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Turismo culturale e sviluppo locale: un modello basato sull'uso creativo dell'ICT's*
di Alessio D'Auria

“[…] when there is thought or perception
or communication of perception there is a transformation,
a codification, between what is communicated,
the Ding an sich, and its communication.”

Alfred Korzybski



1. Il progetto ISAAC

Il fenomeno del turismo legato al patrimonio culturale rappresenta uno dei più ampi segmenti di mercato del turismo europeo ed è considerato uno dei più formidabili driver in grado di modificare la struttura dell’economia regionale. Il modello di utilizzazione turistica delle città d’arte si è andato trasformando nel corso degli ultimi decenni in relazione a politiche di sviluppo locale fondate su prospettive di “sfruttamento” del turismo culturale ed ai processi di globalizzazione che hanno investito − modificandolo profondamente − anche il settore turistico: negli ultimi anni si è assistito ad una generale evoluzione delle motivazioni del turismo culturale dalle forme più tradizionali, basate sulla visita a musei e monumenti, verso forme più dinamiche e partecipate di consumo di cultura contemporanea.
Su tali basi si è fondata una ricerca condotta nell’ambito del VI Framework Programme, di cui si intende qui riportare le principali premesse metodologiche e alcuni dei più significativi esiti. La ricerca, denominata ISAAC (Integrated e-Services for Advanced Access to Heritage in Cultural Tourist Destinations) è stata inserita all’interno del settore IST (Information Society Technologies) del programma quadro. Alla ricerca, coordinata dall’Institute for Technology Assessment and Systems Analysis di Karlsruhe, hanno partecipato, fra gli altri, la School of the Built Environment dell’Università di Nottingham, il Department of Spatial Economics dell’Università di Amsterdam, il Dipartimento Casa-Città del Politecnico di Torino, alcune aziende di settore quali la TXT E-Solutions e le municipalità di Lipsia, Genova ed Amsterdam.
In particolare in questa sede l’attenzione è rivolta alle attività svolte nell’ambito del task affidato al Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali dell’Università di Napoli “Federico II”, coordinato dal prof. Luigi Fusco Girard, e a cui lo scrivente ha preso parte.
L’obiettivo del task è stato incentrato sulla implementazione delle esigenze degli utenti delle città culturali attraverso i cosidetti e-services. L’output principale ha condotto all’elaborazione di un quadro metodologico, a partire da una necessaria revisione e una ri-definizione dei valori culturali e della portata del significato di turismo culturale urbano experience-based, per la comunicazione e la rappresentazione del patrimonio culturale delle città.
La ricerca, focalizzata sula fruizione e sulla valorizzazione del patrimonio culturale sia materiale che immateriale, non ha avuto un approccio technology driven, ma piuttosto concept driven: non si è basata cioè sullo sviluppo di nuove tecnologie e/o di loro estensioni e applicazioni, ma ha focalizzato il proprio interesse su un possibile uso creativo delle ICTs che consentisse alle città di rappresentare se stesse attraverso il patrimonio culturale, analizzando e specificando le determinanti della fruizione culturale e definendo i modelli e gli strumenti necessari a renderla possibile.
Coerentemente con le mutazioni sociali, economiche e culturali innescate dai nuovi frames della post-modernità (globalizzazione, terziarizzazione, liquidità delle relazioni, centralità dell’“accesso”, customizzazione dei prodotti e dei servizi, virtualizzazione e smaterializzazione), l’obiettivo principale di ISAAC è stato creare un sistema interattivo di gestione del patrimonio “user oriented”. Questo ha significato esplorare metodi e strumenti che fossero in grado di creare un vantaggio competitivo e sostenibile attraverso la fornitura di esperienze memorabili e altamente personalizzate.
La piattaforma messa a punto, di concerto con le municipalità coinvolte, per la promozione del patrimonio culturale e la comunicazione nella creazione di queste esperienze memorabili è un GIS, previsto come strumento fortemente user-oriented, che consente un’interattività spinta tra gli utenti (“interactiveGis” o “hyperGis”).


