Rubbettino Editore
Rubbettino
Torna alla Pagina Principale  
Redazione: Fausto Cozzetto, Piero Craveri, Emma Giammattei, Massimo Lo Cicero, Luigi Mascilli Migliorini, Maurizio Torrini
Vai
Guida al sito
Chi siamo
Blog
Storia e dintorni
a cura di Aurelio Musi
Lettere
a cura di Emma Giammattei
Periscopio occidentale
a cura di Eugenio Capozzi
Micro e macro
a cura di Massimo Lo Cicero
Indici
Archivio
Norme Editoriali
Vendite e
abbonamenti
Informazioni e
corrispondenza
Commenti, Osservazioni e Richieste
L'Acropoli
rivista bimestrale


Direttore:
Giuseppe Galasso

Responsabile:
Fulvio Mazza

Redazione:
Fausto Cozzetto
Piero Craveri
Emma Giammattei
Massimo Lo Cicero
Luigi Mascilli Migliorini
Maurizio Torrini

Progetto grafico
del sito:
Fulvio Mazza

Collaboratrice per l'edizione online:
Rosa Ciacco


Registrazione del
Tribunale di Cosenza
n.645 del
22 febbraio 2000

Copyright:
Giuseppe Galasso
 
Cookie Policy
  Sei in Homepage > Anno XII - n. 4 > Appunti e Note > Pag. 387
 
 
Michele Bianchi da sindacalista rivoluzionario a ideologo del movimento dei fasci
di Rossana Sicilia
1. La formazione

Michele Emilio Emanuele Bianchi, nasce il 22 luglio 1882 a Belmonte Calabro. I membri della sua famiglia, almeno da due generazioni, appartengono alla borghesia delle professioni1, di simpatie risorgimentali dopo l’Unità aderiscono alla sinistra.
Questa appartenenza politica spiegherebbe la scelta paterna di condizionare la formazione culturale di Michele, mandandolo al collegio di San Demetrio Corone, a cui è annesso il ginnasio-liceo, poiché tale istituzione è nota per essere fucina di idee sovversive2. Poi, il giovane frequenta il triennio liceale al Bernardino Telesio di Cosenza. Qui trova un clima culturale che gli è congeniale, caratterizzato da idee laiche di derivazione massonica. Tali idee vengono spiegate agli studenti da un gruppo influente di docenti, personalità di rilievo della cultura calabrese coeva. Fra i più noti si ricorda lo storico Oreste Dito, venerabile di una delle logge massoniche cosentine3, il letterato Nicola Misasi e all’esterno dell’ambiente scolastico il socialista umanitario Pasquale Rossi.
Probabilmente è proprio il Rossi a introdurlo nella massoneria cosentina e lo istrada verso il giornalismo, consentendogli di pubblicare i suoi primi articoli sul giornale «Il domani»4.
Nei mesi che precedono la licenza liceale, conseguita nell’estate del 1902, Bianchi prende contatto con il movimento della “pro-Calabria”5.
Diplomatosi a pieni voti presso il liceo Telesio, nel giugno 1902, ottiene una borsa di studio, intitolata al lascito Pezzullo, che gli consente di trasferirsi, nell’autunno successivo, a Roma dove si iscrive alla Facoltà di legge presso l’università “La Sapienza”. La permanenza nella capitale gli permette di incrementare i rapporti con Ferri, leader della sinistra rivoluzionaria del PSI, chiamato alla guida dell’«Avanti!»6, al quale Bianchi chiede e ottiene di collaborare.
Nel corso del 1903 il giovane cronista si mette in luce con alcuni articoli sul lungo sciopero dei tipografi romani e raccoglie fondi destinati all’assistenza nei confronti delle famiglie degli operai7.
Nel novembre del 1903, viene eletto delegato al congresso nazionale del partito, previsto per la primavera del 1904 a Bologna8. Qui assume una nuova posizione ideologica legandosi al sindacalismo rivoluzionario di Arturo Labriola. Questa linea prevede che, per aver successo, la lotta di classe debba trasformarsi in una “ginnastica rivoluzionaria”, intesa a utilizzare gli scioperi generali che bloccano tutte le attività economiche, per indebolire e poi sconfiggere la borghesia padronale.
Grazie a questa sua fervida attività giornalistica, acquista un ruolo preminente nell’ambito della sezione socialista romana. La sua posizione di sindacalista rivoluzionario lo porta a firmare un documento contro Ferri che viene pubblicato su «Il divenire sociale», diventato l’organo di stampa del gruppo sindacalista rivoluzionario italiano9. Bianchi viene licenziato dall’«Avanti!» e si ritrova disoccupato. Decide di rinunciare alla laurea e cerca una nuova occupazione diventando direttore di «Gioventù socialista», organo della federazione giovanile. Questa sua esperienza di direzione di un organo di stampa, gli vale, a distanza di cinque mesi, l’invio a Genova su mandato del Partito e della direzione dell’«Avanti!». Qui diventa segretario della sezione socialista di indirizzo rivoluzionario e rifonda, come espressione della sua azione politica, l’organo «Lotta socialista». Nello stesso tempo, riprende a collaborare con l’«Avanti!» di cui diventa corrispondente da Genova. La sua posizione, consolidatasi nella Liguria, lo porta a organizzare un congresso regionale, in funzione della preparazione del congresso nazionale del partito socialista, in cui viene eletto come delegato delle sezioni di Genova e di Pegli ai lavori del congresso nazionale, a Roma, dell’ottobre 190610. La conclusione del congresso non soddisfa l’uomo politico calabrese, che il mese dopo abbandona la centralità della sede politica genovese e si sposta prima a Savona e poi nel Ferrarese, dove segretario della locale Camera del Lavoro è Alceste de Ambris. L’ambiente ferrarese si contraddistingue per i forti contrasti tra bracciantato contadino e proprietari terrieri. Il politico calabrese, di estrazione borghese, ha così la possibilità di scandagliare in profondità, a contatto con un mondo di figure sociali moderne quanto radicalmente alternative, le radici dell’odio di classe che non trova mediazione. L’anno successivo Bianchi assieme alla componente sindacalista-rivoluzionaria abbandona il PSI.
Agli inizi del 1908 si sposta a Napoli, accolto con benevolenza da Arturo Labriola e da altri intellettuali socialisti rivoluzionari, come Roberto Forges Davanzati, qui viene nominato direttore del giornale «La propaganda». È proprio su questo organo che, secondo Misefari, Bianchi conosce, attraverso uno scritto, Benito Mussolini che ha mandato, nel marzo 1910, un articolo al giornale napoletano rievocativo della Comune di Parigi11. Dopo nove mesi di permanenza a Napoli si dimette dagli incarichi di segretario sindacale e di direttore del giornale, perché viene chiamato a reggere la segreteria della Camera del lavoro di Ferrara.
La Camera del lavoro di Ferrara nel momento in cui Bianchi ne assume la direzione, appartiene alla Confederazione Generale del Lavoro (CGL). A Ferrara una nuova, grossa vertenza tra braccianti agricoli e proprietari terrieri, ha come termini di scontro una richiesta di aumento salariale, ma soprattutto la volontà dei lavoratori di imporre agli agrari l’obbligo di assumere dipendenti appartenenti solo alle leghe bracciantili, che sono iscritte al sindacato. Nonostante un lunghissimo sciopero, sviluppatosi nelle campagne ferraresi nel corso del 1911, il movimento sindacale è sconfitto. Bianchi è cosciente di un fallimento che colpisce migliaia di persone e si rivolge per un arbitrato al prefetto Paolino Taddei. La scelta del lodo Taddei è anche il frutto del prestigio di cui gode nel Ferrarese il prefetto, non casualmente destinato ad una rapida carriera, fino a diventare Ministro dell’interno. Tale scelta da parte di Bianchi, umanamente comprensibile, costituisce un grave errore politico, poiché da questo momento egli viene additato dalla stampa sindacalista, come colui il quale firma patti agrari con i rappresentanti del governo di «Sua Maestà il Re»12.
Un altro episodio scredita l’immagine “rivoluzionaria” del sindacalista calabrese e riguarda la sua candidatura alle elezioni politiche per la Camera dei deputati dell’autunno 1913. Essa è consequenziale al suo atteggiamento permanentemente favorevole alla partecipazione alle elezioni, ma questa sua posizione ora si scontra con il resto del movimento sindacalista rivoluzionario che teorizza e pratica l’astensionismo. Bianchi si presenta nel collegio di Ferrara ed è appoggiato dal PSI, che in questa tornata elettorale non propone nel collegio altre candidature. Al primo turno Bianchi non solo non ottiene un risultato vincente, ma non viene nemmeno ammesso al ballottaggio13.
A danneggiare, infine, la sua reputazione di rivoluzionario è la scelta di non far aderire la sua Camera del lavoro all’Unione sindacale italiana (USI), la nuova organizzazione nazionale dei sindacalisti rivoluzionari, creata a Modena nel novembre 1912. Nella sua decisione è implicita l’intenzione di non smembrare un’organizzazione sindacale unitaria, la CGL nata nel 1906. Lo conferma la critica che gli viene rivolta a distanza di un anno da un esponente sindacalista: «Michelino Bianchi rappresenta “i fessi autonomisti”, sempre aspiranti all’unità, alla sincerità, alla cooperazione dei riformisti»14.
Allo scoppio della guerra di Libia, nel 1911, Bianchi assume un atteggiamento antimilitarista. Lo spingono i suoi sentimenti di rispetto dei diritti umani del popolo libico, che viene represso con violenza dagli italiani conquistatori. Riemergono, inoltre, i suoi valori risorgimentali di matrice familiare, ma anche conseguenti alla sua formazione scolastica e all’influenza del mai sopito socialismo risorgimentale di Pasquale Rossi. Da qui la sua più volte manifestata ostilità nei confronti degli austriaci, considerati anche loro, come i militari italiani in Libia, usurpatori dei diritti alla libertà e all’indipendenza nazionale di un popolo. In un articolo pubblicato su «La Scintilla», organo della Camera del lavoro di Ferrara, Bianchi scrive tra l’altro che gli ufficiali italiani «già colpiti nella parte posteriore ad Adua» sono «spavaldi a Tripoli e vigliacchi nell’Adriatico»15. L’episodio a cui si riferisce riguarda una vicenda avvenuta poco tempo prima nel mar Adriatico tra la flotta da guerra austriaca e quella italiana, nel corso della quale la flotta italiana si allontana su ordine del governo italiano. Le accuse mosse da Bianchi determinano una denuncia penale di fronte al Tribunale di Ferrara e il procedimento giudiziario si conclude con la sua condanna a dieci mesi di reclusione. Per questo l’esponente sindacalista è costretto a riparare all’estero e sceglie Trieste anche per le ragioni ideali sopra evidenziate. Vi si rifugia, trova lavoro nel giornale «il Piccolo» ed entra in contatto con ambienti irredentisti, come è inevitabile date le sue idealità risorgimentali, e conosce Cesare Battisti16. È indubbio che nel crogiolo di questa realtà triestina e, nel contempo, mitteleuropea, Bianchi assuma suggestioni politico-culturali che hanno una importante valenza per comprendere le scelte degli anni successivi. Tra queste, è stata probabilmente finora trascurata, l’influenza dell’austro-marxismo, che pur su posizioni intransigenti nell’ambito della Seconda Internazionale, esprime posizioni meno dogmatiche di quelle sommariamente antipatriottiche emergenti dalla ideologia del socialismo e del sindacalismo rivoluzionario italiano. La prospettiva di uno Stato plurinazionale, che riconosce al proprio interno il valore di ciascuna nazione e sa esprimerne una superiore sintesi, costituisce l’indicazione primigenia, nell’austromarxismo, di un internazionalismo moderno, che sarà il fondamento di istituzioni europeiste nel secondo dopoguerra mondiale17.
Alla fine del 1912, Bianchi ritorna in Italia grazie a un provvedimento di amnistia, emanato dal governo italiano, riguardante i reati politici commessi durante la guerra di Libia. Al suo rientro riprende i suoi incarichi per un breve periodo, poiché come conseguenza delle scelte elettorali e sindacali sopra esposte perde il suo posto alla Camera del lavoro e al giornale che ne è l’espressione, ritrovandosi ancora una volta disoccupato. Per mettere riparo a questa sua rinnovata condizione si trasferisce a Milano; l’ambiente sindacalista milanese è infatti guidato dalla figura più carismatica del sindacalismo italiano: Filippo Corridoni.


