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LA NAPOLI DI HENRY REED
di Vincenzo Pepe

My youthful Naples,
how I remember you!




Tra le testimonianze letterarie inglesi su Napoli, degna di rilievo ci sembra quella che Henry Reed1 affidò a Return to Naples, dramma radiofonico che la terza rete della BBC trasmise nel 1950, e, una ventina di anni dopo, ripropose nel volume The Streets of Pompeii and Other Plays for Radio, una silloge che raccoglie tutti i radiodrammi di Reed ispirati dal suo amore per l’Italia e la sua letteratura2.
Questo amore non si riversò solo nella produzione di programmi radio, ma anche in un cospicuo numero di traduzioni con le quali lo scrittore intese contribuire alla diffusione nei paesi di lingua inglese della conoscenza di esponenti rappresentativi
della nostra storia letteraria, da Leopardi a Montale, da Betti a Natalia Ginsburg, a Dino Buzzati3.
Il filtro letterario conferisce al rapporto che il Reed intesse con l’Italia una patina mitografica che sbiadisce i contorni e confonde la fisionomia dei paesaggi i quali finiscono di essere entità storico-geografiche definite per diventare luoghi dell’anima, catalizzatori di ricordi, pulsioni, vagheggiamenti.
Significativo, al riguardo, il fatto che A Map of Verona, una delle composizioni più famose del Reed, e che peraltro apre e dà il titolo a una intera raccolta di versi pubblicata nel 1946, presenti in esergo l’interrogativo con il quale Rimbaud chiude la sua epifanica visione delle città moderne:
Quelle belle heure, quels bon bras me rendront cés regions d’où viennent mes sommeils et mes moindres mouvements?

Significativa, ancora, la situazione stessa tematizzata nel componimento, perché il flusso di pensieri cui si abbandona la voce poetante è originato non dalla contemplazione dello scenario reale di Verona, ma da una «mappa» di essa, sulla quale il poeta ha sognato per «una lunga stagione invernale»
È significativo, infine, che il primo riferimento del poeta a Napoli si iscriva proprio all’interno di questa dimensione mnestica, perché gli «incanti del passato» dai quali Verona sembra circonfusa, al poeta ricordano quelli di Napoli, città che dopo
qualche strofa viene evocata come simbolo foriero di sue esperienze esistenziali future:
…an early chapter, a practice in sorrow,
your shadows fell,
but were only a token of pain,
a sketch in tenderness,
lust, and sudden parting...

[... un capitolo iniziale,
un tirocinio di dolore,
le tue ombre caddero, ma furono solo una
prova di dolore,
un abbozzo di tenerezza, lussuria,
e improvvisa separazione...]

In questa dimensione mnestica si inserisce anche la Napoli di cui in Return to Naples. L’esperienza autobiografica riversata e trasfigurata nel radiodramma è relativa a cinque soggiorni napoletani che il Reed fece nel 1934, nel 1936, nel 1939, nel 1947 e nel 1950. Tutte e cinque le volte egli fu ospite della stessa famiglia, una tipica famiglia napoletana piccolo-borghese costituita dal padre, impiegato delle poste, la madre, casalinga, e dai figli Bruno Alberto Leo e Simone4. Di questi personaggi il drammaturgo coglie con simpatia modalità di comportamento e atteggiamenti mentali, analizzandoli contro l’inesorabilità del tempo che passa, e proiettandoli anche sullo sfondo degli avvenimenti storici (il fascismo, la propaganda antibritannica, i venti di guerra, il dopoguerra) con i quali i suoi ospiti, come tutti gli Italiani allora, furono costretti a misurarsi, e dai quali tutti furono inevitabilmente modificati, compresa la struttura urbanistica di Napoli. Ecco, per esempio, come nell’accennare al suo terzo soggiorno del 1939, lo scrittore ricorda le trasformazioni avvenute in alcune delle principali strade della città:
On a damp day in April you went once more through the wellknown streets; but they were oddly unfamiliar. Here and there sprung up smooth huge featurless modern buildings, which seemed to say: whatever we make let us make it big, and let it be all surface, let it have no features, for features betray human idiosincrasy and weakness. We will build in perfect cubes and spheres and elipsoids, buildings so big that all who enter shall know their own smallness and despise their own separateness. All shall be big.
The letter-box at the new post-office shall be so wide that in your sleep you shall dream you are posting yourself in it. On. Up the via Roma and beyond, through the drizzle, past the damp people- sad, they looked.