2. Strategie di sviluppo basate sul turismo culturale nell’era della experience economy

Come si ricordava in precedenza, all’inizio del XXI secolo il turismo è diventato una delle maggiori industrie del mondo con un fatturato annuo stimato attorno ai 3.000 miliardi di dollari e ha continuato a registrare fino al 2009 un tasso di crescita medio pari al 4-5% annuo. Molti paesi hanno un grande interesse a sostenere lo sviluppo del turismo proprio per le positive ricadute socio-economiche di questo settore. Queste, come è noto, si riferiscono principalmente agli effetti positivi sulla bilancia dei pagamenti, allo sviluppo locale, alla diversificazione dell’economia, alle molteplici opportunità di lavoro, all’incremento dei livelli di reddito, e di conseguenza delle entrate pubbliche (Pearce, 1991).
Le previsioni della World Tourism Organization indicano che questa tendenza continuerà anche nei prossimi anni, e che il turismo crescerà costantemente nel futuro: infatti, è previsto un incremento di arrivi internazionali che potrebbe raggiungere la cifra di oltre 1,5 miliardi entro il 2020. Questi dati si riferiscono al settore del turismo in generale, ma il turismo culturale è previsto in crescita ad un tasso ancora più elevato (WTO, 2004). La crescita della domanda di turismo culturale è sostenuta anche dalla evoluzione nei modelli di turismo, che mostra una chiara tendenza verso soggiorni più brevi e una frammentazione delle vacanze. L’accorciamento delle vacanze porta ad un aumento di visite brevi, incentrate principalmente sul turismo urbano e culturale. E infatti, il turismo culturale attira un numero sempre maggiore di turisti: secondo uno studio della Commissione europea, il 20% dei turisti in Europa rispondono a motivazioni culturali, mentre il 60% dei turisti europei sono interessati alla scoperta culturale durante i loro viaggi. Oltre alla continua crescita della domanda turistica mondiale, sia internazionale che nazionale, che pervade tutti i tipi di destinazioni, compresi i siti culturali, ci sono altri fattori che spiegano questa tendenza, tra i quali possiamo considerare anche la progressiva trasformazione della figura del turista verso un modello sempre più sofisticato in cerca di esperienze legate ad espressioni di diversa estrazione.
Secondo molti studiosi (Urry, 2001; Richards e Wilson, 2006) la cultura è diventata nell’ultimo decennio un elemento essenziale del sistema turistico. La crescita dei consumi culturali (di arte, enogastronomia, moda, musica) e le industrie che si rivolgono ad essa ha alimentato la cosiddetta “economia simbolica” delle città (Ray, 1998; Zukin, 1995).
Al tempo stesso, la domanda del turista consumatore/utente è caratterizzata dalla crescente importanza della dimensione immateriale, che riflette l’“anima della città”, ma è al tempo stesso anche l’elemento essenziale per costruire il suo futuro (Fusco Girard, 2008).
Secondo Pine e Gilmore (1999) e Amin e Thrift (2002), la crescente concorrenza nel mercato implica che i beni e servizi non sono più sufficienti e che i produttori devono differenziare i propri prodotti, trasformandoli in ‘esperienze’ in grado di coinvolgere il consumatore. Lo stesso processo riguarda anche le città di tutto il mondo, ed in particolare quelle turistiche, in competizione per attrarre residenti e visitatori (Richards, 2001). La produzione di cultura è quindi diventata da tempo un fattore centrale per le strategie di sviluppo urbano basato sul turismo (McCann, 2002).
La globalizzazione, i cambiamenti demografici, i progressi nella tecnologia e un cambiamento nei sistemi di valori dei consumatori, hanno plasmato la domanda di un nuovo prodotto turistico post-materialista. Il cosiddetto experience-based tourism è il nuovo concetto che sta gradualmente emergendo per soddisfare questo bisogno. Ciò implica la necessità di andare oltre l’esperienza fugace, allargando l’esperienza turistica nel tempo attraverso un coinvolgimento intellettuale ed emotivo in grado di continuare anche dopo l’esperienza e in grado di stimolare la fissazione del ricordo e della memoria.
Il tentativo da parte dei responsabili delle politiche urbane di valorizzare i luoghi attraverso la loro identità culturale di fronte alla crescente globalizzazione e all’integrazione economica è definito da Ray (1998) come l’approccio dell’economia della cultura per lo sviluppo. La cultura è diventata una risorsa cruciale per l’economia post-industriale, come testimoniano l’utilizzazione del patrimonio culturale nelle strategie di sviluppo dell’Unione Europea e di altri organismi. La cultura è sempre più utilizzata dalle città e regioni come mezzo per preservare la loro identità culturale e sviluppare la loro socio-economic vibrancy (Ray, 1998).
La concorrenza tra i siti turistici deriva dalla loro capacità attrattiva che dipende almeno da queste sei circostanze:
1. pluralità di valori culturali, artistici, storici, ambientali;
2. accessibilità;
3. livello di strutture e densità di strutture turistiche;
4. qualità dei servizi turistici offerti (materiali e immateriali);
5. qualità sociale e identitaria del sito;
6. disponibilità di specifici servizi aggiuntivi.