2. Un nuovo stile di vita

A partire dall’ultimatum austro ungarico alla Serbia, il governo italiano, retto da Antonio Salandra, fa conoscere alle potenze europee il proprio atteggiamento sullo sviluppo delle relazioni internazionali. L’attacco asburgico è una violazione della Triplice Alleanza che formalmente ha un carattere di patto difensivo; inoltre l’Austria Ungheria assume come obbiettivo di guerra l’espansione nei Balcani in violazione degli interessi vitali italiani i quali, sulla base della Triplice, prevedono compensi per lo Stato italiano in caso di espansione austriaca nella regione. Il governo, a tal proposito, proclama la sua neutralità e tale scelta trova riscontro nella maggioranza del paese.
Convinti, invece, dell’essenzialità che l’Italia entri in guerra sono, in questi primi mesi del conflitto mondiale, esponenti di forze politiche minoritarie. Tra queste forze vi sono i nazionalisti di Corradini, i quali sono assertori del concetto secondo il quale «la guerra è l’igiene del mondo», sostengono la necessità della rigenerazione della gioventù italiana attraverso un «bagno di sangue» e sono addirittura ambivalenti su quali delle due parti in conflitto convenga appoggiare. Sono favorevoli al conflitto, altrettanto prematuramente, i sindacalisti rivoluzionari e tra di essi Bianchi. Costoro vedono proprio nel conflitto l’atto finale di quella “ginnastica rivoluzionaria” che costituisce per loro la sostanza della rivoluzione socialista. Sulle stesse posizioni si porta Benito Mussolini, già direttore dell’«Avanti!» e, di fatto, capo della maggioranza rivoluzionaria che dal 1912 guida il PSI, dopo aver estromesso dal partito i riformisti di Bissolati e Bonomi. Con una scelta del tutto personale Mussolini diviene interventista, lasciando la direzione del quotidiano socialista e, grazie a sovvenzioni finanziarie e aiuti editoriali di ambienti interventisti italiani e francesi, fonda a Milano «Il popolo d’Italia».
Il quotidiano diviene anche il punto di riferimento degli interventisti democratici, cioè di coloro che sostengono l’ingresso in guerra a fianco delle potenze democratiche occidentali e contro gli imperi centrali autoritari. Tra gli altri si ricordano il socialista trentino Cesare Battista, i social riformisti Bissolati e Bonomi e intellettuali come Salvemini e Prezzolini18.
Anche Bianchi collabora a «Il popolo d’Italia» e fa di Milano il centro della sua attività politica e giornalistica. Dal settembre 1914, uniformandosi alla volontà degli altri sindacalisti, auspica l’intervento dell’Italia a fianco della Francia democratica ed è contro il militarismo e l’imperialismo autoritario, attribuito agli imperi centrali di Germania e Austria-Ungheria19. Il suo concetto di imperialismo riprende i temi della polemica sindacalista rivoluzionaria contro lo Stato protezionista e militarista; contro le aziende protette ed espressione di un capitalismo improduttivo e corruttore; contro i grandi paesi alla guida di imprese coloniali che conquistano altri paesi per sfruttarne le risorse.
La posizione dei sindacalisti, e con loro dei socialisti rivoluzionari italiani, riflessa nelle enunciazioni sopra ricordate, comporta dunque l’accettazione dell’intervento nel conflitto come necessario per la stessa sopravvivenza dell’ideologia rivoluzionaria di cui sono sostenitori. La nuova linea interventista si rende esplicita nell’iniziativa di costituzione del Fascio rivoluzionario d’azione internazionale, che pubblica un manifesto, datato 5 ottobre 1914. Il documento è redatto da Michele Bianchi e firmato da Corridoni, De Ambris e Olivetti. Il politico calabrese vi espone le ragioni, prima indicate, per cui i sindacalisti rivoluzionari sono favorevoli all’intervento in guerra e di questo organismo egli viene nominato segretario politico. Il Fascio predispone un programma di azione che ha come obbiettivo l’ingresso in guerra dell’Italia contro l’Austria-Ungheria, provocato da azioni paramilitari ai confini da parte degli aderenti alla stessa organizzazione. Bianchi e i suoi compagni di gruppo fanno coincidere le potenze egemoniche – militariste, protezioniste e colonizzatrici – con gli imperi centrali, identificati alla stregua dei padroni che minacciano di assoggettare l’Europa. Essi ritengono che debba essere il proletariato rivoluzionario a operare e intervenire per distruggere queste potenze. Il messaggio del Fascio è consequenziale: nel caso di mancato intervento in guerra dello Stato italiano prevede l’insurrezione repubblicana contro i Savoia, coniando lo slogan «o guerra o repubblica»20.
Ai primi di gennaio del nuovo anno viene convocato il primo congresso dei Fasci di azione rivoluzionaria, che predispone un nuovo manifesto favorevole all’intervento in guerra, redatto sempre dallo stesso Bianchi e con l’adesione, tra gli altri, di Mussolini. Le cifre dei presenti al congresso sono riportate nei giorni successivi da «Il popolo d’Italia». I fasci rappresentati sono 45 per un complesso di 4.715 iscritti.
Il discorso tenuto al congresso dal politico calabrese traccia una linea politica che porta la sinistra rivoluzionaria interventista, presente al congresso, a collidere con l’altra ala rivoluziona legata al PSI, ai sindacalisti dell’USI e agli anarchici, assolutamente contrari all’intervento in guerra. Bianchi sostiene che
la risoluzione dei problemi interventistici, ci interessa, oltre che per altri punti di vista, essenzialmente per ciò che là dove un popolo si trova sotto l’oppressione di un altro popolo si crea un legame, una solidarietà fra proletariato e borghesia di una determinata regione, di una determinata lingua, oppressi l’uno e l’altra da un altro popolo, da un altro governo21.

