azione di repressione delle bande del Cosentino al colonnello P. Fumel e alla sua guardia nazionale mobile, né si accontentò di colpire il manutengolismo, che cercò di eliminare mirando al livello più alto quello dei proprietari che avevano usurpato le terre demaniali, piuttosto, “accoppiando, con lungimiranza al momento repressivo provvedimenti che incidessero sulle radici economico-sociali del brigantaggio, il Guicciardi fu tra i primi prefetti a intraprendere, sin dal ’61, le operazioni di quotizzazioni dei demani comunali, benché nei limiti della eccessiva esiguità e della scarsa fertilità delle quote” […]. E fu proprio per la sua incisività che presto l’operato del G., pur avendo trovato l’appoggio entusiasta di Vincenzo Padula che dalle colonne de «Il Bruzio» ne aveva lodato la vigorosa conduzione della lotta contro la criminalità, suscitò l’opposizione non solo dei reazionari o della Sinistra garibaldina, ma della stessa Destra cosentina che all’inizio lo aveva sostenuto e che poi aveva preso a temere la sua invadenza e la sua idea di uno Stato attivamente impegnato nello sviluppo civile del paese (http://www.treccani.it/enciclopedia/enrico-guicciardi)». La lettera del Guicciardi al Torelli appartiene a un momento cruciale della lotta contro il brigantaggio silano nella provincia cosentina. I successi conseguiti negli anni precedenti con la liquidazione di bande famose come quella di Ninco-Nanco, di Pietro Monaco e della sua compagna “Ciccilla”, pretendevano una vigorosa conclusione con la cattura o almeno la “presentazione”, cioè il costituirsi, della banda del brigante “Palma”, alias Domenico Strafaci. Nella lettera qui pubblicata, il Prefetto sottolinea con forte rilievo gli interessi cospicui dei manutengoli che operavano dietro l’azione brigantesca del Palma; tra queste figure lo stesso Guicciardi presumeva si situassero personalità di grande rilievo sociale e politico in Calabria come i Baracco. Il lettore potrà individuare gli elementi di notevole interesse presenti nella lettera e il racconto, davvero suggestivo, dell’incontro tra il rappresentante dello Stato italiano e il brigante silano. A parte le divagazioni personali e l’attenzione ai fenomeni di costume di cui il Guicciardi è protagonista nel suo scritto occorre riconoscere che il fallimento del tentativo di “presentazione”del Palma a cui concorre non poco la polemica sull’incontro del Prefetto con i briganti che si sviluppa in ambiente Cosentino e raggiunge il governo nazionale offre al brigante silano l’opportunità per altri cinque anni di intensa attività di brigantaggio nella regione silana con episodi noti e ripresi dalla stampa dell’epoca e dal Molfese che si conclusero il 13 luglio del 1869 con la sua uccisione (F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Milano, Feltrinelli, 1964, pp. 331, 398).


***


Archivio Famiglia Torelli (Tirano), Carteggi

Caro Cugino,
Eccomi a darti ragguaglio della mia gita fra i briganti, di cui ti tenni parola nella mia lettera di ieri l’altro. Né il Colonnello Comandante la zona Militare, né il Maggiore si associarono a questa mia gita, e dubito che con ciò abbiano obbedito a superiori prescrizioni. Tanto Essi quanto altre Autorità cui aveva partecipato il mio divisamento, esagerandosi il pericolo cui poteva andare incontro, mi sconfortavano dal mandarlo ad effetto.