Intervenire in uno o tutti i componenti di cui sopra consente di migliorare la competitività. È chiaro, tuttavia, che non è possibile modificare la qualità dei valori culturali di un sito, o affermare la sua identità, o migliorare il livello delle strutture ricettive, se non nel lungo periodo. Pertanto l’ultimo punto, e cioè la disponibilità di servizi aggiuntivi, appare il nuovo possibile punto di forza su cui puntare, nella prospettiva appena delineata che vede un’importanza sempre crescente delle esperienze immateriali da offrire ai turisti/visitatori. Tale disponibilità è riferita principalmente ai servizi aggiuntivi di tipo multimediale nella fruizione dell’architettura, delle opere storico-artistiche in grado di determinare un coinvolgimento emotivo dell’utente: si pensi alle possibilità della realtà virtuale e della realtà aumentata, che consentono la ricostruzione nello spazio e nel tempo di un’opera e del suo contesto.
All’interno di questo quadro generale, il ruolo rivestito dal nostro paese − come purtroppo è risaputo − non è di primo piano: infatti secondo gli indici elaborati dal World Economic Forum, l’Italia, che è il paese con il maggior numero di siti UNESCO al mondo, non va oltre un mediocre 33° posto nella speciale classifica sulla Competitività Turistica (TTCI). Nonostante la quantità e la qualità del patrimonio culturale e ambientale e la qualità giudicata molto elevata delle infrastrutture turistiche, l’Italia risente di diversi punti deboli, che portano il punteggio globale verso il basso.
Nel rapporto “Arte, turismo culturale e indotto economico” commissionato da Confcultura e dalla Commissione Turismo e Cultura di Federturismo a PriceWaterhouseCoopers, emergono nitidamente due aspetti:
1. la ricchezza del patrimonio artistico-culturale nazionale, rispetto ai principali competitori europei;
2. le opportunità derivanti dal settore dell’arte come fonte di generazione di valore per l’industria creativa, per il turismo, in particolare quello culturale, e per l’economia italiana nel suo complesso.

L’Italia può sviluppare un vantaggio competitivo sostenibile nei settori legati alla valorizzazione e della fruizione del patrimonio storico, artistico e culturale. Questo tema assume maggiore importanza se si pensa che l’Italia possiede il più ampio patrimonio culturale a livello mondiale con oltre 3.400 musei, con circa 2.000 aree e parchi archeologici e con 45 siti Unesco.
Il rapporto evidenzia che nonostante questo dato sia di assoluto primato a livello mondiale, il Rac (un indice che analizza il ritorno economico degli asset culturali sui siti Unesco) mostra che gli Stati Uniti, con la metà dei siti rispetto all’Italia, hanno un ritorno commerciale pari a 7 volte quello italiano (160 milioni di euro contro i nostri 21 milioni).
In particolare, le stime degli analisti PwC indicano che il settore culturale e creativo in Italia raggiunge solo il 2,6% del Pil nazionale (pari a circa 40 miliardi di euro), rispetto al 3,8% della Gran Bretagna (circa 73 miliardi di euro) e 3,4% della Francia (circa 64 miliardi di euro). Appare evidente il gap competitivo e la scarsa capacità di sviluppare il potenziale del nostro Paese nonché la necessità di una svolta concreta per consentire al settore di contribuire in modo più incisivo al PIL nazionale, e quindi allo sviluppo complessivo del paese e all’occupazione.


3. Il turismo culturale urbano: il ruolo delle ICTs

Le risorse turistiche sono state sistematizzate da Jansen-Verbecke (1988) in tre categorie: risorse primarie, secondarie e terziarie (definiti anche additional elements). Tra le risorse primarie sono comprese le occasioni culturali − teatri, concerti, musei, mostre, ecc. − come pure gli scenari (settings) − ambienti, centri storici, monumenti, edifici religiosi, parchi e spazi verdi, canali, fiumi, porti e relativi waterfront − e le caratteristiche identitarie e socioculturali − la lingua, le abitudini e i costumi locali, il folclore, le feste, i riti, la cultura materiale, i prodotti tipici dell’enogastronomia, la cordialità e ospitalità della popolazione e immateriale locale e la stessa produzione di eventi effimeri (festival, mostre, etc.) così come pure la sicurezza. Tra le risorse secondarie dell’offerta turistica si annoverano sia le infrastrutture turistico-ricettive (alberghi, bar, ristoranti etc.), che i servizi per il tempo libero e per lo sport (centri commerciali, cinema, teatri, piscine, campi da tennis, etc). Gli additional elements invece sono relativi all’accessibilità dei siti e all’organizzazione complessiva dell’offerta turistica. Questa categoria gioca un ruolo rilevante, dato che i servizi culturali sono ancora prevalentemente “servizi alla persona”, cioè servizi che devono essere acquisiti dal fruitore direttamente alla fonte.
Come accennato in precedenza, le tecnologie vedono oggi una possibilità di applicazione di notevole ampiezza nell’ambito della fruizione, ma anche della promozione e valorizzazione delle risorse turistico-culturali specialmente in ambito urbano, ovvero consentono di intervenire in tutte e tre le tipologie di risorse appena delineate.
Gli strumenti tecnologici, con rapidità evolutiva impressionante, permettono di modificare radicalmente il rapporto tra gli heritage managers e i fruitori, consentendo agli utenti di sperimentare nuovi percorsi di fruizione in grado di esaltare la funzione culturale propria di tali beni.
La tecnologia è funzionale alla risoluzione di criticità che da lungo tempo limitano il pieno sviluppo del settore culturale. Il ricorso a innovazioni tecnologiche, adeguatamente sviluppate e applicate, può facilitare la fruizione e l’accesso ai beni e ai contenuti culturali, a vantaggio di un numero crescente di utenti (Malpas, 2008). Lo sviluppo tecnologico costituisce un potente mezzo attraverso cui accrescere i benefici relativi alla fondamentale funzione di capacitazione della cultura nella società, sia in termini di aumento degli strumenti di conoscenza a disposizione dei cittadini, che di incremento dei generati dalla piena valorizzazione del patrimonio storico e artistico a favore dell’intera comunità.
L’utilizzo delle ICTs nel settore dei beni culturali può risultare fondamentale per (Fusco Girard e Torrieri, 2009):
a) ridurre le asimmetrie informative, e quindi il gap di conoscenza, fra il lato della domanda e dell’offerta;
b) rimodellare le strutture ed i confini del settore del turismo culturale: grazie ad un’integrazione virtuale, questo permette la riduzione delle barriere all’entrata e l’aumento della popolazione di nuovi clienti (visitatori e turisti);
c) stabilire e permanentemente ridisegnare una gerarchia di attrattori culturali (materiali ed immateriali), e quindi una gerarchia di priorità di gestione del patrimonio (conservazione/valorizzazione) da parte degli utenti;
d) estendere la domanda turistica nello spazio, evitando il noto problema della concentrazione in zone limitate anche al fine di ridistribuire gli impatti (positivi e negativi) del turismo sul territorio;
e) estendere l’offerta turistica nel tempo, al di là del “touch and fly”, attraverso un effettivo coinvolgimento sia intellettuale che emotivo, che rende l’esperienza turistica unica e indimenticabile, producendo così “conoscenza” e non solo informazioni grazie alla tecnologia virtuale;
f) infine, ma non meno importante, per elaborare piani di gestione, programmi e progetti di sviluppo turistico sulla base di un processo costante e sistematico di valutazione complessiva dei benefici conseguiti rispetto ai benefici persi (Giaoutzi e Nijkamp, 2006).