In queste riflessioni di Bianchi è rintracciabile la spiegazione della sua trasformazione ideologica e politico-sociale. Egli passa dall’idea della necessità di uno scontro fra operai e proprietari, della lotta di classe fra proletariato e borghesia a quella dell’opportunità dell’unione di queste forze attraverso un legame di solidarietà per estromettere, nell’ambito di una stessa regione o nazione, un altro popolo oppressore. In questa sua nuova visione politica si possono individuare quei valori risorgimentali che hanno influenzato i primi anni della sua formazione culturale e politica. Egli si ispira a Garibaldi, che da repubblicano aveva accolto, nell’interesse dell’Unità italiana, la monarchia sabauda: allo stesso modo Bianchi abbandona il classismo del suo sindacalismo rivoluzionario, identificando l’oppressore non più col borghese e col grande proprietario, ma con lo straniero. Del resto, si tratta di una tendenza che in questa fase interessa la maggior parte del proletariato europeo e dei partiti che lo rappresentano: Rosa Luxemburg sintetizza con amarezza il tradimento dell’internazionalismo proletario da parte della social-democrazia con l’espressione «operai di tutto il mondo unitevi nella pace e scannatevi nella guerra».
È perciò dirimente nell’uomo politico calabrese, rispetto alle sue idee passate, la convinzione che l’attenzione del sindacalismo si debba spostare verso i problemi riguardanti una nazione in guerra. La lotta si deve manifestare nei confronti dello Stato usurpatore e i conati della “ginnastica rivoluzionaria” di Sorel si devono trasformare in eroismo di singoli, di gruppi, di popolo in fusione per annichilire il nemico. È questa nuova ideologia che motiva e giustifica, secondo Bianchi, l’interventismo italiano e sotto questo aspetto, segue la scia di gran parte della sinistra rivoluzionaria europea. Come conseguenza di questa fusione di forze sociali quei gruppi che un tempo hanno rappresentato per Bianchi gli avversari da combattere e sconfiggere ora sono gli alleati a cui avvicinarsi e aggregarsi. Proprio adottando questa linea interpretativa si spiega un appello del 10 aprile, pubblicato su «Il popolo d’Italia», probabilmente ad opera di Bianchi. Egli si rivolge, ancora una volta, ai lettori proletari, suoi interlocutori nel decennio precedente, a nome dei Fasci d’azione rivoluzionaria
Proletari milanesi! La neutralità è egoismo, è interesse, è calcolo, è cinismo; ma la classe operaia è e deve essere generosa. Noi, o proletari, siamo stati al vostro fianco ieri, saremo al vostro fianco domani. Non vi chiediamo voti o stipendi o applausi. Non vi lusinghiamo. Vi additiamo, invece, la via del dovere, che è anche quella dell’onore. Proletari, venite con noi nelle strade e nelle piazze a gridare il basta alla politica mercantile, corrompitrice della borghesia italiana e a reclamare la guerra contro gli Imperi responsabili della conflagrazione europea. Viva la guerra liberatrice dei popoli […] Fascisti d’Italia, domani occupate a qualunque costo le piazze. Nessuno può trattenervi: voi siete il diritto e la forza22.

L’intento del sindacalismo rivoluzionario al quale Bianchi appartiene, in questa fase, è quello di spronare la borghesia a liberarsi dalla corruzione della “politica mercantile” e a schierarsi e sostenere la guerra contro gli Imperi centrali per approdare all’unione con il proletariato sulla base di un unico obbiettivo che è quello della “liberazione dei popoli”.
Questo nuovo atteggiamento spiega molte delle scelte di vita effettuate da personalità, fino ad allora coerentemente rivoluzionarie come Bianchi e Mussolini. L’opzione interventista li conduce al fianco dei gruppi dirigenti italiani che vogliono la guerra. Non è un caso perciò che sia Bianchi che Mussolini, una volta che il governo Salandra-Sonnino ha portato l’Italia in guerra, situandosi all’interno dello schieramento interventista, cambiano e non di poco i loro comportamenti politico-pratici. La loro posizione politica, in questa fase, è quella di chi ha ottenuto una vittoria, l’intervento in guerra, che di fatto li porta a condividere la linea politica del governo Salandra-Sonnino.
In particolare Bianchi, nell’ottobre del 1914, diventa segretario della Federazione orchestrale italiana, un sindacato che raggruppa una categoria appartenente al ceto medio-borghese, quella dei musicisti orchestrali, che proprio a Milano non vive in condizioni miserabili. Inoltre, assume la direzione del periodico «L’Italia orchestrale». È palese in questa sua scelta un cambiamento di direzione nei suoi rapporti sia con il mondo del lavoro, sia con gli ideali perseguiti fino ad allora. Questo suo nuovo stile di vita si manifesta maggiormente due anni dopo quando diventa direttore e proprietario de «La riforma teatrale», un giornale di “nicchia”, che si rivolge a un pubblico di privilegiati medio e alto borghesi e che quindi ha lettori molto diversi dai vecchi destinatari e fruitori dei suoi giornali sindacalisti-rivoluzionari. In questa rivista, infatti, Bianchi si occupa di problemi riguardanti la programmazione della stagione degli spettacoli per i maggiori teatri italiani, di come progettare rappresentazioni di opere liriche e di commedie, infine, di come ottenere l’esonero dal servizio militare per i lavoratori dello spettacolo23.
Il politico calabrese cambia il suo stile di vita e i suoi interessi politici e professionali: rivoluzionario nel giornale diretto da Mussolini; sindacalista di nicchia, ha come riferimento gli orchestrali; intellettuale impegnato vuole promuovere la cultura con la rivista teatrale. In seguito, presenta anche domanda per svolgere il servizio militare in qualità di ufficiale di complemento, ma tale richiesta viene rigettata sia a causa delle sua gracile conformazione fisica, sia perché i militari gli fanno pesare il suo passato di sovversivo. Di conseguenza, se la sua domanda di servizio militare viene presentata verso la fine del 1916, la richiesta di invio al fronte viene accolta solo alla fine di settembre del 1918, a poco più di un mese di distanza dalla fine del conflitto mondiale24.


