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L'ultima legislatura della Repubblica dei partiti
di Antonio Maccanico
Questo libro- intervista di Gerardo Bianco, che fu l’ultimo presidente del gruppo parlamentare democristiano nella legislatura ’92 - ’94, è un contributo notevole alla storia di anni decisivi per la cosiddetta “prima repubblica”, la Repubblica dei partiti, come la definì Pietro Scoppola, la Repubblica del sistema elettorale proporzionale.
L’autore fa una analisi assai scrupolosa delle varie fasi di quella legislatura, che vide la nascita e la morte prematura del Governo Ciampi. Enumera gli sforzi del gruppo democristiano per tenere in piedi una maggioranza a sostegno di un governo dedito al risanamento mentre imperversava la tempesta di “tangentopoli” ed emergeva il secessionismo della Lega nord di Bossi.
Ricorda con esattezza gli errori fatti tra i quali, il rifiuto di entrare nel Governo Ciampi dei parlamentari del Pds, che indebolì fin dall’inizio quel Governo, motivato da un voto contrario della Camera ad una richiesta di autorizzazione a procedere a carico di Craxi.
Così la vicenda dello scioglimento anticipato delle Camere nel ’94, lo scioglimento del cosiddetto “Parlamento degli inquisiti” quando la Commissione parlamentare bicamerale per le riforme era vicina a concludere i suoi lavori, e non tenendo conto del fatto che quello era l’ultimo parlamento eletto con sistema elettorale proporzionale e quindi particolarmente idoneo all’opera di riforma costituzionale.
L’impegno politico di Bianco in difesa del cattolicesimo democratico fu in quegli anni generoso e illuminato da una visione lucida e coerente, ma il suo impegno, in particolare contro lo scioglimento anticipato delle Camere, non ebbe successo.
In realtà, era impossibile arginare quella deriva, perché la democrazia cristiana arrivava a quegli anni assai indebolita e divisa.
Il primo colpo l’aveva ricevuto quando il segretario politico Fanfani lanciò il suo partito al referendum sul divorzio e sull’aborto in ossequio alle pressioni del Vaticano. Il risultato fu una sconfitta amara che dimostrò quanto fosse mutato lo spirito prevalente nel Paese.
Il secondo grave errore fu commesso nell’87, dopo le elezioni politiche, che dettero un risultato negativo per Craxi e il partito socialista: dopo quattro anni di protagonismo sulla scena e di governo non superò il 15% dei voti.
Allora la democrazia cristiana non fu capace di prendere l’iniziativa per guidare una nuova fase, in particolare di riforma elettorale e costituzionale alternativa al presidenzialismo craxiano.
Con la nascita del governo De Mita, allora segretario del partito che diventava anche guida del Governo sembrò un ritorno all’epoca “degasperiana”, che era stato il governo più fecondo di riforme del dopoguerra. Fu una illusione.
Dopo un anno De Mita perse la guida del Governo e la segreteria del partito, e si ebbe un nuovo accordo con i socialisti per assicurare “la governabilità”.
Tutto ciò rafforzò enormemente il movimento referendario di Segni, che prima con il referendum sulla “preferenza unica” poi con quello sul sistema elettorale del Senato segnò il passaggio ad un sistema prevalentemente maggioritario, che fu la vera pietra tombale sulla prima repubblica.
Bianco non li cita, ma altri due enormi errori furono commessi in quegli anni. Il primo, quando al Senato arrivò dalla Camera il testo di riforma costituzionale che aboliva “l’autorizzazione a procedere” per i parlamentari.
Ero allora presidente della Commissione affari costituzionali. Come ex funzionario dell’Assemblea Costituente ricordavo le ragioni che espressero Calamandrei, Mortati, Tosato, Leone a sostegno dell’art. 68 della Costituzione.
Erano consapevoli delle notevoli novità inserite nel nostro ordinamento: “obbligatorietà costituzionale dell’azione penale” e la indipendenza del pubblico ministero dal Governo. Un notevole consolidamento dell’autonomia della magistratura. Uno scudo per i parlamentari sembrò necessario.
Per questa ragione con il collega Covi preparai un emendamento che riformava l’istituto, ma non lo aboliva.
Il gruppo democristiano lo fece proprio e in Assemblea fu approvato (ricordo una convincente dichiarazione di voto del Senatore Mazzola).
Ma il testo approvato dal Senato fu respinto dalla Camera perché ritenuto troppo debole.
Il secondo episodio riguarda la cosiddetta “soluzione politica” di Tangentopoli.
Nella Commissione affari costituzionali del Senato, relatore il Senatore Covatta, fu approvato un testo legislativo che distingueva nettamente tra reati di corruzione e di concussione e quello di finanziamento illecito della politica. Per quest’ultimo erano previste pene “interdittive” dell’attività parlamentare, non pene detentive, come negli ordinamenti dei paesi democratici.
Prima che il provvedimento arrivasse all’esame dell’assemblea, il Governo forzò i tempi e approvò il decreto-legge Conso abbastanza analogo.
Il decreto legge è un atto di governo, cosa diversa da una decisione parlamentare.
Determinò quindi una reazione di protesta decisa sia da parte della magistratura che della stampa, che parlò di colpo di spugna per reati gravi.
Il Presidente della Repubblica si rifiutò di firmare il decreto, e la questione si arenò anche per il provvedimento parlamentare.
Si tratta di due errori fra i tanti che hanno spianato la strada alla vittoria del centro-destra nelle elezioni del ’94.
Per concludere, il libro intervista di Gerardo Bianco è una preziosa testimonianza che ci aiuta a comprendere ciò che realmente avvenne nella drammatica legislatura ’92-’94, ed è ispirato ad una concezione alta della politica utile alla costruzione di un Italia migliore.
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