La promozione e la valorizzazione del patrimonio culturale è parte integrante del processo di gestione del patrimonio stesso, e costituisce un aspetto fondamentale della maggior parte dei piani di gestione promossi dall’UNESCO, per la capacità di favorire la diffusione della conoscenza dei valori del patrimonio e del suo contesto socio-culturale.
Il nesso tra promozione/valorizzazione e gestione è dunque di fondamentale importanza: se gli heritage manager possono controllare l’attività di promozione e valorizzazione, possono di conseguenza anche controllare il turista e, così facendo, controllare l’uso del bene (Goulding, 1999).
Come è ampiamente noto, i problemi possono verificarsi quando le priorità di sviluppo del turismo e quelle di tutela del patrimonio culturale vengono gestite separatamente. Per esempio, un sito culturale posto sotto pressione a causa di un carico turistico eccessivo e fuori controllo (si pensi a Venezia, a San Gimignano, a Pienza, a Pompei, per riportare gli esempi più clamorosi) rischierà senza dubbio di subire dei danni materiali che a loro volta influenzano i valori culturali immateriali per, infine, compromettere l’esperienza del visitatore, oltre a degradare la qualità della vita dei residenti.
Il turismo, d’altra parte, tende a concentrarsi esclusivamente sui valori d’uso: nel settore turistico ciò che ha rilevanza per il visitatore ha la precedenza su qualsiasi altro elemento. La sfida nella gestione per le attrazioni turisticoculturali, con particolare riferimento a quelle in ambito urbano, è di cercare di ottenere più di un semplice intrattenimento.
Il problema è quello di migliorare e personalizzare le visite delle città storiche, dei siti archeologici, dei musei, delle mostre. Secondo (Bordegoni et al, 1997), un medium è uno spazio fisico in cui si reificano entità percepibili. In una città culturale, (così come in un museo, un sito archeologico, ecc), il medium più importante è l’ambiente stesso.
Il requisito principale per la condivisione della conoscenza, comunicazione e promozione è quello di integrare l’esperienza fisica, con una virtuale, mediante strumenti che “aumentino” l’informazione del reale, non occultando la reale “forma delle cose”, ma amplificandone i contenuti ed il loro portato valoriale.
Lo strumento progettuale che rende possibile questo approccio è il cosiddetto “design dell’esperienza” (Granelli, 2009), che è centrato sulle esigenze del visitatore e sulle specificità degli oggetti con cui interagisce. Questo approccio punta alla valorizzazione economica della produzione di esperienze uniche con l’obiettivo di massimizzare il valore economico dei beni unici e non replicabili e combinare l’unicità e non replicabilità dei beni con forme avanzate di organizzazione e di tecnologia, che ne consentano la moltiplicazione della fruizione senza congestione.
Le potenzialità delle tecnologie costringono a ripensare l’esperienza culturale: le preferenze dei consumatori e dei turisti in particolare si stanno da tempo orientando verso prodotti con un ruolo preminente delle caratteristiche morfologiche, ovvero estetico-percettive. Inoltre, a livello sociale si assiste all’esplosione della cultura del loisir con l’aumento esponenziale della ricerca di spettacolarizzazione dell’esperienza turistica in quanto esperienza totale e multisensoriale che non si limiti ad intrattenere, ma che sia anche in grado di «educare, coinvolgere ed estasiare il consumatore».
Nell’era dell’eterno presente dell’Economia dell’Accesso, la semplice produzione di beni e servizi non è più sufficiente e sono invece le esperienze e le emozioni offerte al consumatore a costituire il fondamento della creazione di valore (Schmitt 1999): dal continuo processo di accumulazione e consumo di quello che Bourdieau definiva “capitale simbolico”, consegue un apprezzamento mercantile del valore differenziale della bellezza e della qualità estetica.
Il cosiddetto experience-based tourism spesso ha bisogno di impiegare più di un fornitore e di utilizzare più di un insieme di esperienze per completare l’offerta. Esso richiede un approccio multidimensionale e può essere applicato con successo solo se rappresenta una combinazione di esperienze taylored.
Il prodotto turistico post-materialista ha bisogno di:
• rappresentare una combinazione memorabile di esperienze personali
• essere flessibile per accogliere il desiderio del turista di essere parte attiva nella produzione stessa di questa esperienza
• stimolare la creatività del turista
• essere autentico.