3. Il sindacalista imperialista

Nell’immediato dopoguerra assumono un notevole rilievo gli atteggiamenti assunti dai gruppi interventisti radicali sulla questione del Congresso di Parigi e sui contrasti emersi tra le potenze vincitrici in relazione agli obbiettivi di guerra perseguiti da ciascuna potenza per partecipare al conflitto. Al Congresso il paese è rappresentato dal presidente del consiglio Orlando e dal ministro degli esteri Sonnino, che rappresenta la continuità della politica estera italiana dopo il patto di Londra che, nell’aprile 1915, ha sanzionato l’impegno dell’entrata in guerra dell’Italia, a fianco della Francia e dell’Inghilterra. Influenzato dal clima di entusiasmo nazionalista presente nel paese come conseguenza di Vittorio Veneto e in reazione alla politica egoistica espressa al congresso di pace da Inghilterra e Francia, anche il governo italiano presenta agli alleati le sue richieste: quanto previsto nel patto di Londra (Trentino Alto Adige e Venezia tridentina) con in più Fiume, la Dalmazia, il Dodecaneso e compensi coloniali in Medio Oriente, preferibilmente in Turchia. Lo scontro con il presidente americano Wilson è perciò immediato, poiché gli Stati Uniti, nella persona di Wilson, non hanno mai riconosciuto il Patto di Londra e, soprattutto, considerano inaccettabile la richiesta italiana di chiedere, contemporaneamente, il completamento dell’unità nazionale, con l’annessione di Trento e Trieste, e, in qualità di potenza vincitrice, l’annessione di frammenti di nazionalità sconfitte. Particolarmente imbarazzante per tutti gli alleati dell’Italia è la richiesta di Fiume e della Dalmazia, che costituiscono obbiettivi “irredentisti” della Confederazione slava, nata attorno alla Serbia, anch’essa uscita vincitrice dal conflitto.
Il governo Orlando aveva al suo interno una componente fervidamente democratica e wilsoniana, rappresentata dal ministro social-riformista Bissolati, che, proprio nel gennaio del 1919, si dimette dalla sua carica di governo per protestare contro le gravi contraddizioni della politica estera seguita da Sonnino. Bissolati è convinto che il paese abbia centrato un grande obbiettivo, con la dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico. Al suo posto, secondo Bissolati, stanno nascendo e formandosi a Stato giovani nazioni, Austria compresa, con cui l’Italia democratica ed europea deve stringere rapporti di fratellanza per esercitarvi il ruolo di grande potenza democratica che le spetta, dopo la vittoria nella guerra mondiale. Per tutto questo, secondo l’esponente social-riformista, il paese al tavolo della pace deve rinunciare al Sud-Tirolo, alla Dalmazia e ai compensi coloniali.
La prima notizia sull’attività politica di Bianchi, all’indomani della fine del conflitto, risale al gennaio del 1919, data in cui viene celebrato il secondo congresso nazionale della Unione italiana del lavoro, che raccoglie oltre a interventisti come Bianchi anche minoranze riformiste e interventiste del PSR di Bissolati. In questo primo congresso del dopoguerra il sindacalista calabrese propone un riavvicinamento alla CGL, il sindacato maggioritario del proletariato italiano, in cui non esistono atteggiamenti preconcetti nei confronti della stessa UIL e più in generale degli interventisti. In questo senso Bianchi prospetta l’obbiettivo di una unificazione delle confederazioni sindacali esistenti ed è proprio questa prospettiva che lascia emergere in una intervista da lui realizzata a Ludovico d’Aragona, segretario socialista riformista della CGL, pubblicata su «Il popolo d’Italia»25.
Le posizioni di Bianchi e di Mussolini, così come di gran parte degli ex sindacalisti rivoluzionari, sono molto distanti da quelle di Bissolati. La politica estera è il punto di totale dissenso con l’esponente del PSR. Nelle settimane successive alle sue dimissioni dal governo Orlandi, Bissolati tenta, senza successo, di spiegare all’opinione pubblica le sue posizioni di rinuncia a richieste lesive delle altre nazionalità. In particolare, ciò avviene in una conferenza che Bissolati ha stabilito di tenere alla Scala, ma gli viene impedito di parlare da una gazzarra organizzata da futuristi, nazionalisti e mussoliniani. Non si sa se Bianchi abbia direttamente partecipato alla contestazione del leader social-riformista, ma certo essa è stata organizzata e condotta dalla redazione del giornale di Mussolini. Sul giornale si è ripetutamente affermato l’inaccettabilità che la vittoria italiana nella guerra mondiale venga “mutilata” da posizioni rinunciatarie italiane che coincidono con le ostilità manifestatesi al congresso di Parigi da parte degli alleati nel conflitto mondiale26. Bianchi è tra quelli che offre una motivazione a sostegno di un imperialismo italiano, sia pure sotto suggestioni sindacaliste:
Una Nazione che debba, per la propria prosperità, dipendere dagli altri, non ha vita assicurata, non ha avvenire certo. Rimangono ancora i destini d’Italia nelle mani della vile borghesia, o passino nelle mani del proletariato, la situazione non muterà, se prima non avremo risolto i problemi fondamentali della nostra esistenza come grande nazione. Un proletariato che sapesse cacciare lo viso a fondo nel suo avvenire, non contrasterebbe, ma spingerebbe l’Italia verso le vie di tutte le sue indipendenze. Alla ricerca del ferro, del rame, del carbone, della lana, del cotone, che le mancano; alla conquista di tutte le materie prime che le difettano: colonie dunque? Eh sì, colonie27.



4. L’ideologo dei fasci

Il 23 marzo 1919 Bianchi risulta tra i partecipanti alla fondazione dei Fasci di combattimento, a cui aderiscono oltre a ex socialisti come Mussolini, ex sindacalisti, futuristi e soprattutto “arditi di guerra”, tra i maggiori attori nella contestazione della Scala. Nella prima assemblea dei Fasci, che si svolge a piazza San Sepolcro in locali messi a disposizione dall’alleanza industriale e commerciale, la posizione di Bianchi appare comunque diversa da quella di molti altri convenuti. Nello specifico, Mussolini svolge un intervento che largheggia in promesse operaistiche e populistiche nei confronti delle quali Bianchi mostra un forte disaccordo.
È facile incontrare le simpatie delle masse con grandi promesse. Bisogna, invece, avere il coraggio di dire che se le conquiste economiche del proletariato non saranno affondate nel granito di una prosperità industriale e commerciale, esse non potranno che essere effimere […]. La nostra non è un’assemblea di demagoghi e perciò più che il facile favore delle masse, essa deve cercare la risoluzione dei problemi per le vie che la storia e l’esperienza antiche e recenti hanno tracciato […]. Un movimento che intendesse consegnare a delle folle ancora incapaci le redini della società sarebbe un movimento eminentemente reazionario. La rivoluzione per essere degna di chiamarsi con questo nome, deve avere come fattori coscienti uomini di qualità superiori a quelle possedute dagli elementi del regime che vuole abbattere […]. Ora la missione nostra non è quella di distruggere: È quella di creare. Tutto ciò che la società attuale contiene di ostacoli per il miglioramento sociale sarà da eliminarsi. Perfettamente d’accordo. Soltanto che, prima ancora dell’eliminazione, dovremo creare l’organismo, il sistema, l’ingranaggio da mettere al posto di quello di cui intendiamo disfarci28.

In questa fase della sua vita, si è ormai definitivamente concluso il trapasso dalle sue posizioni politiche primigenie. È ormai giunto a pensare che il benessere del proletariato nazionale si raggiunge attraverso lo sviluppo del capitalismo industriale e commerciale; questo implica l’accettazione della teoria economica che vede nell’imperialismo la fase evolutiva del capitalismo. È implicita in questo concetto la spiegazione della sua ostilità alla politica estera di Bissolati e del socialismo riformista. L’altro aspetto fondamentale di questa sua nuova posizione è quello di privilegiare l’azione di élites coscienti, costituite da uomini di «qualità superiori», senza coinvolgere le masse. In questa convinzione traspaiono le ideologie elitarie che tra fine Ottocento e inizio Novecento sono state avanzate da Mosca, Pareto, Weber e per altri aspetti da quel Sorel, legato alla lotta di classe, ormai abbandonato da Bianchi. Tale posizione, per il politico calabrese, trova nella storia la sua giustificazione, rafforzata da ciò che sta avvenendo nell’Europa orientale con la rivoluzione sovietica, che concedendo alle «folle incapaci le redini della società», arriva a distruggere senza creare. Dal momento che solo uomini superiori, per le loro qualità, a quelli che gestiscono il regime vigente possono fare la rivoluzione, il politico calabrese si rende conto che è necessario creare un organismo statale nuovo al posto di quello democratico-liberale, ma dichiara di non essere in grado, ancora in questa fase, di definire «l’ingranaggio da mettere al posto di quello di cui intendiamo disfarci».
Le affermazioni di Bianchi, dunque, appartengono a un militante che intende costruire una società migliore rispetto a quella di cui vuole disfarsi. Eppure, a distanza di pochi giorni, a metà di aprile, il movimento fascista di cui è divenuto una delle guide di primo piano, viene accusato di avere attaccato e distrutto il simbolo stesso del socialismo italiano, la sede milanese dell’«Avanti!», il giornale con il quale Bianchi aveva a lungo collaborato. Il proletariato italiano e i gruppi politici che lo rappresentano, senza alcuna distinzione tra riformisti, massimalisti e comunisti, rompe ogni rapporto con quanti sono ritenuti traditori e nemici del partito che da un paio di decenni rappresenta le esigenze delle masse popolari. Il rapporto con i socialisti, qualunque siano gli atteggiamenti politici dei fascisti, diviene impossibile anche per uomini come Bianchi che, in base a ciò che si conosce, non ha avuto alcuna parte nell’assalto degli arditi fascisti alla sede del giornale socialista29.
Tuttavia, se il suo ruolo attivo nella vicenda non è provato, le ragioni della politica fascista nel corso dei mesi successivi, confermano la sua adesione al progetto politico antisocialista, di cui l’attacco all’«Avanti!» è parte. In un comizio tenuto a Milano nel quarto anniversario dell’ingresso in guerra, il 24 maggio 1919, ritorna sui temi già affrontati in precedenza nel discorso di San Sepolcro, ma indurisce le prospettive politiche antipopolari, sottolineando che la necessità della conversione dall’economia di guerra all’economia di pace della produzione nazionale rende impossibile fare promesse che si rivelerebbero inconsistenti per gli operai delle fabbriche. Sul giornale di Mussolini, Bianchi compie un’analisi delle condizioni che hanno consentito in Italia lo sviluppo industriale a partire dal 1880, sostenendo che
mentre, altrove, lo sviluppo dell’industrialismo ha come base la possibilità di utilizzazione delle materie prime che vi abbondano, in Italia la base per la vita e lo sviluppo delle industrie è data dalla possibilità di utilizzazione del lavoro. Il lavoro in Italia rende di più, costa di meno, è più disciplinato che altrove? L’industria in questo caso va. Se no, no. […] Gli scioperi che oggi imperversano, inconsulti, capricciosi, pazzeschi, cominciano a preoccupare anche i dirigenti le organizzazioni operaie. Noi non sappiamo se la voce della ragione riuscirà a richiamare gli operai ad una esatta comprensione del momento che si attraversa, prima ancora che la catastrofe diventi irreparabile30.