[Un umido giorno d’aprile attraversasti di nuovo le strade che ben conoscevi; ma stranamente non ti sembravano più familiari. Qui e là erano sorti enormi edifici moderni informi che sembravano dire: tutto quello che facciamo facciamolo grande, e che sia tutto superficie, senza tratti distintivi, perché i tratti distintivi tradiscono l’idiosincrasia e la debolezza umana. Noi costruiremo con cubi e sfere ed ellissoidi perfetti, edifici così grandi che tutti quelli che vi entreranno conosceranno la loro piccolezza e disprezzeranno la propria separatezza. Tutto deve essere grande. La buca delle lettere del nuovo ufficio postale sarà così ampia che in sogno ti ci imbucherai tu pure. Più avanti. Su per via Roma e oltre, sotto la pioggerellina, i passanti bagnati – come sembravano tristi]

Ed ecco invece un accenno alle vicende della guerra, che, pur avendo un tremendo impatto su Napoli, nella mente dello scrittore non erano valse a scalfire i sentimenti di ospitalità e di amicizia che i suoi ospiti napoletani gli avevano sempre dimostrato:
On a summer day a year later you opened a newspaper…and learned that at last you and they were enemies. Did they at that moment think of you?...News of Naples – but never of them – came and went. Towards the end, a pall of smoke stood for ten days over their city. For ten days, no light, no water, almost no food. This you read. They were enemies. Then, it seemed, they were enemies no more, they were allies. Good. It proved as little as any war ever proved. Only one thing you knew, but in fact you had always known it: if they were still alive, if their house still stood, one day you would be welcomed there again.

[Un giorno d’estate un anno dopo apristi un giornale…per apprendere che tu e loro eravate diventati nemici. Pensavano a te in quel momento?..Ci fu un viavai di notizie su Napoli. Verso la fine, una cappa di fumo gravò sulla città per dieci giorni. Per dieci giorni, niente acqua, niente luce, quasi niente cibo. Questo leggesti. Erano nemici. Poi, sembrò, non erano più nemici, erano alleati. Bene. Questo dimostrava tanto poco quanto poco può dimostrare qualsiasi guerra. Solo una cosa avevi per certa, ma che avevi del resto avuto sempre per certa: se erano ancora vivi, se la loro casa stava ancora in piedi, un giorno vi saresti stato di nuovo benvenuto. A loro che ci fosse stata una guerra non gliene importava]

A dare risalto e risonanza a questi ricordi è il narrator, personaggio extradiegetico che gioca un ruolo importante nell’impianto comunicativo del radiodramma. Oltre, difatti, a dare unità e continuità alla vicenda e a potenziare l’immaginazione del pubblico radiofonico visualizzando scene e fisionomie umane, egli dialettizza le prospettive temporali, perché in qualità di alter ego del protagonista, anzi di suo privilegiato interlocutore, egli tesse il filo dei ricordi napoletani sulla base anche delle esperienze e delle fasi successive della sua crescita culturale ed umana. Ecco, per esempio, rievocata la gustosa scenetta dell’arrivo a Napoli del giovane protagonista la prima volta, quando la famiglia ospitante lo prende in consegna appena sceso dalla “traballante carrozza”, quasi a sottrarlo subito alle insidie del netherworld napoletano:
…On that first arrival, among the shouting, unshaven porters, you had no need to clutch your money or protect your virtue, had you? They were both protected for you, by those who cared only for your comfort and seemed undisturbed by the dark, noisy, unintelligible people around you…In the swaying carozza you were jolted across and up the city to a little squame where one Naples seemed to end and another to begin. You alighted and you all groaned your way up the nine flights of stairs to that bright, faded apartment, high over the winding Corso.