La ricerca ISAAC ha teso dunque a mettere a punto innanzitutto un “metodo” innovativo, per realizzare una piattaforma tecnologica e non dei singoli prodotti, per formalizzare un modello di fruizione innovativo che consente di “ampliare” e “aumentare” le possibilità fornite all’utente, permettendogli di consumare la visita culturale attraverso il supporto di servizi e strumenti specifici sia in modalità remota che diretta, trasformando così il fruitore in uno “spett-attore” (Granelli e Traclò, 2006).
Un prodotto esperienziale si riferisce all’esperienza immateriale che i siti turistici possono fornire ai consumatori. Il turismo è, quindi consumato come esperienza (Beeho e Prentice, 1997).
La ricerca ISAAC ha consentito di elaborare anche un modello di gestione del patrimonio culturale urbano – materiale e immateriale – che, se messo in pratica consentirà di apportare valore aggiunto al ruolo di attrattore e di “attivatore” della risorsa culturale stessa. Si pensi, intanto, al ruolo “pivot” delle nuove tecnologie in relazione al fenomeno relativo all’eccessiva concentrazione dei visitatori in un ridotto numero di strutture museali e siti archeologici del territorio nazionale. I dati che descrivono questa tendenza, parlano di un 50% dei visitatori che si affollano nelle sale di soli 9 musei; ciò significa che i restanti 393 musei statali italiani si dividono l’altro 50% (Granelli e Traclò, 2006). A questi, si aggiungono i dati relativi alla permanenza media di un visitatore davanti alle opere esposte, il cui valore è di un solo minuto secondo, rispetto a quanto riportato da una ricerca condotta sul campo nel 2005-2006 sui visitatori dei Musei Vaticani (Antinucci, 2007).
Tutto questo porta a pensare che la scelta delle destinazioni culturali spesso dipende da una serie di fattori che possono persino paradossalmente esulare dall’offerta contenutistica del museo o del sito. Oggi sembra quanto mai opportuno concentrare l’attenzione sulla qualità dell’offerta museale e sulla sua capacità di esercitare una funzione che sia davvero culturale. Davanti al fenomeno di mercificazione e massificazione della domanda di beni culturali e artistici, tipico della società contemporanea, è necessario confrontarsi sulle modalità più efficaci che i siti archeologici, le strutture museali, i monumenti, hanno a disposizione per lo svolgimento della loro funzione primaria.
È necessario pertanto un uso “creativo” delle ICTs che passi da un livello meramente informativo e dunque rappresentativo, ad un livello effettivamente “conformativo” (Fistola, 2007).
Nel livello informativo le ICTs vengono sostanzialmente utilizzate per creare modi di rappresentazione del patrimonio culturale. Tale livello include sia le rappresentazioni tecniche, che le nuove tecnologie digitali rivoluzionano attraverso le immagini tridimensionali e/o ricostruzioni di siti e/o ambienti o musei virtuali, che le trasposizioni in rete in specifici siti dedicati, dei beni opportunamente digitalizzati.
Invece nel livello formativo si considera la tecnologia come strumento utile a produrre nuova conoscenza attraverso strumenti ed ambienti HW/SW innovativi. Dal punto di vista tecnico l’uso dei Geographical Information System (GIS) come strumenti per definire nuova conoscenza territoriale, può rappresentare un efficace esempio. Dal punto di vista telematico gli e-services possono rappresentare strumenti innovativi per gestire, valorizzare e promuovere siti culturali.
Un livello successivo di utilizzo delle ICTs, è quello conformativo, in cui è possibile procurare all’utente una esperienza immersiva, nella quale cioè non sia più necessario “cercare” l’informazione, ma sia l’informazione stessa che viene trasferita al visitatore nel modo e al momento più opportuno. A questo livello, inoltre, la comunità di utenti può attivare una partecipazione virtuale, attraverso la rete e i GIS, che ha come obiettivo la generalizzazione della fruizione digitale dei contenuti e degli eventi correlati, sia a distanza che in loco, e di sviluppare contenuti e servizi aggiuntivi attraverso le metodologie tipiche del social networking e lo scambio di esperienze. Tali modelli di interazione partecipativa rendono gli utenti consapevoli di contribuire alla creazione di nuovi valori culturali, sociali e relazionali, completando il percorso di evoluzione da utente a co-produttore.