Il suo, tuttavia, non è un invito esplicito al contrasto violento della «scioperomania», ma il voler richiamare una «voce della ragione» inascoltata va messo in rapporto con la difesa dell’apparato industriale del paese, che, come scrive in un altro passo dello stesso articolo, «non è condizione che si riferisca soltanto alla possibilità o meno di un’Italia industriale borghese; è condizione che vale anche per una eventuale Italia industriale in regime socialista»31.
Dunque, Bianchi non solo ha rinunciato alla “ginnastica rivoluzionaria” dello sciopero generale, ma mette in discussione la stessa “ragionevolezza” dello sciopero in nome della salvaguardia dell’apparato industriale del paese di cui è divenuto un convinto paladino. Quanto tutto ciò si rifletta sulla sua azione politico-pratica si coglie nel luglio successivo.
Il partito socialista italiano, in maggioranza massimalista, e i partiti di sinistra europei, in particolare i laburisti inglesi e i socialisti francesi assumono posizioni contrastanti sulla rivoluzione bolscevica, ma non sono disposti ad assistere alla sua repressione per opera della “reazione bianca”. I socialisti proclamano uno sciopero generale in tutta Europa contro la presenza di truppe dei paesi vincitori del conflitto mondiale (la coalizione dell’Intesa) in Ungheria e in Russia per contrastare le rivoluzioni bolsceviche in atto in questi due paesi. Proprio Bianchi, in quanto caporedattore del giornale di Mussolini, si distingue con articoli densi di annotazioni critiche nei confronti della CGL e del PSI, che hanno aderito allo sciopero europeo. Egli contesta, in particolare, i due giorni di sciopero generale predisposti dalle due organizzazioni italiane in tutti i settori della vita del paese, compresi i servizi pubblici, mentre in Francia la CGT ha previsto solo un giorno di sciopero e i laburisti addirittura si limitano a manifestazioni e comizi pubblici. Ritiene, inoltre, che in Italia la protesta ha scarso senso, poiché il contingente italiano inviato in Murmania non ha partecipato a operazioni antisovietiche. Inoltre, il governo italiano si è opposto al riconoscimento dell’ammiraglio Kolciac, alla guida delle truppe bianche antibolsceviche. Negli articoli pubblicati nei giorni precedenti gli scioperi italiani, il politico calabrese adombra intenzioni insurrezionali da parte dei socialisti massimalisti e degli stessi uomini che guidano la CGL, pur notoriamente riformista. Il punto di forza delle sue argomentazioni è in una dichiarazione di D’Aragona, segretario generale della CGL, al congresso di Southport, in Inghilterra, che ha indetto le manifestazioni dei socialisti europei. Bianchi riprende per l’occasione il testo pubblicato dall’organo socialista «Avanti!» il 3 luglio, in cui si afferma:
Infine per la Confederazione del lavoro italiano, D’Aragona […] dichiarò che l’Italia è uscita dalla guerra in condizioni di fallimento e che il popolo è in uno stato d’animo rivoluzionario. La situazione è così grave – conclude –, che non dovranno sorprendere le notizie, tra breve, di un tentativo rivoluzionario con spargimento di sangue. I risultati potranno essere non grandi ma la insurrezione è quasi inevitabile32



5. I fasci al servizio dello Stato

A metà luglio, Bianchi contatta il prefetto di Milano e gli prospetta un eventuale aiuto militare dei fasci di combattimento, messi a disposizione dello Stato per mantenere l’ordine pubblico in caso di necessità33.
Se si legge come vicenda isolata, l’offerta di Bianchi appare incomprensibile, poiché pochi mesi prima ha sostenuto che i fasci hanno l’obbiettivo di distruggere lo Stato democratico-liberale, ora, invece, apparentemente senza coerenza, si offre di difenderlo. Scrive De Felice che il gesto del politico calabrese può essere interpretato se lo si associa alla posizione politica di difesa dell’intervento dei paesi democratici dell’Intesa occidentale contro il comunismo ungherese e russo, accusato di spegnere nei rispettivi paesi la democrazia politica. Tale interpretazione si traduce in Europa in un forte carattere antisocialista e di duro contrasto alla sinistra democratica34. Non pare questa, tuttavia, la motivazione implicita nella presa di posizione di Bianchi e comunque non emerge come essenziale negli articoli che annunciano lo sciopero generale. In lui è sempre presente l’intenzione di voler abbattere lo Stato democratico-liberale. La sua azione di contrasto allo sciopero internazionalista si inserisce nell’azione di contrasto agli scioperi tout court. Dunque, Bianchi, condanna gli scioperanti internazionalisti, ma soprattutto condanna l’uso del diritto di sciopero e non riconosce il diritto a manifestazioni di dissenso. Tali diritti sono presenti, formalmente o nella prassi, in tutte le costituzioni dell’Occidente democratico. Attraverso l’attacco agli scioperanti intende colpire il governo democratico italiano, in quel momento guidato da Francesco Saverio Nitti. Ecco perché si rivolge al prefetto di Milano, in quanto rappresenta il potere repressivo dello Stato, in questo caso senza aggettivi, perché si muova per contenere manifestazioni socialiste che rivendicano libertà di dissenso per ragioni politiche. Il suo articolo di commento al fallimento delle manifestazioni del 20 e 21 luglio in Italia costituisce una testimonianza di grande suggestione di come Bianchi sia divenuto interprete della paura della rivoluzione presente in larghe fasce del paese, attribuendo questa volontà rivoluzionaria non ai gruppi estremi che pur sono presenti all’interno del PSI, ma in primo luogo al gruppo dirigente riformista della CGL.
non si vorrà mica non tener conto delle “ultime disposizioni” impartite ufficialmente dalla Confederazione generale del lavoro e controfirmate dal signor D’Aragona? […]. Chi legga […] ha l’impressione viva e completa di quanto la Confederazione del lavoro si riprometteva dalle giornate del 20 e 21 luglio. L’Italia paralizzata. Chiuse le officine, chiusi gli stabilimenti, interrotte le comunicazioni, treni e telegrafi fermi, caffè, ristoranti, negozi e saracinesche abbassate; città e paesi senza luce, senza acqua, senza alimentazione. Per un superstite senso di umanità, la luce, l’acqua, l’alimentazione, concessi per il necessario funzionamento dei soli servizi sanitari! Sopra lo stato di morte della nazione, il comando di un piccolo pugno di uomini che rinserra la vita. Quaranta milioni di cittadini impotenti, incapaci, immobilizzati; la muta abbia
che non ha sfoghi; la volontà di uno e di tutti contro un muro di acciaio insuperabile; lo sbigottimento che penetra le anime; l’accasciamento dei cuori più forti; la disorganizzazione dei poteri costituiti; una bandiera rossa che improvvisa garrisce su una caserma, e poi un’altra e un’altra ancora; un reggimento di soldati che passa, armi a bagagli, alla Camera del lavoro… Così, così sognarono un loro sogno megalomane, alla vigilia del 20, quelli che oggi tentano il salvataggio alla sconnessa barca confederale […]35.