[...A quel tuo primo arrivo, tra facchini urlanti con la barba non fatta, non dovesti tenerti ben stretti i tuoi soldi o proteggere la tua virtù, no? Tutte e due le cose erano protette per te, da quelli che avevano a cuore solo il tuo bene e sembravano indifferenti alla gente scura, rumorosa, incomprensibile che ti stava attorno…Nella traballante carrozza fosti sballottolato su e giù per la città fino a una piccola piazza dove una Napoli sembrava finire e un’altra cominciare. Scendesti, ma doveste tutti sfacchinare su per le nove tese di scale che portavano al luminoso appartamento che a stento si vedeva lassù in alto sul serpeggiante Corso]

La precedente citazione non solo mette a fuoco la molteplice funzione della voce narrante; essa permette anche di passare a un tratto cospicuo del testo del Reed, al quale del resto si è già in parte accennato quando si è detto della dimensione mitografica in cui egli proietta i suoi ricordi, e dalla quale è intrisa l’immagine di Napoli.
Paradossalmente questa tendenza mitizzante non altera in alcun modo la fisionomia della città reale. Il paesaggio napoletano con la sua pulsante vitalità e con le sue tinte e i suoi colori e i suoi contrasti è lì, inconfondibile. Nel seguente brano, per esempio, la voce narrante riesce a fissare uno di quegli effetti chiaroscurali che sono una caratteristica del paesaggio napoletano, nella progressione dalla penombra di un interno di un basso alla luce radiosa del mare e del sole:
And always the same scene in the dark interior: the huge matrimonial bed, a single chair, a picture of a holy face. The washing hung across the street, tier on tier of it, people were up there, calling down. Their babies played round the legs of the patient, tethered donkeys. Past these you and your protective companions would go, day after day, down to the bay, to the boats and the bathing and the glorious inevitabile weather.

[E sempre la stessa scena nell’interno buio: l’enorme letto matrimoniale, una sola sedia, un quadro di un volto santo. La biancheria stesa attraverso la strada, corda su corda, c’era gente lassù, a dare la voce a quelli di sotto. I loro bambini giocavano attorno alle zampe dei pazienti asinelli legati. Tutto questo ve lo lasciavate alle spalle tu e i tuoi compagni protettivi, giorno dopo giorno, nella vostra discesa verso la baia, e le barche e i bagni e l’inevitabile tempo radioso]

Ma celebrare questo paesaggio “in sé e per sé”, nella sua oleografica immanenza non è interesse dello scrittore, la cui attenzione è centrata piuttosto sull’universo umano che popola la casa napoletana, e che finisce per identificarsi, come si vedrà, con quel paesaggio stesso. Inoltre, più che, e oltre alla presenza fisica egli è interessato alla valenza simbolica di quello scenario, e, nella fattispecie, del quartiere nel quale è immersa la casa che lo ospita.
Di questa compresenza di reale e ideale una prima testimonianza eloquente è rappresentata dal brano citato. Qui, come si sarà notato, l’autore sembra voler dare esatte coordinate del setting dove si svolge la vicenda narrata, come attestano i precisi riferimenti topografici alla piazzetta, alle nove rampe di scale, al Corso, e perfino, più avanti nel testo, i cognomi delle famiglie scritte sulle porte dei bassi. L’intento localizzante però, se non smentito del tutto, è almeno in parte compromesso dal riferimento al particolare relativo alla zona in cui «una Napoli comincia e una finisce» il quale finisce per creare nell’immaginazione dell’ascoltatore un’idea di «nowhere land», una terra di nessuno, una sorta di limbo, o forse di purgatorio, come si vedrà meglio tra poco. Che lo scrittore intenda rimandare al valore simbolico di questo paesaggio, è evidente dal fatto che l’espressione «dove una Napoli finisce e l’altra comincia» ritorna altrove nel radiodramma e in particolare nel seguente, in una delle pagine conclusive, dove egli ricorda ancora l’ubicazione della casa della famiglia che lo ha ospitato, fornendone però altre coordinate:
After the harbour and the sombre Castle, after the Via Roma and the pink and green Piazza Dante, after the Museum and the hard upward climb, after the little provincial square, where one Naples ended and another began, this was their ambience.