I tre livelli sono concatenati e disposti secondo una conformazione piramidale col livello informativo alla base, nel senso che il primo livello è necessario per il secondo ed entrambi per il terzo, ma al tempo stesso il primo livello può anche essere autosufficiente.
Il livello informativo, rivolto cioè alla rappresentazione ed alla comunicazione (e quindi anche alla promozione) ha pertanto un’importanza da non sottovalutare. Sulla diffusione delle ICTs nel settore dei beni culturali si è soffermato il Rapporto Civita 2008, a cura di Paolo Galluzzi e Pietro Valentino, esaminando gli impatti economici e sociali dello sviluppo del Web e ICTs legati ai contenuti culturali in genere. Secondo la ricerca in Europa i potenziali consumatori di servizi internet per motivi di cultura e turismo raggiungono i 700 milioni l’anno. Ancora una volta, pur muovendoci ad un livello sostanzialmente elementare delle ICTs, l’Italia in questo campo appare ancora in un’arretratezza sconcertante, non solo per deficit infrastrutturali (si pensi al problema della banda larga), ma anche e soprattutto perché il nostro Paese, pur rimanendo una delle più importanti destinazioni turistiche, non controlla in maniera capillare il processo dei “prodotti” che realizza. Il web può offrire la possibilità di rimediare, raggiungendo direttamente i potenziali consumatori per attrarli on site, consentendo di dar vita a meta-musei, meta biblioteche e meta archivi virtuali, superando i limiti della frammentazione del patrimonio culturale. L’indagine curata da Civita ha riguardato 110 musei italiani e altrettanti musei stranieri, con un campione di mille utenti intervistati. Il primo dato rilevante è quello che riguarda l’accessibilità via web: nel 1998 solo il 15% dei musei italiani era presente sul web; dopo dieci anni il dato si è incrementato al 51,9%.
Il limite più evidente e strutturale del livello meramente informativo – per quanto fondamentale – nell’uso delle ICTs, è rappresentato dalla impossibilità di rappresentare il patrimonio culturale immateriale, che, alla luce delle riflessioni riportate in precedenza circa la crescita del fenomeno del turismo culturale experience-based è divenuto uno dei fattori attrattivi più importanti specialmente in ambito urbano. Il patrimonio culturale tangibile, sia esso un monumento, una città storica o un paesaggio, è relativamente facile da catalogare e comunicare.
In questo senso la ricerca ISAAC ha fornito una prima risposta, elaborando un modello per strutturare un GIS web-based “iper-interattivo”, totalmente customizzabile a seconda delle diverse tipologie di utenti, ciascuno con diverse preferenze e priorità (turisti, residenti, visitatori occasionali): il sistema infatti, si basa sulla possibilità da parte degli utenti di esprimere un giudizio – in una fase post-visita – sui servizi e sulle attività connesse al patrimonio materiale e immateriale. Si tratta di un modello U2U (User to User) in cui il contenuto digitale aggiuntivo viene realizzato e messo in rete dagli utenti.
Questa fase di feed-back è molto importante sia per i visitatori e i turisti che esprimono una domanda opzionale e/o latente, che possono osservare il giudizio espresso dai precedenti utenti, sia per i gestori del patrimonio, che possono migliorare i servizi e le attività connesse alla fruizione del patrimonio culturale.
In particolare il sistema GIS così strutturato, consentendo ai visitatori (sia insider e outsider) di esprimere il loro giudizio sui servizi connessi al patrimonio culturale, materiale e immateriale, agevola la comprensione del valore sociale complesso esistente, che un determinato luogo è in grado di trasmettere. Attraverso questo strumento è possibile “mappare” le relazioni o i legami tra le persone e il loro ambiente.
Il sistema, inoltre, consente alle istituzioni di elaborare piani di gestione, programmi e progetti di sviluppo turistico sulla base di un processo costante e sistematico di valutazione dei benefici complessivi (materiali e immateriali). Il suo utilizzo nell’elaborazione dei piani di gestione può consentire di valorizzare le risorse preesistenti, in molti modi diversi:
• collegando le risorse culturali in un rapporto di complementarietà/sinergia;
• promuovendo la commercializzazione di alcuni servizi site specific;
• stimolando la produzione di nuovi servizi;
• rendendo più completa la fruizione delle risorse culturali;