Una posizione non dissimile Bianchi e il movimento dei fasci assumono sulla questione dell’impresa di Fiume. Tra i progetti messi in campo da D’Annunzio, mentre si trova nella città istriana, vi è quello di una marcia su Roma, un progetto che sia Mussolini che Bianchi considerano pericoloso per i gruppi interventisti che si troverebbero assai deboli contro le forze dello Stato. Lo stesso Bianchi viene inviato a Fiume per persuadere D’Annunzio a rinunciare. Come si vede, i due leaders fascisti non sono affatto contrari all’attacco allo Stato demo-liberale, solo non intendono delegarlo all’estrosa personalità del “poetavate” e soprattutto, in questa fase, lo ritengono del tutto prematuro.
In effetti, Bianchi raggiunge Fiume e convince il poeta dell’inopportunità dell’impresa e per supportare la sua missione politica lo informa che sono stati raccolti e messi a sua disposizione dei fondi “pro Fiume”. D’Annunzio lo incarica, a sua volta, di trasmettere a Mussolini l’autorizzazione «a prelevare dai fondi “pro Fiume”, senza fissare limite di cifra, quel contributo che a te fosse parso adeguato» da utilizzare per la competizione elettorale del novembre successivo36.
Il movimento dei fasci, per mettere in atto la sua strategia politica, decide infatti di presentarsi alle elezioni per la Camera dei deputati e in questa decisione Bianchi ha un grande peso, come del resto è avvenuto in passato ogni qual volta che le organizzazioni da lui dirette hanno avuto l’occasione di presentarsi alle elezioni politiche. Nonostante i pareri all’interno del movimento siano discordi sull’opportunità o meno di accordarsi con altri gruppi politici già interventisti, prevale la posizione di Bianchi poiché gli esponenti fascisti si rendono conto della debolezza della loro organizzazione a pochi mesi dalla nascita. L’opinione di Bianchi è su questo argomento molto decisa:
Nei confronti dell’imminente battaglia elettorale il fascismo è bloccardo, senza preferenze e senza esclusioni. Quegli amici che vorrebbero limitare alla sinistra l’alleanza elettorale, indulgono ad una preoccupazione demagogica, e se anche non lo dicono apertamente, lasciano capire che l’interventismo comincia per essi a diventare una camicia di Nesso. A richiamarli alla realtà dovrebbero bastare le unanimi dichiarazioni fatte dai socialisti ufficiali nel loro recentissimo congresso. La guerra sarà la piattaforma delle prossime elezioni. E i fascisti per la loro dignità, per la loro fierezza, non possono non raccogliere il guanto di sfida. Quale ragione sostanziale milita perché da un’alleanza elettorale debbano essere esclusi gli interventisti di destra? Io non ho nessuna ragione particolare di simpatia per gli interventisti di destra, e nessun motivo di antipatia personale per gli interventisti di sinistra; ma a voler essere sinceri nella scelta, come le contingenze dell’ora ci dettano, quando si fosse posto l’aut aut e si dovesse scegliere fra gli uni e gli altri, noi dei Fasci che siamo stati e siamo per un’Italia pienamente compiuta, non potremmo dimenticare certe campagne rinunciatarie37.

Il risultato che il movimento dei fasci, sia pure allargato a gruppi della sinistra interventista e a esponenti della destra, come il musicista Arturo Toscanini, riesce ad ottenere gli dà torto. A Milano, laddove il movimento è nato, i diciannove candidati della lista fascista raggiungono in tutto quattromila voti circa e naturalmente non ottengono alcun seggio. Molto più significativa la vicenda elettorale e personale di Bianchi, che si candida a Ferrara, l’ultima sede in cui ha svolto la sua attività di segretario della Camera del lavoro. Qui le liste che si presentano alle elezioni sono tre: quella socialista, quella popolare e quella bloccarda che si denomina Unione dei partiti democratici ferraresi, secondo il modello che l’uomo politico calabrese ha anticipato. I candidati più noti in lista insieme con lui sono l’ex esponente socialista Raffaele Mozzanti – costretto a dimettersi dal partito dal congresso provinciale delle leghe, cooperative e sezioni socialiste il 18 ottobre 1919, per essere stato interventista, oltre che per le consuete accuse personali nei confronti di chi si allontana dalle organizzazioni di classe –, l’ardito Adamo Boari e il nazionalista ed ex combattente Alberto Verdi. In appoggio alla lista bloccarda giunge, inevitabilmente, la fortissima Federazione degli agricoltori ferraresi, la quale sceglie il male minore rispetto alle altre due liste, i cui esponenti, sia pure con modalità e forme di azione sociale e politica molto diverse, le si contrappongono38. L’appoggio agrario, però, indebolisce la lista di Bianchi, poiché esponenti dell’interventismo democratico e riformista che hanno un notevole ascendente sugli ex combattenti pubblicano sulla prima pagina dell’organo democratico-massonico locale, «la Provincia di Ferrara», un solenne invito ad astenersi dal voto, perché votare per la lista sostenuta dal blocco agrario comporterebbe «plaudire ai pescecani che arricchirono mentre si moriva e ci si sacrificava per 10 soldi al giorno»39.
Il risultato elettorale può avere una valutazione contraddittoria. Sul piano politico generale, nel collegio di Ferrara, il PSI ha il più clamoroso successo della sua storia, conseguendo 43.726 voti, pari al 75% dei voti; i popolari 7.360, il 13%; il blocco. 6.939 voti, pari al 12% circa. Rispetto all’assai deludente risultato fascista milanese, l’iniziativa bloccarda ferrarese in cui si era inserito Bianchi, ha visto un esito elettorale nettamente migliore. Anche i voti personali ottenuti dal politico calabrese, con 918 preferenze, se lo collocano all’ultimo posto nella sua lista, danno un segnale non negativo poiché l’accoglienza alla sua candidatura da parte dei suoi ex compagni della Camera del lavoro e dei socialisti e le accuse rivoltegli di essere passato «armi e bagagli al nemico di classe: la Borghesia», sono state prevedibilmente durissime40.


6. La politica del “blocco” antisovversivo

Il gruppo fascista, nonostante la sconfitta, non demorde. Proprio Bianchi, distaccatosi ormai da ogni legame con i socialisti, che hanno commentato con sarcasmo l’insuccesso fascista di Milano, in un discorso tenuto nella stessa città il 6 dicembre 1919, nell’ambito di un convegno organizzato da Mussolini, ripropone il motivo di fondo della sua strategia elettorale: la costituzione di un blocco di tutte le componenti politiche che hanno adottato durante la guerra la linea interventista e che abbracciano tutto l’arco politico dall’estrema destra all’estrema sinistra41. Bianchi chiama alla mobilitazione e all’unione interventista per resistere alla forte agitazione sociale in atto nel paese, e di cui socialisti, ex combattenti organizzati in partito e gruppi del movimento cattolico costituiscono le guide politiche.
Nella Pianura Padana contadini e agrari si scontrano per i contratti agrari e nelle campagne del Mezzogiorno i braccianti occupano le terre incolte, il governo risponde con decreti che tendono a legittimare il movimento. Nelle città industriali gli scioperi pongono obbiettivi salariali e politici sempre più avanzati. Più in generale, il paese è attraversato da moltissime agitazioni popolari contro il carovita e contro la scarsezza alimentare, che sfociano in occupazioni di municipi e talvolta in eccidi per opera delle forze dell’ordine.
Il progetto politico di Bianchi, in questo contesto, prende sempre di più le distanze dalla lotta di massa per riparare su quel movimento elitario interclassista che ha avuto un ruolo dominante nelle radiose giornate del maggio 1915. La speranza di Bianchi è che si possa ripetere quella stessa situazione e che gli interventisti possano rappresentare il volano del nuovo Stato.
L’avvio e il corso del nuovo anno, il 1920, sembra dare qualche motivo di conforto all’esponente politico calabrese. Imperversano ancora agitazioni sociali sia nelle città che nelle campagne e, in particolare, Bianchi segue con attenzione quanto avviene nel Ferrarese, in cui più forte, come si è visto, è lo scontro tra braccianti e proprietari terrieri. Ma a questa dimensione tradizionale di scontro sociale si è aggiunta, per iniziativa dei gruppi sindacalisti e socialisti più estremi, una forte conflittualità all’interno delle leghe, fra braccianti e figure sociali intermedie costrette ad accettare la disciplina di classe per non rischiare la violenza dei capilega e delle squadre rosse.
Una disciplina assai rigida, che per quanto giustificata dalla durezza dello scontro di classe con gli agrari, crea un clima di terrore nel mondo contadino. La novità delle agitazioni è costituita dal fatto che proprio dove sono presenti i fasci di combattimento e gruppi, comunque, di destra nazionalista sembra realizzarsi il progetto politico che Bianchi ha proposto in occasione dello sciopero internazionalista al prefetto di Milano. Studenti, ex ufficiali e arditi costituiscono, più o meno spontaneamente, gruppi di volontari che svolgono funzioni di supplenza, ove è possibile nei confronti degli scioperanti, o in taluni casi si scontrano con violenza con gli scioperanti stessi. Nelle campagne padane il fenomeno si presenta acuito dalla tradizionale durezza dello scontro sociale e i gruppi antisciopero, qualche volta espressione degli ancora sparuti fasci di combattimento, si mettono a disposizione degli agrari e trovano manovalanza, e questo è davvero importante, non disinteressata in quelle figure sociali ibride, fino a quella fase egemonizzate e quindi subalterne alle leghe bracciantili42.
Alla fine di aprile si conclude senza successo un lungo sciopero degli operai delle aziende torinesi. In un documento firmato dal Direttorio dei fasci di combattimento, probabilmente, opera di Bianchi si sostiene:
un gruppo di uomini liberi intende in quest’ora grave della vita nazionale dirvi una parola di interesse e di fede. Lo sciopero generale di Torino, voluto dai mistificatori dell’estremismo socialista, finito dopo 28 giorni nella più grande disfatta del proletariato, deve essere un monito solenne per voi. Il partito socialista, congrega di borghesi arrivisti e arrivati, esercita ai vostri danni la più indegna delle speculazioni. I pescicani che vanno chiedendo ed ottengono la tessera del partito socialista si ripromettono, provocando una serie di movimenti inconsulti di sabotare lo sforzo reale e vitale dell’ascensione proletaria. Prima che sia troppo tardi imponete il vostro basta […]. Noi fascisti siamo pronti a fiancheggiarvi, o lavoratori, nello sforzo di liberazione da tutti i parassiti, compresi quelli dei partiti cosiddetti sovversivi, venditori di fumo e cantastorie di paradisi assurdi […]43.