[Dopo il porto e l’austero castello, dopo la via Roma e la rosa e verde Piazza Dante, dopo il museo e la faticosa salita, dopo la piccola piazza provinciale dove una Napoli finiva e l’altra cominciava, questo era il loro ambiente]

L’insistenza dell’avverbio “after”, si sarà notato, con il suo effetto di allargamento all’infinito della prospettiva, sembra conferire al luogo un carattere di irraggiungibilità. Questa connotazione è accentuata da altri dettagli topografici forniti dallo scrittore. Arroccata sulla sommità della collina, dalla quale domina la vista sui policromatici tetti delle case («on a thousand roofs pink, grey, russet») a ridosso del Corso, la casa napoletana sembra garantire una distanza di sicurezza «dal rumore, dallo squallore, dall’affollamento delle città infernali», ovvero dai nauseabondi e marciscenti quartieri sottostanti («High up you seemed aloof from where, below, Naples stank and festered»). Posta così in alto e ammantata di luce («bright»), fa pensare a un faro, come sembra autorizzare del resto lo stesso drammaturgo quando la definisce «haven»5. Vi si accede a fatica arrampicandosi, lo abbiamo visto, su per nove rampe di scale, e non prima di essersi bagnati nel fiume della dimenticanza e della purificazione, come fanno pensare i due aggettivi coi quali viene connotato il Corso: «serpeggiante» e «misericordioso» (pitying). Una volta raggiunta vi si trova riparo e tregua, ma non definitiva e duratura («in quelle linde stanze si potevano tenere lontane sia pure per un centinaio di minuti le delusioni e le speranze rinviate o del tutto perdute»), perché la ridiscesa nella zona buia dei vicoli è velocissima («in two minutes you could plunge into a vicolo»).
Da quanto si è detto, il gioco dei riferimenti simbolici nel quale l’autore inserisce la casa partenopea è fin troppo evidente. Ma un discorso sul significato che il soggiorno napoletano ebbe sulla bildung del Reed richiede che si spenda qualche parola sui personaggi del radiodramma, tanto più che, come si è già accennato, e come ricorda l’autore stesso, «Napoli significava loro».
La loro caratterizzazione nasce da simpatia e nostalgia per atteggiamenti e modalità di comportamento che, pur lontani culturalmente, hanno una carica comunicativa che è una miscela di spontaneità, semplicità, calore, generosità. Sono qualità dalle quali il riservato giovane inglese doveva essere stato contagiato immediatamente, se è vero che all’inizio del dramma la voce narrante ricorda di custodire ancora la lettera «di presentazione» con la quale Alberto, conosciuto per caso a Roma (quel giorno stesso!), lo aveva indirizzato alla sua famiglia a Napoli:
Carissima mamma, il giovane che ti consegnerà questa lettera è un grandissimo amico mio, che ho conosciuto questo pomeriggio a casa del dottor Cappocci... Si chiama Enrico. È inglese... la prossima settimana andrà a Capri. Si fermerà da voi a Napoli. Ti prego di accoglierlo in casa nostra con la massima cortesia.