Per mostrarmi arrendevole in parte alle loro premure, disposi che una dozzina di Carabinieri mi avesse a scortare e m’indussi a ciò, anche perché un tal Martin, lo stesso della difesa Nocella che, come ti scrissi, è il portavoce dei Sigg. Silani, persona trista, sospetta di relazioni coi briganti e che mi è personalmente nemica, seppi che aveva avuto precisa cognizione di un mio scritto che aveva dato come promemoria alla persona intermedia fra me e i briganti, nel quale era esposto quanto voleva fosse da questi conosciuto relativamente all’abboccamento da concertarsi con essi. Come ne fosse venuto in cognizione non so, ma certamente col mezzo di qualche brigante o manutengolo dei quali forse è consigliere. Ciò mi tenne in qualche apprensione perché il Martin è abbastanza tristo per far dubitare che avesse potuto consigliare i briganti a cogliere l’occasione per sequestrarmi o farmi danno. Ti ho voluto dire ciò per mostrarti anche quale persona sia questo Martin, che è il protetto del Senatore Baracco e di altri dei principali Signori che lo conoscono al pari di me, ma che vorrebbero non ostante farne un Deputato al Parlamento nella lusinga che loro gioverebbe per le quistioni Silane.
Partii verso le undici di sera, conducendo con me il Delegato Centrale, e il Direttore delle Carceri, che fu di mezzo in questo affare. S’accompagnò pure con me il Capitano dei Carabinieri Sig. Valorani, che volle comandare esso la scorta, da Esso accresciuta a dieci sette, ed il mio nipote Foppolo. Avevamo pure con noi la madre e la sorella d’uno dei principali briganti, non che un monaco fratello del sottocapo della comitiva, i quali ci servivano in qualche modo di ostaggi. La Madre poi era anche la conduttrice che dovevamo ciecamente seguire.
Dopo una marcia di quasi sei ore, la conduttrice si arrestò su di un pianerottolo, e quindi essa in compagnia dell’altra donna e del frate, proseguirono il cammino verso il somma della montagna in cerca dei briganti. Dopo quattro ore ritornò la vecchia, e siccome i briganti stavano in diffidenza anche per due distaccamenti di truppa che casualmente passarono in loro vicinanza, così mandai loro il Delegato Centrale, il quale rimase presso di loro, finché al ritorno del Monaco, dopo altre tre ore d’aspetto, tutti ci avviammo all’incontro dei briganti che pure discendevano dalla montagna.
Difficilmente puoi immaginare le cautele che misero nel sorvegliare la nostra marcia. Mentre avvanzavamo, ad ogni tratto, sotto alberi che ci fiancheggiavano, vedevamo spuntare un cappello acuminato ed una canna da fucile, che poi spariva per ricomparire altrove.
Quando Dio volle, giungemmo al luogo dei briganti scelto al colloquio. Era una piccola spianata situata sopra una collinetta i cui versanti erano coperti da fitta boscaglia, fa il tuo conto, un po’ somigliante a quella su cui sta il Convento dei Cappuccini in Torino. Un po’ prima d’arrivare alle falde, feci fare sosta alla scorta, e m’avvanzai accompagnato dal solo Capitano dei Carabinieri. A breve distanza mi vennero incontro uno dei briganti un giovane figliolo, di nome Non, che solo un mese fa assassinò due suoi compatriotti nella Sila. Io volendo prendere un po’ di posizione dominando se non altro col contegno e colle chiacchere, bruscai con esso la conversazione chiamandolo a rendiconto di questo suo fatto, che a suo modo cercò giustificare. Poco dopo mi venne incontro un altro, un tal Forciniti, che pure è fra i più tristi e feroci della banda. Salita l’erta a traverso la boscaglia, mi venne incontro lo stesso Capo-banda Palma con altri nove o dieci dei suoi, che tutti mi diedero il ben venuto a cappello calato baciandomi la mano.