Il 30 agosto del 1920, in seguito a uno sciopero degli operai dell’industria che rivendicano l’introduzione delle otto ore di lavoro in fabbrica e la nascita di forme di presenza operaia organizzata della stessa organizzazione aziendale, lo scontro sociale tra sindacati operai dell’industria e padronato raggiunge il suo culmine. Il sindacato proclama l’occupazione delle fabbriche che si realizza in maniera generalizzata nelle maggiori città operaie. Il vertice della CGL, costituito dai riformisti, e la direzione massimalista del partito socialista italiano, in fase di attuazione dell’occupazione generalizzata delle fabbriche, non danno alcuna direttiva rivoluzionaria al movimento. Solo a Torino la presenza di un gruppo comunista guidato da Antonio Gramsci, tenta di elaborare una piattaforma rivoluzionaria che vede nei consigli di fabbrica la cellula della rivoluzione proletaria e delegittima così sia i vertici sindacali che quelli socialisti. A questo proposito, il 2 settembre il quotidiano di Mussolini pubblica un articolo dai toni pacati sull’occupazione delle fabbriche. Bianchi autore dell’articolo di fondo si rivolge ai dirigenti della FIOM, che è il sindacato degli operai metalmeccanici più agguerriti nell’agitazione e nello scontro sociale, con un monito a stare in guardia:
L’on. Buozzi, segretario generale, non ci pare l’uomo dei salti nel buio. L’on. Buozzi e i suoi compagni, il Colombino, il Guarneri, ecc. hanno una mentalità troppo realistica per pensare che, oggi, in Italia esistano le condizioni adeguate per un esperimento rivoluzionario in grande stile44.

Bianchi dopo aver escluso questa ipotesi, conclude che esistono solo due possibilità: o l’occupazione provoca la repressione delle forze armate dello Stato, oppure alla fine nel conflitto tra sindacato e padronato prevarranno i proprietari45.
In realtà, Giolitti affronta la grave crisi sociale con la politica a lui consueta fin da inizio secolo della proclamata neutralità dello Stato nei conflitti sindacali, perciò non ascolta affatto le richieste che gli provengono da parte padronale di intervenire con l’esercito a liberare le fabbriche occupate e attende che il conflitto abbia esiti autonomi, controllando con le forze dello Stato la situazione dell’ordine pubblico al di fuori delle fabbriche occupate. In effetti, sebbene in alcuni casi esse, gestite dai nuovi organi di base, i consigli di fabbrica, riescano a riorganizzare l’attività produttiva emarginando la componente imprenditoriale, tutto l’attivismo operaio si ferma dinanzi alla ricerca dei mercati di sbocco delle merci prodotte. Con il passare dei mesi, perciò, la presenza operaia in fabbrica si dimostra debole e in definitiva improduttiva, tanto più che il comitato centrale della CGL, come si è detto, non dà alcuna indicazione favorevole a una manifestazione rivoluzionaria che, com’è avvenuto in Russia, dalla fabbrica si possa trasferire nel paese. La politica giolittiana, dopo mesi di occupazione delle fabbriche, si mostra in grado di concludere la grande vertenza operaia con una mediazione sul tema delle otto ore di lavoro e la promessa di un disegno di legge sulla presenza operaia nelle fabbriche che in effetti il governo presenta alle Camere nel febbraio 1921.
In questo contesto i fasci di combattimento assumono atteggiamenti divergenti. Mussolini approva lo sciopero dei metallurgici, mentre si sono evidenziate le preoccupazioni e le riserve di Bianchi. Sopravvenuto poi l’intervento del governo Giolitti, proprio l’ex sindacalista rivoluzionario e un altro esponente politico fascista di origine calabrese, Agostino Lanzillo, si felicitano per la composizione dell’agitazione, definendola una vittoria della dirigenza riformista della CGL su quella massimalista del Partito socialista, ma soprattutto sottolineano il buon senso dei lavoratori e sostengono che il patto sul controllo operaio apre una nuova pagina nella storia del movimento operaio46.
Se l’estremismo rivoluzionario ha comunque esasperato il padronato industriale, analoghi atteggiamenti sono presenti nel ceto proprietario delle campagne. La reazione sociale degli agrari si produce già dalla fine del 1920 nelle campagne emiliane, toscane, più generalmente padane, attraverso la proliferazione dei fasci di combattimento che, ingaggiati dagli agrari, diventano strumentalmente organi di lotta contro le leghe contadine. A contare è che il fenomeno ha un considerevole sviluppo nello spazio di pochi mesi e dalla campagna si sposta nelle grandi città dove assume come pratica diffusa quella di colpire le sedi dei partiti avversari, i giornali, le case del popolo ecc. Tutto ciò viene esaltato dall’avvio della competizione elettorale per il rinnovo delle amministrazioni locali e provinciali, consultazione doverosa poiché sono passati sei anni dalle precedenti elezioni amministrative, svoltesi nell’anteguerra mondiale.
A questo proposito, si riunisce nell’ottobre del 1920 il fascio di Milano per trattare delle prossime elezioni, la discussione verte su due temi fondamentali: se partecipare alle elezioni e con quali forze politiche schierarsi. Il dibattito è molto vivace e si protrae per due giorni. Pasella, Bianchi, Angiolini, Galassi e Contessi sono convinti che è opportuna la partecipazione dei fascisti milanesi alle elezioni e, per quanto riguarda le alleanze, propongono di aderire al blocco d’ordine che si sta costituendo e col quale sono già stati presi contatti preliminari47. Bianchi non ha, tuttavia, l’opportunità di prendere parte a questo appuntamento elettorale perché in una lettera che Mussolini indirizza a Fasanelli o a De Ambris, datata 4 novembre, il leader dei fasci informa il suo interlocutore che il calabrese in quel momento si trova in sanatorio48.
I risultati delle elezioni, svoltesi alla fine di ottobre, non danno esiti positivi per i fascisti, infatti proprio a Milano la lista dei fasci di combattimento non ha successo, nonostante i collegamenti stipulati con le altre liste del blocco d’ordine. In questo collegio è la lista dei socialisti a risultare vincitrice. Proprio l’esito delle elezioni determina l’inasprirsi dei rapporti fra movimento dei fasci e nazionalisti, da una parte, e socialisti, dall’altra, in varie parti del paese. Del resto, l’esistenza di un’organizzazione armata al servizio dei fasci che ha come obbiettivo quello di far espiare la colpa del loro successo politico e sindacale agli avversari di estrema sinistra viene confermata dalle richieste del procuratore del re dinanzi al tribunale di Milano, il 1° novembre del 1920. Si tratta di un procedimento penale per squadre armate e tentato omicidio nei confronti di avversari politici intentato contro gran parte del gruppo dirigente dei fasci di combattimento milanese. Gli imputati sono Benito Mussolini, Ferruccio Vecchi, Umberto Pasella, Piero Bolzon, Edmondo Mozzucato, Albino Volpi, Alessio de Boni, Giovanni Cornelli ed altri meno conosciuti, in questo elenco non compare Bianchi, eppure l’azione squadrista compiuta dagli esponenti sopraccitati dei fasci è avvenuta il 7 novembre 1919 in Piazza del Duomo a Milano ed è continuata nei giorni successivi in altri importanti luoghi del centro di Milano, come la galleria Vittorio Emanuele. L’assenza di Bianchi a queste come a tutte le altre importanti azioni in precedenza accennate ha una sua valenza politica. È probabile che questa scelta politica dipenda dalla volontà unanime della dirigenza fascista di esonerarlo dalla partecipazione diretta a scontri e azioni che possano comprometterne l’immagine pubblica e salvaguardarlo da un eventuale coinvolgimento in processi penali dagli esiti imprevedibili.
Tra novembre e dicembre successivo con la conclusione della vicenda di Fiume – conseguenza della decisione del governo Giolitti di eliminare la repubblica creata da D’Annunzio attraverso l’intervento dell’esercito e della marina, rispettando comunque i termini del trattato di Rapallo con la Jugoslavia – i vertici del movimento fascista e i rispettivi organi di stampa intervengono nel dibattito politico scaturito all’indomani della cacciata del “poeta vate”. Le posizioni fasciste in questa vicenda appaiono scontate e del tutto critiche nei confronti della linea politica del governo. Invece, in una situazione caratterizzata dalla violenza quotidiana in ogni manifestazione di piazza tra i gruppi politici estremi il gruppo dirigente fascista si limita a votare documenti che non sollecitano azioni di forza. La scelta compiuta dai fasci di astenersi dai subbugli di piazza contro il governo assume un notevole significato politico. Dietro a tale atteggiamento si può intravedere lo stile di Bianchi che, a ragione, Mussolini indica come il suo “Richelieu”, poiché da una parte il fascismo accetta di divenire l’erede delle posizioni ultranazionaliste di D’Annunzio a Fiume, dall’altra riconosce indirettamente al governo il merito di avere risolto un nodo rilevante della politica estera italiana e sul piano interno di avere ridimensionato il ruolo politico di D’Annunzio nella vita del paese. Questo risultato si rivela particolarmente gradito ai fasci di combattimento che si sentono in concorrenza con il movimento dei legionari fiumani.
Nei mesi successivi, la vita sociale e politica del paese attraversa momenti difficili per gli scontri tra fascisti e nazionalisti da una parte e i gruppi di estrema sinistra dall’altra, tanto che questi ultimi hanno un protagonista in più, poiché nel gennaio 1921, al congresso di Livorno, nasce per iniziativa della frazione comunista di Bordiga e di Antonio Gramsci, il Partito Comunista d’Italia.
Giolitti, nella primavera del 1921, tenta la strada del ritorno al vecchio sistema politico, ottenendo a meno di due anni di distanza dalle politiche del 1919, lo scioglimento della Camera e nuove elezioni. Egli presenta nei vari collegi delle alleanze elettorali di centro-destra che comprendono anche candidati del movimento fascista. Si tratta della legittimazione politica del fascismo che viene operata dal massimo esponente dello Stato liberale e che chiarisce i termini dell’atteggiamento non ostile che in questa fase la classe dirigente liberale assume nei confronti dell’ideologia fascista. Dal punto di vista fascista è la vittoria piena della strategia di Bianchi, anche se il protagonista dell’operazione è stato l’esponente massimo del neutralismo italiano. D’altra parte, Giolitti intende fermare la violenza fascista offrendo alla sua classe dirigente la possibilità di inserirsi in gangli essenziali dello Stato. Si tratta di un calcolo politico che ha ben chiari gli atteggiamenti ideologici e politici di personalità del fascismo come Bianchi. Una linea politica quella giolittiana che confida sulla capacità degli esponenti fascisti di esercitare da Milano il pieno controllo del movimento che si è nel frattempo allargato nel paese. Si tratta di un fatale errore politico che sottovaluta il retroterra sociale del fascismo delle province centro-settentrionali e l’indisponibilità di questi gruppi ad accettare una mediazione politica con il massimo esponente dello Stato liberale.