Raccomandazione inutile, come si è detto; e non perché quella lettera per una serie di circostanze non ci fu bisogno di consegnarla; ma per il motivo più semplice che nella famiglia napoletana che accoglie il pellegrino inglese, la «massima cortesia» è di casa, un fatto naturale; le dichiarazioni d’affetto magari possono suonare esagerate, ma sono spontanee. E così, se per Alberto il pellegrino inglese conosciuto nel pomeriggio è già un «grandissimo amico mio», per Bruno egli diventerà «più che un amico». «Saremo fratelli», gli dichiara difatti costui in una delle pagine iniziali. E il clima di confidenza che la famiglia instaura attorno al compassato giovanotto inglese diventa ben presto tale che i figli non hanno alcun disagio a metterlo a parte delle loro inquietudini sessuali, mostrandosi a loro volta incuriositi dei comportamenti sessuali di lui. Perfino il padre, apparentemente chiuso nel suo quasi maniacale hobby della filatelia di cui si vanta con la stessa fierezza con cui dichiara la sua fede nei destini imperiali dell’Italia mussoliniana, mostra attenzione e cortesia verso lo straniero. Ma la carica di simpatia e calore con la quale la famiglia napoletana travolge l’ospite è catalizzata, più di tutte, dalla figura della Madre che campeggia maestosa. Anche qui lo scrittore si avvale di un duplice modulo di rappresentazione, particolarizzante e universalizzante insieme, perché i tratti della fisionomia della matrona napoletana rinviano, simultaneamente, al socialmente e antropologicamente tipico, e all’ideale, al simbolico, all’archetipico.
Per l’«assenza» del marito che, quando non «sta riposando», è in giro per la casa solo per parlare di francobolli e della storia gloriosa dell’Italia fascista, la «Signora Dusolina Maria Rosaria Emilia Caterina», questo il nome della Madre, si è caricata sulle spalle il peso della conduzione di una famiglia numerosa di tutti figli maschi. Da vera matrona napoletana è instancabile, e la sua già maniacale attenzione per la pulizia diventa parossistica solo al pensiero che l’ospite inglese, una volta rimpatriato, possa riferire di essere stato in una casa napoletana non pulita. Ma è anche simpaticamente furba, perché contro questo rischio si cautela dando la colpa dell’eventuale critica al povero marito. Ecco, difatti come, nel raccomandare ai figli l’ordine e la pulizia, trova la possibilità di lanciare una frecciatina alla mania dei francobolli, i veri responsabili, in cuor suo, del disordine e dello sporco:
Do you want Errico to go back to England and say, “Ah, la signora napoletana, a very dirty house, one cannot eat, one cannot sleep. Dirt in the hall, in the bathroom, in the study, dirt, dirt, dirt, and filthy old postage stamps, used and filthy postage stamps, all over the table!”

[Volete che Errico se ne torni in Inghilterra e dica, “Ah, la signora napoletana, una casa sporca assai, non ci si può mangiare, non ci si può dormire. Sporco nel salotto, nello studio, sporco, sporco, sporco, e vecchi francobolli sudici, e sudici francobolli usati, tutti sul tavolo!”]

Sa di essere considerata eroica dai figli e dal marito, ma forse proprio per questo le piace ogni tanto atteggiarsi a vittima, come nella scena in cui ricorda teatralmente a tutti che lei non si può permettere di riposare (come fa invece il marito), perché la casa altrimenti andrebbe a rotoli («Ed io? Ed io? Ed io? Quando mi riposo io? Madonna mia, quando c’è riposo per me? Io penso, mi preoccupo, faccio la cucina, esco, scendo, sudo, sudo moltissimo»); o nell’altra in cui chiede all’ospite inglese, di cui sa che farà lo scrittore, di ricordarsi di scrivere di lei quando tornerà in Inghilterra, per far sapere a tutti dell’«amica napoletana che si lamenta e si lamenta sempre, e non la finisce più di lamentarsi perché c’è sempre qualcosa di cui lamentarsi». Ma le sue sono lamentele prive di acrimonia perché la vediamo instancabilmente premurosa, e così naturalmente sollecita verso gli altri, che, vedendo sudato il giovane ospite inglese arriva a ingiungergli di cambiarsi la maglietta intima come farebbe con i figli! Il suo senso pratico è così prorompente in lei da convincerla che non c’è problema irrisolvibile, e che a Londra possano valere le stesse modalità di comportamento che vigono a Napoli. Ecco, per esempio, quello che secondo lei il suo ospite (che si è lasciato scappare di conoscere alla lontana l’ex ambasciatore italiano a Londra) potrebbe fare per raccomandare suo figlio Bruno il quale, già impiegato come veterinario ad Amalfi, aspira a un posto di cassiere nella filiale della Banca Commerciale di Napoli!:
This is what you will do…Write a letter to your friend, and tell him to write as soon as possibile to the previous ambassador and ask him to have the very great courtesy to write to the present ambassador, requesting him to write, at his convenience, to the Manager of the Commercial Bank of Milan a strong letter of recommendation for Bruno, who is now employed as a veterinary surgeon at Amalfi, and who is desirous of becoming a cashier in the Naples branch of the Commercial Bank of Milan. It is simple.