Vale la pena sottolineare che lo strumento GIS “iper-interattivo”, rivolto al livello formativo dell’uso delle ICTs, ma con evidenti ricadute operative nel livello conformativo e dunque autenticamente esperienziale, può essere considerato un primo tentativo di rappresentare il genius loci di una città. Inoltre consente non solo di riconoscere i valori esistenti, ma stimola anche la produzione di nuovi valori aggiunti, soprattutto valori indipendenti dall’uso e metaeconomici.


4. Una nuova offerta per una nuova domanda di cultura

La rivoluzione che sta attraversando questi primi anni del secolo nelle modalità di fruire della realtà tout-court – e quindi anche del patrimonio culturale urbano – attraverso l’uso delle ICTs, era stata intuita ed anticipata in un certo senso nel 1964 da Marshall McLuhan quando si soffermò ad analizzare le relazioni che intercorrono tra il concetto di “comunicazione” ed i “mezzi” attraverso cui si comunica ed intesi anche nella loro accezione di trasmissione delle informazioni immateriali (a superamento della logica esclusiva riferita alle infrastrutture fisiche della comunicazione). McLuhan introdusse i temi e le questioni che sarebbero stati alla base della società dell’informazione nella quale al “movimento delle merci” si sarebbe affiancato il “movimento delle informazioni” (McLuhan, 1964).
Il modello di conoscenza del XXI secolo non è più un sistema chiuso, d’élite, ma tende verso un’integrazione sempre più spinta e completa, verso una condivisione di saperi così come di emozioni: ma mentre nel primo caso nella ragnatela del web si va alla ricerca di informazioni frutto di saperi “esperti” (in termini di legittimità dell’informazione) nel secondo caso, ancora grazie alla bava telematica in cui siamo impigliati, si cerca piuttosto una forma di conoscenza informale e pre-sapienziale. Muta, o meglio si evolve, il modo di apprendere: le origini di tale evoluzione sono da ricercarsi all’interno del paradigma delle tecnologie dell’informazione in quanto l’evoluzione tecnologica produce effetti sul modo con cui la conoscenza si distribuisce a livelli differenti della società.
A questo proposito, Melvin Kranzberg (1985) sostiene che l’impatto delle nuove tecnologie non è di per sé né buono né cattivo, ma nemmeno neutrale in quanto influisce nella sfera sociale modificandone i parametri di relazione. Ciò è vero nel momento in cui le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno una notevole capacità di trasmissione – dei saperi, delle emozioni, delle esperienze – in grado di agire sull’informazione stessa modificandola e generandone di nuova. Anche e soprattutto dal basso.
Seguendo questa “onda” evolutiva, Pierre Lévy ha elaborato il concetto di cyberspazio, in cui è immaginato lo sviluppo di una democrazia elettronica in grado di mettere a confronto cittadini e istituzioni su diversi temi, offrendo la possibilità di una loro ampia partecipazione e sempre più democratica e responsabile ai processi decisionali delle amministrazioni, garantendo una maggiore trasparenza e valutazione delle politiche di sviluppo intraprese (Lévy, 1996).
In questo nuovo scenario tendenziale, infine, Igor Scognamiglio (2008) ci suggerisce di ragionare secondo un’ottica di “intelligenza collettiva” attraverso cui rendere universale lo spazio del sapere, prospettando una modalità di apprendimento “aperto, orizzontale e collaborativo” al fine di realizzare uno spazio del confronto. L’apprendimento ed il consumo di sapere nel XXI secolo si esplica, infatti, attraverso la duplice natura dell’essere e dell’avere. La prima, nel senso di essere nella rete, è riferibile ai produttori di saperi e contenuti in uno specifico ambito di conoscenza; ma anche nel senso di esistere in rete e svolgere al suo interno un ruolo attivo (e si pensi in tal senso alle possibilità offerte al coinvolgimento attivo dei fruitori per mezzo delle web community e dai social networks). Nel secondo caso ci si riferisce direttamente al consumo di conoscenza all’interno della rete, ovvero alla possibilità che ha il fruitore di prendere possesso delle informazioni di diverse conoscenze, farle proprie e contribuire ad incrementare i contenuti distribuiti in rete. Secondo questa duplice visione di essere e avere in rete, il fruitore dell’informazione è responsabile del proprio ruolo attivo diventando collaboratore nella “messa in forma dei contenuti”.
Se consideriamo il “nuovo” turista culturale urbano all’interno di questo scenario, notiamo che questi ha un rapporto con la città che può misurarsi in tre momenti differenti:
- pre-visita della città (un possesso “virtuale”)
- visita effettiva della città (un possesso “reale” o “effettivo”)
- post-visita della città (un possesso “memoriale” o “affettivo-emozionale”)