NOTE


1 Per le notizie biografiche essenziali cfr. A. Riosa, Dizionario biografico degli italiani, alla voce; B. Bianchi, Michele Bianchi. Il calabrese sindacalista che inventò il fascismo, Cosenza, Legenda, 2001, pp. 13 sgg.^
2 Cfr. D. Cassiano, S. Adriano. La badia e il collegio italo-albanese. Vol. 2° (1807-1923), pp. 7-170 Lungro, Costantino Marco editore, 1997; G. Cingari, Romanticismo e democrazia nel Mezzogiorno. Domenico Mauro (1812-1873), Napoli, ESI, 1965, pp. 22-27.^
3 Cfr. O.Dito, La massoneria cosentina, Cosenza, Brenner, 1978, pp. 25 sgg.^
4 M. Bianchi, Frammenti e I pipistrelli, in «Il domani», 8 ottobre 1901.^
5 Sul movimento rivendicativo e regionalista e il suo motto “vincere o ribellarsi”, cfr. M.G. Chiodo, La Calabria dall’Unità al fascismo, in Storia del Mezzogiorno, a cura di G. Galasso e R. Romeo, vol. XV, I, Napoli, Edizione del Sole, 1990, p. 301.^
6 Cfr. G. Arfé, Storia del socialismo italiano, Torino, Einaudi, 1965, p. 112.^
7 Per il riconoscimento a Bianchi di un ruolo guida nello sciopero cfr. E. Misefari, il quadrumviro col frustino: Michele Bianchi, Cosenza, Lerici, 1977, pp. 25-26; in senso opposto si esprime M. Fatica, cit., pp. 35-36.^
8 M. Fatica, cit., p. 37.
9 Ivi, pp. 40-42.^
10 Sul congresso regionale cfr. «Lotta socialista», 27 maggio 1906.^
11 E. Misefari, il quadrumviro…, cit., p. 50.^
12 A. Gregori, Quel che sta accadendo nel Ferrarese, in «L’Internazionale», 15 novembre 1913.^
13 Cfr. E. Misefari, cit., pp. 64-65.^
14 M. Paolucci, Per uscire dall’equivoco, in «L’Internazionale», 25 dicembre 1913.^
15 M. Bianchi, Spavaldi a Tripoli…, in «La Scintilla», 15 ottobre 1911.^
16 E. Misefari, il quadumviro…, cit., pp. 61-62; M. Fatica, Michele Bianchi, cit., p.^
17 G.D.H. Cole, Storia del pensiero socialista, vol. III, 2, La Seconda Internazionale. 1889-1914, Bari, Laterza, 1976, pp. 35-50.^
18 «L’Internazionale», 19 settembre 1914, resoconto del consiglio dell’USI tenuto a Parma il 13 e il 14 settembre in cui Bianchi è presente insieme a Corridoni in rappresentanza dell’Unione sindacale milanese.^
19 R. De Felice, Mussolini rivoluzionario 1883-1920, Torino, Einaudi, 1965, pp. 220-287.^
20 R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, op. cit., pp. 305-306.^
21 «Il popolo d’Italia», 25-26 gennaio 1915.^
22 Cfr. G.A. Chiurco, Storia della rivoluzione fascista. 1919-1922, vol. I, Anno 1919, Firenze, Vallecchi, 1929, pp. 40-41.^
23 Cfr. M. Bianchi, I problemi dell’ora, in «La riforma teatrale», 31 ottobre 1906.^
24 M. Fatica, Michele Bianchi, cit., p. 55.^
25 Cfr. R. De Felice, Mussolini in rivoluzionario, cit., p. 495.^
26 Cfr. Ivi, pp. 447-457 sgg.^
27 M. Bianchi, I discorsi e gli scritti, Prefazione di Benito Mussolini, Roma, Libreria del Littorio, IX (1930), In via di ipotesi, p. 245, in «il Popolo d’Italia», 1919.^
28 Cfr. R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, cit., p. 509.^
29 Ivi, p. 509 sgg.^
30/a> M. Bianchi, I discorsi e gli scritti, cit., La impressionante scioperomania, pp. 247-251. Fatica lo ritiene pubblicato su «il Popolo d’Italia» del 12 giugno 1919: cfr. M. Fatica, Michele Bianchi, cit., p. 56, n. 83.^
31 M. Bianchi, ivi, p. 250.^
32 Ivi, p. 234.^
33 M. Fatica, Michele Bianchi, cit., ….^
34 Cfr. R. De Felice, Mussolini in rivoluzionario, cit., pp. 336-338.^
35 M. Bianchi, I discorsi e gli scritti, pp. 238-239.^
36 Cfr. R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, cit., p. 586.^
37 Ivi, cit., p. 569.^
38 A. Roveri, Le origini del fascismo a Ferrara 1918/1921, Milano, Fetrinelli, 1974, pp. 54-55.^
39 «La Provincia di Ferrara», 24 ottobre 1919.^
40 Per i risultati elettorali, cfr. A. Roveri, Le origini del fascismo a Ferrara, cit., p. 58. L’elaborazione dei dati è mia. L’autore, ponendosi in prospettiva d’indagine assai diversa dalla mia, quanto al risultato elettorale di Bianchi giunge a conclusioni molto diverse dalle nostre.^
41 Cfr., R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, cit., p. 588.^
42 Notizie in dettaglio sulla mobilitazione di volontari di diversa estrazione contro gli scioperi nelle città e nelle campagne sono in G.A. Chiurlo, Storia della rivoluzione fascista, cit., 1920, Firenze, Vallecchi, 1929, pp. 10-21; E. Misefari, il quadrumviro, cit., pp. 105-106. La ricostruzione più affidabile sulle origini del fascismo agrario a Ferrara è in A. Roveri, Le origini del fascismo a Ferrara, cit., pp. 59-110.^
43 G.C. Chiurlo, Storia…, vol. II, 1920, cit., p. 48. Cfr. R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, cit., pp. 590 sgg.^
44 M. Bianchi, Situazioni e responsabilità, in «Il popolo d’Italia», 2 settembre 1920.^
45 R. De Felice, Mussolini rivoluzionario, cit., p. 629.^
46 Cfr. M. Bianchi, A una svolta della storia, in «Il popolo d’Italia», 21 settembre 1920; Gli altri vinti, ivi, 23 settembre 1920.^
47 R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, cit., p. 636.^
48 Ivi, p. 645.^
  Cosa ne pensi? Invia il tuo commento
 
Realizzazione a cura di: VinSoft di Coopyleft