Rivoltomi nel mezzo della spianata, che rimaneva anche fuori della vista della mia scorta, mi trova in mezzo ad una dozzina di faccie che per verità non rassicuravano molto. Fra tutti erano diciassette, ma cinque o sei stavano in vedetta. Quasi tutti erano in uniforme di gala brigantesca ed alcuni avevan il petto letteralmente coperto di oro e d’argento. Il Palma aveva, appeso ad una collana d’oro, un piastrone d’oro con sopra l’effigie della Madonna del Carmine, al dissotto era attaccato un Crocifisso pure d’oro massiccio lungo più d’un decimetro. Gli attraversavano il petto diverse collane d’oro che mettevano a diversi saccoccini del giustacuore, ove teneva orologio ed altri oggetti. I bottoni del giustacuore e del soprabito, e ne aveva una miriade, erano tutti pezzi d’argento monetati. Argomentai da ciò che la professione del brigante qui deve essere abbastanza lucrosa. A compire l’abbigliamento, insieme aveva un magnifico Due botto, uno o due revolvers ed un coltellaccio da caccia il cui manico usciva dalla tasca dei pantaloni.
Il Palma, dopo i primi convenevoli, espresse la sua dispiacenza dell’avermi veduto venire con scorta e se lo ascrisse ad offesa, come dubbio sulla sua parola alla quale dice di non aver mai mancato. Capii però che fu sollecitato nel suo amor proprio brigantesco, dalla sicurezza che io mostrava in mezzo a loro, che non era ostentata, poiché realmente era convinto di non correre pericolo, quantunque fossi in loro, balia assoluta. L’opportunità del luogo e la distanza della scorta, avrebbero loro permesso di fare di me ciò che volevano senza nemmeno temere d’esporsi a serie conseguenze per la facilità di fuga che avevano; per cui, in caso di tradimento, io non avrei avuta altra risorsa che quella di vendere cara la mia vita, poiché io pure non era andato colle mani vuote. Ma, ti ripeto, era convinto che nessun tradimento mi si sarebbe fatto.
Ti farò grazia dei ragionamenti che tenni con essi, e ti dirò solo che mi parvero realmente determinati a volersi presentare, soltanto travidi in loro il pensiero di condurre in lungo le trattative per avere spazio a fare un po’di bottino ora che la stagione è opportuna. A rendere difficili tali trattative influirà anche una promessa loro fatta dalle Autorità militari di accordare loro il favore di scontare la pena cui venissero condannati in un’isola, ove rimarrebbero liberi solo sottoposti a sorveglianza di domicilio coatto. Basta, di tutto ciò scriverò al Ministero, ommettendo di narrargli quanto si riferisca a questa mia scappata, che ad ogni buon fine volli fosse da te conosciuta.
A compire la narrava, ti dirò che quando si videro rassicurati dal mio contegno taluni fra i briganti scesero abbasso per parlare al Direttore delle Carceri, onde avere notizie delle rispettive famiglie che sono arrestate, e si frammischiarono anche ai Carabinieri, cui recarono vino, liquori ed anche cibo.
Le circostanze che accompagnarono tale abboccamento, non mancarono di un certo che di poetico, che involontariamente mi richiamò alla memoria qualche scena di taluni Romanzi di Walter Scott.
Dopo essermi trattenuto circa tre quarti d’ora in quella onorevole compagnia, me ne ritornai accompagnato dal Palma fino a mezza costa, da dove si congedò baciandomi nuovamente la mano. – La sera me ne ritornai a Cosenza dopo avermi fatta una passeggiata pedestre di oltre quaranta chilometri. – Però nel passare da Spezzano Grande grosso paese distante da Cosenza circa tre ore di cammino, un Maggiore, che è colà in distaccamento e che solo tardi aveva saputo di quella mia gita, mi fece la sorpresa di un buon pranzetto, che, a parte la cordialità colla quale fu dato, puoi immaginare quanto sia riuscito gradito a persone che erano digiune dal giorno innanzi, e che avevano commessa l’imprudenza di non portar seco scorta di viveri ritenendo che la passeggiata avesse dovuto essere più breve. Ora vedrò di battere il ferro intanto che è caldo, per farne la presentazione definitiva e te ne terrò informato.

Cosenza li 14 Giugno 1865
il tuo aff. Cug.
E. Guicciardi
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