[Ecco quello che dovete fare…Scrivete una lettera al vostro amico, e ditegli di scrivere al più presto possibile all’ex ambasciatore e chiedergli di usargli la grandissima cortesia di scrivere all’attuale ambasciatore, pregandolo di scrivere quando gli fa comodo al direttore della Banca Commerciale di Milano una forte lettera di raccomandazione per Bruno, che è ora impiegato come veterinario ad Amalfi, e che vorrebbe diventare cassiere nella filiale napoletana della Banca Commerciale di Milano. Tutto qui].

Nella visione istintiva e naturale che questa donna ha delle cose umane non esistono differenze culturali barriere linguistiche distanze geografiche: ambasciatori, direttori di filiali, veterinari, Napoli, Londra, Amalfi, Milano sono la stessa cosa, entità insignificanti in un universo indifferenziato. Quello che realmente ha senso è solo il sentire autentico. «Voi dovete venire sempre qui. Il cuore sincero è sempre fedele anche in assenza. Non è questione di lettere e cartoline», ella ricorda al futuro scrittore, e nelle sue parole c’è la forza di un monito/auspicio che sembra uscito dalla bocca di una profetessa. Va ricordato, al proposito, che, nel corso dell’azione il riferimento casuale alla bellezza ineguagliabile di via Partenope, fatto dall’ospite, dà alla padrona di casa l’opportunità di dichiarare con la massima serietà di essere la reincarnazione della ninfa Partenope. Le sue parole provocano ovviamente una reazione di incredulità nell’ospite, alla quale lei controbatte senza scomporsi che questa non è cosa che si è inventata, perché gliel’ha detta nientemeno che «l’esploratore Ulisse» a lei apparso durante una seduta spiritica; e allo stesso modo stigmatizza il sarcasmo del figlio opponendogli che il fato, il destino sono cose troppo importanti perché lui possa capirle6. L’ospite inglese si limita allora ad obiettarle che come cattolica non dovrebbe frequentare le sedute spiritiche, che sono vietate dalla chiesa. L’osservazione solo apparentemente la lascia indifferente, perché, le fornisce anzi il pretesto di passare al contrattacco. Chiede difatti al suo interlocutore quale sia la sua religione, e, quando la discussione sulle peculiarità liturgiche del culto protestante comincia a confonderla, dà al suo ospite il consiglio molto pratico e sbrigativo di «farsi cattolico, perché è tutto più semplice».
La connotazione di questo personaggio come figura sacrale, vestale della casa/tempio in collina, ci dà l’opportunità di avviarci alle conclusioni. Prima, però, è necessario svolgere qualche altra considerazione sul motivo conduttore del radiodramma, il quale unifica e informa tutti gli altri elementi ai quali si è accennato.
Ogni “ritorno” a Napoli del Reed è motivato dal desiderio che si replichino le intense emozioni del suo primo soggiorno, durante il quale gli era sembrato di assaporare una felicità irreale, da infanzia dorata, come ricorda il narrator:
You went to sleep among friends; only a thin door separated your high blue room from the room where the boys slept: crowded together a little, so that you might have a room to yourself. You slept among friends, and woke among them; and each day was a new day, different from the days before, unpredictable, but always golden, round and complete, a radiant bubble. You did not mind that it took hours to get to bed, each separate bubble floated away so reluctantly into the dark.

[Andavi a dormire tra amici; solo una porta sottile separava la tua stanzona azzurra da quella dove dormivano i ragazzi: un po’ accalcati, in modo che tu potessi avere una camera tutta per te. Dormivi tra amici, e ti svegliavi tra loro; e ogni giorno era un giorno nuovo, diverso dai giorni precedenti, imprevedibile, ma sempre dorato, pieno, perfetto, una bolla radiosa. Non ti rincresceva che ci volessero ore per andare a letto, ciascuna bolla scompariva così a malincuore nell’oscurità]