Nel momento di pre-visita della città (possesso “virtuale”), il turista acquisisce quelle conoscenze necessarie alla visita; avrà bisogno di informazioni sulle risorse primarie, sulle risorse secondarie (hotel, ristoranti, negozi, ecc.) e su quelle terziarie (trasporti, accessibilità, info generali, ecc.)
Nel momento di “visita effettiva” della città (possesso “reale”), il turista prende possesso realmente di essa, si immerge nello spazio urbano, nella sua complessità. Rivivrà quei luoghi che ha già consumato nella Rete e la utilizzerà nuovamente per poter comunicare con la città o al di fuori di essa. Potrà utilizzare le informazioni in suo possesso per potersi muovere all’interno dello spazio urbano e nei singoli luoghi che lo costituiscono, seguire tragitti preordinati in Rete, accedere in ambienti prenotati in precedenza.
Nella fase post-visita della città (possesso “memoriale”), il turista, attraverso un processo di feed-back, mediante applicazioni web e mobili, potrà rimettere in rete i propri giudizi, le proprie impressioni ed emozioni sulla città, sotto forma di ricordi, immagini e narrazioni, che a loro volta potranno diventare informazioni, conoscenza nella fase pre-visita da parte di altri utenti. Sono informazioni prive di strutturazione iniziale, in quanto prodotte attraverso tecniche collaborative tra gli utenti (folksonomy).
Questi strumenti ben intercettano il possibile passaggio da una sorta di “capitalismo informazionale” (Castells, 2004) ad un principio di “economia della conoscenza” in cui si auspicano nuovi strumenti in grado di attivare un processo di trasformazione della conoscenza in valore e «frutto dell’immaginazione, della comunicazione e della condivisione» (Rullani, 2004).
Emerge, dunque, una nuova visione di apprendimento nell’era delle ICTs che struttura un doppio binario di saperi: quelli istituzionali ed esperti del settore e quelli diffusi delle comunità virtuali. Le ICTs possono svolgere un ruolo centrale nel modo (o meglio nei modi) in cui si ha accesso ai beni culturali e in cui si vive un’esperienza memorabile tramite essi. Molti turisti mirano ad avere una esperienza formativa nel momento in cui consumano il loro prodotto culturale. E il modo in cui i beni culturali sono offerti sul mercato dell’esperienza turistica (e quindi valorizzati e gestiti) assume la stessa importanza delle loro preferenze personali, e si trova quindi alla base delle loro scelte di destinazione (Riganti, 2007).
Quindi, le informazioni e i servizi che i turisti possono ottenere in tutte la fasi della visita stanno diventando un aspetto sempre più importante. Ciò implica lo sviluppo di una nuova piattaforma integrata, che vada oltre le ricostruzioni virtuali e le digitalizzazioni di singoli beni artistici, fruibili sui PC di casa, in cui l’esperienza dell’utente viene inevitabilmente confinata all’interno dell’applicazione software, in uno spazio decontestualizzato.
Appare evidente la necessità di arricchire la visita ai musei, ai centri storici, ai monumenti, ai parchi archeologici, dotando i siti culturali di servizi e infrastrutture necessari per competere con le altre offerte e trasformarla in una esperienza coinvolgente e “memorabile”: è il modo in cui viene vissuta l’esperienza e non (più) la sola oggettività dell’artefatto che viene osservato che dà unicità e piacere all’esperienza turistica, crea dei potenti meccanismi di fidelizzazione (spingendo a ritornare in quei luoghi) e origina il fondamentale “passa parola” base per il nuovo marketing cosiddetto “virale”.
Questa nuova forma di “marketing esperienziale” (Schmitt 1999) o “emozionale” si basa più sull’esperienza del consumo che non sul prodotto in sé ed è fondata sull’esperienza soggettiva (Erlebnis) piuttosto che sull’esperienza cumulativa (Erfahrung) (Gallucci e Poponessi, 2008). Mentre l’economia tradizionale crea dei monologhi con i consumatori, puntando esclusivamente alla descrizione delle prestazioni e ai benefici del prodotto, l’economia dell’esperienza costruisce invece un dialogo, ascolta le esigenze dell’uomo ed ai suoi valori e ridà centralità all’interazione. Nel nuovo contesto di mercato, dinamico e globale, molti dei principi del marketing classico risultano obsoleti e dunque inadeguati per garantire rendimenti crescenti nel lungo periodo come in passato laddove le componenti hard dei prodotti possono essere facilmente imitate e confrontate, rendendo il prezzo l’unico fattore realmente discriminante.
La sfida economica dell’Italia (e delle regioni del Mezzogiorno in particolare), per la ricchezza e la varietà del patrimonio culturale ivi concentrato, risiede quindi nel combinare la rendita derivante dall’unicità con la capacità di replicazione del capitalismo postindustriale, integrando con modalità innovative i beni culturali con i relativi servizi: il valore del bene unico deve poter essere “trasferito” sul valore di beni replicabili, che possono essere prodotti ed esportati (Granelli, 2005).
La ricerca ISAAC consente di cogliere appieno queste opportunità offerte
dalla diffusione delle ICTs e dal manifestarsi dell’economia dell’esperienza attraverso una sorta di riattualizzazione del genius loci: dal punto di vista della produzione di valore, il territorio (in questo caso urbano) può essere considerato un sistema cognitivo, che “contiene” e alimenta in continuazione uno stock di conoscenze implicite, rese disponibili agli attori che in esso sono “immersi” e che a loro volta le ri-generano e ri-producono, secondo un processo virtuoso.




NOTE
* Le riflessioni contenute in questo contributo sono state in parte già pubblicate on-line sul sito: http: //e-learning.dti.unimi.it/Portale/rivista.^


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