L’illusione di poter rivivere questa «radiosa» esperienza viene smentita già al secondo arrivo a Napoli, quando l’ospite, sicuro di potere ridiventare bambino e «rientrare nel sogno a suo piacimento», scopre invece una «sconcertante» novità intervenuta durante la sua assenza: la famiglia napoletana è cresciuta con la nascita di un bambino, forse concepito «come risposta alle esortazioni di Mussolini agli uomini e alle donne d’Italia ad allevargli soldati». Prendendo «il posto suo come giocattolo per loro», quel fantolino lo fa sentire «un intruso dove prima era stato al centro dell’attenzione», e questo è un affronto grave e insostenibile per «la sua vanità». Se mai tornerà di nuovo Napoli dovrà essere per lui come la prima volta: «tutto o niente». Passano cinque anni, durante i quali l’ospite è diventato scrittore e intellettuale, ma rimanendo intimamente bambino, perché nel 1939 «ritorna» a Napoli di nuovo, sempre convinto di poter «riconquistare l’antica gioia inattesa», come gli rinfaccia il narrator, il suo alter ego. In apparenza niente è mutato, perché l’affetto e la considerazione verso di lui sono quelli di sempre; ma alla sua coscienza ammalata di esclusivismo ovviamente questo non basta, perché egli avverte che «le cose non erano più le stesse… gli anni non volevano essere schiacciati, e il passato voleva ritirarsi, senza lasciare nemmeno un regalo». Né una concessione fa il ritorno successivo, di qualche anno dopo la guerra, il cui ricordo anzi egli vorrebbe cancellare, per l’insopportabile «umiliazione dello spirito che sopraggiunge quando rivediamo un viso una volta amato e cerchiamo invano di ritrovare in esso ciò che un giorno abbiamo amato». La reazione è la fuga, e la maturazione del proponimento di non fare più ritorno a Napoli. Proposito contraddetto tre anni dopo, quando «quasi per caso» il pensiero va alla famiglia napoletana, e lo fa ripartire ancora. Questa volta, però, la paura di «fronteggiare di nuovo l’attacco degli anni» gli consiglia di fermarsi in albergo piuttosto che salire direttamente alla casa in collina. È in questo momento che comincia ad affiorare alla sua coscienza una percezione diversa di sé e delle cose umane, perché quando ha finalmente il coraggio di ripresentarsi tra i vecchi amici, comprende che questi non l’hanno mai tradito e che, semmai, «l’infedele è lui stesso». Ancora una volta è la Madre a favorire e potenziare questa autoconsapevolezza, quando, invitandolo premurosamente a tornare tutte le volte che vorrà, gli raccomanda di non passare in albergo la notte prima della ripartenza, ma di stare da loro, perché troverà sempre «la sua vecchia stanza dove dormì la prima volta e dove da allora non ha mai più dormito». Parole, queste, che nel ribadire l’immutato affetto che tutti in famiglia conservano per lui, hanno anche la funzione di sancire la riconciliazione definitiva dello scrittore con Napoli nella sua totalità ed eternità, simboleggiata nel brano finale dal riferimento alla vitalità dei bambini a Leopardi e Virgilio:
They would wait, while you pursued your way down the merciful winding Corso, with the cries of evening children softening upon the breeze and dying and dying down to the moment of silence in the hillside garden where, among the roses and oleanders and the great towering pines, Leopardi lies in peace at last, by the side of Virgil.
Look back: the city is a city regained… Go back: where one Naples ends and another begins…Ascend.

[Sarebbero stati ad aspettarti, mentre tu continuavi il tuo cammino giù per il Corso serpeggiante e misericordioso, con le urla dei bambini nella sera che smorzandosi con la brezza si spegnevano pian piano fino a zittire del tutto nel giardino in collina, dove, tra le rose e gli oleandri e i grandi pini svettanti, Leopardi riposa in pace finalmente, accanto a Virgilio.
Ricorda: la città è una città riconquistata… Ritorna: dove una Napoli finisce e un’altra comincia...Sali]

Il “ritorno” ciclico a Napoli di Reed è come un rituale attraverso il quale l’anima ascende alle zone dell’innocenza primigenia. A Napoli, e nel calore di una famiglia napoletana egli assaporò assieme a un sentimento di protezione il gusto dei sentimenti naturali, schietti, della vita senza pregiudizi, dell’affetto disinteressato: tutti valori che come uomo e come intellettuale lo scrittore avrebbe disperatamente inseguito in tutta la sua esistenza. Quei valori, irraggiungibili altrove, e specialmente nella sua ipocrita Inghilterra, li aveva trovati in gioventù, nella casa/tempio in collina, a metà strada «tra una Napoli che finisce e un’altra che comincia», lì custoditi da una sacerdotessa sapiente anche se illetterata la quale, accogliendola nel suo seno protettivo, ed invitandolo a tornare ogni qualvolta l’avesse voluto, gli aveva insegnato anche che «il cuore sincero è sempre fedele anche in assenza».










NOTE
1 Henry Reed (1914-1986) fu esponente rappresentativo, ancorché non famoso, della letteratura inglese del secondo dopoguerra. Nato a Birmingham, studiò presso l’università di questa città dove conobbe e frequentò Auden, Mac Neice e Allen. Dopo la guerra lavorò come annunciatore e produttore di programmi radio per la BBC, guadagnandosi una certa fama negli anni ’50 con la serie Hilda Tablet. Personalità eclettica e brillante espresse la sua versatilità anche in poesia. Molto antologizzate le sue “Lessons of the War”, apparse nella silloge A Map of Verona (1946). Nel 1991, a cura di John Stallworthy, apparvero i Collected Poems, che contengono, tra l’altro, anche alcune traduzioni di Canti leopardiani, tra cui quella de “L’infinito”, trasmessa negli anni Cinquanta dalla BBC, e quella de “La ginestra”. Oltre che poeta e drammaturgo radiofonico il Reed fu insegnante, giornalista, traduttore, critico letterario.^
2 Anche se nel loro insieme, come ricorda lo stesso autore nella prefazione «tutti questi drammi, per un motivo o l’altro, riguardano l’Italia e,... quale che sia il loro valore, vogliono essere testimonianze, per quanto effimere, dell’amore che ho sempre avuto per lei», una buona parte di essi è ispirata in particolare dall’amore per Leopardi. Il dramma che dà il titolo all’intera raccolta, difatti, è una visione della storia e delle vicende umane fortemente orientata dalla lettura della Ginestra, molti passi dei quali figurano nelle battute del personaggio della Sibilla. A Leopardi ci riportano anche The Unblest e The Monument, che costituiscono, rispettivamente, la prima e la seconda parte di una immaginaria biografia drammatizzata del poeta di Recanati. Su un immaginario soggiorno italiano dello Shakespeare è costruito il radiodramma The Great Desire I Had, mentre a un momento della biografia di Vincenzo Gonzaga ci riporta Vincenzo.^
3 Di Montale il Reed tradusse Mottetti; di Ugo Betti Corruzione al palazzo di giustizia, L’aiuola bruciata, Delitto all’isola delle capre, La regina e gli insorti; della Ginsburg L’inserzione; del Buzzati Il grande ritratto.^
4 La trama è lineare. Henry, lo scrittore da giovane e per la prima volta in Italia, fa la conoscenza di Alberto in casa di un medico romano. Il napoletano è così espansivo e caloroso che convince il giovane inglese, di cui sa che è diretto a Capri, a fare una tappa a casa sua una volta arrivato a Napoli, e gli dà per questo una lettera di presentazione per la mamma. Lettera che non serve, però, perché intanto il padre e il fratello di Alberto sono venuti a Roma a prelevarlo, e lo riportano a casa assieme all’inglese. Comincia così la serie dei “ritorni” napoletani su cui è costruito il dramma.^
5 La parola, come si sa, significa «porto», ma ha un inequivocabile riferimento a «heaven», «cielo», «paradiso».^
6 Nel mettere in bocca alla Madre il convincimento di essere una reincarnazione della ninfa Parternope l’autore rielabora un motivo accennato anche nella sua prima produzione in versi. In un breve frammento senza titolo e datato 1935, difatti, leggiamo: «One afternoon in Naples, the/large bright lady who was the/ mother of Peppino, Vittorio/ and Fernando leaned over/ to me and said, I am the Nymph/ Parthenope; for apparently/ Ulysses had appeared to her/ in a vision and informed her/ of the fact». Cfr. Collected Poems, cit., p. 128.^
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